Giovanni Boccaccio

Elegia di Madonna Fiammetta


Capitolo VI.

(continuazione 1)

      Perché ad una ad una le infernali pene mi fatico io di raccontare? Con ciò sia cosa che in me maggior pena tutta insieme si trova, che quelle in diviso o congiunte non sono. E se altro in me più che in loro d'angoscia non fosse, se non che a me conviene tenere occulti li miei dolori, o almeno la cagione d'essi, là dove essi con voci altissime e con atti conformi alle loro doglie li possono mostrare, si sarieno le mie pene maggiori che le loro da giudicare. Ohimè! quanto più fieramente cuoce il fuoco ristretto, che quello il quale per ampio luogo manda le fiamme sue! E quanto è grave cosa e di guai piena il non potere nelle sue doglie spandere alcuna voce, o dire la nociva cagione, ma convenirle sotto lieto viso nascondere solo nel cuore! Dunque non doglia, ma piuttosto di doglia alleggiamento mi sarebbe la morte. Venga adunque il caro marito, e sé ad un'ora vendichi, e me cacci di doglia; apra il suo coltello il mio misero petto, e fuori la dolente anima, amore e le mie pene ad un'ora ne tragga con molto sangue; e il cuore, di queste cose ritenitore, sì come ingannatore principale e ricettatore de' suoi nemici, laceri come merita la commessa nequizia.
      Dappoi che la vecchia balia me tacita del parlare e nel profondo delle lagrime vide, così con voce sommessa mi cominciò a dire:
      - O cara figliuola, che è quello che tu favelli? Le tue parole sono vane, e pessimi sono gl'intendimenti. Io in questo mondo vecchissima molte cose ho vedute, e gli amori di molte donne senza dubbio ho conosciuti; e ancora che io tra 'l numero di voi da mettere non sia, non per tanto io pur già conobbi gli amorosi veleni, li quali così vengono gravi, e molto più tal fiata, alle menome genti come alle più possenti, in quanto più alle indigenti sono chiuse le vie a' loro piaceri, che a coloro che con le ricchezze le possono trovare per l'ozio loro, né quello che tu quasi impossibile e tanto a te penoso favelli, non udii, né sentii mai essere duro come ne porgi. Il quale dolore, pure posto che gravissimo sia, non è però da consumarsene come fai, e quindi cercare la morte, la quale tu più adirata che consigliata domandi. Bene conosco io che la rabbia dalla focosa ira stimolata è cieca, e non cura di coprirsi, né freno alcuno sostiene, né teme morte, anzi essa medesima da se stessa sospinta, si fa contro alle mortali punte dell'acute spade, la quale, se alquanto raffreddare fia lasciata, non dubito che l'accesa follia saria manifesta al raffreddato. E però, figliuola, sostieni il tuo grave impeto, e dà luogo al furore, e alquanto nota le mie parole; e negli essempli da me detti ferma l'animo tuo.
      Tu ti duoli con gravi ramarichii, se io ho bene le tue parole raccolte, dell'amato giovine da te dipartito e della rotta fede, e d'Amore e della nuova donna, e in questo dolerti niuna pena alla tua reputi iguale; e certo, se tu savia sarai come io disidero, a tutte queste cose con effetto raccogliendo le mie parole, prenderai tu utile medicina. Il giovine, il quale tu ami, senza dubbio secondo l'amorose leggi, come tu lui, te dee amare; ma se egli nol fa, fa male, ma niuna cosa a farlo il può costrignere. Ciascheduno il beneficio della sua libertà, com gli pare, può usare. Se tu fortemente ami lui, tanto che di ciò pena intollerabile sostieni, egli di ciò non t'ha colpa, né giustamente di lui ti puoi dolere: tu stessa di ciò ti se' principalissima cagione. Amore, ancora che potentissimo signore sia, e incomparabili le sue forze, non però, te invita, ti poteva il giovine pignere nella mente: il tuo senno e gli oziosi pensieri di questo amore ti furono principio; al quale se tu vigorosamente ti fossi opposta, tutto questo non avvenia, ma, libera, lui e ogni altro averesti potuto schernire, come tu di' che egli di te non curantesi ti schernisce. Egli adunque t'è bisogno, poi la tua libertà gli sommettesti, di reggerti secondo li suoi piaceri: piacegli ora di stare a te lontano; a te similemente senza ramaricarti si conviene che egli piaccia. Se egli intera fede lagrimando ti diede, e di tornare impromise, non cosa nuova, ma antichissima usanza fe' degli amanti: questi sono de' costumi che s'usano nella corte del tuo iddio.
