Dante Alighieri
Vita Nuova
[Barbi - Codice K = Casini - Codice A]
Appresso non molti dí passati, sí come piacque al glorioso Sire lo quale non negoe la morte a sé, colui ch' era stato genitore di tanta maraviglia, quanta si vedea ch' era questa nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo, a la gloria eternale sen gío veracemente. Onde, con ciò sia cosa che cotale partire sia doloroso a coloro che rimangono, e sono stati amici di colui che se ne va; e nulla sia sí intima amistade, come da buono padre a buon figliuolo, e da buon figliuolo a buon padre; e questa donna fosse in altissimo grado di bontade, e 'l suo padre (sí come da molti si crede, e vero è) fossi bono in alto grado; manifesto è, che questa donna fue amarissimamente piena di dolore. E con ciò sia cosa che, secondo l'usanza de la sopradetta cittade, donne con donne e uomini con uomini si raunino a cotale tristizia, molte donne si raunarono colà, dove questa Beatrice piangea pietosamente: onde io veggendo ritornare alquante donne da lei, udío dire loro parole di questa gentilissima, com' ella si lamentava. Tra le quali parole udío che diceano: «Certo ella piange sí, che quale la mirasse dovrebbe morire di pietade». Allora trapassaro queste donne; ed io rimasi in tanta tristizia, che alcuna lagrima talora bagnava la mia faccia, onde io mi ricopría con porre le mani spesso a li miei occhi. E se non fosse ch' io attendea udire anche di lei (però ch' io era in luogo onde sen gíano la maggiore parte di quelle donne le quali da lei si dipartíano), io men sarei nascoso incontanente che le lagrime m' aveano assalito. E però dimorando ancora nel medesimo luogo, donne anche passaro presso di me, le quali andavano ragionando tra loro queste parole: «Chi dee mai essere lieta di noi, che avemo udita parlare questa donna cosí pietosamente?». Appresso di costoro passaro altre donne, che veníano dicendo: «Questi ch' è qui piange né piú né meno come se l'avesse veduta, come noi avemo». Altre diceano di poi di me: «Vedi questi che non pare esso; tale è divenuto». E cosí passando queste donne, udío parole di lei e di me in questo modo che detto è. Onde io poi pensando propuosi di dire parole, acciò che degnamente avea cagione di dire, ne le quali parole io conchiudessi tutto ciò che inteso avea da queste donne. E però che volentieri l' averei domandate, se non mi fosse stata riprensione, presi tanta matera di dire, come se io l'avessi domandate, ed elle m' avessero risposto. E feci due sonetti; ché nel primo domando, in quel modo che voglia mi giunse di domandare; ne l' altro dico la loro risponsione, pigliando ciò ch' io udío da loro, sí come lo m' avessero detto rispondendo. E comincia lo primo: Voi, che portate la sembianza umíle, e l' altro: Se' tu colui c' hai trattato sovente.
Voi, che portate la sembianza umíle, con li occhi bassi mostrando dolore, onde venite, che 'l vostro colore par divenuto de pietà simíle? Vedeste voi nostra donna gentile bagnar nel viso suo di pianto Amore? Ditelmi, donne, ché mel dice il core, perch' io vi veggio andar sanz' atto vile. E se venite da tanta pietate, piacciavi di restar qui meco alquanto, e qual che sia di lei, nol mi celate: io veggio gli occhi vostri c' hanno pianto, e veggiovi tornar sí sfigurate, che 'l cor mi trema di vederne tanto. |
Questo sonetto si divide in due parti. Ne la prima
chiamo e domando queste donne se vengono da lei, dicendo loro ch' io lo credo, imperò che
tornano quasi ingentilite. Ne la seconda le prego che mi dicano di lei. La seconda
comincia quivi: E se venite [v. 9].
Qui appresso è l'altro sonetto, sí come dinanzi
avemo narrato.
Se' tu colui, c' hai trattato sovente di nostra donna, sol parlando a nui? Tu risomigli a la voce pur lui, ma la figura ne par d'altra gente. E perché piangi tu sí coralmente, che fai di te pietà venire altrui? Vedestù pianger lei, che tu non pui punto celar la dolorosa mente? Lascia piangere a noi, e triste andare, (e' fa peccato chi mai ne conforta), che nel su' pianto l'udimmo parlare. Ell' ha nel viso la pietà sí scorta, che qual l'avesse voluta mirare sarebbe innanzi lei piangendo morta. |
Questo sonetto ha quattro parti, secondo che quattro modi di parlare ebbero in loro le donne per cu' rispondo. e però che son di sopra assai manifesti, non mi trametto di narrare la sentenzia de le parti, e però le distinguo solamente. La seconda comincia quivi: E perché piangi [v. 5]; la terza: Lascia piangere noi [v. 9]; la quarta: Ell' ha nel viso [v. 12].
