Giovanni Boccaccio
Elegia di Madonna Fiammetta
Capitolo II.
Nel quale Madonna Fiammetta descrive la cagione del dipartire del suo amante da lei; e la partita di lui; e 'l dolore che a lei ne seguitò nel partire.
Mentre che io, o carissime donne, in
così lieta e graziosa vita, sì come di sopra è descritta, menava i giorni miei, poco
alle cose future pensando, la nemica fortuna a me di nascoso temperava li suoi veleni, e
me con animosità continua, non conoscendolo io, seguitava. Né bastandole d'avermi, di
donna di me medesima, fatta serva d'Amore, veggendo che dilettevole già m'era cotal
servire, con più pungente ortica s'ingegnò d'affliggere l'anima mia. E venuto il tempo
da lei aspettato, m'apparecchiò, sì come appresso udirete, li suoi assenzii, i quali a
me mal mio grado convenuti gustare, la mia allegrezza in tristizia e 'l dolce riso in
amaro pianto mutarono. Le quali cose, non che sostenendole, ma pur pensando di doverle
altrui scrivendo mostrare, tanta di me stessa compassione m'assalisce che, quasi ogni
forza togliendomi, e infinite lagrime agli occhi recandomi, appena il mio proposito lascia
ad effetto producere; il quale, quantunque male io possa, pur m'ingegnerò di fornire.
Noi, egli e io, come caso venne, essendo il tempo per piove
e per freddo noioso, nella mia camera, menando la tacita notte le sue più lunghe dimore,
riposando nel ricchissimo letto insieme dimoravamo; e già Venere, da noi molto faticata,
quasi vinta ci dava luogo, e uno lume grandissimo in una parte della camera acceso gli
occhi suoi della mia bellezza faceva lieti, e i miei similmente faceva della sua. Li
quali, mentre che di quella, parlando io cose varie, essi soperchia dolcezza beveano,
quasi d'essa inebriata la luce loro, non so come per piccolo spazio da ingannevole sonno
vinti, toltemi le parole, stettero chiusi. Il quale così soave da me passando, come era
entrato, del caro amante ramarichevoli mormorii sentirono li miei orecchi, e sùbito della
sua sanità in varii pensieri messa, volli dire: «Che ti senti?». Ma vinta da nuovo
consiglio mi tacqui, e con occhio acutissimo, e con orecchie sottili, lui nell'altra parte
del nostro letto rivolto, cautamente mirandolo per alcuno spazio l'ascoltai. Ma nulla
delle sue voci presero gli orecchi miei, benché lui in singhiozzi di gravissimo pianto
affannato e il viso parimente e il petto bagnato di lagrime conoscessi.
Ohimè! quali voci mi sarieno sufficienti ad esprimere
quale in tale aspetto, la cagione ignorando, l'anima mia divenisse mirandolo? E' mi
corsero mille pensieri che la mente in uno momento, e quasi tutti terminavano in uno,
cioè che egli, amando altra donna, contra voglia dimorasse in tal modo. Le mie parole
furono più volte infino alle labbra per domandarlo qual fosse la sua noia; ma, dubitando
che vergogna non gli porgesse l'esser da me trovato piagnendo, si ritraevano indietro; e
similmente trassi gli occhi più volte da riguardarlo, acciò che le calde lagrime cadenti
da quelli, venendo sopra di lui, non gli dessero materia di sentire ch'egli fosse da me
veduto. Oh quanti modi, impaziente, pensai da operare, acciò che egli desta mi sentisse
non averlo sentito, e a niuno m'accordava! Ma ultimamente, vinta dal disio di sapere la
cagione del suo pianto, acciò che egli a me si volgesse, quali coloro che ne' sogni o da
caduta, o da bestia crudele, o da altro spaventati, subitamente pavidi si riscuotono, il
sogno e il sonno ad un'ora rompendo, cotale sùbita con voce pavida mi riscossi, l'uno de'
miei bracci gittando sopra li suoi omeri. E certo l'inganno ebbe luogo, perciò che egli,
lasciando le lagrime, con infinta letizia sùbito a me si volse, e disse, con voce
pietosa:
«O anima mia bella, che temesti?»