      Ma se egli attenuta non te l'ha, niuno giudice si trovò mai che di ciò tenesse ragione, né di ciò più si puote che dire: «Male ha fatto», e darsi pace, sappiendo che a lui sia da fare, se mai a tal partito la fortuna tel desse, a quale ella ha te a lui conceduta. Egli ancora non è il primo che questo fa, né tu la prima a cui avviene. Giasone si partì di Lemnos d'Isifile, e tornò in Tessaglia di Medea; Parìs si partì di Oenone delle selve d'Ida, e ritornò a Troia di Elena; Teseo si partì di Creti di Adriana, e giunse ad Attene di Fedra: né però Isifile, o Oenone, o Adriana s'uccisero, ma posponendo li vani pensieri, misero in oblio li falsi amanti. Amore, come io di sopra ti dissi, niuna ingiuria ti fa o t'ha fatta, più che tu t'abbi voluto pigliare. Egli usa il suo arco e le sue saette senza provedimento alcuno, sì come noi tutto giorno veggiamo; e deeti per manifesti e infiniti essempli la sua maniera essere chiara, che niuno meritamente di cosa che gli avvenga per lui, non si dovria di lui ma di sé condolere. Egli fanciullo lascivo, ignudo e cieco, volta e gitta, e non sa modo rimuoverlo, è anzi piuttosto un perdersi le parole.
      La nuova donna, dal tuo amante presa, forse da lei preso il tuo amante, alla quale tu con tante ingiurie minacci, forse non con sua colpa l'ha fatto suo, ma egli forse di lei con improntitudine è divenuto, e come tu a' prieghi di lui non potesti resistere, per avventura né ella medesima, forse non meno di te pieghevole, li poté senza pietà sostenere. Se egli così sa piagnere, come narri, quando gli piace, sieti manifesto le lagrime e la bellezza congiunte avere grandissime forze. E oltre a ciò, poniamo pure che la gentil donna con le sue parole e atti l'abbia irretito: così s'usa oggi nel mondo, che ciascuna persona cerca il suo vantaggio, e senza altrui riguardare, quando il trova sel piglia comunque puote. La buona donna, non forse meno di te savia in queste cose, lui destro alla milizia di Venere conoscendo, sel recò a sé. E chi tiene te che tu non possi fare il simigliante d'un altro? La qual cosa non lodo, ma pure, se più non si puote e di seguire Amore se' costretta, ove tu la tua libertà da colui vogli ritrarre, ché potrai, infiniti giovini ci sono più di lui degni, per quello che io creda, che volontieri a te diverranno suggetti: il diletto de' quali così lui trarrà della tua mente, come la nuova donna ha forse te della sua tratta.
      Di queste fedi promesse e giuramenti fatti intra gli amanti, Giove se ne ride quando si rompono; e chi tratta altrui secondo che egli è trattato, forse non falla soperchio, anzi usa il mondo secondo li modi altrui. Il servare fede a chi a te la rompe, è oggi reputata mattezza, e lo 'nganno compensare con lo 'nganno si dice sommo sapere. Medea da Giasone abbandonata si prese Egeo, e Adriana da Teseo lasciata si guadagnò Bacco per suo marito, e così li loro pianti mutarono in allegrezza. Dunque più pazientemente le tue pene sostieni, poiché meritamente più d'altrui che di te non t'hai a dolere, e a quelle trovansi molti modi a lasciarle, quando vorrai, considerando ancora che già ne furono sostenute per altre delle sì gravi, e trapassate. Che dirai tu di Deianira essere abbandonata per Iole da Ercule, e Fillis da Demofonte, e Penelope da Ulisse per Circe? Tutte queste furono più gravi che le tue pene, in quanto così o più era fervente l'amore, e se si considera il modo e gli uomini più notabili e le donne; e pure si sostennero. Dunque, a queste cose non se' sola né prima, e quelle alle quali l'uomo ha compagnia, appena possono essere importabili o gravi, come tu le dimostri. E però rallégrati e le vane sollecitudini caccia, e del tuo marito dubita; al quale forse se questo pervenisse agli orecchi, posto, come tu di', che nulla più oltre te ne potesse per pena dare che la morte, quella medesima, con ciò sia cosa che più che una volta non si muoia, si dee, quando l'uomo può, pigliare la migliore. Pensa, se quella come adirata dimandi ti seguisse, di questo di quanta infamia ed etterna vergogna rimarrebbe la tua memoria fregiata. Egli si vogliono le cose del mondo così apparare ad usare come mobili; e per innanzi né tu né niuno in esse molto si confidi se vengono prospere, né nell'avverse prostrato delle migliori si disperi. Cloto mescola queste cose con quelle, e vieta che la fortuna sia stabile, e ciascuno fato rivolge; niuno ebbe mai gl'iddii sì favorevoli che nel futuro li potesse obligare; Iddio le nostre cose, da' peccati incitato, con turbazione rovescia; la Fortuna similmente teme li forti, e avvilisce li timidi.
