Dante Alighieri

Vita Nuova

[Barbi - Codice K = Casini - Codice A]

VIII

      Appresso lo partire di questa gentil donna fu piacere del signore de li angeli di chiamare a la sua gloria una donna giovane di gentile aspetto molto, la quale fu assai graziosa in questa sopradetta cittade; lo cui corpo io vidi giacere sanza l'anima in mezzo di molte donne, le quali piangeano assai pietosamente. Allora, ricordandomi che già l'avea veduta fare compagnia a quella gentilissima, non poteo sostenere alquante lagrime; anzi piangendo mi propuosi di dire alquante parole de la sua morte in guiderdone di ciò, che alcuna fiata l'avea veduta con la mia donna. E di ciò toccai alcuna cosa ne l'ultima parte de le parole che io ne dissi, sí come appare manifestamente a chi lo 'ntende: e dissi allora questi due sonetti; de li quali comincia il primo: Piangete, amanti, il secondo: Morte villana.

[Sonetto III]

Piangete, amanti, poi che piange Amore,
udendo qual cagion lui fa plorare:
Amor sente a Pietà donne chiamare,
mostrando amaro duol per gli occhi fore,
perché villana Morte in gentil core
ha messo il suo crudele adoperare,
guastando ciò ch' al mondo è da laudare
in gentil donna, fuora de l'onore.
Udite quanto Amor le fece orranza,
ch' io 'l vidi lamentare in forma vera
sovra la morta imagine avvenente;
e riguardava verso 'l ciel sovente,
ove l' alma gentil già locata era,
che donna fue di sí gaia sembianza.

      Questo primo sonetto si divide in tre parti. Ne la prima chiamo e sollicito li fedeli d'Amore a piangere; e dico del signore loro che piange, e dico udendo la cagione per ch' e' piange, acciò che si acconcino più ad ascoltarmi; ne la seconda narro la cagione; ne la terza parlo d'alcuno onore che Amore fece a questa donna. La seconda parte comincia quivi: Amor sente [v. 3], la terza quivi: Udite [v. 9].

[Sonetto IV]

Morte villana, di pietà nemica,
di dolor madre antica,
giudicio incontastabile gravoso,
poi che hai data matera al cor doglioso,
ond' io vado pensoso,
di te blasmar la lingua s'affatica.
E s' io di grazia ti vo' far mendica,
convienesi ch'io dica
lo tuo fallar, d'ogni torto tortoso;
non però ch' a la gente sia nascoso,
ma per farne cruccioso
chi d'Amor per innanzi si notrica.
Dal secolo hai partita cortesia,
e, ciò ch' è in donna da pregiar, virtute:
in gaia gioventute
distrutta hai l'amorosa leggiadria.
Piú non voi' discovrir qual donna sia,
che per le propietà sue conosciute:
chi non merta salute,
non speri mai d'aver sua compagnia.

      Questo sonetto si divide in quattro parti: ne la prima parte chiamo la morte per certi suoi nomi propî; ne la seconda parlando a lei, dico la cagione per ch' io mi movo a biasimarla; ne la terza la vitupero; ne la quarta mi volgo a parlare a indifinita persona, avvegna che quanto al mio intendimento sia difinita. La seconda comincia quivi: Poi che hai data [v. 4]; la terza quivi: E s' io di grazia [v. 7]; la quarta quivi: Chi non merta salute [v. 19].

