Torquato Tasso
Gerusalemme Liberata
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO
AL SERENISSIMO SIGNORE
IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
CANTO PRIMO
Proemio e dedica -
Mentre l'esercito cristiano sverna in Tortosa , Dio manda a Goffredo l'arcangelo Gabriele,
per indurlo ad adunare i principi per affrettare l'impresa e ricevere il comando
dell'esercito secondo la volontà stessa di Dio. I Principi, adunati a congresso, lo eleggono infatti Duce
supremo. Fatta la rassegna dell'esercito (Roberto, Baldovino, Tancredi, Goffredo di Buglione, Rinaldo,
Raimondo da Tolosa), i Crociati muovono verso Gerusalemme; Goffredo, intanto, manda il suo
messaggero Enrico al Principe dei Dani, atteso finora
invano. La fama dell'avvenimento si sparge subito per i
territori circostanti. Conosciuta l'intenzione dei Cristiani, Aladino, il re di Gerusalemme, si prepara alla difesa.
Argomento |
Manda a Tortosa Dio l'Angelo, u' poi Goffredo Aduna i Principi Cristiani. Quivi concordi que' famosi Eroi Lui Duce fan degli altri Capitani. Quinci egli pria vuol rivedere i suoi Sotto l'insegne; e poi gl'invia ne' piani Ch'a Sion vanno: intanto di Giudea Il Re si turba alla novella rea. |
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Canto l'arme
pietose e 'l capitano che 'l gran sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, molto soffrí nel glorioso acquisto; e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi segni ridusse i suoi compagni erranti. O Musa, tu che di caduchi allori non circondi la fronte in Elicona, ma su nel cielo infra i beati cori hai di stelle immortali aurea corona, tu spira al petto mio celesti ardori, tu rischiara il mio canto, e tu perdona s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte d'altri diletti, che de' tuoi, le carte. Sai che là corre il mondo ove piú versi di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, e che 'l vero, condito in molli versi, i piú schivi allettando ha persuaso. Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l'inganno suo vita riceve. Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli al furor di fortuna e guidi in porto me peregrino errante, e fra gli scogli e fra l'onde agitato e quasi absorto, queste mie carte in lieta fronte accogli, che quasi in voto a te sacrate i' porto. Forse un dí fia che la presaga penna osi scriver di te quel ch'or n'accenna. È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace il buon popol di Cristo unqua si veda, e con navi e cavalli al fero Trace cerchi ritòr la grande ingiusta preda, ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace, l'alto imperio de' mari a te conceda. Emulo di Goffredo, i nostri carmi intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi. Già 'l sesto anno volgea, ch'in oriente passò il campo cristiano a l'alta impresa; e Nicea per assalto, e la potente Antiochia con arte avea già presa. L'avea poscia in battaglia incontra gente di Persia innumerabile difesa, e Tortosa espugnata; indi a la rea stagion diè loco, e 'l novo anno attendea. E 'l fine omai di quel piovoso inverno, che fea l'arme cessar, lunge non era; quando da l'alto soglio il Padre eterno, ch'è ne la parte piú del ciel sincera, e quanto è da le stelle al basso inferno, tanto è piú in su de la stellata spera, gli occhi in giú volse, e in un sol punto e in una vista mirò ciò ch'in sé il mondo aduna. Mirò tutte le cose, ed in Soria s'affisò poi ne' principi cristiani; e con quel guardo suo ch'a dentro spia nel piú secreto lor gli affetti umani, vide Goffredo che scacciar desia de la santa città gli empi pagani, e pien di fé, di