      Ora è tempo da provare se in te ha luogo niuna virtù, avvegna che a quella in niuno tempo si possa tòrre luogo, ma le prosperità la ricuoprono assai spesso. La speranza ancora ha questa maniera, che ella nelle cose afflitte non mostra alcuna via: e però chi niuna cosa puote sperare, di nulla si disperi. Noi siamo agitati da' fati; e credimi che non di leggieri si possono con sollecitudine mutare le cose apparecchiate da loro. Ciò che noi generazione mortale facciamo e sosteniamo, quasi la maggior parte viene da' cieli; Lachesis serva alla sua rocca la decreta legge, e ogni cosa mena per limitata via: il primo dì ci diede lo stremo, né è licito d'avere le avvenute cose rivolte in altro corso. L'avere voluto il mobile ordine tenere nocque già a molti, e a molti ancora l'averlo temuto; però che mentre essi li loro fati temono, già a quelli sono pervenuti. Adunque lascia li dolori li quali volontaria hai eletti, e vivi lieta negl'iddii sperando, e opera bene, però che spesso avvenne già che qualora l'uomo più alla felicità si crede lontano, allora in quella con disavveduto passo è entrato. Molte navi, correndo felicemente per gli alti mari, già ruppero all'entrata de' salvi porti; e così alcune, di salute disperate del tutto, salve in quelli alla fine si ritrovarono. E io ho già veduti molti alberi, dalle fiammifere folgori di Giove percossi, ivi a pochi tempi pieni di verdi frondi; e alcuni, con sollecitudine riguardati, da non conosciuto accidente essersi secchi. La fortuna dà varie vie, e così come ella di noia t'è stata cagione, così, se sperando la tua vita nutrichi, ti sarà similmente di gioia.
      Non una sola volta ma molte usò verso me la savia balia cotali parole, credendosi da me potere cacciare li dolori, e l'ansietà riservate solamente alla morte; ma di quelle poco o nulla toccava con frutto l'occupata mente, e la maggior parte perduta si smarria tra l'aure, e il mio male di giorno in giorno più comprendea la dolente anima; per che spesso supina sopra il ricco letto col viso tra le braccia nascoso, nella mente varie cose e grandi rivolgea. Io dirò crudelissime cose, e quasi da non dovere essere credute da donna essere pensate, se avvenire per addietro così fatte, o maggiori, non si fossero vedute. Essendo io nel cuore vinta da incomparabile doglia, sentendomi dal mio amante, disperata, lontana, così fra me a dire cominciai:
      «Ecco, quella cagione che la sidonia Elissa ebbe d'abandonare il mondo, quella medesima m'ha Panfilo donata, e molto piggiore. A lui piace che io, abandonate queste, nuove regioni cerchi; e io, poiché suggetta gli sono, farò quello che gli piace, e al mio amore e al commesso male e all'offeso marito ad un'ora satisfarò degnamente; e se agli spiriti sciolti dalla corporal carcere e al nuovo mondo è alcuna libertà, senza alcuno indugio con lui mi ricongiugnerò, e dove il corpo mio esser non puote, l'anima vi starà in quella vece. Ecco, adunque morrò, e questa crudeltà, volendo l'aspre pene fuggire, si conviene di usare a me in me stessa, però che niuna altra mano potrebbe sì essere crudele, che degnamente quella che io ho meritata operasse. Prenderò adunque senza indugio la morte, la quale, ancora che oscurissima cosa sia a pensare, più graziosa l'aspetto che la dolente vita».
