Dante Alighieri

Vita Nuova

[Barbi - Codice K = Casini - Codice A]

XV

      Appresso la nuova trasfigurazione mi giunse uno pensamento forte, lo quale poco si partía da me, anzi continuamente mi riprendea, ed era di cotale ragionamento meco: «Poscia che tu pervieni a così dischernevole vista quando tu se' presso di questa donna, perché pur cerchi di vedere lei? Ecco che tu fossi domandato da lei: che avresti da rispondere, ponendo che tu avessi libera ciascuna tua vertude in quanto tu le rispondessi?» Ed a costui rispondea un altro umile pensiero, e dicea: «S' io non perdessi le mie vertudi, e fossi libero tanto ch' io le potessi rispondere, io le direi, che sí tosto com' io imagino la sua mirabile bellezza, sí tosto mi giugne un disiderio di vederla, lo quale è di tanta vertude, che uccide e distrugge ne la mia memoria ciò che contra lui si potesse levare; e però non mi ritraggono le passate passioni da cercare la veduta di costei». Onde io, mosso da cotali pensamenti, propuosi di dire certe parole, ne le quali, scusandomi a lei di cotale riprensione, ponessi anche di dire di quello che mi diviene presso di lei; e dissi questo sonetto, lo quale comincia cosí:

[Sonetto VIII]

Ciò che m'incontra ne la mente, more
quand' i' vegno a veder voi, bella gioia,
e quand' io vi son presso, io sento Amore,
che dice: «Fuggi se 'l perir t'è noia».
Lo viso mostra lo color del core,
che, tramortendo, ovunque può s'appoia;
e per la ebrietà del gran tremore
le pietre par che gridin: «Moia, moia».
Peccato face chi allora mi vide,
se l'alma sbigottita non conforta,
sol dimostrando che di me gli doglia,
per la pietà, che 'l vostro gabbo ancide,
la qual si cria ne la vista morta
de gli occhi, c' hanno di lor morte voglia.

      Questo sonetto si divide in due parti: ne la prima dico la cagione, per che non mi tengo di gire presso di questa donna; ne la seconda dico quello che mi diviene per andare presso di lei; e comincia questa parte quivi: E quand' io vi son presso [v. 3]. Anche, si divide questa seconda parte in cinque, secondo cinque diverse narrazioni: ché ne la prima dico quello che Amore consigliato da la ragione mi dice quando le so' presso; ne la seconda manifesto lo stato del cuore per esemplo del viso; ne la terza dico, sí come ogni sicurtà mi viene meno; ne la quarta dico che pecca quelli che non mostra pietà di me, acciò che mi sarebbe alcuno conforto; ne l'ultima dico perché altri dovrebbe avere pietà, e ciò è per la pietosa vista, che ne li occhi mi giunge; la qual vista pietosa è distrutta, ciò è non pare altrui, per lo gabbare di questa donna, lo qual trae a sua simile operazione coloro, che forse vedrebbero questa pietà. La seconda parte comincia quivi: Lo viso mostra [v. 5]; la terza quivi: E per la ebrietà [v. 7]; la quarta: Peccato face [v. 9]; la quinta: Per la pietà [v. 12].

XVI

      Appresso ciò ched io dissi, questo sonetto, mi mosse una volontà di dire anche parole, ne le quali io dicessi quattro cose ancora sopra 'l mio stato, le qua' non mi parea che fossero manifestate ancora per me. La prima de le quali si è che molte volte io mi dolea, quando la mia memoria movesse la fantasia ad imaginare quale Amor mi facea: la seconda si è ch' Amore spesse volte di subito m' assalía sí forte, che 'n me non rimanea altro di vita se non un pensero che parlava di questa donna: la terza si è che quando questa battaglia d'Amore mi pugnava cosí, io mi movea, quasi discolorato tutto, per vedere questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia, dimenticando quello che a propinquare a tanta gentilezza m' addivenía. La quarta si è come cotal veduta non solamente non mi difendea, ma finalmente disconfiggea la mia poca vita; e però dissi questo sonetto, lo qual comincia:

[Sonetto IX]

Spesse fïate vegnonmi a la mente
l' oscure qualità ch' Amor mi dona,
e vemmene pietà sí che sovente
io dico: «lasso! avviene egli a persona?»;
ch' Amor m' assale subitanamente
sí che la vita quasi m'abbandona:
campami un spirto vivo solamente,
e que' riman perché di voi ragiona.
Poi mi sforzo, ché mi voglio aitare;
e cosí smorto, e d'ogne valor vòto,
vegno a vedervi, credendo guerire:
e s' i' levo gli occhi per guardare,
nel cor mi si comincia un terremuoto,
che da' polsi fa l'anima partire.

