Giuseppe Bonghi
Introduzione
alla Satira
La Poesia
di
Salvator Rosa
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Introduzione
Salvator Rosa
è nato all'Arenella, presso Napoli, il 20 giugno 1615 ed è
morto a Roma il 15 marzo 1673. Pittore e poeta, è stato una
delle più discusse personalità del Seicento italiano;
frequentatore di accademie, intellettuale brillante e dissidente,
come pittore, in particolare, occupa un posto abbastanza
importante nel quadro dell'arte italiana, soprattutto per le sue
opere che hanno come tema paesaggi e battaglie e, nell'età
matura, abbandonando quel senso di chiarezza e di tono
equilibrato, ricco di spunti inventivi nell'insieme di una vivace
vena cromatica ed espressiva, per opere che danno inizio al
genere della veduta fantastica, con paesaggi tenebrosi
disseminati di ruderi e scene di magia o di alchimia (celebre il
quadro Stregoneria, che propone un soggetto
anticonformistico e polemico nei confronti della cultura
ufficiale).
Proprio questa
vena polemica, talvolta eccessiva e orrida, è all'origine delle
sue Satire, che esprimono bene l'impulso innato dell'ironia e il
gusto per lo scherzo estroso, ma cghe nel contempo sono gravate
eccessivamente da problemi etici e sociali, estetici e politici,
un po' smanioso di apparire il giudice del suo secolo più che il
fustigatore di costumi condannabili.
Le Satire
furono pubblicate in volume solo nel 1719 ad Amsterdam,
"presso Sevo Protomastix", ad opera dello stampatore
Bernard col titolo Satire di Salvator Rosa dedicate a Settano;
erano diffusi comunque manoscritti, nonostante i severi divieti
contro chi li possedeva, come afferma anche Quinto Settano nella
sua XIII satira. Il motivo della proibizione pontificia era da
ricercarsi nella quinta Satira, intitolata La Babilonia,
che aveva come tema la deplorevole corruzione della corte papale.
Questa Satira è
indubbiamente una delle più significative, non solo perché ci
porta nel pieno dell'atmosfera antimarinista e antibarocca, ma
anche perché ci fa capire un po' più a fondo le vive polemiche
contro una poesia che è lo specchio della corruzione dei tempi,
nei quali il poeta non affronta i temi della viva attualità, ma
il tema unico dell'adulazione dei potenti espresso attraverso un
eccessivo ed inutile uso della mitologia.
Secondo il Rosa i
poeti dovrebbero cantare che i Principi pensano solo alla caccia
e alla pesca e avari imbandiscono mense opulente sulla fame
comune, che la giustizia troppo spesso è negata e rivenduta, che
a presiedre tribunali e governi si mandano solo persone rapaci,
che diffusa è la tirannia dei potenti insieme all'usura; i poeti
dovrebbero uscir fuori dalle favole per raccontare i pianti e le
grida di dolore di orfani vedovi e mendicanti. Sono i mali della
società, allora come oggi, che vengono sempre nascosti, contro i
quali ogni tanto si leva qualche voce ad ammonire, ma poi tutto
resta uguale.
I poeti suoi
contemporanei sembrano essere i nuovi e veri Anticristi, che
popolano l'Inferno di dannati perché sono incapaci di mettere in
evidenza le sofferenze della gente comune su questo mondo. Meglio
farebbero se entrassero qualche volta in Chiesa o almeno in una
sacrestia, per imparare "il flagello eterno / punisce le
colpe" e che non è mai il caso che domina gli eventi su
questa terra. Occorre che sorga una nuova pietà, ideale perduto
ma che può essere facilmente ritrovato, che possa essere educata
nel cuore degli uomini col canto vero della poesia, che ha
ragione di esistere solo quando diletta e ammaestra gli animi.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 05 febbraio 1998