zelo, ogni mortale gloria, imperio, tesor mette in non cale. Ma vede in Baldovin cupido ingegno, ch'a l'umane grandezze intento aspira: vede Tancredi aver la vita a sdegno, tanto un suo vano amor l'ange e martira: e fondar Boemondo al novo regno suo d'Antiochia alti princípi mira, e leggi imporre, ed introdur costume ed arti e culto di verace nume; e cotanto internarsi in tal pensiero, ch'altra impresa non par che piú rammenti: scorge in Rinaldo e animo guerriero e spirti di riposo impazienti; non cupidigia in lui d'oro o d'impero, ma d'onor brame immoderate, ardenti: scorge che da la bocca intento pende di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende. Ma poi ch'ebbe di questi e d'altri cori scòrti gl'intimi sensi il Re del mondo, chiama a sé da gli angelici splendori Gabriel, che ne' primi era secondo. È tra Dio questi e l'anime migliori interprete fedel, nunzio giocondo: giú i decreti del Ciel porta, ed al Cielo riporta de' mortali i preghi e 'l zelo. Disse al suo nunzio Dio: "Goffredo trova, e in mio nome di' lui: perché si cessa? perché la guerra omai non si rinova a liberar Gierusalemme oppressa? Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova a l'alta impresa: ei capitan fia d'essa. Io qui l'eleggo; e 'l faran gli altri in terra, già suoi compagni, or suoi ministri in guerra." Cosí parlogli, e Gabriel s'accinse veloce ad esseguir l'imposte cose: la sua forma invisibil d'aria cinse ed al senso mortal la sottopose. Umane membra, aspetto uman si finse, ma di celeste maestà il compose; tra giovene e fanciullo età confine prese, ed ornò di raggi il biondo crine. Ali bianche vestí, c'han d'or le cime, infaticabilmente agili e preste. Fende i venti e le nubi, e va sublime sovra la terra e sovra il mar con queste. Cosí vestito, indirizzossi a l'ime parti del mondo il messaggier celeste: pria sul Libano monte ei si ritenne, e si librò su l'adeguate penne; e vèr le piagge di Tortosa poi drizzò precipitando il volo in giuso. Sorgeva il novo sol da i lidi eoi, parte già fuor, ma 'l piú ne l'onde chiuso; e porgea matutini i preghi suoi Goffredo a Dio, come egli avea per uso; quando a paro co 'l sol, ma piú lucente, l'angelo gli apparí da l'oriente; e gli disse: "Goffredo, ecco opportuna già la stagion ch'al guerreggiar s'aspetta; perché dunque trapor dimora alcuna a liberar Gierusalem soggetta? Tu i principi a consiglio omai raguna, tu al fin de l'opra i neghittosi affretta. Dio per lor duce già t'elegge, ed essi sopporran volontari a te se stessi. Dio messaggier mi manda: io ti rivelo la sua mente in suo nome. Oh quanta spene aver d'alta vittoria, oh quanto zelo de l'oste a te commessa or ti conviene!" Tacque; e, sparito, rivolò del cielo a le parti piú eccelse e piú serene. Resta Goffredo a i detti, a lo splendore, d'occhi abbagliato, attonito di core. Ma poi che si riscote, e che discorre chi venne, chi mandò, che gli fu detto, se già bramava, or tutto arde d'imporre fine a la guerra ond'egli è duce eletto. Non che 'l vedersi a gli altri in Ciel preporre d'aura d'ambizion gli gonfi il petto, ma il suo voler piú nel voler s'infiamma del suo Signor, come favilla in fiamma. Dunque gli eroi compagni, i quai non lunge erano sparsi, a ragunarsi invita; lettere a lettre, e messi a messi aggiunge, sempre al consiglio è la preghiera unita; ciò ch'alma generosa alletta e punge, ciò che può risvegliar virtù sopita, tutto par che ritrovi, e in efficace modo l'adorna sí che sforza e piace. Vennero i duci, e gli altri anco seguiro, e Boemondo sol qui non convenne. Parte fuor s'attendò, parte nel giro e tra gli alberghi suoi Tortosa tenne. I