IL SETTECENTO
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1.
Nasce nel 1729 in Brianza da
modesti filatori di seta. Dopo aver
frequentato le scuole dei Barnabiti
senza molto impegno (perché afflitto da
problemi economici) può proseguire gli
studi usufruendo di una piccola rendita
lasciatagli da una zia, a condizione
però che diventasse sacerdote. E così
fece. Non ci fu quindi vera vocazione,
anche se il Parini non si discosterà
mai dagli insegnamenti della Chiesa, se
non palesando qualche nostalgia per il
matrimonio (cfr. Oh beato colui che
può innocente). 2.
Gli anni dal '41 al '54 furono di
faticosa miseria. Dopo esser diventato
sacerdote (nel '54) entra nella casa dei
duchi Serbelloni come precettore.
Intanto, nel '52, la sua prima raccolta
di poesie gli permette di entrare
nell'Accademia aristocratica dei
Trasformati, di tendenza
politico-culturale moderata (essa
conciliava il vecchio stile-lingua-idee
col nuovo). Durante gli 8 anni passati
presso i Serbelloni, difende il dialetto
milanese e l'utilità pratica della
lingua, scrive tre odi civili (La
vita rustica, La salubrità
dell'aria e L'impostura),
nonché Il dialogo sopra la nobiltà,
ispirato alla critica del diritto di
nascita e improntato al motivo
egualitario (Parini critica l'ozio e il
consumo improduttivo della nobiltà,
ovvero la sua vanità e i pregiudizi di
casta). 3.
Insofferente allo stile di vita
aristocratico e aperto alle idee
illuministiche francesi, decide di
abbandonare il suo lavoro nel '62,
tornando a vivere nella miseria. Nel '63
acquista particolare fama pubblicando il
Giorno, poema satirico
anti-aristocratico, in endecasillabi
sciolti, diviso in quattro parti:
Mattino, Mezzogiorno, Vespro e Notte. I
primi due riflettono il cauto riformismo
dell'autore; gli ultimi due invece, che
usciranno postumi, riflettono le
perplessità dell'autore di fronte alla
crisi dell'esperienza riformatrice della
borghesia filo-napoleonica. Nel poema il
Parini finge di essere precettore di un
giovane nobile, al quale deve insegnare
come trascorrere bene il tempo secondo
il costume e la moda aristocratica.
Attraverso questa finzione egli mette in
luce l'ozio, la corruzione, il vuoto
spirituale, la vanità della casta
nobiliare. 4.
La pubblicazione della prima
parte del Giorno gli procurò non solo
gli entusiastici consensi del mondo
letterario, ma anche la protezione del
governo austriaco, il quale, accortosi
del moderatismo del poeta, decise, a
nome del rappresentante di Maria Teresa
a Milano, il conte di Firmian, di
affidargli la direzione della Gazzetta
di Milano, al fine di promuovere una
politica di "illuminate
riforme" in Lombardia. Dopodiché
il Parini venne chiamato ad insegnare
eloquenza nelle Scuole Palatine (oggi
Ginnasio di Brera). L'attività
d'insegnante la continuò per molti
anni, aggiungendovi nel '91 quella di
sovrintendente alle scuole pubbliche. 5.
Quando nel '96 i francesi
entrarono a Milano per diffondere gli
ideali della Rivoluzione cacciando gli
austriaci, Parini accetta di far parte
della nuova repubblica, ma il
radicalismo dei giacobini poco si
confaceva alla sua mentalità
politicamente conciliante. Erano
soprattutto le motivazioni religiose a
distaccarlo dall'illuminismo e
dall'avventura napoleonica. Famosa, in
tal senso, è la sua reazione al
provvedimento col quale si volevano
togliere i crocifissi da tutte le aule
pubbliche: egli dichiarò che dove non
poteva entrare il
"cittadino-Cristo" non sarebbe
entrato neanche il "cittadino-Parini".
Nel '99, quando ormai tornavano gli
austriaci, e poco prima di morire,
compose un sonetto anti-rivoluzionario
dal titolo Predaro i Filistei l'arca di
Dio. 6.
