Giovanni Boccaccio
Decameron
Settima Giornata
Novella prima
Gianni Lotteringhi ode di notte toccar l'uscio suo; desta la moglie, ed ella gli fa accredere che egli è la fantasima; vanno ad incantare con una orazione, e il picchiar si rimane.
Signor mio, a me sarebbe stato carissimo, quando stato
fosse piacere a voi, che altra persona che io avesse a così bella materia, come è quella
di che parlar dobbiamo, dato cominciamento; ma, poi che egli v'aggrada che io tutte
l'altre assicuri, e io il farò volentieri. E ingegnerommi, carissime donne, di dir cosa
che vi possa essere utile nell'avvenire, per ciò che, se così son l'altre come io, tutte
siamo paurose, e massimamente della fantasima, la quale sallo Iddio che io non so che cosa
si sia, né ancora alcuna trovai che 'l sapesse, come che tutte ne temiamo igualmente. A
quella cacciar via, quando da voi venisse, notando bene la mia novella, potrete una santa
e buona orazione e molto a ciò valevole apparare.
Egli fu già in Firenze nella contrada di San Brancazio uno
stamaiuolo, il qual fu chiamato Gianni Lotteringhi, uomo più avventurato nella sua arte
che savio in altre cose, per ciò che, tenendo egli del semplice, era molto spesso fatto
capitano de'laudesi di Santa Maria Novella, e aveva a ritenere la scuola loro, e altri
così fatti uficietti aveva assai sovente, di che egli da molto più si teneva; e ciò gli
avvenia per ciò che egli molto spesso, sì come agiato uomo, dava di buone pietanze a'
frati. Li quali, per ciò che qual calze e qual cappa e quale scapolare ne traevano
spesso, gli insegnavano di buone orazioni e davangli il paternostro in volgare e la
canzone di santo Alesso e il lamento di san Bernardo e la lauda di donna Matelda e cotali
altri ciancioni, li quali egli aveva molto cari, e tutti per la salute dell'anima sua se
gli serbava molto diligentemente.
Ora aveva costui una bellissima donna e vaga per moglie, la
quale ebbe nome monna Tessa e fu figliuola di Mannuccio dalla Cuculia, savia e avveduta
molto. La quale, conoscendo la semplicità del marito, essendo innamorata di Federigo di
Neri Pegolotti, il quale bello e fresco giovane era, ed egli di lei, ordinò con una sua
fante che Federigo le venisse a parlare ad un luogo molto bello che il detto Gianni aveva
in Camerata, al quale ella si stava tutta la state; e Gianni alcuna volta vi veniva la
sera a cenare e ad albergo, e la mattina se ne tornava a bottega e talora a' laudesi suoi.
Federigo, che ciò senza modo disiderava, preso tempo, un dì che imposto gli fu, in su '1
vespro se n'andò lassù, e non venendovi la sera Gianni, a grande agio e con molto
piacere cenò e albergò con la donna; ed ella, standogli in braccio, la notte gl'insegnò
da sei delle laude del suo marito. Ma, non intendendo essa che questa fosse così l'ultima
volta come stata era la prima, né Federigo altressì, acciò che ogni volta non
convenisse che la fante avesse ad andar per lui, ordinarono insieme a questo modo: che
egli ognindì, quando andasse o tornasse da un suo luogo che alquanto più su era, tenesse
mente in una vigna la quale allato alla casa di lei era, ed egli vedrebbe un teschio
d'asino in su un palo di quelli della vigna, il quale quando col muso volto vedesse verso
Firenze, sicuramente e senza alcun fallo la sera di notte se ne venisse a lei, e se non
trovasse l'uscio aperto, pianamente picchiasse tre volte, ed ella gli aprirebbe; e quando
vedesse il muso del teschio volto verso Fiesole, non vi venisse, per ciò che Gianni vi
sarebbe. E in questa maniera faccendo, molte volte insieme si ritrovarono.
Ma tra l'altre volte una avvenne che, dovendo Federigo
cenar con monna Tessa, avendo ella fatti cuocere due grossi capponi, avvenne che Gianni,
che venir non vi doveva, molto tardi vi venne; di che la donna fu molto dolente, ed egli
ed ella cenarono un poco di carne salata che da parte aveva fatta lessare; e alla fante
fece portare in una tovagliuola bianca i due capponi lessi e molte uova fresche e un
fiasco di buon vino in un suo giardino, nel quale andar si potea senza andar per la casa,
e dov'ella era usa di cenare con Federigo alcuna volta, e dissele che a piè d'un pesco,
che era allato ad un pratello, quelle cose ponesse. E tanto fu il cruccio che ella ebbe,
che ella non si ricordò di dire alla fante che tanto aspettasse che Federigo venisse, e
dicessegli che Gianni v'era e che egli quelle cose dell'orto prendesse. Per che, andatisi
ella e Gianni al letto, e similmente la fante, non stette guari che Federigo venne e
toccò una volta pianamente la porta, la quale sì vicina alla camera era che Gianni
incontanente il sentì, e la donna altressì; ma, acciò che Gianni nulla suspicar potesse
di lei, di dormire fece sembiante.