grandi de l'essercito s'uniro (glorioso senato) in dí solenne. Qui il pio Goffredo incominciò tra loro, augusto in volto ed in sermon sonoro: "Guerrier di Dio, ch'a ristorar i danni de la sua fede il Re del Cielo elesse, e securi fra l'arme e fra gl'inganni de la terra e del mar vi scòrse e resse, sí ch'abbiam tante e tante in sí pochi anni ribellanti provincie a lui sommesse, e fra le genti debellate e dome stese l'insegne sue vittrici e 'l nome, già non lasciammo i dolci pegni e 'l nido nativo noi (se 'l creder mio non erra), né la vita esponemmo al mare infido ed a i perigli di lontana guerra, per acquistar di breve suono un grido vulgare e posseder barbara terra, ché proposto ci avremmo angusto e scarso premio, e in danno de l'alme il sangue sparso. Ma fu de' pensier nostri ultimo segno espugnar di Sion le nobil mura, e sottrarre i cristiani al giogo indegno di servitù cosí spiacente e dura, fondando in Palestina un novo regno, ov'abbia la pietà sede secura; né sia chi neghi al peregrin devoto d'adorar la gran tomba e sciòrre il voto. Dunque il fatto sin ora al rischio è molto, piú che molto al travaglio, a l'onor poco, nulla al disegno, ove o si fermi o vòlto sia l'impeto de l'armi in altro loco. Che gioverà l'aver d'Europa accolto sí grande sforzo, e posto in Asia il foco, quando sia poi di sí gran moti il fine non fabbriche di regni, ma ruine? Non edifica quei che vuol gl'imperi su fondamenti fabricar mondani, ove ha pochi di patria e fé stranieri fra gl'infiniti popoli pagani, ove ne' Greci non conven che speri, e i favor d'Occidente ha sí lontani; ma ben move ruine, ond'egli oppresso sol construtto un sepolcro abbia a se stesso. Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono e di nome magnifico e di cose) opre nostre non già, ma del Ciel dono furo, e vittorie fur meravigliose. Or se da noi rivolte e torte sono contra quel fin che 'l donator dispose, temo ce 'n privi, e favola a le genti quel sí chiaro rimbombo al fin diventi. Ah non sia alcun, per Dio, che sí graditi doni in uso sí reo perda e diffonda! A quei che sono alti princípi orditi di tutta l'opra il filo e 'l fin risponda. Ora che i passi liberi e spediti, ora che la stagione abbiam seconda, ché non corriamo a la città ch'è mèta d'ogni nostra vittoria? e che piú 'l vieta? Principi, io vi protesto (i miei protesti udrà il mondo presente, udrà il futuro, l'odono or su nel Cielo anco i Celesti): il tempo de l'impresa è già maturo; men diviene opportun piú che si resti, incertissimo fia quel ch'è securo. Presago son, s'è lento il nostro corso, avrà d'Egitto il Palestin soccorso." Disse, e a i detti seguí breve bisbiglio; ma sorse poscia il solitario Piero, che privato fra' principi a consiglio sedea, del gran passaggio autor primiero: "Ciò ch'essorta Goffredo, ed io consiglio, né loco a dubbio v'ha, sí certo è il vero e per sé noto: ei dimostrollo a lungo, voi l'approvate, io questo sol v'aggiungo: se ben raccolgo le discordie e l'onte quasi a prova da voi fatte e patite, i ritrosi pareri, e le non pronte e in mezzo a l'esseguire opre impedite, reco ad un'altra originaria fonte la cagion d'ogni indugio e d'ogni lite, a quella autorità che, in molti e vari d'opinion quasi librata, è pari. Ove un sol non impera, onde i giudíci pendano poi de' premi e de le pene, onde sian compartite opre ed uffici, ivi errante il governo esser conviene. Deh! fate un corpo sol de' membri amici, fate un capo che gli altri indrizzi e frene, date ad un sol lo scettro e la possanza, e sostenga di re vece e sembianza." Qui tacque il veglio. Or quai pensier, quai petti son chiusi a te, sant'Aura e