Al quale io senza intervallo risposi:
«Parevami che io ti perdessi.»
Ohimè! che le mie parole, non so da che spirito pinte
fuori, furono del futuro e agurio e verissime annunziatrici, come io ora veggio. Ma egli
rispose:
«O carissima giovine, morte, non altri potrà che tu mi
perda operare».
E queste parole senza mezzo seguì un gran sospiro; del
quale non fu sì tosto, da me, che de' primi pianti disiderava saper la cagione,
dimandato, che le abondanti lagrime da' suoi occhi, come da due fontane, cominciarono a
scaturire, e il mal rasciutto petto di lui a bagnare con maggiore abondanza; e me in greve
doglia e già lagrimante tenne per lungo spazio sospesa, sì l'impediva il singhiozzo del
pianto, anzi che alle mie molte dimande potesse rispondere. Ma poi che libero alquanto
dall'émpito si sentio, con voce spesso rotta dal pianto, così mi rispose:
«O a me carissima donna e da me amata sopra tutte le cose,
sì come gli effetti aperto ti possono mostrare, se i miei pianti meritano fede alcuna,
credere puoi non senza cagione amara con tanta abondanza spandano lagrime gli occhi miei,
qualora nella memoria mi torna quello che ora, in tanta gioia con teco stando, mi vi
tornò, e cioè solamente il pensare che di me far due non posso, com'io vorrei, acciò
che ad Amore e alla debita pietà ad un'ora satisfare potessi qui dimorando, e là dove
necessità strettissima mi tira per forza, andando. Dunque non potendosi, in afflizione
gravissima il mio cuore misero ne dimora, sì come colui che da una parte traendo pietà,
è fuori delle tue braccia tirato, e dall'altra in quelle con somma forza da Amore
ritenuto».
Queste parole m'entrarono nel misero cuore con amaritudine
mai non sentita, e ancora che bene non fossero prese dallo intelletto, nondimeno quanto
più di quelle ricevevano le orecchie attente a' danni loro, tanto più in lagrime
convertendosi m'uscivano per gli occhi, lasciando nel cuore il loro effetto nemico. Questa
fu la prima ora, che io sentii dolori al mio piacer più nimichevoli; questa fu quell'ora,
che senza modo lagrime mi fece spandere, mai prima da me simili non sparte; le quali niuna
sua parola, né conforto, di che assai era fornito, poteva ristringere. Ma poi che per
lungo spazio ebbi pianto amaramente, quanto potei ancora il pregai che più chiaro qual
pietà il traeva delle mie braccia mi dimostrasse; onde egli, non ristando però di
piangere, così mi disse:
«La inevitabile morte, ultimo fine delle cose nostre, di
più figliuoli nuovamente me solo ha lasciato al padre mio, il quale d'anni pieno e senza
sposa, solo d'alcuno mio fratello sollecito a' suoi conforti rimaso, senza speranza alcuna
di più averne, me a consolazione di lui, il quale egli già sono più anni passati non
vide, richiama a rivederlo. Alla qual cosa fuggire per non lasciarti, già sono più mesi,
varie maniere di scuse ho trovate; e ultimamente non accettandone alcuna, per la mia
puerizia nel suo grembo teneramente allevata, per l'amore da lui verso di me continuamente
portato e per quello che a lui portar debbo, per la debita ubidienza filiale, e per
qualunque altra cosa più grave puote, continuo mi scongiura che a rivedere lo vada. E
oltre a ciò da amici e da parenti con prieghi solenni me ne fa stimolare, dicendo in fine
sé la misera anima cacciare del corpo sconsolata, se me non vede. Ohimè, quanto sono le
naturali leggi forti! Io non ho potuto fare, né posso, che nel molto amore che io ti
porto non abbia trovato luogo questa pietà; onde, avendo in me, con licenza di te,
diliberato d'andare a rivederlo, e con lui dimorare a consolazione sua alcuno piccolo
spazio di tempo, non sappiendo come senza te viver mi possa, di tal cosa ricordandomi
tuttavia, meritamente piango».