      E poi che io ultimamente fui in questo proponimento diliberata, fra me cominciai a cercare quale dovesse de' mille modi esser l'uno che mi togliesse di vita: e prima m'occorsero ne' pensieri li ferri, a molti di quella stati cagione, tornandomi a mente la già detta Elissa partita di vita per quelli. Dopo questo mi si parò davanti la morte di Biblis e d'Amata, il modo delle quali s'offeriva a finire la mia vita; ma io, più tenera della mia fama che di me stessa, e temendo più il modo del morire che la morte, parendomi l'uno pieno d'infamia, e l'altro di crudeltà soperchia nel ragionare delle genti, mi fu cagione di schifare e l'uno e l'altro. Poi imaginai di voler fare sì come fecero li Saguntini o gli Abidei, gli uni tementi Annibale cartaginese e gli altri Filippo macedonico, li quali le loro cose e se medesimi alle fiamme commisero; ma veggendo in questo del caro marito, non colpevole ne' miei mali, gravissimo danno, come gli altri precedenti modi avea rifiutati, così e questo ancora rifiutai. Vennermi poi nel pensiero li velenosi sughi, li quali per addietro a Socrate e a Sofonisba e ad Annibale e a molti altri prencipi l'ultimo giorno segnarono, e questi assai a' miei piaceri si confecero; ma veggendo che a cercare d'averli tempo si convenia interporre, e dubitando non in quel mezzo si mutasse il mio proponimento, di cercare altra maniera imaginai, e pensato mi venne di volere... come molti già fecero, rendere il tristo spirito: dubitando d'impedimento, ché 'l vedea, ad altra specie di pensiero trapassai. E questa cagion medesima gli accesi carboni di Porzia mi fece lasciare: ma venutami nella mente la morte d'Ino e di Melicerte, e similmente quella di Erisitone, il bisognarvi lungo spazio all'una ad andare, all'altra ad aspettare, me le fece lasciare, imaginando dell'ultima il dolore lungamente nutricare i corpi. Ma oltre tutti questi modi, m'occorse la morte di Pernice caduto dell'altissima arce cretense, e questo solo modo mi piacque di seguitare per infallibile morte e vòta d'ogni infamia, fra me dicendo:
      «Io dell'alte parti della mia casa gittandomi, il corpo rotto in cento parti, per tutte e cento renderà l'infelice anima maculata e rotta a' tristi iddii, né fia chi quinci pensi crudeltà o furore in me stato di morte, anzi a fortunoso caso imputandolo, spandendo pietose lagrime per me, la fortuna maladiranno».
      Questa diliberazione nell'animo mio ebbe luogo, e sommamente mi piacque di seguitarla, pensando in me grandissima pietà usare, se forte spietata contro a me divenissi.
      Già era il pensier fermo, né altra cosa aspettava che tempo, quando un freddo sùbito entrato per le mie ossa, tutta mi fece tremare, il quale con seco recò parole così dicenti:
      «O misera, che pensi tu di fare? Vuo' tu per ira e per corruccio divenire nulla? Or se tu fossi pure ora per morire da infermità grave costretta, non ti dovresti tu ingegnare di vivere, acciò che almeno una volta innanzi la morte tua tu potessi vedere Panfilo? Non pensi tu che morta nol potrai vedere, né la pietà di lui verso te niuna cosa potrà operare? Che valse a Fillis non paziente la tarda tornata di Demofonte? Essa fiorendo senza alcuno diletto sentì la venuta sua, la quale se sostenere avesse potuto, donna, non albero l'averia ricevuto. Vivi adunque, ché egli pure tornerà qui alcuna volta, o amante o nemico che egli ci torni; e quale che egli d'animo ci torni, tu pur l'amerai, e per avventura il potrai vedere, e farlo pietoso de' casi tuoi: egli non è di quercia, o di grotta, o di dura pietra scoppiato, né bevve latte di tigre o di quale altro più fiero animale, né ha cuore di diamante o d'acciaio, che egli a quelli non sia pietoso e pieghevole; ma se pure da pietà non fia vinto, vivendo tu, allora di morire più licito ti sarà. Tu hai oltre ad uno anno senza lui sostenuta la trista vita; bene la puoi ancora sostenere oltre ad uno altro. In niuno tempo falla la morte a chi la vuole: ella fia così presta, e molto meglio allora che ella non è ora; e potraine andare con isperanza che egli alcuna lagrima, quantunque nemico e crudele sia, porgerà alla tua morte. Ritira adunque indietro il troppo sùbito consiglio, però che chi di consigliare s'affretta, si studia di pentere. Questo che tu vuoi fare, non è cosa che pentimento ne possa seguire, e, se egli ne pur seguisse, da poterla indietro tornare».
