Dante Alighieri
LA DIVINA COMMEDIA
PARADISO
mercoledì 13 aprile | Cielo IV: Sole Intelligenze motrici: Potestà |
Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi l'Areopagita, Paolo Orosio, Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda, Riccardo di san Vittore, Sigieri di Brabante | Spiriti sapienti: fulgori che, disposti in tre corone concentriche, danzano e cantano intorno a Beatrice e Dante |
Comincia il canto decimo del Paradiso. Nel quale l'autor discrive come nel cielo del sole pervenissero, dove gli parla Tommaso d'Aquino, e nominagli più altri spiriti, li quali tutti furon gran letterati; e tra gli altri nomina Alberto di Cologna, Salomone e Boezio. |
Guardando nel suo Figlio
con l'Amore che l'uno e l'altro etternalmente spira, lo primo e ineffabile Valore quanto per mente e per loco si gira con tant'ordine fé, ch'esser non puote sanza gustar di lui chi ciò rimira. Leva dunque, lettore, a l'alte rote meco la vista, dritto a quella parte dove l'un moto e l'altro si percuote; e lì comincia a vagheggiar ne l'arte di quel maestro che dentro a sé l'ama, tanto che mai da lei l'occhio non parte. Vedi come da indi si dirama l'oblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama. Che se la strada lor non fosse torta, molta virtù nel ciel sarebbe in vano, e quasi ogne potenza qua giù morta; e se dal dritto più o men lontano fosse 'l partire, assai sarebbe manco e giù e sù de l'ordine mondano. Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, dietro pensando a ciò che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba; ché a sé torce tutta la mia cura quella materia ond'io son fatto scriba. Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura, con quella parte che sù si rammenta congiunto, si girava per le spire in che più tosto ognora s'appresenta; e io era con lui; ma del salire non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, anzi 'l primo pensier, del suo venire. E' Beatrice quella che sì scorge di bene in meglio, sì subitamente che l'atto suo per tempo non si sporge. Quant'esser convenia da sé lucente quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi, non per color, ma per lume parvente! Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami, sì nol direi che mai s'imaginasse; ma creder puossi e di veder si brami. E se le fantasie nostre son basse a tanta altezza, non è maraviglia; ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse. Tal era quivi la quarta famiglia de l'alto Padre, che sempre la sazia, mostrando come spira e come figlia. E Beatrice cominciò: «Ringrazia, ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo sensibil t'ha levato per sua grazia». Cor di mortal non fu mai sì digesto a divozione e a rendersi a Dio con tutto 'l suo gradir cotanto presto, come a quelle parole mi fec'io; e sì tutto 'l mio amore in lui si mise, che Beatrice eclissò ne l'oblio. Non le dispiacque; ma sì se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in più cose divise. Io vidi più folgór vivi e vincenti far di noi centro e di sé far corona, più dolci in voce che in vista lucenti: così cinger la figlia di Latona vedem talvolta, quando l'aere è pregno, sì che ritenga il fil che fa la zona. Ne la corte del cielo, ond'io rivegno, si trovan molte gioie care e belle tanto che non si posson trar del regno; e 'l canto di quei lumi era di quelle; chi non s'impenna sì che là sù voli, dal muto aspetti quindi le novelle. Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a' fermi poli, donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s'arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte. E dentro a l'un senti' cominciar: «Quando lo raggio de la grazia, onde s'accende verace amore e che poi cresce amando, multiplicato in te tanto resplende, che ti conduce su per quella scala u' sanza risalir nessun discende; qual ti negasse il vin de la sua fiala per la tua sete, in libertà non fora se non com'acqua ch'al mar non si cala. Tu vuo' saper di quai piante s'infiora questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia la bella donna ch'al ciel t'avvalora. Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino u' ben s'impingua se non si vaneggia. Questi che m'è a destra più vicino, frate e maestro fummi, ed esso Alberto è di Cologna, e io Thomas d'Aquino. Se sì di tutti li altri esser vuo' certo, di retro al mio parlar ten vien col viso girando su per lo beato serto. Quell'altro fiammeggiare esce del riso di Grazian, che l'uno e l'altro foro aiutò sì che piace in paradiso. L'altro ch'appresso addorna il nostro coro, quel Pietro fu che con la poverella offerse a Santa Chiesa suo tesoro. La quinta luce, ch'è tra noi più bella, spira di tal amor, che tutto 'l mondo là giù ne gola di saper novella: entro v'è l'alta mente u' sì profondo saver fu messo, che, se 'l vero è vero a veder tanto non surse il secondo. Appresso vedi il lume di quel cero che giù in carne più a dentro vide l'angelica natura e 'l ministero. Ne l'altra piccioletta luce ride quello avvocato de' tempi cristiani del cui latino Augustin si provide. Or se tu l'occhio de la mente trani di luce in luce dietro a le mie lode, già de l'ottava con sete rimani. Per vedere ogni ben dentro vi gode l'anima santa che 'l mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode. Lo corpo ond'ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro; ed essa da martiro e da essilio venne a questa pace. Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro d'Isidoro, di Beda e di Riccardo, che a considerar fu più che viro. Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri gravi a morir li parve venir tardo: essa è la luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidiosi veri». Indi, come orologio che ne chiami ne l'ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l'ami, che l'una parte e l'altra tira e urge, tin tin sonando con sì dolce nota, che 'l ben disposto spirto d'amor turge; così vid'io la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch'esser non pò nota se non colà dove gioir s'insempra. |