E qui si tacque.
Se alcuna di voi fu mai, o donne a cui io parlo, alla
quale, ferventemente amando, tale caso avvenisse, colei sola spero che possa conoscere
quale allora fosse la mia tristizia; all'altre non curo di dimostrarlo, però che così
come ogn'altro essemplo che il detto, così ogni parlare ci sarebbe scarso. Io dico
sommariamente che, udendo io queste parole, l'anima mia cercò di fuggire da me, e senza
dubbio credo fuggita sariesi, se non che essa di colui nelle braccia cui più amava si
sentiva stare; ma nondimeno paurosa rimasa, e occupata da greve doglia, lungamente mi
tolse il poter dire alcuna cosa. Ma poi che per alquanto spazio si fu assuefatta a
sostenere il mai più non sentito dolore, a' miseri spiriti rendé le paurose forze, e gli
occhi, rigidi divenuti, ebbero copia di lagrime e la lingua di dire alcuna parola. Per
che, al signore della mia vita rivolta, così li dissi:
«O ultima speranza della mia mente, entrino le mie parole
nella tua anima con forza di mutare il proposito, acciò che, se così m'ami come
dimostri, e la tua vita e la mia cacciate non sieno dal tristo mondo prima che venga il
dì segnato. Tu, da pietà tirato e da amore, in dubbio poni le cose future; ma certo, se
le tue parole per addietro sono state vere, con le quali me da te essere stata amata non
una volta, ma molte hai affermato, niun'altra pietà a questa potenza dee potere
resistere, né mentre ch'io vivo, altrove tirarti; e odi perché. Egli t'è manifesto, se
tu séguiti quello che parli, in quanto dubbio tu lasci la vita mia, la quale appena per
addietro s'è sostenuta quel giorno che io non t'ho potuto vedere; dunque puoi esser certo
che, cessandoti tu, ogni allegrezza da me si partirà. E ora bastasse questo! Ma chi
dubita che ogni tristizia mi sopravverrà, la quale, forse, e senza forse, mi ucciderà?
Ben dei tu oramai conoscere quanta forza sia nelle tenere giovini a potere così avversi
casi con forte animo sostenere. Se forse vuogli dire che io per addietro, amando
saviamente e con forza, gli sostenni maggiori, certo io il consento in parte, ma la
cagione era molto diversa da questa: la mia speranza posta nel mio volere mi faceva lieve
quello che ora nell'altrui mi graverà. Chi mi negava, quando il disio m'avesse pure oltre
ad ogni misura costretta, che io te, così di me come io di te innamorato, non avessi
potuto avere? Certo nessuno; quello che, essendomi tu lontano, non m'avverrà. Oltre a
ciò, io allora non sapeva, più che per vista, chi tu ti fossi, benché io t'estimassi da
molto; ma ora io il conosco, e sento per opera che tu se' d'avere troppo più caro che non
mi mostrava allora il mio imaginare, e se' divenuto mio con quella certezza che gli amanti
possono essere dalle donne tenuti loro. E chi dubita che egli non sia molto maggiore
dolore il perdere ciò che altri tiene, che quello che egli spera di tenere, ancora che la
speranza debba riuscire vera? E però, bene considerando, assai aperta si vede la morte
mia. Dunque, la pietà del vecchio padre preposta a quella che di me dei avere mi sarà di
morte cagione, e tu non amatore, ma nemico, se così fai. Deh, vorrai tu, o potrail fare,
pur che io il consenta, i pochi anni al vecchio padre servati, a' molti, che ancora a me
ragionevolmente si debbono, anteporre? Ohimè! che iniqua pietà sarà questa? E` egli tua
credenza, o Panfilo, che niuna persona, sia di te quantunque egli vuole o puote per
parentado di sangue o per amistà congiunta, t'ami sì come io t'amo? Male credi, se di
sì credi: veramente niuno t'ama così come io. Dunque, se io più t'amo, più pietà
merito, e perciò degnamente antiponmi, e di me essendo pietoso, di ogni altra pietà ti
dispoglia che offenda questa, e senza te lascia riposare il tuo padre; e così come, tu
non con lui, lungamente è vivuto, se gli piace, per innanzi si viva, e se non, muoiasi.
