IL SETTECENTO
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Giuseppe Bonghi Biografia
Biografia Discendente
da una nobilissima famiglia di pavia,
che nei tempi medievali aveva sostenuto
e rappresentato in quella città il
partito ghibellino e dalla quale era
stata scacciata alla fine del XIV
secolo, Cesare Beccaria Bonesana nasce a
Milano il 17 marzo 1738 dal marchese
Giovanni Saverio Beccaria-Bonesana e da
donna Maria dei Visconti di Saliceto.
Comincia i suoi studi nel Collegio dei
Nobili di Parma, lo stesso che aveva
ospitato Pietro Verri, sotto la guida
dei Gesuiti senza essere un allievo
brillante, come scrive egli stesso al
Morellet, traduttore della sua opera in
francese. Uscito dal collegio si iscrive
all'Università di Pavia, laureandosi in
Giurisprudenza nel 1758 (laurea di Doctor
in utroque). Due anni più tardi
conosce Pietro Verri ed inizia a
frequentarne il cenacolo culturale,
appassionandosi alla filosofia e alle
idee illuministe; contemporaneamente si
allontana da casa, data l'opposizione
della famiglia al suo amore per Teresa
Blasco.
Nel
1762, all'età di ventiquattro anni,
Beccaria pubblica la sua prima opera,
"colle stampe di Lucca",
alcune osservazioni intitolate Del
disordine e de' rimedii delle monete
nello Stato di Milano, che ha il
merito soprattutto di farlo conoscere al
mondo intellettuale milanese; nell'opera
mira a mettere a nudo i difetti del
sistema di monetazione allora in vigore
e a prospettare qualche soluzione per
correggerne i difetti, insistendo sul
principio che non occorre alterare il
valore delle monete, calcolabile in base
alla quantità di oro posseduta dallo
Stato e non in base anche alla quantità
di lega aurea che veniva utilizzata per
coniare le monete stesse. Nel 1763, esortato dai fratelli Verri comincia ad interessarsi di problemi sociali e giudiziari, in special modo delle condizioni della giurisdizione penale del tempo e dei metodi dell'inquisizione criminale delle torture, di cui nulla conosceva, ma che Alessandro Verri conosceva bene, in quanto protettore dei carcerati, e a raccogliere le sue impressioni per iscritto, che nel contempo venivano dibattute e approfondite nelle conversazioni con gli stessi Verri ed altri amici, come il Lambertenghi, che collaboreranno al "Caffè" e che fanno parte dell'Accademia dei Pugni, che lo stimolano e gli danno utili suggerimenti anche in ordine alla divisione degli argomenti. Dal marzo 1763 al gennaio 1764, per dieci mesi, durano le discussioni e i dibattiti non solo sulle idee ma anche sullo stile; il risultato è la pubblicazione del suo capolavoro, il trattato Dei delitti e delle pene, che esce nel 1764 a Livorno, coi tipi del signor Aubert, che aveva stampato le Meditazioni sulla felicità di Pietro Verri. L'opera ottiene subito un grande successo in Toscana, tanto che la prima edizione, uscita in giugno, viene esaurita in soli tre mesi, e ad agosto non se ne trova in giro più una copia, ancor prima che se ne sentisse parlare nei circoli culturali di Milano. Era ciò che beccaria e i Verri aspettavano: dopo gli applausi della Toscana, anche in Milano l'opera, che pur conteneva una certa pericolosità per le idee progressiste e di condanna della pena di morte, non avrebbe potuto raccogliere dissensi Lo
straordinario successo dell'opera, mette
l'autore in una situazione difficile,
dato il suo carattere schivo e
fondamentalmente debole, durante la
quale gli furono di grande aiuto i
fratelli Verri, che intervennero in suo
favore con uno scritto contro le accuse
che gli erano state lanciate, in
particolar modo di offesa alla religione
e di mancanza del rispetto che è dovuto
all'autorità del principe, che gli
erano state rivolte dal padre
vallombrosano Ferdinando Facchinei, che
aveva ricevuto "dal Consiglio dei
Dieci a Venezia l'incarico di combattere
con un apposito scritto le dottrine di
Cesare Beccaria, specialmente in
riguardo all'abolizione della tortura e
della pena di morte. Ed il monaco
compose alcune scipitissime sue note e
osservazioni, a cui Beccaria ebbe a
rispondere subitamente nell'ottobre di
quell'anno".
Il ritorno in Italia coincide con un raffreddamento dei suoi rapporti con l'amico Pietro Verri, a torto o a ragione, accusato di insidiare la moglie Teresa, secondo le maldicenze e i pettegolezzi dell'epoca, di cui parla lo stesso Verri in una sua lettera del 13 marzo 1767 al fratello Alessandro, lamentando un'accusa a suo dire senza fondamento. Nel |