Appresso ciò pochi dí, avvenne che in alcuna parte de la mia persona mi giunse una dolorosa infermitade, ond' io soffersi per nove dí amarissima pena; la quale mi condusse a tanta debolezza, che me convenía stare come coloro, li quali non si possono muovere. Io dico che nel nono giorno sentendo me dolere quasi intollerabilemente, a me giunse un pensero, lo quale era de la mia donna. E quando ebbi alquanto pensato di lei, ed io ritornai pensando a la mia debile vita; e veggendo come leggero era 'l suo durare, ancora che sano fosse, sí cominciai a piangere fra me stesso di tanta miseria. Onde sospirando forte, dicea fra me medesimo: «Di necessità conviene, che la gentilissima Beatrice alcuna volta si moia». E però mi giunse uno sí forte smarrimento, che chiusi gli occhi e cominciami a travagliare sí come farnetica persona ed a imaginare in questo modo: che nel cominciamento de l' errare che fece la mia fantasia, apparvero a me certi visi di donne scapigliate, che mi diceano: «Tu pur morrai». E poi, dopo queste donne, m' apparvero certi visi diversi e orribili a vedere, li quali mi diceano: «Tu se' morto». Cosí cominciando ad errare la mia fantasia, venni a quello, che non sapea ov' io mi fossi; e vedere mi parea donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente triste; e pareami vedere lo sole oscurare sí, che le stelle si mostravano di colore, ch' elle mi faceano giudicare che piangessero: e pareami che gli uccelli volando per l'aria cadessero morti, e che fossero grandissimi terremuoti. E maravigliandomi in cotale fantasia, e paventando assai, imaginai alcuno amico, che mi venisse a dire: «Or non sai? la tua mirabile donna è partita di questo secolo». Allora cominciai a piangere molto pietosamente; e non solamente piangea ne la immaginazione, ma piangea con gli occhi, bagnandoli di vere lagrime. Io imaginava di guardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine d' angeli li quali tornassero in suso, ed aveano dinanzi da loro una nebuletta bianchissima. A me parea che questi angeli cantassero gloriosamente; e le parole del loro canto mi parea udire che fossero queste: Osanna in excelsis; ed altro non mi parea udire. Allora mi parea che 'l cuore, ov' era tanto amore, mi dicesse: «Vero è che morta giace la nostra donna». E per questo mi parea andare per vedere lo corpo nel quale era stata quella nobilissima e beata anima. E fue sí forte la erronea fantasia, che mi mostrò questa donna morta: e pareami che donne la covrissero, ciò è la sua testa, con un bianco velo: e pareami che la sua faccia avesse tanto aspetto d'umilitade, che parea che dicesse: «Io sono a vedere lo principio de la pace». In questa imaginazione mi giunse tanta umilitade per vedere lei, che io chiamava la morte, e dicea: «Dolcissima Morte, vieni a me, e non m' essere villana, però che tu dèi essere gentile, in tal parte se' stata! or vieni a me che molto ti disidero: e tu 'l vedi, ch' i' porto già lo tuo colore». E quando io avea veduto compiere tutti li dolorosi mestieri, che a le corpora de' morti s' usano di fare, mi parea tornare ne la mia camera, e quivi mi parea guardare verso lo cielo: e sí forte era la mia imaginazione, che, piangendo incominciai a dire con verace voce: «Oi, anima bellissima, come è beato colui che ti vede!». E dicendo io queste parole con doloroso singulto di pianto, e chiamando la morte che venisse a me, una donna giovane e gentile, la quale era lungo 'l mio letto, credendo che 'l mio piangere e le mie parole fossero solamente per lo dolore de la mia infermitade, con grande paura cominciò a piangere. Onde altre donne che per la camera erano, s'accorsero di me, ched io piangea, per lo pianto che vedeano fare a questa: onde facendo lei partire da me, la quale era a me di propinquissima sanguinità congiunta, elle si trassero verso me per isvegliarmi, credendo ch' io sognasse, e diceanmi: «Non dormire più», e «non ti sconfortare». E parlandomi cosí, sí mi cessò la forte fantasia entro in quello punto ch' io volea dire: «O Beatrice, benedetta sie tu». E già detto avea: «O Beatrice», quando riscotendomi apersi li occhi, e vidi ch' io era ingannato; e con tutto ch' io chiamasse questo nome, la mia voce era sí rotta dal singulto del piangere, che queste donne non mi potettero intendere, secondo il mio parere. Et avvegna che io vergognassi molto, tuttavia per alcuno ammonimento d'Amore mi rivolsi a loro. E quando mi videro, cominciaro a dire: «Questi pare morto», e a dire tra loro: «procuriamo di confortarlo». Onde molte parole mi diceano da confortarmi, e talora mi domandavano di che io avessi avuto paura. Onde io, essendo alquanto riconfortato, e conosciuto lo fallace imaginare, rispuosi loro: «Io vi dirò quello ch' i' ho avuto». Allora cominciai dal principio infino a la fine e dissi loro quello che veduto avea, tacendo il nome di questa gentilissima. Onde poi, sanato di questa infermitade, propuosi di dire parole di questo che m' era divenuto, però che mi parea che fosse amorosa cosa da udire; e però ne dissi questa canzone: Donna pietosa e di novella etate, ordinata sí come manifesta la infrascritta divisione.