Egli è fuggito molti anni al mortal colpo, s'io odo il vero, e più ci è vivuto che non
si conviene; e se egli con fatica vive, come i vecchi fanno, sarà vie maggior pietà di
te verso lui lasciarlo morire, che più in lui con la tua presenza prolungare la
fatichevole vita.
Ma me, che guari senza te vivuta non sono, né vivere
saprei senza te, si conviene aiutare, la quale, giovanissima ancora, con teco aspetto
molti anni di vivere lieti. Deh, se la tua andata quello nel tuo padre dovesse operare che
in Esone i medicamenti di Medea operarono, io direi la tua pietà giusta, e comanderei che
s'adempiesse, ancora che duro mi fosse; ma non sarà cotale, né potrebbe essere, e tu il
sai. Or ecco, se a te, forse più che io non credo crudele, di me, la quale per tua
elezione, non isforzato, hai amata e ami, sì poco ti cale, che tu vogli pure al mio amore
preporre la pietà perduta del vecchio padre, il quale è tale quale il ti diè la
fortuna, almeno di te medesimo t'incresca più che di me o di lui, il quale, se i tuoi
sembianti in prima, e poi le tue parole non m'hanno ingannata, più morto che vivo ti se'
mostrato, quale ora, per accidente, senza vedermi hai trapassata; e ora a sì lunga
dimora, chente richiede la mal venuta pietà, senza vedermi ti credi potere dimorare? Deh,
per Dio, attentamente riguarda, e vedi te possibile a morte ricevere (se per lungo dolore
avviene che l'uomo si muoia, come io intendo) per l'altrui vita, di questa andata, la
quale che a te sia durissima le tue lagrime e del tuo cuore il movimento, il quale
nell'ansio petto senza ordine battere ti sento, dimostrano; e se morte non te ne segue,
vita piggiore che morte non te ne falla. Ohimè! che lo innamorato mio cuore insieme dalla
pietà che a me medesima porto, e da quella che per te sento è ad un'ora costretto. Per
che io ti priego che tu sì sciocco non sii che, movendoti a pietà d'alcuna persona, e
sia chi vuole, tu vogli te a grave pericolo di te medesimo sottoporre. Pensa che chi sé
non ama, niuna cosa possiede. Tuo padre, di cui tu se' ora pietoso, non ti diede al mondo
perché tu stesso divenissi cagione di tortene. E chi dubita che, se a lui fosse la nostra
condizione licito di scoprire, che egli, essendo savio, non dicesse piuttosto:
"Rimanti" che "Vieni"? E se a ciò discrezione non lo inducesse, egli
ve lo inducerebbe pietà; e questo credo che assai ti sia manifesto. Dunque fa' ragione
che quel giudicio che egli darebbe, se la nostra causa sapesse, che egli l'abbia saputa e
dato, e per la sua medesima sentenza lascia stare questa andata, a me e a te parimente
dannosa.
Certo, carissimo signor mio, assai possenti cagioni sono le
già dette da doverle seguire, e rimanerti, considerando ancora dove tu vai; ché, posto
che colà vadi ove nascesti, luogo naturalmente oltre ad ogni altro amato da ciascuno,
nondimeno, per quello che io abbia già da te udito, egli t'è per accidente noioso, però
che, sì come tu medesimo già dicesti, la tua città è piena di voci pompose e di
pusillanimi fatti, serva non a mille leggi, ma a tanti pareri quanti v'ha uomini, e tutta
in arme, e in guerra, così cittadina come forestiera, fremisce, di superba, avara e
invidiosa gente fornita, e piena di innumerabili sollecitudini: cose tutte male all'animo
tuo conformi. E quella che di lasciare t'apparecchi so che conosci lieta, pacifica,
abondevole, magnifica, e sotto ad un solo re: le quali cose, se io alcuna conoscenza ho di
te, assai ti sono gradevoli; e oltre a tutte le cose contate, ci sono io, la quale tu in
altra parte non troverai. Dunque, lascia l'angosciosa proposta, e, mutando consiglio, alla
tua vita e alla mia insieme, rimanendo, provvedi; io te ne priego».