      Questo sonetto si divide in quattro parti, secondo che quattro cose sono in esso narrate; imperò che son di sopra ragionate, non m'intrametto se non di strignere le parti per li loro cominciamenti; onde dico che la seconda parte comincia quivi: Ch' Amor [v. 5]; la terza quivi: Poi mi sforzo [v. 9]; la quarta quivi: E s' i' levo [v. 12].

XVII

      Poi che dissi questi tre sonetti, ne li quali parlai a questa donna, però che fuoro narratori di tutto quasi lo mio stato, credendomi tacere e non dire più però che mi parea di me aver assai manifestato, avvegna che sempre poi tacesse di dire a lei, a me convenne ripigliare matera nova e più nobile che la passata. E però che la cagione de la nova matera è dilettevole a udire, la dicerò quanto potrò più brievemente.

XVIII

      Con ciò sia cosa che per la vista mia molte persone avessero compreso lo secreto del mio cuore, certe donne, le quali raunate s' erano dilettandosi l' una ne la compagnia de l'altra, sapeano bene lo mio cuore, però che ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte. Ed io passando appresso di loro, sí come da la fortuna menato, fui chiamato da una di queste gentili donne; e quella, che m'avea chiamato, era di molto gentile parlare e leggiadro. Sí che quand' io fu' giunto dinanzi da loro, e vidi bene che la mia gentilissima donna non era con esse, rassicurandomi le salutai, e domandai che piacesse loro. Le donne erano molte, tra le quali n'avea certe che si rideano tra loro. Altre v'erano che mi guardavano aspettando che io dovessi dire. Altre v'erano simigliantemente che parlavano tra loro, de le quali una volgendo li suoi occhi verso me, e chiamandomi per nome, disse queste parole: «A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo». E poi che m'ebbe dette queste parole, non solamente ella, ma tutte l' altre cominciarono ad attendere in vista la mia risponsione. Allora dissi queste parole loro: «Madonne, lo fine del mio amore fue già lo saluto di questa donna, forse di cui voi intendete; ed in quello dimorava la beatitudine, ché era fine di tutti li miei desiderî. Ma poi che le piacque di negarlo a me, lo mio signore Amore, la sua mercede, ha posta tutta la mia beatitudine in quello, che non mi puote venire meno». Allora queste donne cominciaro a parlare tra loro; e sí come talora vedemo cadere l'acqua mischiata di bella neve, cosí mi pare udire le loro parole uscire mischiate di sospiri. E poi che alquanto ebbero parlato tra loro, anche mi disse questa donna, che m'avea prima parlato, queste parole: «Noi ti preghiamo che tu ci dichi dov' è questa questa tua beatitudine». Ed io rispondendole dissi cotanto: «In quelle parole che lodano la donna mia». Allora mi rispuose questa che mi parlava: «Se tu ne dicessi vero, quelle parole che tu n'hai dette innotificando la tua condizione, avrestù operate con altro intendimento». Ond' io pensando a queste parole, quasi vergognoso mi partío da loro, e venía dicendo fra me medesimo: «Poi ch' i' ebbi tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perché altro parlare è stato lo mio?». E però propuosi di prendere per matera del mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima; e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me, sí che non ardía di cominciare; e cosí dimorai alquanti dí con disiderio di dire e con paura di cominciare.

XIX

      Avvenne poi che, passando io per uno cammino, lungo lo quale sen gía uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade di dire, ched io incominciai a pensare lo modo ch'io tenesse; e pensai che parlare di lei non si convenía ched io facesse, sed io non parlassi a donne in seconda persona, e non ad ogni donna, ma solamente a coloro, che sono gentili, e che non sono pure femmine. Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa, e disse: Donne ch'avete intelletto d'amore. Queste parole io riposi ne la mente con grande letizia, pensando di prenderle per mio cominciamento: onde poi, ritornato a la sopradetta cittade, e pensando alquanti dí, cominciai una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione. La canzone comincia cosí:

[Canzone 1]