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mercoledì 13 aprile | Cielo IV: Sole Intelligenze motrici: Potestà |
Tommaso d'Aquino | Spiriti sapienti: fulgori che, disposti
in tre corone concentriche, danzano e cantano intorno a Beatrice e Dante Tommaso parla di San Francesco |
Comincia il canto decimoprimo del Paradiso. Nel quale Tommaso d'Aquino mirabilmente commentando onora San Francesco. |
O insensata cura de'
mortali, quanto son difettivi silogismi quei che ti fanno in basso batter l'ali! Chi dietro a iura, e chi ad amforismi sen giva, e chi seguendo sacerdozio, e chi regnar per forza o per sofismi, e chi rubare, e chi civil negozio, chi nel diletto de la carne involto s'affaticava e chi si dava a l'ozio, quando, da tutte queste cose sciolto, con Beatrice m'era suso in cielo cotanto gloriosamente accolto. Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s'era, fermossi, come a candellier candelo. E io senti' dentro a quella lumera che pria m'avea parlato, sorridendo incominciar, faccendosi più mera: «Così com'io del suo raggio resplendo, sì, riguardando ne la luce etterna, lituoi pensieri onde cagioni apprendo. Tu dubbi, e hai voler che si ricerna in sì aperta e 'n sì distesa lingua lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna, ove dinanzi dissi "U' ben s'impingua", e là u' dissi "Non nacque il secondo"; e qui è uopo che ben si distingua. La provedenza, che governa il mondo con quel consiglio nel quale ogne aspetto creato è vinto pria che vada al fondo, però che andasse ver' lo suo diletto la sposa di colui ch'ad alte grida disposò lei col sangue benedetto, in sé sicura e anche a lui più fida, due principi ordinò in suo favore, che quinci e quindi le fosser per guida. L'un fu tutto serafico in ardore; l'altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore. De l'un dirò, però che d'amendue si dice l'un pregiando, qual ch'om prende, perch'ad un fine fur l'opere sue. Intra Tupino e l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo, fertile costa d'alto monte pende, onde Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole; e di rietro le piange per grave giogo Nocera con Gualdo. Di questa costa, là dov'ella frange più sua rattezza, nacque al mondo un sole, come fa questo tal volta di Gange. Però chi d'esso loco fa parole, non dica Ascesi, ché direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole. Non era ancor molto lontan da l'orto, ch'el cominciò a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto; ché per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra; e dinanzi a la sua spirital corte et coram patre le si fece unito; poscia di dì in dì l'amò più forte. Questa, privata del primo marito, millecent'anni e più dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito; né valse udir che la trovò sicura con Amiclate, al suon de la sua voce, colui ch'a tutto 'l mondo fé paura; né valse esser costante né feroce, sì che, dove Maria rimase giuso, ella con Cristo pianse in su la croce. Ma perch'io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi; tanto che 'l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che già legava l'umile capestro. Né li gravò viltà di cuor le ciglia per esser fi' di Pietro Bernardone, né per parer dispetto a maraviglia; ma regalmente sua dura intenzione ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religione. Poi che la gente poverella crebbe dietro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe, di seconda corona redimita fu per Onorio da l'Etterno Spiro la santa voglia d'esto archimandrita. E poi che, per la sete del martiro, ne la presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che 'l seguiro, e per trovare a conversione acerba troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l'italica erba, nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno. Quando a colui ch'a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch'el meritò nel suo farsi pusillo, a' frati suoi, sì com'a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l'amassero a fede; e del suo grembo l'anima preclara mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara. Pensa oramai qual fu colui che degno collega fu a mantener la barca di Pietro in alto mar per dritto segno; e questo fu il nostro patriarca; per che qual segue lui, com'el comanda, discerner puoi che buone merce carca. Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote che per diversi salti non si spanda; e quanto le sue pecore remote e vagabunde più da esso vanno, più tornano a l'ovil di latte vòte. Ben son di quelle che temono 'l danno e stringonsi al pastor; ma son sì poche, che le cappe fornisce poco panno. Or, se le mie parole non son fioche, se la tua audienza è stata attenta, se ciò ch'è detto a la mente revoche, in parte fia la tua voglia contenta, perché vedrai la pianta onde si scheggia, e vedra' il corrègger che argomenta "U' ben s'impingua, se non si vaneggia"». |
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mercoledì 13 aprile | Cielo IV: Sole Intelligenze motrici: Potestà |
Bonaventura da Bagnoregio, Illuminato da Rieti, Ugo di San Vittore, Pietro Mangiadore, Pietro Ispano, Natan, Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta, Elio Donato, Rabano Mauro, Gioacchino da Fiore. | Spiriti sapienti: fulgori che, disposti