IX

      Appresso la morte di questa donna alquanti die, avvenne cosa, per la quale mi convenne partire de la sopradetta cittade, ed ire verso quelle parti, dov' era la gentile donna ch' era stata mia difesa, avvegna che non tanto fosse lontano il termine del mio andare, quanto ell' era. E tutto ch' io fossi a la compagnia di molti quanto a la vista, l' andare mi dispiacea sí, che quasi li sospiri non poteano disfogare l'angoscia che lo cuor sentia, però ch' io mi dilungava da la mia beatitudine. E però lo dolcissimo signore, il qual mi segnoreggiava per la vertù de la gentilissima donna, ne la mia imaginazione apparve come peregrino leggeramente vestito, e di vil drappi. Elli mi parea sbigottito, e guardava la terra, salvo che talora li suoi occhi mi parea che si volgessero ad un fiume bello e corrente e chiarissimo, lo quale sen gía lungo questo cammino là ov' io era.
      A me parve che Amore mi chiamasse, e dicessemi queste parole: «Io vengo da quella donna, la quale è stata tua lunga difesa, e so che 'l suo rivenire non sarà a gran tempi; e però quello cuore ch' io ti facea avere a lei, io l' ho meco, e portolo a donna, la qual sarà tua difensione, come questa era (e nominollami per nome, sí ch' io la conobbi bene). Ma tuttavia, di queste parole ch' io t' ho ragionate, se alcuna cosa ne dicessi, dillo nel modo che per loro non si discernesse 'l simulato amore, che tu hai mostrato a questa e che ti converrà mostrare ad altri». E dette queste parole, disparve questa mia imaginazione tutta subitamente, per la grandissima parte, che mi parve che Amore mi desse di sé; e, quasi cambiato ne la vista mia, cavalcai quel giorno pensoso e accompagnato da molti sospiri. Appresso lo giorno cominciai di ciò questo sonetto:

[Sonetto V]

Cavalcando l'altr' ier per un cammino,
pensoso de l'andar, che mi sgradía,
trovai Amore in mezzo de la via,
in abito legger di peregrino.
Ne la sembianza mi parea meschino,
come avesse perduto segnoria;
e sospirando pensoso venía,
per non veder la gente, a capo chino.
Quando mi vide, mi chiamò per nome,
e disse: «Io vegno di lontana parte,
ov'era lo tuo cor per mio volere;
e recolo a servir novo piacere».
Allora presi di lui sí gran parte,
ch' elli disparve, e non m'accorsi come.

      Questo sonetto ha tre parti: ne la prima parte dico sí come io trovai Amore, e quale mi parea; ne la seconda dico quello ch' elli mi disse, avvegna che non compiutamente per tema ch' avea di discovrire lo mio segreto; ne la terza dico com' elli mi disparve.La seconda comincia quivi: Quando mi vide [v. 9]; la terza: Allora presi [v. 13].

X

      Appresso la mia ritornata, mi misi a cercare di questa donna che 'l mio segnore m' avea nominata nel cammino de' sospiri; e acciò che 'l mio parlare sia più brieve, dico che in poco tempo la feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia; onde molte volte mi pensava duramente. E per questa cagione, ciò è di questa soverchievole voce che parea che m' infamasse viziosamente, quella gentilissima, la quale fu distruggitrice di tutti vizi e reina de le virtudi, passando per alcuna parte, mi negò lo suo dolcissimo salutare, nel quale stava tutta la mia beatitudine. Ed uscendo alquanto del proposito presente, voglio dare a 'ntendere quello che 'l suo salutare in me vertudiosamente operava.

XI

      Dico che quand' ella apparía da alcuna parte, per la speranza de la mirabile salute neun nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso; e chi allora m'avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente «Amore», con viso vestito d' umiltà. E quand' ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d'Amore, distruggiendo tutti gli altri spiriti sensitivi, pingea fori li deboletti spiriti del viso, e dicea loro: «Andate a onorare la donna vostra»; ed elli si rimanea nel luogo loro. E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremare de gli occhi miei. E quando questa gentilissima salute salutava, non che Amore fosse tal mezzo, che potesse obumbrare a me la intollerabile beatitudine, ma elli quasi per soverchio di dolcezza divenía tale, che 'l mio corpo, lo quale era tutto allora sotto 'l suo reggimento, molte volte si movea come cosa grave inanimata. Sí che appare manifestamente che ne le sue salute abitava la mia beatitudine, la quale molte volte passava e redundava la mia capacitate.