divo Ardore? Inspiri tu de l'Eremita i detti, e tu gl'imprimi a i cavalier nel core; sgombri gl'inserti, anzi gl'innati affetti di sovrastar, di libertà, d'onore, sí che Guglielmo e Guelfo, i piú sublimi, chiamàr Goffredo per lor duce i primi. L'approvàr gli altri: esser sue parti denno deliberare e comandar altrui. Imponga a i vinti legge egli a suo senno, porti la guerra e quando vòle e a cui; gli altri, già pari, ubidienti al cenno siano or ministri de gl'imperii sui. Concluso ciò, fama ne vola, e grande per le lingue de gli uomini si spande. Ei si mostra a i soldati, e ben lor pare degno de l'alto grado ove l'han posto, e riceve i saluti e 'l militare applauso, in volto placido e composto. Poi ch'a le dimostranze umili e care d'amor, d'ubidienza ebbe risposto, impon che 'l dí seguente in un gran campo tutto si mostri a lui schierato il campo. Facea ne l'oriente il sol ritorno, sereno e luminoso oltre l'usato, quando co' raggi uscí del novo giorno sotto l'insegne ogni guerriero armato, e si mostrò quanto poté piú adorno al pio Buglion, girando il largo prato. S'era egli fermo, e si vedea davanti passar distinti i cavalieri e i fanti. Mente, de gli anni e de l'oblio nemica, de le cose custode e dispensiera, vagliami tua ragion, sí ch'io ridica di quel campo ogni duce ed ogni schiera: suoni e risplenda la lor fama antica, fatta da gli anni omai tacita e nera; tolto da' tuoi tesori, orni mia lingua ciò ch'ascolti ogni età, nulla l'estingua. Prima i Franchi mostràrsi: il duce loro Ugone esser solea, del re fratello. Ne l'Isola di Francia eletti foro, fra quattro fiumi, ampio paese e bello. Poscia ch'Ugon morí, de' gigli d'oro seguí l'usata insegna il fer drapello sotto Clotareo, capitano egregio, a cui, se nulla manca, è il nome regio. Mille son di gravissima armatura, sono altrettanti i cavalier seguenti, di disciplina a i primi e di natura e d'arme e di sembianza indifferenti; normandi tutti, e gli ha Roberto in cura, che principe nativo è de le genti. Poi duo pastor de' popoli spiegaro le squadre lor, Guglielmo ed Ademaro. L'uno e l'altro di lor, che ne' divini uffici già trattò pio ministero, sotto l'elmo premendo i lunghi crini, essercita de l'arme or l'uso fero. Da la città d'Orange e da i confini quattrocento guerrier scelse il primiero; ma guida quei di Poggio in guerra l'altro, numero egual, né men ne l'arme scaltro. Baldovin poscia in mostra addur si vede co' Bolognesi suoi quei del germano, ché le sue genti il pio fratel gli cede or ch'ei de' capitani è capitano. Il conte di Carnuti indi succede, potente di consiglio e pro' di mano; van con lui quattrocento, e triplicati conduce Baldovino in sella armati. Occupa Guelfo il campo a lor vicino, uom ch'a l'alta fortuna agguaglia il merto: conta costui per genitor latino de gli avi Estensi un lungo ordine e certo. Ma german di cognome e di domino, ne la gran casa de' Guelfoni è inserto: regge Carinzia, e presso l'Istro e 'l Reno ciò che i prischi Suevi e i Reti avièno. A questo, che retaggio era materno, acquisti ei giunse gloriosi e grandi. Quindi gente traea che prende a scherno d'andar contra la morte, ov'ei comandi: usa a temprar ne' caldi alberghi il verno, e celebrar con lieti inviti i prandi. Fur cinquemila a la partenza, e a pena (de' Persi avanzo) il terzo or qui ne mena. Seguia la gente poi candida e bionda che tra i Franchi e i Germani e 'l mar si giace, ove la Mosa ed ove il Reno inonda, terra di biade e d'animai ferace; e gl'insulani lor, che d'alta sponda riparo fansi a l'ocean vorace: l'ocean che non pur le merci e i legni, ma intere inghiotte le cittadi e i regni. Gli uni e gli