Le mie parole in molta quantità le sue lagrime aveano
cresciute, delle quali co' baci mescolate assai ne bevvi. Ma egli dopo molti sospiri così
mi rispose:
«O sommo bene dell'anima mia, senza niuno fallo vere
conosco le tue parole, e ogni pericolo in quelle narrato m'è manifesto; ma acciò che io,
non come io vorrei, ma come la necessità presente richiede, brievemente risponda, ti dico
che il potere con un corto affanno solvere un debito grande, credo da te mi si debbia
concedere. Pensar dei ed esser certa che, benché la pietà del vecchio padre mi strìnga
assai e debitamente, non meno, ma molto più, quella di noi medesimi mi costrigne; la
quale, se licita fosse a discoprire, scusato mi parrebbe essere, presumendo che, non che
da mio padre solo, ma ancora da qualunque altro fosse giudicato quel che dicesti; e
lascerei il vecchio padre, senza vedermi, morire. Ma convenendo questa pietà essere
occulta, senza quella palese adempiere, non veggio come senza gravissima riprensione e
infamia far lo potessi. Alla quale riprensione fuggire, adempiendo il mio dovere, tre o
quattro mesi ci torrà di diletto fortuna; dopo li quali, anzi innanzi che compiuti siano,
senza fallo mi rivedrai nel tuo cospetto tornato, a me come te medesima rallegrare. E se
il luogo al quale io vo è così spiacevole come fai (ché è così a rispetto di questo,
essendoci tu), ciò ti dee essere molto a grado, pensando che, dove altra cagione a
partirmi quindi non mi movesse, per forza le qualità del luogo al mio animo avverse me ne
farebbono partire e qui tornare. Dunque concedasi questo da te, che io vada; e come per
addietro ne' miei onori e utili se' stata sollecita, così ora in questo divieni paziente,
acciò che io, conoscendo a te gravissimo l'accidente, più sicuro per innanzi mi renda,
che in qualunque caso ti sia l'onor mio quant'io stato caro».
Egli avea detto, e tacevasi, quando io così ricominciai a
parlare:
«Assai chiaro conosco ciò che fermato nell'animo non
pieghevole porti, e appena mi pare che in quello raccogliere vogli pensando di quante e
quali sollecitudini l'anima mia lasci piena da me lontanandoti; la quale niuno giorno,
niuna notte, niuna ora sarà senza mille paure: io starò in continuo dubbio della tua
vita, la quale io priego Iddio che sopra i miei dì la distenda quanto tu vuoi. Deh,
perché con soperchio parlare mi voglio io stendere dicendole ad una ad una? Egli non ha,
brievemente, il mare tante arene, né il cielo stelle, quante cose dubbiose e di pericolo
piene possono tutto dì intervenire a' viventi; le quali tutte, partendoti tu, senza
dubbio spaventandomi m'offenderanno. Ohimè! trista la vita mia! Io mi vergogno di dirti
quello che nella mia mente mi viene; ma però che quasi possibile per le cose udite mi
pare, costretta tel pur dirò. Or se tu ne' tuoi paesi, ne' quali io ho udito più volte
essere quantità infinita di belle donne e vaghe, atte bene ad amare e ad essere amate,
una ne vedessi che ti piacesse, e me dimenticassi per quella, qual vita sarebbe la mia?
Deh! se così m'ami come dimostri, pensalo come faresti tu se io per altrui ti cambiassi!
La qual cosa non sarà mai: certo io con le mie mani, anzi che ciò avvenisse,
m'ucciderei.