E stando un poco, Federigo picchiò la seconda volta; di
che Gianni maravigliandosi punzecchiò un poco la donna, e disse: - Tessa, odi tu quel
ch'io? E' pare che l'uscio nostro sia tocco -.
La donna, che molto meglio di lui udito l'avea, fece vista
di svegliarsi, e disse: - Come di'? Eh? -
- Dico, - disse Gianni - ch'e' pare che l'uscio nostro sia
tocco -.
Disse la donna: - Tocco? Ohimè, Gianni mio, or non sai tu
quello ch'egli è? Egli è la fantasima, della quale io ho avuta a queste notti la maggior
paura che mai s'avesse, tale che, come io sentita l'ho, ho messo il capo sotto né mai ho
avuto ardir di trarlo fuori sì è stato dì chiaro -.
Disse allora Gianni: - Va, donna, non aver paura, se ciò
è, ché io dissi dianzi il "Te lucis" e la " 'ntemerata" e tante
altre buone orazioni, quando al letto ci andammo, e anche segnai il letto di canto in
canto al nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che temere non ci bisogna, ché
ella non ci può, per potere ch'ella abbia, nuocere -.
La donna, acciò che Federigo per avventura altro sospetto
non prendesse e con lei si turbasse, diliberò del tutto di doversi levare e di fargli
sentire che Gianni v'era, e disse al marito: - Bene sta, tu di' tue parole tu, io per me
non mi terrò mai salva né sicura, se noi non la 'ncantiamo, poscia che tu ci se'-.
Disse Gianni: - O come s'incanta ella? -
Disse la donna: - Ben la so io incantare; ché l'altrieri,
quando io andai a Fiesole alla perdonanza, una di quelle romite, che è, Gianni mio, pur
la più santa cosa che Iddio tel dica per me, vedendomene così paurosa, m'insegnò una
santa e buona orazione, e disse che provata l'avea più volte avanti che romita fosse, e
sempre l'era giovato. Ma sallo Iddio che io non avrei mai avuto ardire d'andare sola a
provarla; ma ora che tu ci se', io vo' che noi andiamo ad incantarla -.
Gianni disse che molto gli piacea; e levatisi, se ne
vennero amenduni pianamente all'uscio, al quale ancor di fuori Federigo, già sospettando,
aspettava. E giunti quivi, disse la donna a Gianni:
- Ora sputerai, quando io il ti dirò -.
Disse Gianni: - Bene -.
E la donna cominciò l'orazione, e disse: - Fantasima,
fantasima che di notte vai, a coda ritta ci venisti, a coda ritta te n'andrai; va
nell'orto a piè del pesco grosso, troverai unto bisunto e cento cacherelli della gallina
mia; pon bocca al fiasco e vatti via, e non far male né a me né a Gianni mio -; e così
detto, disse al marito: - Sputa, Gianni -; e Gianni sputò.
E Federigo, che di fuori era e questo udiva, già di
gelosia uscito, con tutta la malinconia, aveva si gran voglia di ridere che scoppiava; e
pianamente, quando Gianni sputava, diceva: - I denti -.
La donna, poi che in questa guisa ebbe tre volte la
fantasima incantata, al letto se ne tornò col marito. Federigo, che con lei di cenar
s'aspettava, non avendo cenato e avendo bene le parole della orazione intese, se n'andò
nell'orto e a piè del pesco grosso trovati i due capponi e '1 vino e l'uova, a casa se ne
gli portò e cenò a grande agio. E poi dell'altre volte, ritrovandosi con la donna, molto
di questa incantazione rise con essolei.
Vera cosa è che alcuni dicono che la donna aveva ben volto
il teschio dello asino verso Fiesole, ma un lavoratore, per la vigna passando, v'aveva
entro dato d'un bastone e fattol girare intorno intorno, ed era rimaso volto verso
Firenze, e per ciò Federigo, credendo esser chiamato, v'era venuto; e che la donna aveva
fatta l'orazione in questa guisa: - Fantasima, fantasima, vatti con Dio, che la testa
dell'asino non vols'io, ma altri fu, che tristo il faccia Iddio, e io son qui con Gianni
mio -; per che, andatosene, senza albergo e senza cena era la notte rimaso.
Ma una mia vicina, la quale è una donna molto vecchia, mi
dice che l'una e l'altra fu vera, secondo che ella aveva, essendo fanciulla, saputo; ma
che l'ultimo non a Gianni Lotteringhi era avvenuto, ma ad uno che si chiamò Gianni di
Nello, che stava in porta San Piero, non meno sofficiente lavaceci che fosse Gianni
Lotteringhi. E per ciò, donne mie care, nella vostra elezione sta di torre qual più vi
piace delle due, o volete amendune. Elle hanno grandissima virtù a così fatte cose, come
per esperienzia avete udito; apparatele, e potravvi ancor giovare.
Indici delle giornate
Indice delle novelle della settima giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998