L'origine sociale del Parini è
popolare e contadina, ma la formazione
culturale è aristocratica. Forte
infatti è il suo rapporto con l'Arcadia
e il recupero stilistico del Petrarca e
del classicismo cinquecentesco, coi
quali egli cercava di non smarrire la
tradizione letteraria italiana di fronte
al prorompere dei nuovi ideali
illuministici e rivoluzionari. Inoltre
la sua critica alla moralità dominante
della nobiltà non mette in discussione
in modo politico la gerarchia delle
classi e dei ceti. Per il Parini
l'aristocrazia conserva ancora la
possibilità di svolgere una grande
funzione sociale. La nobiltà cioè ha
la possibilità di autoriformarsi. Essa
è odiata per la sua vanità, ma è
ammirata per la sua eleganza e
compostezza: molte volte il poeta
renderà omaggio alle figure femminili
di questo ceto. 7.
La poesia del Parini si pone il
compito civile (didascalico) di educare
gli uomini all'uguaglianza sociale. La
funzione della poesia è quella di
rispecchiare la realtà, la natura,
offrendo sensazioni e stimoli alla
riflessione, per far acquisire la virtù
umana e civile. Questa sua
preoccupazione etica-pedagogica, lo
rende più moralista che poeta, più un
educatore ai valori morali e civili che
un politico (s'intendono i valori di
sobrietà, costumi semplici,
laboriosità, onestà, moderazione,
garbata ironia...). La vera alternativa
ch'egli pone alla vita aristocratica
decadente è la semplicità della vita
contadina. Ne La vita rustica
Parini guarda la campagna come un luogo
di lavoro, ove uomini concreti, reali,
faticano per il bene di tutta la
collettività. Naturalmente il Parini
non vede nelle campagne le
contraddizioni socioeconomiche del suo
tempo: per lui tutte le contraddizioni
possono essere risolte con la buona
volontà delle autorità. Di tutte le
tematiche illuministiche, Parini
rifiuterà sempre gli sviluppi verso il
sensismo-materialismo-ateismo, nonché
l'importanza attribuita alla scienza.
Accoglierà invece la fiducia nella
ragione: strumento primario di ricerca
della verità, per vincere i pregiudizi
del passato. 8.
La
vergine cuccia
(dal Mezzogiorno). Una cagnetta di una
famiglia aristocratica, volendo
divertirsi, finisce col mordere il piede
d'un servo, il quale con un calcio se ne
libera. I padroni di casa, senza sentir
ragioni, licenziano il servo, il quale
si rassegna alla decisione. Una
punizione severa, poiché, considerato
da altri nobili un "soggetto
pericoloso", il servo rimane per
sempre disoccupato e nessuno
s'impietosisce vedendolo con moglie e
figli sulla strada a cercar lavoro. 9.
La
sfilata degli imbecilli
(dalla Notte) parla dei giovani
nobili rammolliti, ciascuno con la sua
manìa (ad es. suonar la tromba, saper
schioccare la frusta). E' l'estrema
corruzione della nobiltà degenerata,
coi suoi vizi: ozio, noia, vuoto
interiore... 10.
Il
calar della notte
(dal Vespro) parla della notte
che come la morte rende tutto uguale. 11.
La
caduta
(1785). Percorrendo d'inverno le vie di
Milano (considerata già caotica), il
poeta, ammalato e vecchio, inciampa e
cade per terra. Un passante che lo aiuta
a rialzarsi gli ricorda che la patria,
pur avendo riconosciuto la sua grandezza
di poeta, non ha fatto nulla per
renderlo ricco e in grado di avere una
carrozza con cavalli. Gli consiglia
quindi di cambiar vita, cercando favori
e protezioni in alto loco, eventualmente
servendosi d'intermediari senza
scrupoli. In cambio il poeta dovrebbe
comporre poesie che piacciano ai
potenti. Se non vuole accettare questo
consiglio, che allora rinunci alla
poesia e si affidi alla politica, che è
mezzo efficace per ottenere facili
guadagni. È comunque illusorio -dice il
passante- sperare di convincere gli
uomini al bene attraverso le poesie.
Tuttavia il poeta rifiuta ogni
compromesso e accetta la propria
miseria. 12.
Il
bisogno
(1766). Presenta analogie con l'opera di
Beccaria, Dei delitti e delle pene.
L'ode è indirizzata a un magistrato
elvetico. Parini qui afferma che è il
bisogno (la miseria, in particolare) a
provocare il delitto, per cui la
giustizia non può limitarsi a punire il
colpevole, ma deve anche comprendere le
cause del crimine e porvi rimedio. Il
Parini tuttavia non spiega l'origine
delle disuguaglianze sociali e non va
oltre il rimedio dell'assistenzialismo. http://scuolaitalia.com/zibaldone/ |