Donna pietosa e di novella etate, adorna assai di gentilezze umane, ch' era là ov' io chiamava spesso morte, veggendo li occhi miei pien di pietate, e ascoltando le parole vane, si mosse con paura a pianger forte; e altre donne, che si fuoro accorte di me per quella che meco piangía, fecer lei partir via, e approssimârsi per farmi sentire. Qual dicea: «Non dormire»; e qual dicea: «Perché sí ti sconforte?» Allor lassai la nova fantasia, chiamando il nome de la donna mia. Era la voce mia sí dolorosa e rotta sí da l'angoscia del pianto, ch' io solo intesi il nome nel mio core; e con tutta la vista vergognosa, ch' era nel viso mio giunta cotanto, mi fece verso lor volgere Amore. Elli era tale a veder mio colore, che facea ragionar di morte altrui: «Deh, consoliam costui» pregava l' una l' altra umilemente; e dicevan sovente: «Che vedestù, che tu non hai valore?» E quando un poco confortato fui, io dissi: «Donne, dicerollo a vui. Mentr' io pensava la mia frale vita, e vedea 'l suo durar com' è leggiero, piansemi Amor nel core, ove dimora; per che l'anima mia fu sí smarrita, che sospirando dicea nel pensero: - ben converrà che la mia donna mora. - Io presi tanto smarrimento allora, ch' io chiusi li occhi vilmente gravati, e furon sí smagati li spirti miei, che ciascun giva errando; e poscia imaginando, di conoscenza e di verità fora, visi di donne m' apparver crucciati, che mi dicean: - pur morràti, morràti. - Poi vidi cose dubitose molte, nel vano imaginar, dov'io entrai; ed esser mi parea non so in qual loco, e veder donne andar per via disciolte, qual lagrimando, e qual traendo guai, che di tristizia saettavan foco. Poi mi parve vedere a poco a poco turbar lo sole ed apparir la stella, e pianger elli ed ella; cader li augelli volando per l'âre, e la terra tremare; ed omo apparve scolorito e fioco, dicendomi: - Che fai? Non sai novella? morta è la donna tua, ch' era sí bella. - Levava li occhi miei bagnati in pianti, e vedea (che parean pioggia di manna), li angeli che tornavan suso in cielo, e una nuvoletta avean davanti, dopo la qual gridavan tutti: - Osanna, - e se altro avesser detto, a voi dirèlo. Allor diceva Amor: - Più nol ti celo; vieni a veder nostra donna che giace. - Lo imaginar fallace mi condusse a veder madonna morta; e quand' io l'ebbi scorta, vedea che donne la covrían d' un velo; ed avea seco umilità verace, che parea che dicesse: - Io sono in pace. - Io divenía nel dolor sí umile, veggendo in lei tanta umiltà formata, ch' io dicea: - Morte, assai dolce ti tegno; tu dèi omai esser cosa gentile, poi che tu se' ne la mia donna stata, e dèi aver pietate e non disdegno. Vedi che sí desideroso vegno d' esser de' tuoi, ch' io ti somiglio in fede. Vieni, ché 'l cor te chiede.- Poi mi partía, consumato ogni duolo; e quand' io era solo, dicea, guardando verso l'alto regno: - Beato, anima bella, chi ti vede! - Voi mi chiamaste allor, vostra mercede.» |
Questa canzone ha due parti: ne la prima dico, parlando a indifinita persona, com' io fui levato d' una vana fantasia da certe donne, e come promisi loro di dirla: ne la seconda dico, comeio dissi a loro. La seconda comincia quivi: Mentr'io pensava la mia frale vita [v. 29]. La prima parte si divide in due: ne la prima dico quello che certe donne, e che una sola, dissero e fecero per la mia fantasia, quanto è dinanzi ched io fossi tornato in verace condizione; ne la seconda dico quello che queste donne mi dissero, poi che io lasciai questo farneticare; e comincia questa parte quivi: Era la voce mia [v. 15]. Poscia quando dico: Mentr'io pensava, dico com' io dissi loro questa mia imaginazione; ed intorno a ciò fo due parti: ne la prima dico per ordine questa imaginazione; ne la seconda, dicendo a che ora mi chiamaro, le ringrazio chiusamente; e comincia quivi questa parte: Voi mi chiamaste [v. 84].
