Dante Alighieri
Vita Nuova
[Barbi - Codice K = Casini - Codice A]
Io dico che, secondo l' usanza d' Arabia, l' anima sua nobilissima si partío ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l' usanza di Siria, ella si partío nel nono mese de l'anno, però che 'l primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre. E secondo l'usanza nostra, ella si partío in quello anno de la nostra indizione, ciò è de li anni Domini, in cui lo perfetto numero era compiuto nove volte in quello centinaio, nel quale in questo mondo ella fue posta: ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e secondo comune opinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme; questo numero fue amico di lei per dare a intendere, che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s' avíano insieme. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile verità, questo numero fue ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo cosí. Lo numero del tre è la radice del nove, però che sanza numero altro alcuno, per sé medesimo fa nove, sí come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se 'l tre è fattore per sé medesimo del nove, e cosí 'l fattore de' miracoli è tre, ciò è Padre e Figliuolo e Spirito santo, li quali sono tre ed uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere, ch' ella era un nove, ciò è uno miracolo, la cui radice, ciò è del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade. Forse ancora per più sottile persona si vederebbe in ciò più sottile ragione; ma questa è quella ch' io ne veggio, e che più mi piace.
Poi che fue partita da questo secolo, rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova e dispogliata da ogni dignitade; onde io, ancora lagrimando in questa desolata cittade, scrissi a li principi de la terra alquanto de la sua condizione, pigliando quello cominciamento di Geremia profeta che dice: Quomodo sedet sola. E questo dico, acciò che altri non si maravigli, perché io l'abbia allegato di sopra, quasi come entrata de la nova materia che appresso viene. E se alcuno volesse me riprendere di ciò, ch' io non iscrivo qui le parole che seguitano a quelle allegate, scusomene, però che lo 'ntendimento mio non fue dal principio di scrivere altro che per volgare: onde, con ciò sia cosa che le parole, che seguitano a quelle che sono allegate, siano tutte latine, sarebbe fuori del mio intendimento se le scrivessi; e simile intenzione so ch' ebbe questo mio primo amico, a cui io ciò scrivo, ciò è ch' io li scrivessi solamente in volgare.
XXXI
Poi che li miei occhi ebbero per alquanto lagrimato un tempo, e' tanto affaticati erano che non poteano disfogare la mia trestizia, onde pensai di volere sfogarla con alquante parole dolorose; e però propuosi di fare una canzone, ne la quale piangendo ragionassi di lei, per cui tanto dolore era fatto distruggitore de la mia anima; e cominciai allora una canzone, la qual comincia: Li occhi dolenti per pietà del core. Ed acciò che questa canzone paia rimanere più vedova dopo lo suo fine, la dividerò prima che io la scriva: e cotale modo terrò da qui innanzi. Io dico che questa cattivella canzone ha tre parti: la prima è proemio; ne la seconda ragiono di lei; ne la terza parlo a la canzone pietosamente. La seconda parte comincia quivi: Ita n' è Beatrice [v. 15]; la terza quivi: Pietosa mia canzone [v. 71]. La prima parte si divide in tre: ne la prima dico perché io mi muovo a dire; ne la seconda dico, a cu' io voglio dire; ne la terza dico, di cu' io voglio dire. La seconda comincia quivi: E perché me ricorda [v. 7]; la terza quivi: E dicerò [v. 12]. Poscia quando dico: Ita n' è Beatrice, ragiono di lei; e intorno a ciò foe due parti. Prima dico la cagione per che tolta ne fue; appresso dico come altri si piange de la sua partita, e comincia questa parte quivi: Partí si de la sua [v. 29]. Questa parte si divide in tre: ne la prima dico chi non la piange; ne la seconda dico chi la piange; ne la terza dico de la mia condizione. La seconda comincia quivi: Ma ven trestizia e voglia [v. 38]; la terza quivi: Dannomi angoscia li sospiri miei [v. 43]. Poscia quando dico: Pietosa mia canzone, parlo a questa canzone, disignandole a quali donne se ne vada, e steasi con loro.
