IL SETTECENTO
|
Giuseppe Bonghi Introduzione Introduzione Nel 1763, esortato
dai fratelli Verri, Cesare Beccaria
comincia ad interessarsi di problemi
sociali e giudiziari, in special modo
delle condizioni della giurisdizione
penale del tempo e dei metodi
dell'inquisizione criminale delle
torture, di cui nulla conosceva, ma che
Alessandro Verri conosceva bene, in
quanto "protettore" dei
carcerati. Viene così raccogliendo le
sue impressioni per iscritto, che nel
contempo vengono dibattute e
approfondite nelle conversazioni con gli
stessi Verri ed altri amici, come il
conte Lambertenghi, che collaboreranno
al "Caffè" e che fanno parte
dell'Accademia dei Pugni, amici
che lo stimolano e gli danno utili
suggerimenti anche in ordine alla
divisione degli argomenti.
Nell’opera
Beccaria affronta il problema della
legittimità dei governi di punire
coloro che in qualsiasi modo
contravvengono a quanto stabilito dalle
leggi, in quanto, come affermavano gli
illuministi, tra il cittadino e lo stato
si stabiliva un "patto
sociale" in base al quale ogni
cittadino rinunciava a una piccola parte
della propria libertà per il
raggiungimento della maggior felicità
possibile che a ciascun cittadino lo
Stato avrebbe in qualche modo garantito
colla sua azione: le leggi, che regolano
i rapporti fra i cittadini sia fra di
loro che con lo Stato, partono proprio
da questo presupposto; criterio costante
e fondamentale sia dell’azione dei
governi che dello studio e
dell’approvazione delle leggi deve
essere quello dell’utilità pratica
generale di tutta la comunità, non solo
rispetto all’individuo ma alla società
nella sua totalità, per cui
l’irrorazione delle pene, e la loro
costituzione, deve portare ad impedire
al cittadino di arrecare danni alla
collettività e di evitare che altri
possano seguire l’esempio del reo. In
questa ottica non possono essere più
seguiti i vecchi criteri del passato,
perché dannosi e inumani: uno dei freni
al delitto non può essere la crudeltà
delle pene ma l’infallibilità di
esse; la loro moderazione e dolcezza è
la dimostrazione più chiara del
principio dell’utilità generale. La
necessità, afferma Beccaria, costrinse
gli uomini a cedere una parte della
propria libertà, unendosi agli altri
uomini per resistere meglio
all’attacco e alla sopraffazione di
altri gruppi: ciascun individuo non
"vuol mettere nel pubblico deposito
che la minima porzion possibile, quella
sola che basti ad indurre gli altri a
difenderlo". L’insieme di tutte
queste minime porzioni forma il
"diritto di punire", per cui
la giustizia diventa il vincolo
necessario per tenere uniti gli
interessi particolari. In
questo consiste la grande novità
dell’opera di Beccaria: nell’aver
rovesciato la prospettiva
dell’indagine sulla legittimità
dell’azione di uno Stato: fino
all’Illuminismo lo Stato era
preminente e la sua azione assolutamente
e sempre legittima, per cui gli uomini
abitanti sul territorio di quello Stato
erano semplicemente sudditi senza
"volontà politica" e senza
"capacità decisionale" perché
privi di diritto. Questo permetteva al
sovrano di poter dire: "lo Stato
sono io" o "la legge sono
io", e di fronte a lui null’altro
poteva esistere se non la sottomissione
cieca e passiva di tutte le altre
persone. La lingua Qualche
annotazione sulla lingua diventa
necessaria perché questa non è usata
in modo da far risaltare la bravura
dello scrittore e la sua capacità di
scrivere che avrebbe potuto suscitare
l’ammirazione del lettore ponendo in
secondo piano il contenuto dello
scritto; il linguaggio di Beccaria ha un
andamento semplice e discorsivo, scientifico
per quel che riguarda la dimostrazione
delle sue idee, per cui date certe
premesse non si può che arrivare a
determinate conseguenze, e chiaro
nella scelta delle parole da usare: non
avrebbe dovuto essere difficile per
nessun lettore capire il contenuto
dell’opera. L’analisi della lingua ci porta, quindi, a riconoscere il procedimento scientifico del ragionamento di Beccaria e a scoprire un sottofondo continuo che è la partecipazione viva alle idee esposte. Beccaria si espone in prima persona, andando al di là dei pregiudizi moralistici del tempo, affermando il rispetto dell’uomo per qualunque uomo nel nome della "libertà", che è patrimonio esclusivo di ciascuno, e della "giustizia", che è il vincolo che unisce "le singole porzioni di libertà cedute" da ciascun individuo formando lo Stato. http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/index080.htm |