XII

      Ora tornando al proposito, dico che, poi che la mia beatitudine mi fu negata, mi giunse tanto dolore, che, partito me da le genti, in solinga parte andai a bagnare la terra d'amarissime lagrime: e poi che alquanto mi fue sollenato questo lagrimare, misimi ne la mia camera, là ov' io potea lamentarmi sanza essere udito. E quivi, chiamando misericordia a la donna de la cortesia, e dicendo: «Amore, aiuta 'l tuo fedele», m'addormentai, come un pargoletto battuto lagrimando. Avvenne quasi nel mezzo del mio dormire, che mi parea vedere ne la mia camera lungo me sedere uno giovane vestito di bianchissime vestimenta; e pensando molto quanto a la vista sua, mi riguardava là dov' io giacea, e quando m' avea guardato alquanto, pareami che sospirando mi chiamasse, e diceami queste parole: Fili mi, tempus est ut pretermittantur simulacra nostra. Allora mi parea che io 'l conoscesse, però che mi chiamava così come assai fiate ne li miei sonni m' avea già chiamato: e riguardandolo, parvemi che piangesse pietosamente, e parea che attendesse da me alcuna parola; ond' io, assicurandomi, cominciai a parlare così con esso: «Segnore de la nobiltade, e perché piangi tu?». E quelli mi dicea queste parole: Ego tanquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentie partes; tu autem non sic». Allora pensando a le sue parole, mi parea che m'avesse parlato molto oscuramente; sí ch'io mi sforzava di parlare, e diceali queste parole: «Che è ciò, signore, che mi parli con tanta oscuritade?». E que' mi dicea in parole volgari: «Non dimandare più che utile ti sia». E però cominciai allora con lui a ragionare de la salute la qual mi fue negata, e domandàlo de la cagione; onde in questa guisa da lui mi fue risposto: «Quella nostra Beatrice udío da certe persone, di te ragionando, che la donna la quale io ti nominai nel cammino de li sospiri, ricevea da te alcuna noia; e però questa gentilissima, la quale è contraria di tutte le noie, non degnò salutare la tua persona, temendo non fosse noiosa. Onde con ciò sia cosa che veracemente sia conosciuto per lei alquanto lo tuo secreto per lunga consuetudine, voglio che tu dichi certe parole per rima, ne le quali tu comprendi la forza ch' io tegno sopra te per lei, e come tu fosti suo tostamente da la tua puerizia. E di ciò chiama testimonio colui che lo sa, e come tu prieghi lui che gli le dica: ed io, che son quelli, volentieri le ne ragionerò; e per questo sentirà ella la tua volontà, la quale sentendo, conoscerà le parole de li ingannati. Queste parole fa che siano quasi un mezzo, sí che tu non parli a lei immediatamente, che non è degno; e nolle mandare in parte sanza me, dove potessero essere intese da lei, ma falle adornare di soave armonia, ne la quale io sarò tutte le volte che sarà mestiere». E, dette queste parole, disparve, e 'l mio sonno fue rotto. Onde io ricordandomi, trovai che questa visione m' era apparita ne la nona ora del díe; e anzi io uscisse de la detta camera, propuosi di fare una ballata, ne la quale io seguitassi ciò che 'l mio segnore m'avea proposto, e feci poi questa ballata, che comincia cosí:

[Ballata I]

Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore,
e con lui vade a madonna davante,
sí che la scusa mia, la qual tu cante,
ragioni poi con lei lo mio segnore.

Tu vai, ballata, sí cortesemente,
che senza compagnia
dovresti avere in tutte parti ardire:
ma, se tu vuoli andar sicuramente,
retrova l'Amor pria,
ché forse non è buon sanza lui gire:
però che quella che ti de' audire,
se, com' io credo, è vêr di me adirata,
e tu di lui non fossi accompagnata,
leggeramente ti faría disnore.

Con dolce sono, quando se' con lui,
comincia este parole,
appresso che averai chesta pietate:
«Madonna, quelli, che mi manda a vui,
quando vi piaccia, vole,
sed elli ha scusa, che la m' intendiate.
Amore è qui, che per vostra bieltate
lo face, come vol, vista cangiare:
dunque, perché li fece altra guardare
pensatel voi, da ch' e'non mutò 'l core».

Dille: «Madonna, lo suo core è stato
con sí fermata fede,
che 'n voi servir l' ha pronto ogne pensero:
tosto fu vostro, e mai non s'è smagato».
Sed ella non ti crede,
dí' che domandi Amor, sed egli è lo vero:
ed a la fine falle umil preghero,
lo perdonare se le fosse a noia,
che mi comandi per messo ch' eo moia;
e vedrassi ubidir ben servidore.

E dí' a colui ch' è d'ogni pietà chiave,
avante che sdonnei,
che le saprà contar mia ragion bona:
«Per grazia de la mia nota soave
reman tu qui con lei,
e del tuo servo, ciò che vuoi, ragiona;
e s'ella per tuo prego li perdona,
fa' che li annunzi un bel sembiante pace».
Gentil ballata mia, quando ti piace,
movi in quel punto, che tu n'aggie onore.