Li occhi dolenti per pietà del core hanno di lagrimar sofferta pena, sí che per vinti son remasi omai. Ora, s' i' voglio sfogar lo dolore, che a poco a poco a la morte mi mena, convïemmi parlar traendo guai. E perché me ricorda che io parlai de la mia donna, mentre che vivía, donne gentili, volentier con vui, non voi' parlare altrui, se no a cor gentil che in donna sia; e dicerò di lei piangendo, pui che sí n' è gita in ciel subitamente, e ha lasciato Amor meco dolente. Ita n' è Beatrice 'n l' alto cielo, nel reame ove li angeli hanno pace, e sta con loro; e voi, donne, ha lassate: no la ci tolse qualità di gelo né di calore, come l' altre face, ma solo fue sua gran benignitate; ché luce de la sua umilitate passò li cieli con tanta vertute, che fe' maravigliar l'eterno Sire, sí che dolce disire l o giunse di chiamar tanta salute; e fêlla di qua giù a sé venire, perché vedea ch' esta vita noiosa non era degna di sí gentil cosa. Partí si de la sua bella persona piena di grazia l'anima gentile, ed è si glorïosa in loco degno. Chi no la piange, quando ne ragiona, core ha di pietra sí malvagio e vile, ch' entrar no i puote spirito benegno. No è di cor villan sí alto ingegno, che possa imaginar di lei alquanto, e però no gli ven di pianger doglia: ma ven trestizia e voglia di sospirare e di morir di pianto, e d' ogne consolar l'anima spoglia chi vede nel pensero alcuna volta quale ella fue, e com' ella n' è tolta. Dannomi angoscia li sospiri forte, quando 'l pensero ne la mente grave mi reca quella che m' ha 'l cor diviso: e spesse fiate pensando a la morte, vïemmene un disío tanto soave, che mi tramuta lo core nel viso. Quando lo imaginar mi ven ben fiso, giugnemi tanta pena d' ogni parte, ch' io mi riscuoto per dolor ch' i' sento; e sí fatto divento, che da le genti vergogna mi parte. Poscia piangendo, sol nel mio lamento chiamo Beatrice, e dico: «Or se' tu morta?»; e mentre ch'io la chiamo, mi conforta. Pianger di doglia e sospirar d'angoscia mi strugge 'l core ovunque sol mi trovo, sí che ne 'ncrescerebbe a chi 'l vedesse: e quale è stata la mia vita, poscia che la mia donna andò nel secol novo, lingua no è che dicer lo sapesse: e però, donne mie, pur ch' io volesse, non vi sapre' io dir ben quel ch' io sono, sí mi fa travagliar l'acerba vita; la quale è sí 'nvilita, che ogn' om par che mi dica: «Io t'abbandono», veggendo la mia labbia tramortita. Ma qual ch' io sia, la mia donna il si vede, e io ne spero ancor da lei merzede. Pietosa mia canzone, or va piangendo; e ritruova le donne e le donzelle, a cui le tue sorelle erano usate di portar letizia; e tu, che se' figliuola di trestizia, vatten disconsolata a star con elle. |
Poi che detta fue questa canzone, si venne a me uno, lo quale, secondo li gradi de l'amistade, è amico a me immediatamente dopo lo primo: e questi fue tanto distretto di sanguinitade con questa gloriosa, che nullo più presso l' era. E poi che fue meco a ragionare, mi pregò ch' io li dovessi dire alcuna cosa per una donna che s' era morta; e simulava sue parole, acciò che paresse che dicesse d' un' altra, la quale morta era certamente: onde io accorgendomi che questi dicea solamente per questa benedetta, sí li dissi di fare ciò, che mi domandava lo suo prego. Onde poi pensando a ciò, propuosi di fare uno sonetto, nel quale mi lamentassi alquanto, e di darlo a questo mio amico, acciò che paresse, che per lui l' avessi fatto; e dissi allora questo sonetto: Venite a 'ntender li sospiri miei, lo quale ha due parti: ne la prima chiamo li fedeli d'Amore che m' intendano; ne la seconda narro de la mia misera condizione. La seconda comincia quivi: li quai disconsolati [v. 3].
Venite a 'ntender li sospiri miei, oi cor gentili, ché pietà 'l disía: li quai disconsolati vanno via, e s' e' non fosser, di dolor morrei; però che gli occhi mi sarebber rei molte fïate più ch' io non vorría, lasso di pianger sí la donna mia, che sfogasser lo cor, piangendo lei. Voi udirete lor chiamar sovente la mia donna gentil, che si n' è gita al secol degno de la sua vertute; e dispregiar talora questa vita, in persona de l'anima dolente, abbandonata de la sua salute. |
Poi che detto ebbi questo sonetto, pensandomi che
questi era a cui lo intendea dare quasi come per lui fatto, vidi che povero mi parea lo
servigio e nudo a cosí distretta persona di questa gloriosa. E però anzi che li dessi
questo soprascritto sonetto, sí dissi due stanzie d'una canzone; l' una per costui
veracemente, e l' altra per me, avvegna che paia l' una e l' altra per una persona detta,
a chi non guarda sottilmente. Ma chi sottilmente le mira vede bene che diverse persone
parlano, acciò che l' una non chiama sua donna costei, e l' altra sí, come appare
manifestamente. Questa canzone e questo soprascritto sonetto lo diedi, dicendo io lui che
per lui solo fatto l'avea.