Ma lasciamo stare questo, e di quello che noi non
disideriamo che avvenga, non tentiamo con tristo annunzio gl'iddii. Se a te pur fermo
giace nell'animo il partire, con ciò sia cosa che niun'altra cosa mi piaccia, se non
piacerti, a ciò volere di necessità mi conviene disporre. Tuttavia, se essere può, io
ti priego che in questo tu séguiti il mio volere, cioè in dare alla tua andata alcuno
indugio, nel quale io, imaginando il tuo partire, con continuo pensiero possa apparare a
sofferire d'essere senza te. E certo questo non ti deve essere grave: il tempo medesimo,
il quale ora la stagione mena malvagio, m'è favorevole. Non vedi tu il cielo pieno
d'oscurità, continuo minacciante gravissime pestilenze alla terra con acque, con nevi,
con venti e con ispaventevoli tuoni? E come tu dei sapere, ora per le continue piove ogni
piccolo rivo è divenuto un grande e possente fiume. Chi è colui che sì poco se medesimo
ami, che in così fatto tempo si metta a camminare? Dunque, in questo fa il mio piacere;
il quale se far non vuogli, fa il tuo dovere: lascia i dubbiosi tempi passare, e aspetta
il nuovo, nel quale e tu meglio e con meno pericolo andrai, e io, già co' tristi pensieri
costumata più pazientemente aspetterò la tua tornata».
A queste parole egli non indugiò la risposta, ma disse:
«Carissima giovine, l'angosciose pene e le sollecitudini
varie nelle quali io contro a mio piacere ti lascio, e meco senza dubbio ne porto l'une e
l'altre, mitighi la lieta speranza della futura tornata; né di quello che così qui come
altrove, quando tempo sarà, mi dee giungere, cioè la morte, è senno d'averne pensiero,
né de' futuri accidenti a nuocere possibili e a giovare: ovunque l'ira e la grazia di Dio
coglie l'uomo, quivi e il bene e il male, senza potere altro, gli conviene sostenere.
Adunque queste cose senza badarci, nelle mani di lui, meglio di noi consapevole de' nostri
bisogni, le lascia stare, e a lui con prieghi solamente addimanda che vengano buone. Che
mai di niuna donna io sia altro che di Fiammetta, appena, pure se io il volessi, il
potrebbe fare Giove, con sì fatta catena ha il mio cuore Amore legato sotto la tua
signoria. E di ciò ti rendi sicura, che prima la terra porterà le stelle, e il cielo
arato da' buoi producerà le mature biade, che Panfilo sia d'altra donna che tuo.
L'allungare di spazio che chiedi alla mia partita, se io il credessi a te e a me utile,
più volontieri che tu nol chiedi il farei; ma tanto quanto quello fosse più lungo,
cotanto il nostro dolore sarebbe maggiore. Io, ora partendomi, prima sarò tornato, che
quello spazio sia compiuto il quale chiedi per apparare a sofferire; e quella noia in
questo mezzo avrai, non essendoci io, che avresti pensando al mio dovermi partire. E alla
malvagità del tempo, sì come altra volta uso di sostenerne, prenderò io salutevole
rimedio; il quale volesse Iddio che così ritornando già l'operassi come partendomi il
saprò operare. E perciò con forte animo ti disponi a ciò che, quando pure far si
conviene, è meglio sùbito operando passare, che con tristizia e paura di farlo
aspettare».
Le mie lagrime quasi nel mio parlare allentate altra
risposta attendendo, udendo quella, crebbero in molti doppii; e sopra il suo petto posata
la grave testa, lungamente dimorai senza più dirgli, e varie cose nell'animo rivolgendo,
né affermare sapea, né negare ciò che e' diceva. Ma ohimè! chi avrebbe a quelle parole
risposto se non: «Fa quel che ti piace, torni tu tosto»? Niuna credo. E io, non senza
gravissima doglia e molte lagrime, dopo lungo indugio così gli risposi, aggiungendogli
che gran cosa, se egli viva mi trovasse nel suo tornare, senza dubbio sarebbe.
