Giuseppe Bonghi
Biografia
di
Giacomo Leopardi
prima parte l'infanzia |
seconda parte la giovinezza |
terza parte i grandi idilli |
quarta parte la ginestra |
"Cangiando spesse volte il luogo della mia dimora, e fermandomi dove
più dove meno o mesi o anni, m'avvidi che io non mi trovava mai contento, mai nel mio
centro, mai naturalizzato in luogo alcuno, comunque per altro ottimo, finattantochè io
non aveva delle rimembranze da attaccare a quel tal luogo, alle stanze dove io dimorava,
alle vie, alle case che io frequentava; le quali rimembranze non consistevano in altro che
in poter dire: qui fui tanto tempo fa; qui, tanti mesi sono, feci, vidi, udii la tal cosa;
cosa che del resto non sarà stata di alcun momento; ma la ricordanza, il potermene
ricordare, me la rendeva importante e dolce. Ed è manifesto che questa facoltà e copia
di ricordanze annesse ai luoghi abitati da me, io non poteva averla se non con successo di
tempo, e col tempo non mi poteva mancare. Però io era sempre tristo in qualunque luogo
nei primi mesi, e coll'andar del tempo mi trovava sempre divenuto contento ed affezionato
a qualunque luogo."
Così scriveva di
sé Leopardi nello Zibaldone mentre si trovava in Firenze il 23 luglio 1827, quando stava
per cominciare la sua grande stagione poetica.
Spesso ha cambiato città: Roma, Bologna,
Milano, Firenze, Pisa, Napoli e ovviamente Recanati le città nelle quali ha abitato e
lasciato una traccia evidente del suo passaggio, mai
naturalizzato in luogo alcuno, neanche nella sua Recanati, di cui sentiva una
vaga nostalgia quando si trovava lontano, ed è la stessa nostalgia che soffrono gli esuli
quando si trovano lontano dalla patria, perché viene a mancare qualcosa che sia in grado
di dare veramente sicurezza. L'esule, come dicono i francesi, sarà sempre un déraciné, uno sradicato, sempre legato alla terra
d'origine, anche quando tutti i legami sembrano spezzati, e mai inserito veramente nella
terra d'arrivo, nella quale si vive la vita come sospesi in un vuoto che non è vuoto
perché c'è l'esistenza da affrontare giorno per giorno.
Leopardi vive sospeso tra la speranza di
qualcosa di veramente vivo in cui trovarsi bene e realizzarsi e la disillusione creata da
una realtà quotidiana che non è mai quella che si aspettava; crede che tutti gli uomini
debbano essere pronti a riconoscere in lui un uomo e magari un uomo superiore, ma ben
presto resta disilluso dal fatto che tutti gli uomini pensano innanzitutto a se stessi e
che la solidarietà resta un fatto puramente letterario. In ogni luogo si trova privo di
ogni speranza, una privazione che, succeduta al suo primo ingresso nel mondo, a poco a
poco spegne in lui quasi ogni desiderio, per cui si trova "nella
strana situazione di aver molta più speranza che desiderio, e più speranze che desiderii
ec. (Pisa. 19. 1828.)". Siamo nel mese di gennaio del 1828.
Sono giorni di chiarificazione intima per
arrivare a una accettabile collocazione della propria esistenza nel mondo e preparano il
terreno alla poesia dei Grandi Idilli: "Uno de'
maggiori frutti che io mi propongo e spero da' miei versi, è che essi riscaldino la mia
vecchiezza col calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provar
qualche reliquia de' miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle
durata, quasi in deposito; è di commuover me stesso in rileggerli, come spesso mi accade,
e meglio che in leggere poesie d'altri: (Pisa. 15. Apr. 1828.) oltre la rimembranza, il
riflettere sopra quello ch'io fui, e paragonarmi meco medesimo; e in fine il piacere che
si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le
bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con altra soddisfazione, che di aver fatta
una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui. (Pisa. 15. Feb.
ult. Venerdì di Carnevale. 1828.)."
© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 30 novembre 1999