      Così da queste cose l'anima occupata, il proponimento sùbito lungamente in libra tenne; ma stimolandomi Megera con aspre doglie, vinsi di seguire il proposto, e tacitamente pensai di mandarlo ad effetto; e con benigne parole alla mia balia, che già tacea, nel tristo viso mostrai infinto conforto, alla quale, acciò che quindi si dipartisse, dissi:
      «Ecco, carissima madre, li tuoi parlari verissimi con utile frutto luogo nel petto mio hanno trovato, ma acciò che 'l cieco furore esca della pazza anima, alquanto di qui ti cessa, e me di dormire disiderosa al sonno lascia».
      Ella sagacissima, e quasi de' miei intendimenti indovina, il mio dormire loda, e da me dilungatasi alquanto per lo ricevuto comandamento, della camera uscire non volle in niuno modo. Ma io, per non farla del mio intendimento sospetta, oltre al mio piacere sostenni la sua dimora, imaginando che, dopo alquanto, quieta veggendomi, si dovesse partire. Fingo adunque con riposo tacito il pensato inganno; nel quale, benché di fuori niuna cosa appaia, così nell'ore le quali a me ultime dovere essere pensava, fra me dogliosa dicea cotali parole:
      «O misera Fiammetta, o più che altra dolorosissima donna, ecco che 'l tuo dì è venuto! Oggi, poi che dell'alto palagio ti sarai gittata in terra, e l'anima avrà lasciato il rotto corpo, terminate fieno le lagrime tue, li sospiri, l'angoscie e li disiri, e ad un'ora te e il tuo Panfilo libero farai della promessa fede. Oggi avrai da lui li meritati abbracciari; oggi le militari insegne d'Amore copriranno il corpo tuo con disonesto strazio oggi il tuo spirito il vedrà; oggi conoscerai per cui t'abbia abandonata; oggi a forza pietoso il farai; oggi comincerai le vendette della nemica donna. Ma, o iddii, se in voi niuna pietà si trova, negli ultimi miei prieghi siatemi graziosi: fate la mia morte senza infamia passare tra le genti. Se in quella alcuno peccato, prendendola, si commette, ecco che di quello la satisfazione è presente, cioè che io muoio senza osare manifestare la cagione, la quale cosa non piccola consolazione mi sarebbe, se io credessi, ciò dicendo, passare senza biasimo. Fatela ancora con pazienza sostenere al caro marito, il cui amore se io debitamente avessi guardato, ancora lieta senza porgervi questi prieghi, di vivere chiederei. Ma io, sì come femina mal conoscente del ricevuto bene, e come l'altre sempre il peggio pigliando, ora questo guiderdone me ne dono. O Atropos, per lo tuo infallibile colpo a tutto il mondo, umilmente ti priego che il cadente corpo guidi nelle tue forze, e con non troppa angoscia l'anima sciogli dalle fila della tua Lachesis; e tu, o Mercurio, di quella ricevitore, io ti priego per quell'amor che già ti cosse, e per lo mio sangue, il quale io da ora offero a te, che tu benignamente la guidi a' luoghi a lei disposti dalla tua discrezione, né sì aspri glieli apparecchi, che lievi reputi i mali avuti».
      Queste cose così fra me dette, Tesifone stette dinanzi agli occhi miei, e con non intendevole mormorio, e con minaccevole aspetto mi fe' pavida di piggiore vita che la preterita. Ma poi, con più sciolta favella dicendo: "Niuna cosa una sola volta provata non può essere grave", il turbato animo alla morte infiammò con più focoso disio. Per che, veggendo io che ancora non si partia la vecchia balia, dubitando non troppo aspettare, me apparecchiata a morire indietro traesse il proposto, o che accidente via nol togliesse, stese le braccia sopra il mio letto quasi abbracciandolo, dissi piagnendo:
      - O letto, rimanti con Dio, il quale io priego che alla seguente donna, più che a me non t'ha fatto, ti facci grazioso.