XXIV
Appresso questa vana imaginazione, avvenne un die che, sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io mi sentío cominciare un terremuoto nel cuore, cosí come io fossi stato presente a questa donna. Allora dico che mi giunse una imaginazione d'Amore: che mi parve vederlo venire da quella parte ove la mia donna stava; e pareami che lietamente mi dicesse nel cor mio: «Pensa di benedicere lo dí che io ti presi, però che tu lo dèi fare». E certo mi parea avere lo core sí lieto, che non mi parea che fosse lo mio cuore, per la sua nuova condizione. E poco dopo queste parole, che lo core mi disse con la lingua d'Amore, io vidi venire verso me una gentile donna, la quale era di famosa bieltade, e fu già molto donna di questo primo mio amico. E lo nome di questa donna era Giovanna, salvo che per la sua bieltade, secondo che altri crede, imposto l'era nome Primavera: e cosí era chiamata. E appresso lei, guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me cosí l' una appresso l' altra, e parve che Amore mi parlasse nel cuore, e dicesse: «Quella prima è nominata Primavera solo per questa venuta d'oggi; ché io mossi lo imponitore del nome a chiamarla cosí Primavera, ciò è prima verrà lo díe che Beatrice si mosterrà dopo la imaginazione del suo fedele. E se anco voli considerare lo primo nome suo, tanto è quanto dire prima verrà, però che lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni, lo quale precedette la verace luce, dicendo: Ego vox clamans in deserto: parate viam domini». Ed anche mi parve che mi dicesse, dopo, queste parole: «E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha meco». Onde io poi ripensando, propuosi di scrivere in rima al mio primo amico (tacendomi certe parole le quali pareano da tacere), credendo io che ancora lo suo cuore mirasse la bieltade di questa Primavera gentile. Dissi questo sonetto:
Io mi sentí' svegliar dentro a lo core un spirito amoroso che dormía: e poi vidi venir da lungi Amore allegro sí, che appena il conoscía, dicendo: «Or pensa pur di farmi onore»; e 'n ciascuna parola sua ridía. E, poco stando meco il mio segnore, guardando in quella parte, onde venía, io vidi monna Vanna e monna Bice venire invêr lo loco là ov' io era, l' una appresso de l' altra maraviglia: e sí come la mente mi ridice, Amor mi disse: «Quell' è Primavera, e quell' ha nome Amor, sí mi somiglia». |
Questo sonetto ha molte parti: la prima de le quali dice, come io mi sentí' svegliare lo tremore usato nel cuore, e come parve che Amore m' apparisse allegro da lunga parte; la seconda dice, come mi parea che Amore mi dicesse nel mio cuore, e quale mi parea; la terza dice come, poi che questi fue alquanto stato meco cotale, io vidi ed udío certe cose. La seconda parte comincia quivi: Dicendo: Or pensa pur di farmi onore [v. 5]; la terza quivi: E poco stando [v. 7]. La terza parte si divide in due: ne la prima dico quello ch' io vidi; ne la seconda dico quello ch' io udío; e comincia quivi: Amor mi disse [v. 13].
Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle ogni dubitazione, e dubitare potrebbe di ciò ch' io dico d'Amore, come se fosse una cosa per sé, e non solamente sustanzia intelligente, ma sí come fosse sustanzia corporale. La quale cosa, secondo la verità, è falsa; ché Amore non è per sé sí come sustanzia, ma è uno accidente in sustanzia. E che io dica di lui come se fosse corpo, e ancora sí come se fosse uomo, appare per tre cose che dico di lui. Dico che lo vidi venire; onde, con ciò sia cosa che venire lo dica moto locale, e localmente mobile per sé, secondo lo filosofo, sia solamente corpo, appare che io ponga Amore essere corpo. Dico anche di lui che ridea, ed anche che parlava; le quali cose paiono essere proprie de l'uomo, e spezialmente essere risibile; e però appare ch' io ponga lui essere uomo. A cotale cosa dichiarare, secondo che è buono a presente, prima è da intendere che anticamente non erano dicitori d'Amore in lingua volgare, anzi erano dicitori d'Amore certi poeti in lingua latina: tra noi, dico, avvegna forse che tra altra gente addivenisse, e addivegna ancora sí come in Grecia, non volgari ma litterati poeti queste cose trattavano. E non è molto numero d' anni passati, che apparirono prima questi poeti volgari; ché dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proporzione. E segno che sia picciolo tempo, è che, se volemo cercare in lingua d'oco e in lingua di sí, noi non troviamo cose dette anzi lo presente tempo per cento e cinquanta anni. E la cagione, per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sí. E 'l primo, che cominciò a dire sí come poeta volgare, si mosse però che volle fare intendere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d' intendere li versi latini. E questo è contra coloro, che rimano sopr' altra matera che amorosa, con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d' Amore. Onde, con ciò sia cosa che a li poeti sia conceduta maggiore licenza di parlare che a li prosaici dittatori, e questi dicitori per rima non siano altro che poeti volgari, degno è e ragionevole che, a loro sia maggiore licenzia largita di parlare, che a li altri parlatori volgari: onde, se alcuna figura o colore retorico è conceduto a li poeti, conceduto è a li rimatori. Dunque se noi vedemo, che li poeti hanno parlato a le cose inanimate sí come se avessero senso o ragione, e fattele parlare insieme; e non solamente cose vere, ma cose non vere (ciò è che detto hanno, di cose le quali non sono che parlano, e detto che molti accidenti parlano, sí come se fossero sustanzie ed uomini); degno è 'l dicitore per rima di fare lo somigliante, ma non sanza ragione alcuna, ma con ragione, la quale poi sia possibile ad aprire per prosa. Che li poeti abbiano cosí parlato, come detto è, appare per Virgilio; lo quale dice che Giuno, ciò è una dea nemica de li Troiani, parlòe ad Eolo, segnore de li venti, quivi nel primo de lo Eneida: Eole, nanque tibi, e che questo segnore le rispuose quivi: Tuus, o regina, quid optes explorare labor; mihi iussa capessere fas est. Per questo medesimo poeta parla la cosa, che non è animata, a le cose animate nel terzo de lo Eneida, quivi: Dardanide duri. Per Lucano parla la cosa animata a la cosa inanimata, quivi: Multum, Roma, tamen debes civilibus armis. Per Orazio parla l'uomo a la sua scienzia medesima, sí come ad altra persona; e non solamente sono parole d'Orazio, ma dicele quasi ne lo modo del buono Omero, quivi ne la sua Poetria: Dic mihi, Musa, virum. Per Ovidio parla Amore sí come se fosse persona umana, nel principio del libro c' ha nome Remedio d' Amore, quivi: Bella mihi, video, bella parantur, ait. E per questo puote essere manifesto a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello. E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che né li poeti parlano cosí sanza ragione, né quelli che rimano deono parlare cosí, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; però che grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cosa sotto vesta di figura o di colore retorico, e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento. E questo mio primo amico ed io ne sapemo bene di quelli che cosí rimano stoltamente.
Questa gentilissima donna, di cui ragionato è ne le precedenti parole, venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso d' alcuno, tanta onestade giungea nel cuore di quello, che non ardía di levare li occhi, né di rispondere al suo saluto; e di questo molti, sí come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi nollo credesse. Ella coronata e vestita d'umiltade s' andava, nulla gloria mostrando di ciò ch' ella vedea e udía. Diceano molti, poi che passata era: «Questa non è femina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». Ed altri diceano: «Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sí mirabilemente sae adoperare!». Io dico ch' ella si mostrava sí gentile e sí piena di tutti li piaceri, che quelli che la miravano comprendeano in loro una dolcezza onesta e soave tanto che ridire nollo sapeano; né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio non gli convenisse sospirare. Queste e più mirabili cose da lei procedeano virtuosamente. Onde io pensando a ciò, volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dire parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciò che non pur coloro che la poteano sensibilemente vedere, ma gli altri sappiano di lei quello che per le parole ne posso fare intendere. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia cosí:
Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia, quand' ella altrui saluta, ch' ogne lingua deven tremando muta, e gli occhi no l' ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente e d'umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta dal cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi sí piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che 'ntender nolla può chi nolla prova. E par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l' anima: Sospira. |
Questo sonetto è sí piano ad intendere, per quello che narrato è dinanzi, che non abbisogna d' alcuna divisione; e però lassando lui, dico che questa mia donna venne in tanta grazia, che non solamente ella era onorata e laudata, ma per lei erano onorate e laudate molte. Ond' io veggendo ciò e volendolo manifestare a chi ciò non vedea, propuosi anche di dire parole, ne le quali ciò fosse significato; e dissi allora questo sonetto, lo quale narra di lei come la sua vertude adoperava ne l' altre, sí come appare ne la sua divisione.
