Torquato Tasso
Gerusalemme Liberata
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO
AL SERENISSIMO SIGNORE
IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
CANTO NONO
La Furia Aletto, visto che nulla più avrebbe potuto contro i Cristiani, passa nel campo dei Turchi e cerca Solimano presentandosi a lui sotto le spoglie d'un vecchio e lo incita ad assaltare i Cristiani. Solimano incita i suoi all'attacco e Aletto dà il segnale della battaglia colla sua tromba. Mentre comincia la battaglia, Aletto lascia Solimano ed al tramonto entra in Gerusalemme e sotto le vesti di un messaggero gli annunzia la battaglia incitandolo al combattimento. Si scatena la battaglia: l'esercito di Goffredo viene circondato e il Soldano fa orribile strage. Nella terribile battaglia ci sono atti di grande eroismo, come quello in cui Latino e i suoi cinque figli assalgono Solimano ma restano tutti uccisi . Goffredo si slancia nella battaglia e al suo passare raccoglie i cristiani sbandati; ordina una certa strategia con Guelfo cercando di attaccare il nemico da due lati. Goffredo cerca di rincuorare i Cristiani sbandati, mentre la battaglia si fa più aspra ed equilibrata. Anche Guelfo rincuora i Cristiani, mentre Dio dall'alto dei Cieli guarda la battaglia, chiama l'Arcangelo Michele e lo invia sulla terra per ricacciare i demoni nell'Inferno, mentre sulla terra scintilla l'arcobaleno. Argante e Clorinda combattono strenuamente, come l'eroina cristiana Gildippe; lo stesso Guelfo si slancia contro Clorinda; è ormai l'alba; Argillano si libera dalla sua prigione e si getta nella battaglia, uccide Saladino ed altri, tra cui Ariadino che gli predice morendo una morte ormai vicina; tra i sagittari pagani si trova Lesbino, un giovane paggio del Sultano: contro di lui si scatena Argillano; in aiuto di Lesbino arriva proprio il Sultano, ma troppo tardi: piange sul corpo del paggio dopo aver ucciso lo stesso Argillano. All'improvviso cinquanta cavalieri (erano quelli che avevano seguito Armida) dietro l'insegna della Croce arrivano e mettono scompiglio nelle schiere nemiche, che cominciano a fuggire verso la città. Solimano assiste impotente alla fuga generale delle forze pagane, anch'egli incapace di continuare a combattere, ma il suo spirito si ribella e non cede.
Argomento |
Trova
la Furia Solimano, e 'l move A far a' Franchi aspra notturna guerra. Il giusto Dio che l'infernali prove Mira dal Ciel, manda Michele in terra. Così, poiché il soccorso si rimove Dell'Inferno ai Pagani, e si disserra A lor danni il drappel che seguì Armida, Fugge, e di vincer Soliman diffida. |
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 |
Ma il gran mostro infernal, che vede queti que' già torbidi cori e l'ire spente, e cozzar contra 'l fato e i gran decreti svolger non può de l'immutabil Mente, si parte, e dove passa i campi lieti secca, e pallido il sol si fa repente; e d'altre furie ancora e d'altri mali ministra, a nova impresa affretta l'ali. Ella, che dall'essercito cristiano per industria sapea de' suoi consorti il figliuol di Bertoldo esser lontano, Tancredi e gli altri piú temuti e forti, disse: "Che piú s'aspetta? or Solimano inaspettato venga e guerra porti. Certo (o ch'io spero) alta vittoria avremo di campo mal concorde e in parte scemo." Ciò detto, vola ove fra squadre erranti, fattosen duce, Soliman dimora, quel Soliman di cui non fu tra quanti ha Dio rubelli, uom piú feroce allora né se per nova ingiuria i suoi giganti rinovasse la terra, anco vi fòra. Questi fu re de' Turchi ed in Nicea la sede de l'imperio aver solea, e distendeva incontra a i greci lidi dal Sangario al Meandro il suo confine, ove albergàr già Misi e Frigi e Lidi, e le genti di Ponto e le bitine; ma poi che contra i Turchi e gli altri infidi passàr ne l'Asia l'arme peregrine, fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto ben fu due fiate in general conflitto. Ma riprovata avendo in van la sorte e spinto a forza dal natio paese, ricoverò del re d'Egitto in corte, ch'oste gli fu magnanimo e cortese; ed ebbe a grado che guerrier sí forte gli s'offrisse compagno a l'alte imprese, proposto avendo già vietar l'acquisto di Palestina a i cavalier di Cristo. Ma prima ch'egli apertamente loro la destinata guerra annunziasse, volle che Solimano, a cui molto oro diè