      Poi, gli occhi rivolti per la camera, la quale più mai non sperava vedere, presa da dolore sùbito il cielo perdei, e quasi palpando, e presa da non so che tremito mi volli levare, ma le membra vinte da paura orribile non mi sostennero; anzi ricaddi, e non solo una, ma tre fiate sopra il mio viso, e in me fierissima battaglia sentiva tra li paurosi spiriti e l'adirata anima, li quali lei volente fuggire a forza teneano. Ma pure l'anima vincendo, e da me la fredda paura cacciando, tutta di focoso dolore m'accesi, e riebbi le forze. E già nel viso del colore palido della morte dipinta, impetuosamente su mi levai, e, quale il forte toro ricevuto il mortal colpo furioso in qua e in là saltella, sé percotendo, cotale dinanzi agli occhi miei errando Tesifone, del letto, non conoscendo gl'impeti miei, come baccata mi gittai in terra, e dietro alla furia correndo, verso le scale saglienti alla somma parte delle mie case mi dirizzai; e già fuori della camera trista saltata, forte piagnendo, con disordinato sguardo tutte le parti della casa mirando, con voce rotta e fioca dissi:
      - O casa, male a me felice, rimani etterna, e la mia caduta fa manifesta all'amante, se egli torna; e tu, o caro marito, confòrtati e per innanzi cerca d'una più savia Fiammetta. O care sorelle, o parenti, o qualunque altre compagne e amiche, o servitrici fedeli, rimanete con la grazia degl'iddii.
      Io rabbiosa intendeva con tutte le parole al tristo còrso, ma la vecchia balia, non altramente che chi dal sonno a' furori è escitato, lasciato della rocca lo studio, sùbito stupefatta questo veggendo, levò li gravissimi membri, e gridando, come poteva mi cominciò a seguire. Ella con voce appena da me creduta diceva:
      - O figliuola, ove corri? Qual furia ti sospigne? E` questo il frutto che tu dicevi che le mie parole in te aveano di preso conforto messo? Ove vai tu? Aspettami.
      Poi con voci ancora maggiori gridava:
      - O giovini, venite, occupate la pazza donna, e ritenete li suoi furori.
      Il suo romore era nulla, e molto meno il grave corso. A me parea che fossero ali cresciute, e più veloce che alcuna aura correva alla mia morte. Ma li non pensati casi, sì a' buoni come a' rei proponimenti opponentisi, furono cagione che io sia viva: però che li miei panni lunghissimi, e al mio intendimento nemici, non potendo con la loro lunghezza raffrenare il mio còrso, ad uno forcuto legno, mentre io correva, non so come, s'avvilupparono, e la mia impetuosa fuga fermarono, né per tirare che io facessi, di sé parte alcuna lasciarono; per che, mentre io tentava di riaverli, la grave balia mi sopraggiunse, alla quale io con viso tinto mi ricorda che io dissi con alto grido:
      - O misera vecchia, fuggi di qui, se la vita t'è cara! Tu ti credi aiutarmi, e offendimi; lasciami usare il mortale oficio ora a ciò disposta con somma voglia; però che niuna altra cosa fa chi colui di morire impedisce che disidera di morire, se non che egli l'uccide: tu di me diventi micidiale, credendomi tòrre dalla morte, e come nemica tenti di prolungare i danni miei.
      La lingua gridava, e il cuore ardeva d'ira, e le mani per la fretta credendosi sviluppare, avviluppavano; né prima a me occorse il rimedio dello spogliarmi, che sopraggiunta dalla gridante balia, come ella potea così da lei era impedita; ma la sua forza in me già sviluppata niente valeva, se le giovini serve al colei grido da ogni parte non fossero còrse, e me avessero ritenuta; delle mani delle quali più volte con guizzi diversi e con forze maggiori mi credetti ritrarre, ma, vinta da loro, stanchissima fui nella camera, la quale mai più vedere non credeva, menata. Ohimè! quante volte loro dissi con piagnevole voce:
      - O vilissime serve, quale ardire è questo, che vi concede che la vostra donna da voi violentemente sia presa? Qual furia, o misere, v'ha spirate? E tu, o iniqua nutrice del misero corpo, futuro essemplo di tutti li dolori, perché all'ultimo disio m'hai impedita? Ora non sai tu ch'egli mi sarebbe maggior grazia comandarmi la morte che da quella difendermi? Lascia la misera impresa da me adempiere, e me di me a mio senno lascia fare, se così m'ami come io credo; e se così se' pietosa come dimostri, adopera la tua pietà in salvare la dubbia fama, che dopo me di me rimarrà, però che in questo in che tu ora m'impedisci, la tua fatica fia vana. Credimi tu potere tòrre gli acuti ferri, nelle punte de' quali consiste il mio disio, o li dolenti lacci, o le mortali erbe o il fuoco? Che profitto adopera questa tua cura? Prolunga un poco la dolorosa vita, e forse alla morte, che ora senza infamia mi veniva, indugiata, aggiungerà vergogna. Tu, o misera, non la mi potrai per guardia tòrre, però che la morte è in ogni luogo, e consiste in tutte le cose, ed eziandio ne' vitali argomenti fu già trovata: dunque, lasciami morire prima che più divenendo dolente che io mi sia, con più feroce animo la domandi.