Vede perfettamente ogne salute chi la mia donna tra le donne vede; quelle, che vanno con lei, son tenute di bella grazia a dio render merzede. E sua beltate è di tanta vertute, che nulla invidia a l' altre ne procede, anzi le face andar seco vestute di gentilezza e d'amore e di fede. La vista sua fa onne cosa umíle; e non fa sola sé parer piacente, ma ciascuna per lei riceve onore. Ed è ne gli atti suoi tanto gentile, che nessun la si può recare a mente, che non sospiri in dolcezza d'amore. |
Questo sonetto ha tre parti; ne la prima dico tra che gente questa donna più mirabile parea; ne la seconda dico sí come era graziosa la sua compagnia; ne la terza dico di quelle cose che vertuosamente operava in altrui. La seconda parte comincia quivi: Quelle, che vanno [v. 3]; la terza quivi: E sua beltate [v. 5]. Questa ultima parte si divide in tre: ne la prima dico quello che operava ne le donne, ciò è per loro medesime; ne la seconda dico quello che operava in loro per altrui; ne la terza dico come non solamente ne le donne, ma in tutte le persone, e non solamente la sua presenza, ma, ricordandosi di lei, mirabilemente operava. La seconda comincia quivi: La vista sua [v. 9]; la terza quivi: Ed è ne gli atti [v. 12].
Appresso ciò, comincia' a pensare uno giorno sopra quello che detto avea de la mia donna, ciò è in questi due sonetti precedenti; e veggendo nel mio pensiero che io non avea detto di quello che al presente tempo adoperava in me, pareami difettivamente avere parlato; e però propuosi di dire parole, ne le quali io dicessi come mi parea essere disposto a la sua operazione, e come operava in me la sua vertude; e non credendo potere ciò narrare in brevitade di sonetto, cominciai allora una canzone, la quale comincia:
[Stanza]
Sí lungiamente m' ha tenuto Amore, e costumato a la sua segnoria, che sí com' elli m' era forte in pria, cosí mi sta soave ora nel core. Però quando mi tolle sí 'l valore, che li spiriti par che fuggan via, allor sente la frale anima mia tanta dolcezza, che 'l viso ne smore. Poi prende Amore in me tanta vertute, che fa li spirti miei gire parlando, ed escon for chiamando la donna mia, per darmi più salute. Questo m'avvene ovunqu' ella mi vede, e sí è cosa umil, che nol si crede. |
Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa canzone, e compiuta n' avea questa soprascritta stanzia, quando lo segnore de la giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto la 'nsegna di quella reina benedetta Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenzia ne le parole di questa Beatrice beata. E avvegna che forse piacerebbe a presente trattare alquanto de la sua partita da noi, non è lo mio intendimento di trattarne qui per tre ragioni: la prima che ciò non è del presente proposito, se volemo guardare nel proemio che precede questo libello; la seconda si è che, posto che fosse del presente proposito, ancora non sarebbe sufficiente la mia lingua a trattare, come si converrebbe, di ciò; la terza si è che, posto che fosse l' uno e l' altro, non è convenevole a me trattare di ciò, per quello che, trattando, converrebbe esser me laudatore di me medesimo, la qual cosa è al postutto biasimevole a chi lo fae: e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore. Tuttavia, perché molte volte lo numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, onde pare che sia non sanza ragione, e ne la sua partita cotale numero pare ch' avesse molto luogo, conviensi di dire quindi alcuna cosa, acciò che pare al proposito convenirsi. Onde prima dirò come ebbe luogo ne la sua partita, e poi n' assegnerò alcuna ragione, per che questo numero fue a lei cotanto
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998