in tre corone concentriche, danzano e cantano intorno a Beatrice e Dante - polemica contro la discordia all'interno dell'ordine francescano. |
Comincia il canto decimosecondo del Paradiso. Nel quale l'autore Bonaventura da Bagnorea mirabilmente parla di San Domenico, e nomina più altri beati spiriti, li quali quivi dice gloriarsi. |
Sì tosto come l'ultima
parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse; canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch'e' refuse. Come si volgon per tenera nube due archi paralelli e concolori, quando Iunone a sua ancella iube, nascendo di quel d'entro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga ch'amor consunse come sol vapori; e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noè puose, del mondo che già mai più non s'allaga: così di quelle sempiterne rose volgiensi circa noi le due ghirlande, e sì l'estrema a l'intima rispuose. Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande, sì del cantare e sì del fiammeggiarsi luce con luce gaudiose e blande, insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch'al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi; del cor de l'una de le luci nove si mosse voce, che l'ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove; e cominciò: «L'amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de l'altro duca per cui del mio sì ben ci si favella. Degno è che, dov'è l'un, l'altro s'induca: sì che, com'elli ad una militaro, così la gloria loro insieme luca. L'essercito di Cristo, che sì caro costò a riarmar, dietro a la 'nsegna si movea tardo, sospeccioso e raro, quando lo 'mperador che sempre regna provide a la milizia, ch'era in forse, per sola grazia, non per esser degna; e, come è detto, a sua sposa soccorse con due campioni, al cui fare, al cui dire lo popol disviato si raccorse. In quella parte ove surge ad aprire Zefiro dolce le novelle fronde di che si vede Europa rivestire, non molto lungi al percuoter de l'onde dietro a le quali, per la lunga foga, lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, siede la fortunata Calaroga sotto la protezion del grande scudo in che soggiace il leone e soggioga: dentro vi nacque l'amoroso drudo de la fede cristiana, il santo atleta benigno a' suoi e a' nemici crudo; e come fu creata, fu repleta sì la sua mente di viva vertute, che, ne la madre, lei fece profeta. Poi che le sponsalizie fuor compiute al sacro fonte intra lui e la Fede, u' si dotar di mutua salute, la donna che per lui l'assenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto ch'uscir dovea di lui e de le rede; e perché fosse qual era in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto. Domenico fu detto; e io ne parlo sì come de l'agricola che Cristo elesse a l'orto suo per aiutarlo. Ben parve messo e famigliar di Cristo: che 'l primo amor che 'n lui fu manifesto, fu al primo consiglio che diè Cristo. Spesse fiate fu tacito e desto trovato in terra da la sua nutrice, come dicesse: 'Io son venuto a questo'. Oh padre suo veramente Felice! oh madre sua veramente Giovanna, se, interpretata, val come si dice! Non per lo mondo, per cui mo s'affanna di retro ad Ostiense e a Taddeo, ma per amor de la verace manna in picciol tempo gran dottor si feo; tal che si mise a circuir la vigna che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo. E a la sedia che fu già benigna più a' poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna, non dispensare o due o tre per sei, non la fortuna di prima vacante, non decimas, quae sunt pauperum Dei, addimandò, ma contro al mondo errante licenza di combatter per lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante. Poi, con dottrina e con volere insieme, con l'officio appostolico si mosse quasi torrente ch'alta vena preme; e ne li sterpi eretici percosse l'impeto suo, più vivamente quivi dove le resistenze eran più grosse. Di lui si fecer poi diversi rivi onde l'orto catolico si riga, sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. Se tal fu l'una rota de la biga in che la Santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua civil briga, ben ti dovrebbe assai esser palese l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu sì cortese. Ma l'orbita che fé la parte somma di sua circunferenza, è derelitta, sì ch'è la muffa dov'era la gromma. La sua famiglia, che si mosse dritta coi piedi a le sue orme, è tanto volta, che quel dinanzi a quel di retro gitta; e tosto si vedrà de la ricolta de la mala coltura, quando il loglio si lagnerà che l'arca li sia tolta. Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio nostro volume, ancor troveria carta u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio"; ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali a la scrittura, ch'uno la fugge e altro la coarta. Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che ne' grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura. Illuminato e Augustin son quici, che fuor de' primi scalzi poverelli che nel capestro a Dio si fero amici. Ugo da San Vittore è qui con elli, e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, lo qual giù luce in dodici libelli; Natàn profeta e 'l metropolitano Crisostomo e Anselmo e quel Donato ch'a la prim'arte degnò porre mano. Rabano è qui, e lucemi dallato il calavrese abate Giovacchino, di spirito profetico dotato. Ad inveggiar cotanto paladino mi mosse l'infiammata cortesia di fra Tommaso e 'l discreto latino; e mosse meco questa compagnia». |
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© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998