      Io, mentre che queste parole miseramente diceva, non teneva le mie mani in riposo, ma ora questa ora quella serva rabbiosamente pigliando, a quale levate le treccie tutta la testa pelava, e a quale ficcando le unghie nel viso, miseramente graffiandola, la faceva filare sangue, e ad alcuna mi ricorda che io tutti i poveri vestimenti in dosso le squarciai. Ma ohimè! che né la vecchia balia né le lacerate serve ad alcuna cosa mi rispondevano, anzi piagnendo in me usavano pietoso oficio. Io allora più mi sforzava vincerle con parole, ma nulla valeano; per che con romore a gridare cominciai:
      - O mani inique e possenti ad ogni male, voi, ornatrici della mia bellezza, foste gran cagione di farmi tale che io fossi disiderata da colui il quale io più amo: dunque, poiché male del vostro oficio m'è seguito, in guiderdone di ciò ora l'empia crudeltà usate nel vostro corpo, laceratelo, apritelo, e quindi la crudele anima e inespugnabile ne traete con molto sangue. Tirate fuori il cuore ferito dal cieco Amore; e poiché tolti vi sono i ferri, lui con le vostre unghie, sì come di tutti i vostri mali cagione principale, senza alcuna pietà laniate.
      Ohimè! che le mie voci mi minacciavano li disiderati mali, e comandavanlo alle volonterose mani ad eseguire; ma le preste fanti m'impedirono, tenendole contro a mia voglia.
      Poi la trista balia e importuna con dolenti voci incominciò cotali parole:
      - O cara figliuola, io ti priego per questo misero seno onde tu li primi alimenti traesti, che con umiliata mente alquante mie poche parole m'ascolti. Io non cercherò in quelle di torti che tu non ti dolghi, o che forse la degna ira che a questo furore t'accende, tu la cacci da te, o per dimoranza la rompi, o con rimesso petto e piacevole la sostenghi; ma quello solo che vita ti sarà e onore, riducerò alla smarrita memoria. Egli si conviene a te, famosa giovine di tanta virtù quanta tu se', il non stare soggetta al dolore, né come vinta dare le spalle a' mali. Egli non è virtù il chiedere la morte, come se la vita si temesse, come tu fai, ma a' sopravvegnenti mali contrastare, né a quelli davanti fuggire, è virtù somma. Chi li suoi fati abbatteo, e li beni della sua vita da sé gittò e divise, sì come tu hai fatto, non so perché uopo gli si sia di cercare morte, né so perché la domandi: l'una e l'altra è volontà di timido. Dunque se tu te in somma miseria porre desideri, non cercare la morte per quella, però che essa è ultima cacciatrice di quella; fuga questo furore dalla tua mente, per lo quale ad un'ora d'avere e di perdere mi pare che cerchi l'amante. Credi tu, nulla divenendo, acquistarlo?
      Io non risposi alcuna cosa; ma intanto il romore si sparse per la spaziosa casa e per la contrada circunvicina, e non altramente che all'urlare d'un lupo si sogliono tutti i circustanti in uno convenire, corsero quivi li servidori d'ogni parte, e tutti dolenti dimandavano che ciò fosse. Ma già era stato vietato da me a chi 'l sapeva di dirlo, per che con menzogna ricoprendo l'orribile accidente, satisfatti erano. Corsevi il caro marito, e corsonvi le sorelle e li cari parenti e gli amici, ed egualmente tutti da uno inganno occupati, là dove io era iniqua, pietosa fui reputata; e ciascuno dopo molte lagrime la mia vita riprese così dolente, ingegnandosi appresso di confortarmi. Ohimè! Che quinci avvenne che alcuni me stimolata da alcuna furia credettero, e me quasi furiosa guardavano! Ma altri più pietosi la mia mansuetudine riguardando, dolore, sì come era, stimandolo, di ciò che quelli dicevano si fecero beffe, portandomi compassione. E così visitata da molti, più giorni stupefatta rimasi, e sotto discreta custodia della sagace balia fui tacitamente guardata.