altri son mille, e tutti vanno sotto un altro Roberto insieme a stuolo. Maggior alquanto è lo squadron britanno; Guglielmo il regge, al re minor figliuolo. Sono gl'Inglesi sagittari, ed hanno gente con lor ch'è piú vicina al polo: questi da l'alte selve irsuti manda la divisa dal mondo ultima Irlanda. Vien poi Tancredi, e non è alcun fra tanti (tranne Rinaldo) o feritor maggiore, o piú bel di maniere e di sembianti, o piú eccelso ed intrepido di core. S'alcun'ombra di colpa i suoi gran vanti rende men chiari, è sol follia d'amore: nato fra l'arme, amor di breve vista, che si nutre d'affanni, e forza acquista. È fama che quel dí che glorioso fe' la rotta de' Persi il popol franco, poi che Tancredi al fin vittorioso i fuggitivi di seguir fu stanco, cercò di refrigerio e di riposo a l'arse labbia, al travagliato fianco, e trasse ove invitollo al rezzo estivo cinto di verdi seggi un fonte vivo. Quivi a lui d'improviso una donzella tutta, fuor che la fronte, armata apparse: era pagana, e là venuta anch'ella per l'istessa cagion di ristorarse. Egli mirolla, ed ammirò la bella sembianza, e d'essa si compiacque, e n'arse. Oh meraviglia! Amor, ch'a pena è nato, già grande vola, e già trionfa armato. Ella d'elmo coprissi, e se non era ch'altri quivi arrivàr, ben l'assaliva. Partí dal vinto suo la donna altera, ch'è per necessità sol fuggitiva; ma l'imagine sua bella e guerriera tale ei serbò nel cor, qual essa è viva; e sempre ha nel pensiero e l'atto e 'l loco in che la vide, esca continua al foco. E ben nel volto suo la gente accorta legger potria: "Questi arde, e fuor di spene"; cosí vien sospiroso, e cosí porta basse le ciglia e di mestizia piene. Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta, lasciàr le piaggie di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli. Venian dietro ducento in Grecia nati, che son quasi di ferro in tutto scarchi: pendon spade ritorte a l'un de' lati, suonano al tergo lor faretre ed archi; asciutti hanno i cavalli, al corso usati, a la fatica invitti, al cibo parchi: ne l'assalir son pronti e nel ritrarsi, e combatton fuggendo erranti e sparsi. Tatin regge la schiera, e sol fu questi che, greco, accompagnò l'arme latine. Oh vergogna! oh misfatto! or non avesti tu, Grecia, quelle guerre a te vicine? E pur quasi a spettacolo sedesti, lenta aspettando de' grand'atti il fine. Or, se tu se' vil serva, è il tuo servaggio (non ti lagnar) giustizia, e non oltraggio. Squadra d'ordine estrema ecco vien poi ma d'onor prima e di valor e d'arte. Son qui gli aventurieri, invitti eroi, terror de l'Asia e folgori di Marte. Taccia Argo i Mini, e taccia Artù que' suoi erranti, che di sogni empion le carte; ch'ogni antica memoria appo costoro perde: or qual duce fia degno di loro? Dudon di Consa è il duce; e perché duro fu il giudicar di sangue e di virtute, gli altri sopporsi a lui concordi furo, ch'avea piú cose fatte e piú vedute. Ei di virilità grave e maturo, mostra in fresco vigor chiome canute; mostra, quasi d'onor vestigi degni, di non brutte ferite impressi segni. Eustazio è poi fra i primi; e i propri pregi illustre il fanno, e piú il fratel . Gernando v'è, nato di re norvegi, che scettri vanta e titoli e corone. Ruggier di Balnavilla infra gli egregi la vecchia fama ed Engerlan ripone; e celebrati son fra' piú gagliardi un Gentonio, un Rambaldo e due Gherardi. Son fra' lodati Ubaldo anco, e Rosmondo del gran ducato di Lincastro erede; non fia ch'Obizzo il Tosco aggravi al fondo chi fa de le memorie avare prede, né i tre frati lombardi al chiaro mondo involi, Achille, Sforza e Palamede, o 'l forte Otton, che conquistò