per tal uso, gli Arabi assoldasse. Or mentre ei d'Asia e dal paese moro l'oste accogliea, Soliman venne e trasse agevolmente a sé gli Arabi avari, ladroni in ogni tempo o mercenari. Cosí fatto lor duce, or d'ogni intorno la Giudea scorre, e fa prede e rapine sí che 'l venire è chiuso e 'l far ritorno da l'essercito franco a le marine; e rimembrando ognor l'antico scorno e de l'imperio suo l'alte ruine, cose maggior nel petto acceso volve, ma non ben s'assecura o si risolve. A costui viene Aletto, e da lei tolto è 'l sembiante d'un uom d'antica etade: vòta di sangue, empie di crespe il volto, lascia barbuto il labro e 'l mento rade, dimostra il capo in lunghe tele avolto, la veste oltra 'l ginocchio al piè gli cade, la scimitarra al fianco, e 'l tergo carco de la faretra, e ne le mani ha l'arco. "Noi" gli dice ella "or trascorriam le vòte piaggie e l'arene sterili e deserte, ove né far rapina omai si pote, né vittoria acquistar che loda merte. Goffredo intanto la città percote, e già le mura ha con le torri aperte; e già vedrem, s'ancor si tarda un poco, insin di qua le sue ruine e 'l foco. Dunque accesi tuguri e greggie e buoi gli alti trofei di Soliman saranno? Cosí racquisti il regno? e cosí i tuoi oltraggi vendicar ti credi e 'l danno? Ardisci, ardisci; entro a i ripari suoi di notte opprimi il barbaro tiranno. Credi al tuo vecchio Araspe, il cui consiglio e nel regno provasti e ne l'essiglio. Non ci aspetta egli e non ci teme, e sprezza gli Arabi ignudi in vero e timorosi, né creder mai potrà che gente avezza a le prede, a le fughe, or cotanto osi; ma feri li farà la tua fierezza contra un campo che giaccia inerme e posi." Cosí gli disse, e le sue furie ardenti spirogli al seno, e si mischiò tra' venti. Grida il guerrier, levando al ciel la mano: "O tu, che furor tanto al cor m'irriti (ned uom sei già, se ben sembiante umano mostrasti), ecco io ti seguo ove m'inviti. Verrò, farò là monti ov'ora è piano, monti d'uomini estinti e di feriti, farò fiumi di sangue. Or tu sia meco, e tratta l'armi mie per l'aer cieco." Tace, e senza indugiar le turbe accoglie e rincora parlando il vile e 'l lento, e ne l'ardor de le sue stesse voglie accende il campo a seguitarlo intento. Dà il segno Aletto de la tromba, e scioglie di sua man propria il gran vessillo al vento. Marcia il campo veloce, anzi sí corre che de la fama il volo anco precorre. Va seco Aletto, e poscia il lascia e veste, d'uom che rechi novelle, abito e viso; e ne l'ora che par che il mondo reste fra la notte e fra 'l dí dubbio e diviso, entra in Gierusalemme, e tra le meste turbe passando al re dà l'alto aviso del gran campo che giunge e del disegno, e del notturno assalto e l'ora e 'l segno. Ma già distendon l'ombre orrido velo che di rossi vapor si sparge e tigne; la terra in vece del notturno gelo bagnan rugiade tepide e sanguigne; s'empie di mostri e di prodigi il cielo, s'odon fremendo errar larve maligne: votò Pluton gli abissi, e la sua notte tutta versò da le tartaree grotte. Per sí profondo orror verso le tende de gli inimici il fer Soldan camina; ma quando a mezzo dal suo corso ascende la notte, onde poi rapida dechina, a men d'un miglio, ove riposo prende il securo Francese, ei s'avicina. Qui fe' cibar le genti, e poscia d'alto parlando confortolle al crudo assalto: "Vedete là di mille furti pieno un campo piú famoso assai che forte, che quasi un mar nel suo vorace seno tutte de l'Asia ha le ricchezze absorte? Questo ora a voi (né già potria con meno vostro periglio) espon benigna sorte: l'arme e i destrier d'ostro guerniti e d'oro preda fian vostra, e non difesa loro. Né questa è già quell'oste onde la persa gente e la gente di Nicea fu vinta, perché in guerra sí lunga e sí diversa rimasa n'è la maggior parte estinta; e s'anco integra fosse, or tutta immersa in profonda quiete e d'arme è scinta. Tosto s'opprime chi di sonno è carco, ché dal sonno a la morte è un picciol varco. Su, su, venite: io primo aprir la strada vuo' su i corpi languenti entro a i ripari; ferir da questa mia ciascuna spada, e l'arti usar di crudeltate impari. Oggi fia che di Cristo il regno cada, oggi libera l'Asia, oggi voi chiari." Cosí gli infiamma a le vicine prove, indi tacitamente oltre lor move. Ecco tra via le sentinelle ei vede per l'ombra mista d'una incerta luce, né ritrovar, come secura fede avea, pote improviso il saggio duce. Volgon quelle gridando indietro il piede, scorto che sí gran turba egli conduce, sí che la prima guardia è da lor desta, e com' può meglio a guerreggiar s'appresta. Dan fiato allora a i barbari metalli gli Arabi, certi omai d'essere sentiti. Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli co 'l suon del calpestio misti i nitriti. Gli alti monti muggír, muggír le valli, e risposer gli abissi a i lor muggiti, e la face inalzò di Flegetonte Aletto, e 'l segno diede a quei del monte. Corre inanzi il Soldano, e giunge a quella confusa ancora e inordinata guarda rapido sí che torbida procella da' cavernosi monti esce piú tarda. Fiume ch'arbori insieme e case svella, folgore che le torri abbatta ed arda, terremoto che 'l mondo empia d'orrore, son picciole sembianze al suo furore. Non cala il ferro mai ch'a pien non colga, né coglie a pien che piaga anco non faccia, né piaga fa che l'alma altrui non tolga; e piú direi, ma il ver di falso ha faccia. E par ch'egli o s'infinga o non se 'n dolga o non senta il ferir de l'altrui braccia, se ben l'elmo percosso in suon di squilla rimbomba e orribilmente arde e sfavilla. Or quando ei solo ha quasi in fuga vòlto quel primo stuol de le francesche genti, giungono in guisa d'un diluvio accolto di mille rivi gli Arabi correnti. Fuggono i Franchi allora a freno sciolto, e misto il vincitor va tra' fuggenti, e con lor entra ne' ripari, e 'l tutto di ruine e d'orror s'empie e di lutto. Porta il Soldan su l'elmo orrido e grande serpe che si dilunga e il collo snoda, su le zampe s'inalza e l'ali spande e piega in arco la forcuta coda. Par che tre lingue vibri e che fuor mande livida spuma, e che 'l suo fischio s'oda. Ed or ch'arde la pugna, anch'ei s'infiamma nel moto, e fumo versa insieme e fiamma. E si mostra in quel lume a i riguardanti formidabil cosí l'empio Soldano, come veggion ne l'ombra i naviganti fra mille lampi il torbido oceano. Altri danno a la fuga i piè tremanti, danno altri al ferro intrepida la mano; e la notte i tumulti ognor piú mesce, ed occultando i rischi, i rischi accresce. Fra color che mostraro il cor piú franco, Latin, su 'l Tebro nato, allor si mosse, a cui né le fatiche il corpo stanco, né gli anni dome aveano ancor le posse. Cinque suoi figli quasi eguali al fianco gli erano sempre, ovunque in guerra ei fosse, d'arme gravando, anzi il tor tempo molto, le membra ancor crescenti e 'l molle volto. Ed eccitati dal paterno essempio aguzzavano al sangue il ferro e l'ire. Dice egli loro: "Andianne ove quell'empio veggiam ne' fuggitivi insuperbire, né già ritardi il sanguinoso scempio, ch'ei fa de gli altri, in voi l'usato ardire, però che quello, o figli, è vile onore cui non adorni alcun passato orrore." Cosí feroce leonessa i figli, cui dal collo la coma anco non pende né con gli anni lor sono i feri artigli cresciuti e l'arme de la bocca orrende, mena seco a la preda ed a i perigli, e con l'essempio a incrudelir gli accende nel cacciator che le natie lor selve turba e fuggir fa le men forti belve. Segue il buon genitor l'incauto stuolo de' cinque, e Solimano assale e cinge; e in un sol punto un sol consiglio, e un solo spirito quasi, sei lunghe aste spinge. Ma troppo audace il suo maggior figliuolo l'asta abbandona e con quel fer si stringe, e tenta in van con la pungente spada che sotto il corridor morto gli cada. Ma come a le procelle esposto monte, che percosso da i flutti al mar sovraste, sostien fermo in se stesso i tuoni e l'onte del ciel irato e i venti e l'onde vaste, cosí il fero Soldan l'audace fronte tien salda incontra a i ferri e incontra a l'aste, ed a colui che il suo destrier percote tra i cigli parte il capo e tra le gote. Aramante al fratel che giú ruina porge pietoso il braccio, e lo sostiene. Vana e folle pietà! ch'a la ruina altrui la sua medesma a giunger viene, ché 'l pagan su quel braccio il ferro inchina ed atterra con lui chi lui s'attiene. Caggiono entrambi, e l'un su l'altro langue mescolando i sospiri ultimi e 'l sangue. Quinci egli di Sabin l'asta recisa, onde il fanciullo di lontan l'infesta, gli urta il cavallo addosso e 'l coglie in guisa che giú tremante il batte, indi il calpesta. Dal giovenetto corpo uscí divisa con gran contrasto l'alma, e lasciò mesta