Dante Alighieri

Vita Nuova

[Barbi - Codice K = Casini - Codice A]

XXXVI

      Avvenne poi che là 'vunque questa donna mi vedea, sí si facea d' una vista pietosa e d' un colore pallido quasi come d' amore: onde molte fiate mi ricordava de la mia nobilissima donna, che di simile colore si mostrava tuttavia. E certo molte volte non potendo lagrimare né sfogare la mia trestizia, io andava per vedere questa pietosa donna, la quale parea che tirasse le lagrime fori de li miei occhi per la sua vista. E però mi venne volontà di dire anche parole, parlando a lei, e dissi questo sonetto, lo quale comincia: Color d'amore; ed è piano sanza dividerlo, per la sua precedente ragione. E questo è desso:

[Sonetto XX]

Color d'amore e di pietà sembianti
non preser mai cosí mirabilmente
viso di donna, per veder sovente
occhi gentili o dolorosi pianti,
come lo vostro, qualora davanti
vedetevi la mia labbia dolente;
sí che per voi mi ven cosa a la mente,
ch' io temo forte non lo cor si schianti.
Io non posso tener li occhi distrutti
che non reguardin voi spesse fïate,
per desiderio di pianger ch' elli hanno:
e voi crescete sí lor volontate,
che de la voglia si consumâr tutti;
ma lagrimar dinanzi a voi non sanno.

XXXVII

      Io venni a tanto per la vista di questa donna, che li miei occhi si cominciaro a dilettare troppo di vederla; onde molte volte me ne crucciava nel mio cuore ed aveamene per vile assai; onde più volte bestemmiava la vanitade de li occhi miei, e dicea loro nel mio pensiero: «Or voi solevate fare piangere chi vedea la vostra condizione dolorosa, ed ora pare che vogliate dimenticarlo per questa donna che vi mira; che non mira voi, se non in quanto le pesa de la gloriosa donna di cui piangere solete; ma quanto potete fate, fate ché io la vi rimembrerò molto spesso, maladetti occhi! ché mai, se non dopo la morte, non dovrebbero le vostre lagrime aver restate». E quando cosí avea detto fra me medesimo a li miei occhi, e li sospiri m' assalivano grandissimi ed angosciosi. E acciò che questa battaglia ched io avea meco non rimanesse saputa pur dal misero che la sentía, propuosi di fare un sonetto, e di comprendere in ello questa orribile condizione. E dissi questo sonetto, lo quale comincia: L'amaro lagrimar, ed hae due parti: ne la prima parlo a gli occhi miei sí come parlava il mio cuore in me medesimo: ne la seconda rimuovo alcuna dubitazione, manifestando chi è chi cosí parla; e comincia questa parte quivi: Cosí dice [v. 14]. Potrebbe bene ancora ricevere più divisioni, ma sarebbero indarno, però che è manifesto per la precedente ragione. E questo è 'l sonetto che comincia:

[Sonetto XXI]

«L'amaro lagrimar che voi faceste,
oi occhi miei, cosí lunga stagione,
facea maravigliar l' altre persone
de la pietate, come voi vedeste.
Ora mi par che voi l' obliereste,
s' io fosse dal mio lato sí fellone,
ch' i' non ven disturbasse ogne cagione,
membrandovi colei cu' voi piangeste.
La vostra vanità mi fa pensare,
e spaventami sí, ch' io temo forte
del viso d' una donna che vi mira:
voi non dovreste mai, se non per morte,
la vostra donna, ch' è morta, obliare».
Cosí dice 'l mio core, e poi sospira.

XXXVIII

      Recommi la vista di questa donna in sí nova condizione, che molte volte ne pensava sí come di persona che troppo mi piacesse; e pensava di lei cosí: «Questa è una donna gentile, bella, giovane e savia, e apparita forse per volontà d'Amore, acciò che la mia vita si riposi». E molte volte pensava più amorosamente, tanto che 'l cuore consentiva in lui, ciò è nel suo ragionare. E quando io avea consentito ciò, e io mi ripensava sí come da la ragione mosso, e dicea fra me medesimo: «Deo, che pensiero è questo, che in cosí vil modo vuole consolar me e non mi lascia quasi altro pensare?» Poi si rilevava un altro pensiero, e diceami: «Or tu se' stato in tanta tribulazione, perché non vuoli tu ritrarre da tanta amaritudine? Tu vedi che questo è uno spiramento d'Amore, che ne reca li desii d'Amore dinanzi, ed è mosso da cosí gentil parte, com' è quella de gli occhi de la donna, che tanto pietosa ci s' ha mostrata». Onde io avendo cosí più volte combattuto in me medesimo, ancora ne volli dire alquante parole; e però che la battaglia de' pensieri vinceano coloro che per lei parlavano, mi parve che si convenisse di parlare a lei; e dissi questo sonetto, il quale comincia: Gentil pensero; e dico gentile in quanto ragionava di gentile donna, che per altro era vilissimo.
      In questo sonetto fo due parti di me, secondo che li miei pensieri erano divisi. L'una parte chiamo cuore, ciò è l' appetito; l' altra chiamo anima, ciò è la ragione; e dico come l' uno dice con l' altro. E che degno sia di chiamare l' appetito cuore, e la ragione anima, assai è manifesto a coloro, a cui mi piace che ciò sia aperto. Vero è che nel precedente sonetto io fo la parte del cuore contra quella de li occhi, e ciò pare contrario di quello che io dico nel presente; e però dico, che ivi lo cuore anche intendo per lo appetito, però che maggiore desiderio era 'l mio ancora di ricordarmi de la gentilissima donna mia, che di vedere costei, avvegna che alcuno appetito n' avessi già, ma leggero parea: onde appare che l' un detto non è contrario a l' altro. Questo sonetto ha tre parti: ne la prima comincio a dire a questa donna come lo mio desiderio si volge tutto verso lei; ne la seconda dico come l' anima, ciò è la ragione, dice al cuore, ciò è a lo appetito; ne la terza dico come le risponde. La seconda parte comincia quivi: L'anima dice [v. 5]; la terza quivi: E' le risponde [v. 9]. E questo è 'l sonetto, che comincia quivi:

[Sonetto XXII]

Gentil pensero, che parla di vui,
sen vene a dimorar meco sovente,
e ragiona d' amor sí dolcemente,
che face consentir lo core in lui.
L'anima dice al cor: «Chi è costui,
che vene a consolar la nostra mente;
ed è la sua vertù tanto possente,
ch' altro penser no lascia star con nui?»
E' le risponde: «Oi anima pensosa,
questi è uno spiritel novo d'amore,
che reca innanzi me li suoi desiri:
e la sua vita, e tutto 'l suo valore,
mosse de li occhi di quella pietosa,
che si turbava de' nostri martíri».

XXXIX

      Contra questo avversario de la ragione si levòe un díe, quasi ne l' ora de la nona, una forte imaginazione in me; ché mi parve vedere questa gloriosa Beatrice con quelle vestimenta sanguigne co le quali apparve prima a li occhi miei, e pareami giovane in simile etade in quale io primieramente sí la vidi. Allora cominciai a pensare di lei; e ricordandomi di lei secondo l' ordine del tempo passato, lo mio cuore cominciò dolorosamente a pentère de lo desiderio a cui sí vilmente s' avea lasciato possedere alquanti díe contra la costanzia de la ragione: e discacciato questo cotale malvagio desiderio, sí si rivolsero tutti li miei pensamenti a la loro gentilissima Beatrice. E dico che d'allora innanzi cominciai a pensare di lei sí con tutto lo vergognoso cuore, che li sospiri manifestavano ciò molte volte; però che tutti quasi diceano nel loro uscire quello che nel cuore si ragionava, ciò è lo nome di quella gentilissima, e come si partío da noi. E molte volte avvenía che tanto dolore avea in sé alcuno pensero, ch' io dimenticava lui e là dov' io era. Per questo raccendimento de' sospiri si raccese lo sollenato lagrimare in guisa, che li miei occhi pareano due cose che disiderassero pur di piangere; e spesso avvenía che per lo lungo continuare del pianto, dintorno loro si facea un colore purpureo, lo quale suole apparire per alcuno martirio che altri riceva; onde appare che de la loro vanitade fuoro degnamente guiderdonati; sí che d' allora innanzi non potero mirare persona che li guardasse, sí che loro potesse retrarre a simile intendimento. Onde io, volendo che cotale desiderio malvagio e vana intenzione paresse distrutto sí che alcuno dubbio non potessero inducere le rimate parole ch' io avea dette innanzi, propuosi di fare un sonetto nel quale io comprendesse la sentenzia di questa ragione. E dissi allora: Lasso! per forza di molti sospiri; e dissi lasso in quanto mi vergognava di ciò, che li miei occhi aveano cosí vaneggiato. Questo sonetto non divido, però che assai lo manifesta la sua ragione.

[Sonetto XXIII]

Lasso! per forza di molti sospiri,
che nascon de' pensier che son nel core,
li occhi son vinti, e non hanno valore
di riguardar persona che li miri.
E fatti son, che paion due disiri
di lagrimare e di mostrar dolore,
e spesse volte piangon sí, ch' Amore
li 'ncierchia di corona di martíri.
Questi penseri, e li sospir che io gitto,
diventan ne lo cor sí angosciosi,
ch' Amor vi tramortisce, sí lien dole;
però ch' elli hanno in lor li dolorosi
quel dolce nome di madonna scritto,
e de la morte sua molte parole.