      Questa ballata in tre parti si divide: ne la prima dico a lei dov' ella vada, e confortola però che vada più sicura, e dico ne la cui compagnia si metta, se vuole sicuramente andare, e sanza pericolo alcuno; ne la seconda dico quello, che lei si pertiene di fare intendere; ne la terza la licenzio del gire quando vuole, raccomandando lo suo movimento ne le braccia de la sua fortuna. La seconda parte comincia quivi: Con dolce sono [v. 15]; la terza quivi: Gentil ballata [v. 43]. Potrebbe già l'uomo opporre contra me e dire, che non sapesse a cui fosse lo mio parlare in seconda persona, però che la ballata non è altro, che queste parole ched io parlo: e però dico che questo dubbio io lo intendo solvere e dichiarare in questo libello ancora in parte più dubbiosa; e allora intenda qui chi più dubita, o chi qui volesse opporre, in questo modo.

XIII

      Appresso di questa soprascritta visione, avendo già dette le parole, ch' Amore m'avea imposte di dire, mi cominciaro molti e diversi pensamenti a combattere ed a tentare, ciascuno quasi indefensibilemente: tra li quali pensamenti quattro m' ingombravano più lo riposo de la vita. L'uno de li quali era questo: buona è la signoria d'Amore, però che trae lo 'ntendimento del suo fedele da tutte le vili cose. L'altro era questo: non buona è la signoria d'Amore, però che quanto lo suo fedele più fede li porta, tanto più gravi e dolorosi punti li conviene passare. L'altro era questo: lo nome d'Amore è sí dolce a udire, che impossibile mi pare che la sua propria operazione sia ne le più cose altro che dolce, con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose, sí com' è scritto: Nomina sunt consequentia rerum. Lo quarto era questo: la donna per cui Amore ti stringe così, non è come l'altre donne, che leggeramente si mova del suo core. E ciascuno mi combattea tanto, che mi facea stare quasi come colui che non sa per qual via pigli il suo cammino, e che vuole andare e non sa onde se ne vada; e sed io pensava di volere cercare una comune via di costoro, cio è là dove tutti si accordassero, questa era molto inimica verso me, cioè di chiamare e di mettermi ne le braccia de la pietà. Ed in questo stato dimorando, mi giunse volontà di scrivere parole rimate; e dissine allora questo sonetto, lo qual comincia:

[Sonetto VI]

Tutti li miei penser parlan d'amore;
e hanno in loro sí gran varietate,
ch' altro mi fa voler sua potestate,
altro folle ragiona il suo valore,
altro sperando m'apporta dolzore,
altro pianger mi fa spesse fïate;
e sol s'accordano in cherer pietate,
tremando di paura ch' è nel core.
Ond' io non so da qual matera prenda;
e vorrei dire, e non so ch' i' mi dica:
cosí mi trovo in amorosa erranza!
E se con tutti voi' fare accordanza,
convenemi chiamar la mia nemica,
madonna la pietà, che mi difenda.

      Questo sonetto in quattro parti si divide: ne la prima dico e soppongo che tutti li miei pensieri parlano d'Amore; ne la seconda dico che sono diversi, e narro la loro diversitade; ne la terza dico in che tutti pare che s'accordino; ne la quarta dico che, volendo dire d'Amore, non so da qual parte pigli matera; e se la voglio pigliare da tutti, conviene ched io chiami la mia nemica, madonna la pietade, e dico madonna, quasi per disdegnoso modo di parlare. La seconda parte comincia quivi: E hanno in loro [v. 2]; la terza quivi: E sol s'accordano [v. 7]; la quarta quivi: Ond' io non so [v. 9].