l'aure soavi de la vita e i giorni de la tenera età lieti ed adorni. Rimanean vivi ancor Pico e Laurente, onde arricchí un sol parto il genitore: similissima coppia e che sovente esser solea cagion di dolce errore. Ma se lei fe' natura indifferente, differente or la fa l'ostil furore: dura distinzion ch'a l'un divide dal busto il collo, a l'altro il petto incide. Il padre, ah non piú padre! (ahi fera sorte, ch'orbo di tanti figli a un punto il face!), rimira in cinque morti or la sua morte e de la stirpe sua che tutta giace. Né so come vecchiezza abbia sí forte ne l'atroci miserie e sí vivace che spiri e pugni ancor; ma gli atti e i visi non mirò forse de' figliuoli uccisi, e di sí acerbo lutto a gli occhi sui parte l'amiche tenebre celaro. Con tutto ciò nulla sarebbe a lui, senza perder se stesso, il vincer caro. Prodigo del suo sangue, e de l'altrui avidissimamente è fatto avaro; né si conosce ben qual suo desire paia maggior, l'uccidere o 'l morire. Ma grida al suo nemico: "È dunque frale sí questa mano, e in guisa ella si sprezza, che con ogni suo sforzo ancor non vale a provocar in me la tua fierezza?" Tace, e percossa tira aspra e mortale che le piastre e le maglie insieme spezza, e su 'l fianco gli cala e vi fa grande piaga onde il sangue tepido si spande. A quel grido, a quel colpo, in lui converse il barbaro crudel la spada e l'ira. Gli aprí l'usbergo, e pria lo scudo aperse cui sette volte un duro cuoio aggira, e 'l ferro ne le viscere gli immerse. Il misero Latin singhiozza e spira, e con vomito alterno or gli trabocca il sangue per la piaga, or per la bocca. Come ne l'Appennin robusta pianta che sprezzò d'Euro e d'Aquilon la guerra, se turbo inusitato al fin la schianta, gli alberi intorno ruinando atterra, cosí cade egli, e la sua furia è tanta che piú d'un seco tragge a cui s'afferra; e ben d'uom sí feroce è degno fine che faccia ancor morendo alte ruine. Mentre il Soldan sfogando l'odio interno pasce un lungo digiun ne' corpi umani, gli Arabi inanimiti aspro governo anch'essi fanno de' guerrier cristiani: l'inglese Enrico e 'l bavaro Oliferno moiono, o fer Dragutte, a le tue mani; a Gilberto, a Filippo, Ariadeno toglie la vita, i quai nacquer su 'l Reno; Albazàr con la mazza abbatte Ernesto, cade sotto Algazelle Otton di spada. Ma chi narrar potria quel modo o questo di morte, e quanta plebe ignobil cada? Sin da quei primi gridi erasi desto Goffredo, e non istava intanto a bada; già tutto è armato, e già raccolto un grosso drapello ha seco, e già con lor s'è mosso. Egli, che dopo il grido udí il tumulto che par che sempre piú terribil suoni, avisò ben che repentino insulto esser dovea de gli Arabi ladroni; ché già non era al capitano occulto ch'essi intorno scorrean le regioni, benché non istimò che sí fugace vulgo mai fosse d'assalirlo audace. Or mentre egli ne viene, ode repente "Arme! arme!" replicar da l'altro lato, ed in un tempo il cielo orribilmente intonar di barbarico ululato. Questa è Clorinda che del re la gente guida l'assalto, ed have Argante a lato. Al nobil Guelfo, che sostien sua vice, allor si volge il capitano e dice: "Odi qual novo strepito di Marte di verso il colle e la città ne viene; d'uopo là fia che 'l tuo valore e l'arte i primi assalti de' nemici affrene. Vanne tu dunque e là provedi, e parte vuo' che di questi miei teco ne mene; con gli altri io me n'andrò da l'altro canto a sostener l'impeto ostile intanto." Cosí fra lor concluso, ambo gli move per diverso sentiero egual fortuna. Al colle Guelfo, e 'l capitan va dove gli Arabi omai non han contesa alcuna. Ma questi andando acquista forza, e nove genti di passo in passo ognor raguna, tal che già fatto poderoso e grande giunge ove il fero turco il sangue spande. Cosí scendendo dal natio suo monte non empie umile il Po l'angusta sponda, ma sempre piú, quanto è piú lunge al fonte, di nove forze insuperbito abonda; sovra i rotti confini alza la fronte di tauro, e vincitor d'intorno inonda, e con piú corna Adria respinge e pare che guerra porti e non tributo al mare. Goffredo, ove fuggir l'impaurite sue genti vede, accorre e le minaccia: "Qual timor" grida "è questo? ove fuggite? Guardate almen chi sia quel che vi caccia. Vi caccia un vile stuol, che le ferite né ricever né dar sa ne la faccia; e se 'l vedranno incontra sé