lo scudo in cui da l'angue esce il fanciullo ignudo. Né Guasco né Ridolfo a dietro lasso, né l'un né l'altro Guido, ambo famosi, non Eberardo e non Gernier trapasso sotto silenzio ingratamente ascosi. Ove voi me, di numerar già lasso, Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi, rapite? o ne la guerra anco consorti, non sarete disgiunti ancor che morti! Ne le scole d'Amor che non s'apprende? Ivi si fe' costei guerriera ardita: va sempre affissa al caro fianco, e pende da un fato solo l'una e l'altra vita. Colpo che ad un sol noccia unqua non scende, ma indiviso è il dolor d'ogni ferita; e spesso è l'un ferito, e l'altro langue, e versa l'alma quel, se questa il sangue. Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi e sovra quanti in mostra eran condutti, dolcemente feroce alzar vedresti la regal fronte, e in lui mirar sol tutti. L'età precorse e la speranza, e presti pareano i fior quando n'usciro i frutti; se 'l miri fulminar ne l'arme avolto, Marte lo stimi; Amor, se scopre il volto. Lui ne la riva d'Adige produsse a Bertoldo Sofia, Sofia la bella a Bertoldo il possente; e pria che fusse tolto quasi il bambin da la mammella, Matilda il volse, e nutricollo, e instrusse ne l'arti regie; e sempre ei fu con ella, sin ch'invaghí la giovanetta mente la tromba che s'udia da l'oriente. Allor (né pur tre lustri avea forniti) fuggí soletto, e corse strade ignote; varcò l'Egeo, passò di Grecia i liti, giunse nel campo in region remote. Nobilissima fuga, e che l'imíti ben degna alcun magnanimo nepote. Tre anni son che è in guerra, e intempestiva molle piuma del mento a pena usciva. Passati i cavalieri, in mostra viene la gente a piede, ed è Raimondo inanti. Regea Tolosa, e scelse infra Pirene e fra Garona e l'ocean suoi fanti. Son quattromila, e ben armati e bene instrutti, usi al disagio e toleranti; buona è la gente, e non può da piú dotta o da piú forte guida esser condotta. Ma cinquemila Stefano d'Ambuosa e di Blesse e di Turs in guerra adduce. Non è gente robusta o faticosa, se ben tutta di ferro ella riluce. La terra molle, lieta e dilettosa, simili a sé gli abitator produce. Impeto fan ne le battaglie prime, ma di leggier poi langue, e si reprime. Alcasto il terzo vien, qual presso a Tebe già Capaneo, con minaccioso volto: seimila Elvezi, audace e fera plebe, da gli alpini castelli avea raccolto, che 'l ferro uso a far solchi, a franger glebe, in nove forme e in piú degne opre ha vòlto; e con la man, che guardò rozzi armenti, par ch'i regni sfidar nulla paventi. Vedi appresso spiegar l'alto vessillo co 'l diadema di Piero e con le chiavi. Qui settemila aduna il buon Camillo pedoni, d'arme rilucenti e gravi, lieto ch'a tanta impresa il Ciel sortillo, ove rinovi il prisco onor de gli avi, o mostri almen ch'a la virtú latina o nulla manca, o sol la disciplina. Ma già tutte le squadre eran con bella mostra passate, e l'ultima fu questa, quando Goffredo i maggior duci appella, e la sua mente a lor fa manifesta: "Come appaia diman l'alba novella vuo' che l'oste s'invii leggiera e presta, sí ch'ella giunga a la città sacrata, quanto è possibil piú, meno aspettata. Preparatevi dunque ed al viaggio ed a la pugna e a la vittoria ancora." Questo ardito parlar d'uom cosí saggio sollecita ciascuno e l'avvalora. Tutti d'andar son pronti al novo raggio, e impazienti in aspettar l'aurora. Ma 'l provido Buglion senza ogni tema non è però, benché nel cor la prema. Perch'egli avea certe novelle intese che s'è d'Egitto il re già posto in via inverso Gaza, bello e forte arnese da fronteggiare i regni di Soria. Né creder può che l'uomo a fere imprese