Queste parole dette, l'uno confortato dall'altro,
rasciugammo le lagrime, e a quelle ponemmo sosta per quella notte. E servato l'usato modo,
anzi la sua partita, che pochi giorni fu poi, me più volte venne a rivedere; benché
assai d'abito e di volere trasmutata dal primo mi rivedesse. Ma venuta quella notte la
quale dovea essere l'ultima de' miei beni, con ragionamenti varii non senza molte lagrime
trapassammo; la quale, ancora che per la stagione del tempo fosse delle più lunghe,
brevissima mi parve che trapassasse. E già il giorno, agli amanti nemico, cominciato
aveva a tòrre la luce alle stelle; del quale vegnente poi che 'l segno venne alle mie
orecchie, strettissimamente lui abbracciai, e così dissi:
«O dolce signor mio, chi mi ti toglie? Quale iddio con
tanta forza la sua ira verso di me adopera che, me vivente, si dica: "Panfilo non è
là dove la sua Fiammetta dimora"? Ohimè! che io non so ora ove ne vai tu. Quando
sarà che io più ti debba abbracciare? Io dubito che non mai. Io non so ciò che il cuore
miseramente indovinando mi si va dicendo».
E così amaramente piagnendo, e riconfortata da lui, più
volte il baciai. Ma dopo molti stretti abbracciari ciascuno pigro a levarsi, la luce del
nuovo giorno strignendoci, pur ci levammo. E apparecchiandosi egli già di darmi li baci
estremi, prima lagrimando cotali parole gli cominciai:
«Signor mio, ecco tu te ne vai, e in brieve la tornata
prometti; facciami di ciò, se ti piace, la tua fede sicura, sì che io, a me non parendo
invano pigliare le tue parole, di ciò prenda, quasi come di futura fermezza, alcuno
conforto aspettando».
Allora egli le sue lagrime con le mie mescolando, al mio
collo, credo per la fatica dell'animo, grave pendendo, con debole voce disse:
«Donna, io ti giuro per lo luminoso Apollo, il quale ora
surge oltre a' nostri disii con velocissimo passo, di più tostana partita dando cagione,
e li cui raggi io attendo per guida, e per quello indissolubile amore che io ti porto, e
per quella pietà che ora da te mi divide, che il quarto mese non uscirà che,
concedendolo Iddio, tu mi vedrai qui tornato».
E quindi, presa con la sua destra la mia destra mano, a
quella parte si volse, dove le sacre imagini dei nostri iddii figurate vedeansi, e disse:
«O santissimi iddii, igualmente del cielo governatori e
della terra, siate testimoni alla presente promessione, e alla fede data dalla mia destra;
e tu, Amore, di queste cose consapevole, sii presente; e tu, o bellissima camera, a me
più a grado che 'l cielo agl'iddii, così come testimonia secreta de' nostri disii se'
stata, così similemente guarda le dette parole; alle quali, se io per difetto di me vengo
meno, cotale verso di me l'ira d'Iddio si dimostri, quale quella di Cerere in Erisitone, o
di Diana in Atteone, o in Semelè di Giunone apparve già nel passato».
E questo detto, me con volontà somma abbracciò
ultimamente dicendo «Addio!» con rotta voce.
Poi che egli così ebbe parlato, io misera, vinta
dall'angoscioso pianto, appena li pote' rispondere alcuna cosa; ma pure isforzandomi,
tremanti parole pinsi fuori della trista bocca in cotale forma:
«La fede a' miei orecchi promessa, e data alla mia destra
mano dalla tua, fermi Giove in cielo con quello effetto che Inachide fece li prieghi di
Teletusa, e in terra, come io disidero e come tu chiedi, la faccia intera».
E accompagnato lui infino alla porta del nostro palagio,
volendo dire «Addio!», sùbito fu la parola tolta alla mia lingua, e il cielo agli occhi
miei. E quale succisa rosa negli aperti campi infra le verdi fronde sentendo i solari
raggi cade perdendo il suo colore, cotale semiviva caddi nelle braccia della mia serva; e
dopo non piccolo spazio, aiutata da lei fedelissima, con freddi liquori rivocata al tristo
mondo, mi risentii; e sperando ancora d'essere alla mia porta, quale il furioso toro,
ricevuto il mortal colpo, furibondo si leva saltando, cotale io stordita levandomi, appena
ancora veggendo, corsi, e con le braccia aperte la mia serva abbracciai credendo prendere
il mio signore, e con fioca voce e rotta dal pianto in mille partì dissi:
«O anima mia, addio».