rivolto, temeran l'arme lor del vostro volto." Punge il destrier, ciò detto, e là si volve ove di Soliman gli incendi ha scorti. Va per mezzo del sangue e de la polve e de' ferri e de' rischi e de le morti; con la spada e con gli urti apre e dissolve le vie piú chiuse e gli ordini piú forti, e sossopra cader fa d'ambo i lati cavalieri e cavalli, arme ed armati. Sovra i confusi monti a salto a salto de la profonda strage oltre camina. L'intrepido Soldan che 'l fero assalto sente venir, no 'l fugge e no 'l declina; ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto levando per ferir gli s'avicina. Oh quai duo cavalier or la fortuna da gli estremi del mondo in prova aduna! Furor contra virtute or qui combatte d'Asia in un picciol cerchio il grande impero. Chi può dir come gravi e come ratte le spade son? quanto il duello è fero? Passo qui cose orribili che fatte furon, ma le coprí quell'aer nero, d'un chiarissimo sol degne e che tutti siano i mortali a riguardar ridutti. Il popol di Giesú, dietro a tal guida audace or divenuto, oltre si spinge, e de' suoi meglio armati a l'omicida Soldano intorno un denso stuol si stringe. Né la gente fedel piú che l'infida, né piú questa che quella il campo tinge, ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti, egualmente dan morte e sono estinti. Come pari d'ardir, con forza pare quinci Austro in guerra vien, quindi Aquilone, non ei fra lor, non cede il cielo o 'l mare, ma nube a nube e flutto a flutto oppone; cosí né ceder qua, né là piegare si vede l'ostinata aspra tenzone: s'affronta insieme orribilmente urtando scudo a scudo, elmo a elmo e brando a brando. Non meno intanto son feri i litigi da l'altra parte, e i guerrier folti e densi. Mille nuvole e piú d'angeli stigi tutti han pieni de l'aria i campi immensi, e dan forza a i pagani, onde i vestigi non è chi indietro di rivolger pensi; e la face d'inferno Argante infiamma, acceso ancor de la sua propria fiamma. Egli ancor dal suo lato in fuga mosse le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto; di lacerate membra empié le fosse, appianò il calle, agevolò l'assalto, sí che gli altri il seguiro e fèr poi rosse le prime tende di sanguigno smalto. E seco a par Clorinda o dietro poco se 'n gio, sdegnosa del secondo loco. E già fuggiano i Franchi allor che quivi giunse Guelfo opportuno e 'l suo drapello, e volger fe' la fronte a i fuggitivi e sostenne il furor del popol fello. Cosí si combatteva, e 'l sangue in rivi correa egualmente in questo lato e in quello. Gli occhi fra tanto a la battaglia rea dal suo gran seggio il Re del Ciel volgea. Sedea colà dond'Egli e buono e giusto dà legge al tutto e 'l tutto orna e produce sovra i bassi confin del mondo angusto, ove senso o ragion non si conduce; e de l'Eternità nel trono augusto risplendea con tre lumi in una luce. Ha sotto i piedi il Fato e la Natura, ministri umili, e 'l Moto e Chi 'l misura, e 'l Loco e Quella che, qual fumo o polve, la gloria di qua giuso e l'oro e i regni, come piace là su, disperde e volve, né, diva, cura i nostri umani sdegni. Quivi ei cosí nel suo splendor s'involve, che v'abbaglian la vista anco i piú degni: d'intorno ha innumerabili immortali, disegualmente in lor letizia eguali. Al gran concento de' beati carmi lieta risuona la celeste reggia. Chiama Egli a sé Michele, il qual ne l'armi di lucido adamante arde e lampeggia, e dice lui: "Non vedi or come s'armi contra la mia fedel diletta greggia l'empia schiera d'Averno, e insin dal fondo de le sue morti a turbar sorga il mondo? Va', dille tu che lasci omai le cure de la guerra a i guerrier, cui ciò conviene, né il regno de' viventi, né le pure piaggie del ciel conturbi ed avenene. Torni a le notti d'Acheronte oscure, suo degno albergo, a le sue giuste pene; quivi se stessa e l'anime d'abisso crucii. Cosí commando e cosí ho fisso." Qui tacque, e 'l duce de' guerrieri alati s'inchinò riverente al divin piede; indi spiega al gran volo i vanni aurati, rapido sí ch'anco il pensiero eccede. Passa il foco e la luce, ove i beati hanno lor gloriosa immobil sede, poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira che di stelle gemmato incontra gira; quinci, d'opre diversi e di sembianti, da sinistra rotar Saturno e Giove e gli altri, i quali esser non ponno erranti s'angelica virtú gli