La canzone comincia: Quantunque volte, e ha due
parti: ne l' una, ciò è ne la prima stanzia, si lamenta questo mio caro e distretto a
lei; ne la seconda mi lamento io, ciò è ne l' altra stanzia, che comincia: E' si
raccoglie ne li miei [v. 14]. E cosí appare che in questa canzone si lamentano due
persone, l' una de le quali si lamenta come fratello, l' altra come servitore.
Quantunque volte, lasso! mi rimembra ch' io non debbo già mai veder la donna ond' io vo sí dolente, tanto dolore intorno 'l cor m' assembra la dolorosa mente, ch' io dico: «Anima mia, ché non ten vai? ché li tormenti, che tu porterai nel secol, che t' è già tanto noioso, mi fan pensoso di paura forte; ond' io chiamo la morte, come soave e dolce mio riposo; e dico: - Vieni a me - con tanto amore, che sono astioso di chïunque more». E' si raccoglie ne li miei sospiri un sòno di pietate, che va chiamando Morte tuttavia. A lei si volser tutti i miei disiri, quando la donna mia fu giunta da la sua crudelitate; per che 'l piacere de la sua bieltate, partendo sé da la nostra veduta, divenne spirital bellezza grande, che per lo cielo spande luce d'amor, che li angeli saluta e lo intelletto loro alto, sottile face maravigliar, sí v' è gentile. |
In quello giorno nel quale si compiea l' anno, che
questa donna era fatta de li cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte ne la quale,
ricordandomi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette: e mentre io lo disegnava,
volsi li occhi, e vidi lungo me uomini a li quali si convenía di fare onore. E'
riguardavano quello che io facea; e secondo che mi fu detto poi, elli erano stati già
alquanto anzi che io me ne accorgesse. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi:
«Altri era testé meco, però pensava». Onde partiti costoro, ritornai a la mia opera,
cioè del disegnare de li angeli: e facendo ciò, mi venne uno pensiero di dire parole,
quasi per annoale, e di scrivere a costoro li quali erano venuti a me; e dissi allora
questo sonetto, lo quale comincia: Era venuta; lo quale ha due cominciamenti, e
però lo dividerò secondo l' uno e secondo l' altro.
Dico che secondo lo primo, questo sonetto ha tre
parti: ne la prima dico che questa donna era già ne la mia memoria; ne la seconda dico
quello che Amore però mi facea; ne la terza dico de gli effetti d' Amore. La seconda
comincia quivi: Amor, che [v. 5]; la terza quivi: Piangendo uscivan for [v.
9]. Questa parte si divide in due: ne l' una dico che tutti li miei sospiri uscivano
parlando; ne la seconda dico che alquanti diceano certe parole diverse da gli altri. La
seconda comincia quivi: Ma quelli [v. 12]. Per questo medesimo modo si divide
secondo l' altro cominciamento, salvo che ne la prima parte dico quando questa donna era
cosí venuta ne la mia memoria, e ciò non dico ne l' altro.
Primo cominciamento Secondo cominciamento |
Era venuta ne la mente mia la gentil donna, che per suo valore fu posta da l'altissimo signore nel ciel de l' umiltate, ov' è Maria. Era venuta ne la mente mia Amor, che ne la mente la sentía, |
Poi per alquanto tempo, con ciò fosse cosa ched io fosse in parte, ne la quale mi ricordava del passato tempo, molto stava pensoso, e con dolorosi pensamenti, tanto che mi faceano parere de fore una vista di terribile sbigottimento. Onde io, accorgendomi del mio travagliare, levai li occhi per vedere se altri mi vedesse; Allora vidi una gentile donna giovane e bella molto, la quale da una finestra mi riguardava sí pietosamente, quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta. Onde, con ciò sia cosa che quando li miseri veggiono di loro compassione altrui più tosto si muovono a lagrimare, quasi come di loro medesimi avendo pietade, io sentii allora cominciare li miei occhi a volere piangere; e però, temendo di non mostrare la mia vile vita, mi partío dinanzi da gli occhi di questa gentile; e dicea poi fra me medesimo: «E' non puote essere, che con quella pietosa donna non sia nobilissimo amore». E però propuosi di dire un sonetto, nel quale io parlasse a lei, e conchiudesse in esso tutto ciò che narrato è in questa ragione. E però che per questa ragione è assai manifesto, sí nollo dividerò. Lo sonetto comincia:
Videro li occhi miei quanta pietate era apparita in la vostra figura, quando guardaste gli atti e la statura, ch' io faccio per dolor molte fïate. Allor m' accorsi che voi pensavate la qualità de la mia vita oscura, sí che mi giunse ne lo cor paura di dimostrar con li occhi mia viltate. E tolsimi dinanzi a voi, sentendo che si movean le lagrime dal core, ch' era sommosso da la vostra vista. Io dicea poscia ne l' anima trista: «ben è con quella donna quello Amore, lo qual mi face andar cosí piangendo». |
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998