La serva tacque, conoscendo il mio errore; ma io poi,
ricevuta veduta più libera, il mio avere fallito sentendo, appena un'altra volta in
simile smarrimento non caddi.
Il giorno era già chiaro per ogni parte, onde io nella mia
camera senza il mio Panfilo veggendomi, e intorno mirandomi per ispazio lunghissimo, come
ciò avvenuto si fosse ignorando, la serva dimandai che di lui avvenuto fosse, a cui ella
piagnendo rispose:
«Già è gran pezza che egli, qui nelle sue braccia
recatavi, da voi il sopravvegnente giorno con lagrime infinite a forza il divise».
A cui io dissi:
«Dunque si è egli pure partito?»
«Sì» rispose la serva.
Cui io ancora seguendo addimandai:
«Or con che aspetto si partì? Con grave?»
A cui ella rispose:
«Niuno mai più dolente ne vidi».
Poi seguitai:
«Quali furono gli atti suoi? E che parole disse nella
partenza?»
Ed ella rispose:
«Voi quasi morta nelle mie braccia rimasa, vagando la
vostra anima non so dove, egli vi si recò, tosto che tale vi vostra anima non so dove,
egli vi si recò, tosto che tale vi vide, nelle sue teneramente; e con la sua mano nel
vostro petto cercato se con voi fosse la paurosa anima, e trovatala forte battendo,
piagnendo, cento volte e più agli ultimi baci credo vi richiamasse. Ma poi che voi
immobile non altramente che marmo vide, qui vi recò, e, dubitando di peggio, lagrimando
più volte bagnò il vostro viso, dicendo: "O sommi iddii, se nella mia partenza
peccato alcuno si contiene, venga sopra di me il giudicio, non sopra la non colpevole
donna. Rendete a' luoghi suoi la smarrita anima, sì che di questo ultimo bene, cioè di
vedermi nella mia partita e di darmi gli ultimi baci dicendo addio, ed ella e io siamo
consolati". Ma poi che vide voi non risentirvi, quasi senza consiglio, ignorando che
farsi, pianamente in sul letto posatavi, quali le marine onde, da' venti e dalla pioggia
sospinte, ora innanzi vengono e quando addietro si tornano, cotale da voi partendosi
infino in sul limitare dell'uscio della camera pigramente andando, mirava per le finestre
il minacciante cielo nemico alla sua dimora; e quindi subitamente verso voi ritornava, da
capo chiamandovi e aggiungendo lagrime e baci al vostro viso. Ma poi che così ebbe fatto
più volte, vedendo che più lunga non poteva essere con voi la sua dimora, abbracciandovi
disse: "O dolcissima donna, unica speranza del tristo cuore, la quale io, a forza
partendomi, lascio in dubbia vita, Iddio ti renda il perduto conforto, e te a me tanto
servi che insieme felici ancora ci possiamo rivedere, sì come sconsolati ne divide
l'amara partenza". E così come le parole diceva, così continuamente piagneva forte,
tanto che i singhiozzi del suo pianto più volte mi fecero paura che non che da' nostri di
casa, ma che da' vicini sentiti non fossero. Ma poi, più non potendo dimorare per la
nemica chiarezza sopravvegnente, con maggiore abondanza di lagrime disse
"Addio!", e quasi a forza tirato, percotendo forte il piede nel limitar
dell'uscio, uscì delle nostre case. Onde uscito, appena si saria detto che egli potesse
andare, anzi ad ogni passo volgendosi, quasi pareva sperasse che, voi risentita, io il
dovessi chiamare a rivedervi».
Tacque allora quella; e io, o donne, quale voi potete
pensare, cotale dolendomi della partita del caro amante, sconsolata rimasi piagnendo.
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 06 febbraio 1998