informa e move; vien poi da' campi lieti e fiammeggianti d'eterno dí là donde tuona e piove, ove se stesso il mondo strugge e pasce, e ne le guerre sue more e rinasce. Venia scotendo con l'eterne piume la caligine densa e i cupi orrori; s'indorava la notte al divin lume che spargea scintillando il volto fuori. Tale il sol ne le nubi ha per costume spiegar dopo la pioggia i bei colori; tal suol, fendendo il liquido sereno, stella cader de la gran madre in seno. Ma giunto ove la schiera empia infernale il furor de' pagani accende e sprona, si ferma in aria in su 'l vigor de l'ale, e vibra l'asta, e lor cosí ragiona: "Pur voi dovreste omai saper con quale folgore orrendo il Re del mondo tuona, o nel disprezzo e ne' tormenti acerbi de l'estrema miseria anco superbi. Fisso è nel Ciel ch'al venerabil segno chini le mura, apra Sion le porte. A che pugnar co 'l fato? a che lo sdegno dunque irritar de la celeste corte? Itene, maledetti, al vostro regno, regno di pene e di perpetua morte; e siano in quegli a voi dovuti chiostri le vostre guerre ed i trionfi vostri. Là incrudelite, là sovra i nocenti tutte adoprate pur le vostre posse fra i gridi eterni e lo stridor de' denti, e 'l suon del ferro e le catene scosse." Disse, e quei ch'egli vide al partir lenti con la lancia fatal pinse e percosse; essi gemendo abbandonàr le belle region de la luce e l'auree stelle, e dispiegàr verso gli abissi il volo ad inasprir ne' rei l'usate doglie. Non passa il mar d'augei sí grande stuolo quando a i soli piú tepidi s'accoglie, né tante vede mai l'autunno al suolo cader co' primi freddi aride foglie. Liberato da lor, quella sí negra faccia depone il mondo e si rallegra. Ma non perciò nel disdegnoso petto d'Argante vien l'ardire o 'l furor manco, benché suo foco in lui non spiri Aletto, né flagello infernal gli sferzi il fianco. Rota il ferro crudel ove è piú stretto e piú calcato insieme il popol franco; miete i vili e i potenti, e i piú sublimi e piú superbi capi adegua a gli imi. Non lontana è Clorinda, e già non meno par che di tronche membra il campo asperga. Caccia la spada a Berlinghier nel seno per mezzo il cor, dove la vita alberga, e quel colpo a trovarlo andò sí pieno che sanguinosa uscí fuor de le terga; poi fère Albin là 've primier s'apprende nostro alimento, e 'l viso a Gallo fende. La destra di Gerniero, onde ferita ella fu già, manda recisa al piano: tratta anco il ferro, e con tremanti dita semiviva nel suol guizza la mano. Coda di serpe è tal, ch'indi partita cerca d'unirsi al suo principio invano. Cosí mal concio la guerriera il lassa, poi si volge ad Achille e 'l ferro abbassa, e tra 'l collo e la nuca il colpo assesta; e tronchi i nervi e 'l gorgozzuol reciso, gío rotando a cader prima la testa, prima bruttò di polve immonda il viso, che giú cadesse il tronco; il tronco resta (miserabile mostro) in sella assiso, ma libero del fren con mille rote calcitrando il destrier da sé lo scote. Mentre cosí l'indomita guerriera le squadre d'Occidente apre e flagella, non fa d'incontra a lei Gildippe altera de' saracini suoi strage men fella. Era il sesso il medesmo, e simil era l'ardimento e 'l valore in questa e in quella. Ma far prova di lor non è lor dato, ch'a nemico maggior le serba il fato. Quinci una e quindi l'altra urta e sospinge, né può la turba aprir calcata e spessa; ma 'l generoso Guelfo allora stringe contra Clorinda il ferro e le s'appressa, e calando un fendente alquanto tinge la fera spada nel bel fianco, ed essa fa d'una punta a lui cruda risposta ch'a ferirlo ne va tra costa e costa. Doppia allor Guelfo il colpo e lei non coglie, ch'a caso passa il palestino Osmida e la piaga non sua sopra sé toglie, la qual vien che la fronte a lui recida. Ma intorno a Guelfo omai molta s'accoglie di quella gente ch'ei conduce e guida; e d'altra parte ancor la turba cresce, sí che la pugna si confonde e mesce. L'aurora intanto il bel purpureo volto già dimostrava dal sovran balcone, e in quei tumulti già s'era disciolto il feroce Argillan di sua prigione; e d'arme incerte il frettoloso avolto, quali il caso gli offerse o triste o buone, già se 'n venia per emendar gli errori novi con novi merti e novi onori. Come destrier che da le regie stalle, ove a l'uso de l'arme si riserba, fugge, e libero al fin per largo calle va tra