XIV

      Appresso la battaglia de' diversi pensieri, avvenne che questa gentilissima venne in parte, dove molte gentili donne erano raunate; a la qual parte io fui condotto per amica persona, credendosi fare a me grande piacere in quanto mi menava là ove tante donne mostravano le lor bellezze. Onde io quasi non sappiendo a ch' io fossi menato, e fidandomi ne la persona, la quale un suo amico a l'estremità de la vita condotto avea, dissi a lui: «Perché siamo noi venuti a queste donne?». Allora que' mi rispuose: «Per fare sí ch'elle siano degnamente servite». E 'l vero è, che raunate quivi erano a la compagnia d'una gentile donna, che disposata era il giorno; e però, secondo l'usanza de la sopradetta cittade, convenía che le facessero compagnia nel primo sedere a la mensa che facea ne la magione del suo novello sposo. Sí ched io, credendomi fare piacere di questo amico, propuosi di stare al servigio de le donne ne la sua compagnia. E nel fine del mio proponimento parvemi sentire uno mirabile tremore incominciare nel mio petto da la sinistra parte, e distendersi di subito per tutte le parti del mio corpo. Allora dico ched io poggiai la mia persona simulatamente ad una pintura, la quale circundava questa magione: e temendo che altri non si fosse accorto del mio tremare, levai gli occhi, e, mirando le donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice. Allora fuoro sí distrutti li miei spiriti per la forza ch' Amore prese veggendosi in tanta propinquitade a la gentilissima donna, che non ne rimasero in vita più che li spiriti del viso; ed ancora questi rimasero fuori de li loro strumenti, però che Amore volea stare nel loro nobilissimo luogo per vedere la mirabile donna: e avvegna ched io fossi altro che prima, molto mi dolea di questi spiritelli, che si lamentavano forte, e diceano: «Se questi non ci infolgorasse cosí fuori del nostro luogo, noi potremmo stare a vedere la maraviglia di questa donna, così come stanno gli altri nostri pari». Io dico che molte di queste donne, accorgendosi de la mia trasfigurazione, si cominciaro a maravigliare, e ragionando si gabbavano di me con questa gentilissima: onde, di ciò accorgendosi l' amico mio di buona fede mi prese per la mano, e traendomi fuori de la veduta di queste donne, sí mi domandò che io avesse. Allora io riposato alquanto, e resurressiti li morti spiriti miei, e li discacciati rivenuti a le loro possessioni, dissi a questo mio amico queste parole: «Io tenni li piedi in quella parte de la vita, di là da la quale non si puote ire più per intendimento di ritornare». E partitomi da lui, mi ritornai ne la camera de le lagrime, ne la quale, piangendo e vergognandomi, fra me medesimo dicea: «Se questa donna sapesse la mia condizione, io non credo che cosí gabbasse la mia persona, anzi credo che molta pietà ne le verrebbe». Ed in questo pianto stando cosí, propuosi di dire parole, ne le quali, parlando a lei, significasse la cagione del mio trasfiguramento, e dicessi che io so bene ch' ella non è saputa, e che se fosse saputa, io credo che pietà ne giungerebbe altrui: e propuosile di dire, desiderando che venissero per avventura ne la sua audienza. Ed allora dissi questo sonetto, il quale comincia cosí:

[Sonetto VII]

Con l'altre donne mia vista gabbate,
e non pensate, donna, onde si mova
ch' io vi rassembri sí figura nova,
quando riguardo la vostra beltate.
Se lo saveste, non poría pietate
tener più contra me l' usata prova,
ché amor, quando sí presso a vo' mi trova,
prende baldanza e tanta securtate,
che fere tra' miei spiriti paurosi,
e quale ancide, e qual pinge di fora,
sí che solo remane a veder vui.
Ond' io mi cangio in figura d'altrui,
ma non sí, ch' io non senta bene allora
li guai de li scacciati tormentosi.

      Questo sonetto non divido in parti, però che la divisione non si fa, se non per aprire la sentenzia de la cosa divisa; onde, con ciò sia cosa che per la sua ragionata cagione assai sia manifesto, però non ha mestiere di divisione. Vero è che tra le parole, dove si manifesta la cagione di questo sonetto, si scrivono dubbiose parole; ciò è quando dico, che Amore uccide tutti li miei spiriti, e li visivi rimangono in vita, salvo che fuori de li strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simile grado fedele d'Amore; ed a coloro che vi sono è manifesto ciò che solverebbe le dubitose parole: e però non è bene a me di dichiarare cotale dubitazione, acciò che 'l mio parlare dichiarando sarebbe indarno, o vero di soperchio.


 
Biblioteca
 
indice
 
Capitoli
I-VII
 
Progetto Dante
 
Capitoli
XV-XXI
 
Fausernet

© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi 
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it

Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998