avezzo sempre, or lento in ozio stia; ma, d'averlo aspettando aspro nemico, parla al fedel suo messeggiero Enrico: "Sovra una lieve saettia tragitto vuo' che tu faccia ne la greca terra. Ivi giunger dovea (cosí m'ha scritto chi mai per uso in avisar non erra) un giovene regal, d'animo invitto, ch'a farsi vien nostro compagno in guerra: prence è de' Dani, e mena un grande stuolo sin da i paesi sottoposti al polo. Ma perché 'l greco imperator fallace seco forse userà le solite arti, per far ch'o torni indietro o 'l corso audace torca in altre da noi lontane parti, tu, nunzio mio, tu, consiglier verace, in mio nome il disponi a ciò che parti nostro e suo bene, e di' che tosto vegna, ché di lui fòra ogni tardanza indegna. Non venir seco tu, ma resta appresso al re de' Greci a procurar l'aiuto, che già piú d'una volta a noi promesso e per ragion di patto anco è dovuto." Cosí parla e l'informa, e poi che 'l messo le lettre ha di credenza e di saluto, toglie, affrettando il suo partir, congedo, e tregua fa co' suoi pensier Goffredo. Il dí seguente, allor ch'aperte sono del lucido oriente al sol le porte, di trombe udissi e di tamburi un suono, ond'al camino ogni guerrier s'essorte. Non è sí grato a i caldi giorni il tuono che speranza di pioggia al mondo apporte, come fu caro a le feroci genti l'altero suon de' bellici instrumenti. Tosto ciascun, da gran desio compunto, veste le membra de l'usate spoglie, e tosto appar di tutte l'arme in punto, tosto sotto i suoi duci ogn'uom s'accoglie, e l'ordinato essercito congiunto tutte le sue bandiere al vento scioglie: e nel vessillo imperiale e grande la trionfante Croce al ciel si spande. Intanto il sol, che de' celesti campi va piú sempre avanzando e in alto ascende, l'arme percote e ne trae fiamme e lampi tremuli e chiari, onde le viste offende. L'aria par di faville intorno avampi, e quasi d'alto incendio in forma splende, e co' feri nitriti il suono accorda del ferro scosso e le campagne assorda. Il capitan, che da' nemici aguati le schiere sue d'assecurar desia, molti a cavallo leggiermente armati a scoprire il paese intorno invia; e inanzi i guastatori avea mandati, da cui si debbe agevolar la via, e i vòti luoghi empire e spianar gli erti, e da cui siano i chiusi passi aperti. Non è gente pagana insieme accolta, non muro cinto di profondo fossa, non gran torrente, o monte alpestre, o folta selva, che 'l lor viaggio arrestar possa. Cosí de gli altri fiumi il re tal volta, quando superbo oltra misura ingrossa, sovra le sponde ruinoso scorre, né cosa è mai che gli s'ardisca opporre. Sol di Tripoli il re, che 'n ben guardate mura, genti, tesori ed arme serra, forse le schiere franche avria tardate, ma non osò di provocarle in guerra. Lor con messi e con doni anco placate ricettò volontario entro la terra, e ricevé condizion di pace, sí come imporle al pio Goffredo piace. Qui del monte Seir, ch'alto e sovrano da l'oriente a la cittade è presso, gran turba scese de' fedeli al piano d'ogni età mescolata e d'ogni sesso: portò suoi doni al vincitor cristiano, godea in mirarlo e in ragionar con esso, stupia de l'arme pellegrine; e guida ebbe da lor Goffredo amica e fida. Conduce ei sempre a le maritime onde vicino il campo per diritte strade, sapendo ben che le propinque sponde l'amica armata costeggiando rade, la qual può far che tutto il campo abonde de' necessari arnesi e che le biade ogni isola de' Greci a lui sol mieta, e Scio pietrosa gli vendemmi e Creta. Geme il vicino mar sotto l'incarco de l'alte navi e de' piú levi pini, sí che non s'apre omai securo varco nel mar Mediterraneo a i saracini; ch'oltra