Donne, ch' avete intelletto d'amore,
io vo' con voi de la mia donna dire,
 non perch' io creda sua lauda finire,
ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che, pensando il suo valore,
Amor sí dolce mi si fa sentire,
che s' io allora non perdessi ardire,
farei, parlando, innamorar la gente.
E io non vo' parlar sí altamente,
ch' io divenissi per temenza vile;
ma tratterò del suo stato gentile
a respetto di lei leggeramente,
donne e donzelle amorose, con vui,
ché non è cosa da parlarne altrui.
Angelo clama il divino intelletto
e dice: «Sire, nel mondo si vede
maraviglia ne l'atto che procede
d' un' anima che 'nfin qua su risplende».
Lo cielo, che non ha altro difetto
che d'aver lei, al suo Segnor la chiede,
e ciascun santo ne grida merzede.
Sola pietà nostra parte difende,
ché parla dio, che di madonna intende:
«Diletti miei, or sofferite in pace,
che vostra speme sia quanto me piace
là, dov' è alcun che perder lei s'attende,
e che dirà ne lo inferno: - o malnati,
io vidi la speranza de' beati».
Madonna è desiata in sommo cielo:
or vo' di sua virtú farvi sapere.
Dico: qual vuol gentil donna parere
vada con lei; ché quando va per via,
gitta nei cor villani Amore un gelo,
per che ogne lor pensero agghiaccia e père;
e qual soffrisse di starla a vedere
diverría nobil cosa, o si morría:
e quando trova alcun che degno sia
di veder lei, quei prova sua vertute;
ché li avvien ciò che li dona salute,
e sí l'umilia, ch'ogni offesa obblía.
Ancor l' ha dio per maggior grazia dato,
che non può mal finir chi l' ha parlato.
Dice di lei Amor: «Cosa mortale
come esser può sí adorna e sí pura?»
Poi la reguarda, e fra sé stesso giura
che dio ne 'ntenda di far cosa nova.
Color di perle ha quasi in forma, quale
convene a donna aver, non for misura;
ella è quanto de ben può far natura;
per esempio di lei bieltà si prova.
De gli occhi suoi, come ch' ella li mova,
escono spirti d'amore infiammati,
che feron li occhi a qual, che allor la guati,
e passan sí che 'l cor ciascun retrova.
Voi le vedete Amor pinto nel viso,
là o' non pote alcun mirarla fiso.
Canzone, io so che tu girai parlando
a donne assai, quand' io t' avrò avanzata;
Or t'ammonisco, perch' io t' ho allevata
per figliuola d'Amor giovane e piana,
che là ove giugni, tu dichi pregando:
«Insegnatemi gir, ch' io son mandata
a quella di cui loda io somo ornata».
E se non vuoli andar, sí come vana,
non restare ove sia gente villana:
ingégnati, se puoi, d'esser palese
solo con donne o con uom cortese,
che ti merranno là per via tostana.
Tu troverai Amor con esso lei;
raccomandami a lui come tu dèi.

      Questa canzone, acciò che sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l'altre cose di sopra. E però prima ne fo tre parti. La prima parte è proemio de le seguenti parole; la seconda è lo 'ntento trattato; la terza è quasi una serviziale de le precedenti parole. La seconda comincia quivi: Angelo clama [v. 15]; la terza quivi: Canzone, io so che [v. 57]. La prima parte si divide in quattro: ne la prima dico a cu' io dicer voglio de la mia donna, e perché io voglio dire; ne la seconda dico quale me pare avere a me stesso quand' io penso lo suo valore, e come io direi s' io non perdessi l'ardimento; ne la terza dico come credo dire, acciò ch' io non sia impedito da viltà; ne la quarta ridicendo anche a cui ne intendea dire, dico la cagione per che dico a loro. La seconda comincia quivi: Io dico [v. 5]; la terza quivi: E io non vo' parlar [v. 9]; la quarta: Donne e donzelle [v. 13]. Poscia quando dico: Angelo clama, comincio a trattare di questa donna; e dividesi questa parte in due. Ne la prima dico che di lei si comprende in cielo; ne la seconda dico che di lei si comprende in terra, quivi: Madonna è desiata [v. 29]. Questa seconda parte si divide in due: ché ne la prima dico di lei quanto da la parte de la nobilitade de la sua anima, narrando alquante de le sue vertudi, che de la sua anima procedeano; ne la seconda dico di lei quanto da la nobiltà del suo corpo, narrando alquanto de le sue bellezze, qui: Dice di lei Amor [v. 43]. Questa seconda parte si divide in due: ché ne la prima dico d'alquante bellezze, che sono secondo tutta la persona; ne la seconda dico d'alquante bellezze, che sono secondo diterminata parte de la persona, quivi: De li occhi suoi [v. 51]. Questa seconda parte si divide in due; ché ne l' una dico de gli occhi, li quali sono principio de l' Amore; ne la seconda dico de la bocca, la quale è fine d' Amore. E acciò che quinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricordisi chi ci legge, che di sopra è scritto che 'l saluto di questa donna, lo quale era de le operazioni de la bocca sua, fue fine de li miei desiderî, mentre ch'io lo potei ricevere. Poi quando dico: Canzone, io so che tu, aggiungo una stanza quasi come ancella a le altre, ne la quale dico quello, che di questa mia canzone desidero. E però che in questa ultima parte è lieve a intendere, non mi travaglio di più divisioni. Dico bene, che a più aprire lo 'ntendimento di questa canzone si converrebbe usare di più minute divisioni; ma tuttavia chi non è di tanto ingegno, che per queste che sono fatte la possa intendere, a me non dispiace se la mi lascia stare, ché certo io temo d' avere a troppi comunicato lo suo intendimento, pur per queste divisioni che fatte sono, s' elli avvenisse che molti lo potessero audire.