      Niuna ira è sì focosa che per passamento di tempo freddissima non divenga. Io alcuni giorni così dimorata come io disegno, mi riconobbi, e manifestamente le parole della savia balia vidi vere, e certo io la mia passata follia piansi amaramente. Ma posto che il mio furore nel tempo si consumasse e ritornasse nulla, il mio amore per questo non ebbe alcun mutamento, anzi mi pur rimase la malinconia usata negli altri accidenti d'avere, e gravemente portava l'essere stata per altra donna abandonata; e spesse volte sopra ciò con la discreta balia ebbi consiglio, volendo modo trovare per lo quale a me rivocassi l'amante. E alcuna volta proponemmo con lettere pietosissime i miei casi dolenti narranti, e altra volta più utile essere pensammo che per savio messaggio con viva voce gli annunziassimo li miei mali; e certo che, ancora che vecchia fosse la balia, e il camino lungo e malvagio, per me si volle disporre ad andarvi. Ma bene riguardando ogni cosa, le lettere, quantunque fossero state pietose, efficaci non reputammo a rispetto de' presenti e nuovi amori; sì che per perdute le giudicammo, avvegna che con tutto questo pure ne scrivessi alcuna, che quello uscimento ebbe che divisammo. Il mandarvi la balia chiaramente conobbi lei non viva potere a lui pervenire, né ad altrui da fidarsene reputai; sí che frivoli furono li primi avvisi, e solamente nell'animo mi rimase niuna via esserci a riaverlo, se non se io per lui andassi; alla qual cosa fare diversi modi per la mente m'occorsero, li quali ultimamente furono per cagioni legittime annullati dalla mia balia. Io pensai alcuna volta di prendere abito peregrino con alcuna fida compagna, e in quello cercare li suoi paesi; e benché questo mi paresse possibile, non per tanto in esso pericolo grandissimo conobbi del mio onore, sapendo come le viandanti peregrine, alle quali alcuna forma si vede, sieno sovente ne' camini trattati dagli scedanti; e oltre a questo, me al caro marito sentendo obligata, senza lui non vidi come essere potesse l'andata o senza sua licenza, la quale da sperare non era giammai; per la qual cosa questo pensiero come vano abandonai; e subitamente in un altro non poco malizioso mi trasportai, e fatto mi credetti ch'ei venisse, e sarebbe, se alcuno caso avvenuto non fosse; ma nel futuro spero non mancherà, solo che io viva. Io mi infinsi d'avere in queste mie predette avversità, se Iddio mi traesse di quelle, fatto alcuno vóto, il quale volendo fornire, con giusta cagione poteva e posso volere passare per lo mezzo della terra del mio amante; per la quale passando, non mi mancava cagione di lui volere e dover vedere, e a quello rivocare per che io andava.
      E certo, come io dico, io lo scopersi al caro marito, il quale a ciò fornire sé lietamente offerse, ma tempo a ciò competente, come è detto, disse volea che attendessi. Ma l'indugio a me gravissimo, e temendolo vizioso, mi fu cagione d'entrare in altri avvisi, e tutti mi vennero meno, fuori solamente d'Ecate le mirabili cose, delle quali, acciò che a' paurosi spiriti sicurissima mi commettessi, più vole con diverse persone, vantatisi ciò sapere operare, ebbi ragionamenti; e alcune di trasportarmi subitamente impromettendomi, altre di sciogliere la sua mente da ogni altro amore e nel mio ritornarlo, altre dicendo di rendere a me la pristina libertà, volendo io d'alcune di queste all'effetto venire, più di parole che d'opere le trovai piene; onde non una volta, rimasi da loro nella mia speranza confusa, e, per lo migliore, senza più a queste cose pensare, mi diedi ad aspettare il tempo congruo dal mio caro marito promesso a fornire il vóto fittizio.



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© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 06 febbraio 1998