XL

      Dopo questa tribulazione avvenne (in quel tempo che molta gente va per vedere quella imagine benedetta la quale Gesú Cristo lasciò a noi per esemplo de la sua bellissima figura, la quale vede la mia donna gloriosamente), che alquanti peregrini passavano per una via la quale è quasi mezzo de la cittade, ove nacque e vivette e morío la gentilissima donna; li quali peregrini andavano, secondo che mi parve, molto pensosi. Ond'io pensando a loro, dissi fra me medesimo: «Questi peregrini mi paiono di lontana parte, e non credo che anche udissero parlare di questa donna, e non ne sanno niente; anzi li loro pensieri sono d' altre cose che di queste qui; ché forse pensano de li loro amici lontani, li quali noi non conoscemo». Poi dicea fra me medesimo: «Io so che s' elli fossero di propinquo paese, in alcuna vista parrebbero turbati, passando per lo mezzo de la dolorosa cittade». Poi dicea fra me medesimo: «Se io li potesse tenere alquanto, io li pur farei piangere anzi ch' elli uscissero di questa cittade, però ched io direi parole, le quali farebbero piangere chiunque le intendesse».Onde, passati costoro da la mia veduta, propuosi di fare un sonetto, nel quale io manifestasse ciò che io avea detto fra me medesimo; e acciò che più paresse pietoso, propuosi di dire come se io avessi parlato a loro; e dissi questo sonetto, lo quale comincia: Deh peregrini che pensosi andate, e dissi peregrini secondo la larga significazione del vocabulo: ché peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo ed in uno stretto. In largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto non s' intende peregrino se non chiunque va verso la casa di sa' Jacopo o riede: e però è da sapere, che in tre modi si chiamano propriamente le genti, che vanno al servigio de l'Altissimo. Chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa' Iacopo fue più lontana de la sua patria, che d' alcuno altro apostolo; chiamansi romei in quanto vanno a Roma, là ove questi cu' io chiamo peregrini andavano. Questo sonetto non divido, però che assai lo manifesta la sua ragione.

[Sonetto XXIV]

Deh peregrini che pensosi andate
forse di cosa che non v' è presente,
venite voi da sí lontana gente,
com' a la vista voi ne dimostrate?
che non piangete quando voi passate
per lo suo mezzo la città dolente,
come quelle persone, che neente
par che 'ntendesser la sua gravitate.
Se voi restate per volerla udire,
certo lo cor de' sospiri mi dice,
che lagrimando n' uscireste pui.
Ell' ha perduta la sua Beatrice;
e le parole, ch' om di lei può dire,
hanno vertù di far piangere altrui.

XLI

      Poi mandaro due donne gentili a me pregando che io mandassi loro di queste mie parole rimate; onde io, pensando la loro nobilità, propuosi di mandare loro e di fare una cosa nuova, la quale io mandassi a loro con esse, acciò che più onorevolmente adempiessi li loro prieghi. E dissi allora un sonetto, lo quale narra del mio stato, e mandàlo a loro col precedente sonetto accompagnato, e con un altro che comincia: Venite a 'ntender. Lo sonetto, lo quale io feci allora, comincia: Oltre la spera; lo quale ha in sé cinque parti. Ne la prima dico là ove va lo mio pensero, nominandolo per lo nome d' alcuno suo effetto. Ne la seconda dico per che va là suso, ciò è chi 'l fa cosí andare. Ne la terza dico quello che vide, ciò è una donna onorata là suso: e chiamolo allora spirito peregrino, acciò che spiritualmente va là suso e sí come peregrino lo quale è fuori de la sua patria. Ne la quarta dico come elli la vede tale, cioè in tal qualitade, che io nol posso intendere, ciò è a dire che 'l mio pensiero sale ne la qualità di costei in grado che 'l mio intelletto nol puote comprendere; con ciò sia cosa che 'l nostro intelletto s' abbia a quelle benedette anime, sí come l'occhio debole al sole: e ciò dice lo Filosofo nel secondo de la Metafisica. Ne la quinta dico che, avvegna che io non possa intendere là ove lo pensero mi trae, ciò è a la sua mirabile qualitade, almeno intendo questo, ciò è che tutto è lo cotal pensare de la mia donna, però ch' io sento lo suo nome spesso nel mio pensiero: e nel fine di questa quinta parte dico donne mie care, a dare ad intendere che sono donne coloro a cu' io parlo. La seconda parte comincia quivi: Intelligenza nova [v. 3]; la terza quivi: Quand'elli è giunto [v. 5]; la quarta quivi: Vedela tal [v. 9]; la quinta quivi: So io che parla [v. 12]. Potrebbesi più sottilmente ancora dividere, e più sottilmente fare intendere; ma puotesi passare con questa divisione, e però non m' intrametto di più dividerlo. E questo è 'l sonetto, che comincia qui.

[Sonetto XXV]

Oltre la spera che più larga gira,
passa 'l sospiro ch' esce del meo core:
intelligenza nova, che l' Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.
Quand' elli è giunto là dove disira,
vede una donna, che riceve onore,
e luce sí, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.
Vedela tal, che quando 'l mi ridice,
io non lo 'ntendo, sí parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare.
So io che parla di quella gentile,
però che spesso recorda Beatrice,
sí ch' i' lo 'ntendo ben, donne mie care.

XLII

      Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sí com' ella sae veracemente. Sí che, se piacere sarà di colui, a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dire di lei quello che mai non fue detto d'alcuna. E poi piaccia a colui, che è sire de la cortesia, che la mia anima sen possa gire a vedere la gloria de la sua donna, ciò è di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui, qui est per omnia saecula benedictus. AMEN.


 
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© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi 
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998