XX

      Appresso che questa canzone fue alquanto divolgata tra le genti, con ciò fosse cosa che alcuno amico l'udisse, volontà lo mosse a pregarmi che io gli dovessi dire che è Amore, avendo forse, per le parole udite, speranza di me oltre che degna. Ond' io, pensando che appresso di cotale trattato, bello era trattare alquanto d' Amore, e pensando che l' amico era da servire, propuosi di dire parole, ne le quali io trattassi d'Amore; e allora dissi questo sonetto:

[Sonetto X]

Amore e 'l cor gentil sono una cosa,
sí come il saggio in su' dittare pone,
e cosí esser l' un sanza l' altro osa
com' alma razional sanza ragione.
Falli natura, quand' è amorosa,
Amor per sire e 'l cor per sua magione,
dentro la qual dormendo si riposa
tal volta poca, e tal lunga stagione.
Bieltate appare in saggia donna pui,
che piace a gli occhi sí, che dentro al core
nasce un disío de la cosa piacente:
e tanto dura talora in costui,
che fa svegliar lo spirito d'amore:
e simil face in donna omo valente.

      Questo sonetto si divide in due parti. Ne la prima dico di lui in quanto è in potenza; ne la seconda dico di lui in quanto di potenza si riduce in atto. La seconda comincia quivi: Bieltate appare [v. 9]. La prima si divide in due: ne la prima dico in che suggetto sia questa potenza, e ne la seconda dico sí come questo suggetto e questa potenza siano produtti in essere, e come l' uno guarda l' altro, come forma materia. La seconda comincia quivi: Falli natura [v. 5]. Poi quando dico: Bieltate appare, dico come questa potenza si riduce in atto; e prima come si riduce in uomo, poi come si riduce in donna, quivi: E simil face in donna [v. 14].

XXI

      Poscia che trattai d'Amore ne la soprascritta rima, vennemi volontà di dire anche, in loda di questa gentilissima parole, per le quali io mostrassi come per lei si sveglia quest' amore, e come non solamente si sveglia là dove dorme, ma là ove non è in potenza, ella mirabilemente operando lo fa venire. E allora dissi questo sonetto:

[Sonetto XI]

Ne li occhi porta la mia donna Amore,
per che si fa gentil ciò ch' ella mira;
ov' ella passa, ogni uom vêr lei si gira,
e cui saluta fa tremar lo core,
sí che, bassando il viso, tutto ismore,
e d'ogni suo difetto allor sospira:
fugge dinanzi a lei superbia ed ira.
Aiutatemi, donne, farle onore.
Ogne dolcezza, ogne pensero umile
nasce nel core a chi parlar la sente;
ond' è laudato chi prima la vide.
Quel ch' ella par quand' un poco sorride,
non si può dire né tenere a mente,
sí è novo miracolo e gentile.

      Questo sonetto si ha tre parti. Ne la prima dico sí come questa donna riduce questa potenza in atto secondo la nobilissima parte de' suoi occhi: e ne la terza dico questo medesimo, secondo la nobilissima parte de la sua bocca. E intra queste due parti è una particella, ch' è quasi domandatrice d'aiuto a la precedente parte ed a la seguente, e comincia quivi: Aiutatemi, donne [v. 8]. La terza comincia quivi: Ogne dolcezza [v. 9]. La prima si divide in tre; ché ne la prima parte dico sí come virtuosamente fae gentile tutto ciò che vede; e questo è tanto a dire, quanto inducere Amore in potenza là ove non è. Ne la seconda dico come reduce in atto Amore ne li cuori di tutti coloro cui vede. Ne la terza dico quello che poi virtuosamente adopera ne' loro cuori. La seconda comincia: Ov'ella passa [v. 3], la terza: E cui saluta [v. 4]. Poi quando dico: Aiutatemi, donne, do a intendere a cui la mia intenzione è di parlare, chiamando le donne che m'aiutino onorare costei. Poi quando dico: Ogne dolcezza, dico quello medesimo che detto è ne la prima parte, secondo due atti de la sua bocca; l' uno de' quali è 'l suo dolcissimo parlare, e l' altro lo suo mirabile riso; salvo che non dico di questo ultimo come adopera ne li cuori altrui, però che la memoria non puote ritenere lui, né sua operazione.


 
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998