quei c'ha Georgio armati e Marco ne' veneziani e liguri confini, altri Inghilterra e Francia ed altri Olanda, e la fertil Sicilia altri ne manda. E questi, che son tutti insieme uniti con saldissimi lacci in un volere, s'eran carchi e provisti in vari liti di ciò ch'è d'uopo a le terrestri schiere, le quai, trovando liberi e sforniti i passi de' nemici a le frontiere, in corso velocissimo se 'n vanno là 've Cristo soffrí mortale affanno. Ma precorsa è la fama, apportatrice de' veraci romori e de' bugiardi, ch'unito è il campo vincitor felice, che già s'è mosso e che non è chi 'l tardi; quante e qual sian le squadre ella ridice, narra il nome e 'l valor de' piú gagliardi, narra i lor vanti, e con terribil faccia gli usurpatori di Sion minaccia. E l'aspettar del male è mal peggiore, forse, che non parrebbe il mal presente; pende ad ogn'aura incerta di romore ogni orecchia sospesa ed ogni mente; e un confuso bisbiglio entro e di fore trascorre i campi e la città dolente. Ma il vecchio re ne' già vicin perigli volge nel dubbio cor feri consigli. Aladin detto è il re, che, di quel regno novo signor, vive in continua cura: uom già crudel, ma 'l suo feroce ingegno pur mitigato avea l'età matura. Egli, che de' Latini udí il disegno c'han d'assalir di sua città le mura, giunge al vecchio timor novi sospetti, e de' nemici pave e de' soggetti. Però che dentro a una città commisto popolo alberga di contraria fede: la debil parte e la minore in Cristo, la grande e forte in Macometto crede. Ma quando il re fe' di Sion l'acquisto, e vi cercò di stabilir la sede, scemò i publici pesi a' suoi pagani, ma piú gravonne i miseri cristiani. Questo pensier la ferità nativa, che da gli anni sopita e fredda langue, irritando inasprisce, e la ravviva sí ch'assetata è piú che mai di sangue. Tal fero torna a la stagione estiva quel che parve nel gel piacevol angue, cosí leon domestico riprende l'innato suo furor, s'altri l'offende. "Veggio" dicea "de la letizia nova veraci segni in questa turba infida; il danno universal solo a lei giova, sol nel pianto comun par ch'ella rida; e forse insidie e tradimenti or cova, rivolgendo fra sé come m'uccida, o come al mio nemico, e suo consorte popolo, occultamente apra le porte. Ma no 'l farà: prevenirò questi empi disegni loro, e sfogherommi a pieno. Gli ucciderò, faronne acerbi scempi, svenerò i figli a le lor madri in seno, arderò loro alberghi e insieme i tèmpi, questi i debiti roghi a i morti fièno; e su quel lor sepolcro in mezzo a i voti vittime pria farò de' sacerdoti." Cosí l'iniquo fra suo cor ragiona, pur non segue pensier sí mal concetto; ma s'a quegli innocenti egli perdona, è di viltà, non di pietade effetto, ché s'un timor a incrudelir lo sprona, il ritien piú potente altro sospetto: troncar le vie d'accordo, e de' nemici troppo teme irritar l'arme vittrici. Tempra dunque il fellon la rabbia insana, anzi altrove pur cerca ove la sfoghi; i rustici edifici abbatte e spiana, e dà in preda a le fiamme i culti luoghi; parte alcuna non lascia integra o sana ove il Franco si pasca, ove s'alloghi; turba le fonti e i rivi, e le pure onde di veneni mortiferi confonde. Spietatamente è cauto, e non oblia di rinforzar Gierusalem fra tanto. Da tre lati fortissima era pria, sol verso Borea è men secura alquanto; ma da' primi sospetti ei le munia d'alti ripari il suo men forte canto, e v'accogliea gran quantitade in fretta di gente mercenaria e di soggetta. |
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© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi @mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 11 febbraio 1998