gli armenti o al fiume usato o a l'erba: scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle si scote la cervice alta e superba, suonano i pié nel corso e par ch'avampi, di sonori nitriti empiendo i campi; tal ne viene Argillano: arde il feroce sguardo, ha la fronte intrepida e sublime; leve è ne' salti e sovra i pié veloce, sí che d'orme la polve a pena imprime, e giunto fra nemici alza la voce pur com'uom che tutto osi e nulla stime: "O vil feccia del mondo, Arabi inetti, ond'è ch'or tanto ardire in voi s'alletti? Non regger voi de gli elmi e de gli scudi sète atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso, ma commettete paventosi e nudi i colpi al vento e la salute al corso. L'opere vostre e i vostri egregi studi notturni son; dà l'ombra a voi soccorso. Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo? D'arme è ben d'uopo e di valor piú fermo." Cosí parlando ancor diè per la gola ad Algazèl di sí crudel percossa che gli secò le fauci, e la parola troncò ch'a la risposta era già mossa. A quel meschin súbito orror invola il lume, e scorre un duro gel per l'ossa: cade, e co' denti l'odiosa terra pieno di rabbia in su 'l morire afferra. Quinci per vari casi e Saladino ed Agricalte e Muleasse uccide, e da l'un fianco a l'altro a lor vicino con esso un colpo Aldiazíl divide; trafitto a sommo il petto Ariadino atterra, e con parole aspre il deride. Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose parole, in su 'l morir cosí rispose: "Non tu, chiunque sia, di questa morte vincitor lieto avrai gran tempo il vanto; pari destin t'aspetta, e da piú forte destra a giacer mi sarai steso a canto." Rise egli amaramente e: "Di mia sorte curi il Ciel," disse "or tu qui mori intanto d'augei pasto e di cani"; indi lui preme co 'l piede, e ne trae l'alma e 'l ferro insieme. Un paggio del Soldan misto era in quella turba di sagittari e lanciatori, a cui non anco la stagion novella il bel mento spargea de' primi fiori. Paion perle e rugiade in su la bella guancia irrigando i tepidi sudori, giunge grazia la polve al crine incolto e sdegnoso rigor dolce è in quel volto. Sotto ha un destrier che di candore agguaglia pur or ne l'Apennin caduta neve; turbo o fiamma non è che roti o saglia rapido sí come è quel pronto e leve. Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia, la spada al fianco tien ritorta e breve, e con barbara pompa in un lavoro di porpora risplende intesta e d'oro. Mentre il fanciullo, a cui novel piacere di gloria il petto giovenil lusinga, di qua turba e di là tutte le schiere, e lui non è chi tanto o quanto stringa, cauto osserva Argillan tra le leggiere sue rote il tempo in che l'asta sospinga; e, colto il punto, il suo destrier di furto gli uccide e sovra gli è, ch'a pena è surto, ed al supplice volto, il qual in vano con l'arme di pietà fea sue difese, drizzò, crudel!, l'inessorabil mano, e di natura il piú bel pregio offese. Senso aver parve e fu de l'uom piú umano il ferro, che si volse e piatto scese. Ma che pro, se doppiando il colpo fero di punta colse ove egli errò primiero? Soliman, che di là non molto lunge da Goffredo in battaglia è trattenuto, lascia la zuffa, e 'l destrier volve e punge tosto che 'l rischio ha del garzon veduto; e i chiusi passi apre co 'l ferro, e giunge a la vendetta sí, non a l'aiuto, perché vede, ahi dolor!, giacerne ucciso il suo Lesbin, quasi bel fior succiso. E in atto sí gentil languir tremanti gli occhi e cader su 'l tergo il collo mira; cosí vago è il pallore, e da' sembianti di morte una pietà sí dolce spira, ch'ammollí il cor che fu dur marmo inanti, e il pianto scaturí di mezzo a l'ira. Tu piangi, Soliman? tu, che destrutto mirasti il regno tuo co 'l ciglio asciutto? Ma come vede il ferro ostil che molle fuma del sangue ancor del giovenetto, la pietà cede, e l'ira avampa e bolle, e le lagrime sue stagna nel petto. Corre sovra Argillano e 'l ferro estolle, parte lo scudo opposto, indi l'elmetto, indi il capo e la gola; e de lo sdegno di Soliman ben quel gran colpo è degno. Né di ciò ben contento, al corpo morto smontato del destriero anco fa guerra, quasi mastin che 'l sasso, ond'a lui porto fu duro colpo, infellonito afferra. Oh d'immenso dolor vano conforto incrudelir ne l'insensibil terra! Ma fra tanto de' Franchi il capitano non spendea l'ire e le percosse invano. Mille Turchi avea qui che di loriche e d'elmetti e di scudi eran coperti, indomiti di corpo a le fatiche, di spirto audaci e in tutti i casi esperti; e furon già de le milizie antiche di Solimano, e seco ne' deserti seguír d'Arabia i suoi errori infelici, ne le fortune averse ancora amici. Questi ristretti insieme in ordin folto poco cedeano o nulla al valor franco. In questi urtò Goffredo, e ferí il volto al fier Corcutte ed a Rosteno il fianco, a Selin da le spalle il capo ha sciolto, troncò a Rossano il destro braccio e 'l manco; né già soli costor, ma in altre guise molti piagò di loro e molti uccise. Mentre ei cosí la gente saracina percote, e lor percosse anco sostiene, e in nulla parte al precipizio inchina la fortuna de' barbari e la spene, nova nube di polve ecco vicina che folgori di guerra in grembo tiene, ecco d'arme improvise uscirne un lampo che sbigottí de gli infedeli il campo. Son cinquanta guerrier che 'n puro argento spiegan la trionfal purpurea Croce. Non io, se cento bocche e lingue cento avessi, e ferrea lena e ferrea voce, narrar potrei quel numero che spento ne' primi assalti ha quel drapel feroce. Cade l'Arabo imbelle, e 'l Turco invitto resistendo e pugnando anco è trafitto. L'orror, la crudeltà, la tema, il lutto, van d'intorno scorrendo, e in varia imago vincitrice la Morte errar per tutto vedresti ed ondeggiar di sangue un lago. Già con parte de' suoi s'era condutto fuor d'una porta il re, quasi presago di fortunoso evento; e quindi d'alto mirava il pian soggetto e 'l dubbio assalto. Ma come prima egli ha veduto in piega l'essercito maggior, suona a raccolta, e con messi iterati instando prega ed Argante e Clorinda a dar di volta. La fera coppia d'esseguir ciò nega, ebra di sangue e cieca d'ira e stolta; pur cede al fine, e unite almen raccòrre tenta le turbe e freno a i passi imporre. Ma chi dà legge al vulgo ed ammaestra la viltade e 'l timor? La fuga è presa. Altri gitta lo scudo, altri la destra disarma; impaccio è il ferro, e non difesa. Valle è tra il piano e la città, ch'alpestra da l'occidente al mezzogiorno è stesa; qui fuggon essi, e si rivolge oscura caligine di polve invèr le mura. Mentre ne van precipitosi al chino, strage d'essi i cristiani orribil fanno; ma poscia che salendo omai vicino l'aiuto avean del barbaro tiranno, non vuol Guelfo d'alpestro erto camino con tanto suo svantaggio esporsi al danno. Ferma le genti; e 'l re le sue riserra, non poco avanzo d'infelice guerra. Fatto intanto ha il Soldan ciò che è concesso fare a terrena forza, or piú non pote; tutto è sangue e sudore, e un grave e spesso anelar gli ange il petto e i fianchi scote. Langue sotto lo scudo il braccio oppresso, gira la destra il ferro in pigre rote: spezza, e non taglia; e divenendo ottuso perduto il brando omai di brando ha l'uso. Come sentissi tal, ristette in atto d'uom che fra due sia dubbio, e in sé discorre se morir debba, e di sí illustre fatto con le sue mani altrui la gloria tòrre, o pur, sopravanzando al suo disfatto campo, la vita in securezza porre. "Vinca" al fin disse "il fato, e questa mia fuga il trofeo di sua vittoria sia. Veggia il nemico le mie spalle, e scherna di novo ancora il nostro essiglio indegno, pur che di novo armato indi mi scerna turbar sua pace e 'l non mai stabil regno. Non cedo io, no; fia con memoria eterna de le mie offese eterno anco il mio sdegno. Risorgerò nemico ognor piú crudo, cenere anco sepolto e spirto ignudo." |
5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 120 125 130 135 140 145 150 155 160 165 170 175 180 185 190 195 200 205 210 215 220 225 230 235 240 245 250 255 260 265 270 275 280 285 290 295 300 305 310 315 320 325 330 335 340 345 350 355 360 365 370 375 380 385 390 395 400 405 410 415 420 425 430 435 440 445 450 455 460 465 470 475 480 485 490 495 500 505 510 515 520 525 530 535 540 545 550 555 560 565 570 575 580 585 590 595 600 605 610 615 620 625 630 635 640 645 650 655 660 665 670 675 680 685 690 695 700 705 710 715 720 725 730 735 740 745 750 755 760 765 770 775 780 785 790 |
Indice
01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10
11 - 12 - 13
- 14 - 15 - 16
- 17 - 18 - 19
- 20
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi @mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998