Giuseppe Bonghi
Biografia
di
Giacomo Leopardi
Seconda parte
La giovinezza
1817-1818
Il 1817 è un anno assai importante non solo per la formazione culturale, ma anche per la sua esistenza. Nel mese di marzo, infatti, comincia la sua corrispondenza epistolare con Pietro Giordani. Allinizio dellanno invia una copia della sua traduzione del secondo libro dellEneide ai tre letterati più in vista in quel momento: Vincenzo Monti, Angelo Mai e Pietro Giordani, accompagnando i tre manoscritti con lettere umili ma che denotavano le grandi aspettative del giovane. Monti risponde complimentandosi con formalità; Angelo Mai consiglia a Giacomo di uscire da Recanati; col Giordani comincia un vero e proprio scambio epistolare.
"La prima lettera dellAbate fu, in verità, cortese ma laconica; le lusinghe espresse da Giacomo erano state così eccessive chegli temeva di essere canzonato. Ma quando seppe dalleditore di Leopardi quanto giovane era lo scrittore, ed ebbe letto più attentamente il suo lavoro, fece partire in gran fretta una seconda lettera." (Origo, cit. p. 110)
Per la prima volta
scrive ad una persona che è veramente disposta ad ascoltarlo, a leggere i suoi sfoghi ma
anche le sue aspettative e i suoi dubbi culturali ed esistenziali, a dargli aiuti e
consigli, ad offrirgli amicizia. Abbiamo così le confidenze, gli sfoghi di un ragazzo che
vede ormai intorno a sé tristezza e malinconia che lo studio accresce e sente di vivere
in un clima mutabile e umido che non è solo quello meteorologico, ma soprattutto quello
spirituale. Giordani promette di andare a trovare il giovane amico, e dopo tanti
tentennamenti, durati più dun anno, finalmente arriva a Recanati il 10 settembre
1818 (Origo, cit. pag. 117) e vi resta per cinque giorni, che avranno per tutta la
famiglia Leopardi un grandissimo peso sia perché porteranno Giacomo a prendere definitiva
coscienza di sé e della propria misera condizione a Recanati e nella casa paterna che
ormai sentiva troppo stretta per le sue aspirazioni, sia per i due genitori, e per Monaldo
in particolare che si rimprovererà " di aver acconsentito, fatto senza precedenti,
che Giacomo accompagnasse il Giordani dalla mattina alla sera a Macerata", una
giornata in cui comincerà linfluenza diabolica del maturo abate sul giovane
inesperto.
Nei due mesi successivi al soggiorno
recanatese di Giordani, Leopardi compone AllItalia
(settembre 1818) e Sopra il Monumento di Dante
(settembre-ottobre 1818), due Canzoni che avranno una larga eco non solo per il contenuto
patriottico (di cui tra laltro parleranno Settembrini, Carducci e De Sanctis), che
anticipa largamente gli umori risorgimentali, ma anche perché rivelatori di un Grande
della Letteratura; ma sono due Canzoni che susciteranno molta apprensione in Monaldo, uomo
timoroso e rispettoso della legge, che già aveva subito, come abbiamo visto, una brutta
avventura colle truppe francesi nel 1801. Monaldo si preoccupava che Giacomo abbracciava
gli ideali che erano professati da oscuri cospiratori, da patrioti carbonari di provincia
che ben pochi legami comunque avevano colla vasta rete carbonara delle grandi città, ma
che pure rendevano talvolta torbida latmosfera della piccole cittadine come
Recanati.
La presenza del Giordani nella vita di
Leopardi è importante soprattutto perchè attraverso lo scambio epistolare Giacomo prende
coscienza della propria situazione concreta, della propria orrenda e infelicissima vita:
prima la conosce soltanto, ora ne prende coscienza e questo prendere coscienza lo porta a
prendere le distanze da quella vita, a voler fuggire da Recanati rifiutando tutto quanto
il paese e la famiglia hanno rappresentato per lui: da un lato vengono messi la casa
paterna e Recanati ormai intesi come carcere, la arretrata cultura della Marca Picena e in
genere dello Stato Pontificio, dallaltro lato "le sue aspirazioni di vita, i
suoi ideali liberali e patriottici, la sua crescente spregiudicatezza religiosa e
filosofica, la sua ansia di intervento e collaborazione nella cultura più vasta del
proprio tempo. Così scrive Walter Binni:
Lincontro con Pietro Giordani di cui il giovane Leopardi sentì il fascino della personalità non grande, ma certo generosa, ... fu eccezionalmente fecondo e decisivo quanto più si consideri lobbiettiva superiorità del Giordani rispetto allambiente erudito-letterario fino allora sperimentato da Leopardi, limmagine alta che il giovane se ne fece in questo periodo e la situazione di un giovane, bisognoso di unamicizia appassionata e liberatrice... Quellincontro permetteva al Leopardi di espandere pienamente il suo animo, riboccante di affetti e di tensioni ideali e culturali ..., come gli permetteva, nel dialogo con lamico così fervidamente acuto nellintuizione e nel riconoscimento della sua grandezza, di prendere più chiara coscienza di sè, della propria nobiltà spirituale e morale, del proprio bisogno di vita e della propria situazione bloccata e infelice...
1819: la conversione filosofica
Il 1819 è un anno
molto intenso per lattività poetica del Leopardi: nei primi mesi coi tipi di
Bourlié a Roma, ma con la data del 1818, con una lettera dedicatoria a Vincenzo Monti,
escono le due canzoni citate e soprattutto matura la cosiddetta conversione filosofica,
cioè il passaggio dalla condizione antica, caratterizzata dal dominio della
fantasia generatrice di poesia, alla condizione moderna, caratterizzata dalla
dolorosa scoperta dellarido vero, che è "l'affogamento
che nasce dalla certezza e dal sentimento vivo della nullità di tutte le cose, e della
impossibilità di esser felice a questo mondo, e dalla immensità del vuoto che si sente
nell'anima" (Zibaldone). Dal mese di marzo è costretto per una malattia
agli occhi a restare quasi al buio per nove mesi: Da Marzo in qua mi perseguita unostinatissima debolezza de
nervi oculari che mimpedisce non solamente ogni lettura, ma anche ogni contenzione
di mente, scrive al Giordani il 21 giugno e sempre a Giordani torna a scrivere
il 26 luglio: sono quattro mesi che mhanno lasciato essi
per debolezza docchi, e la mia vita è spaventevole. Nelletà che le
complessioni ordinariamente si rassodano, io vo scemando ogni giorno di vigore, e le
facoltà temporali mi abbandonano a una a una.). "Linfermità del
1819 è lo stato in cui Leopardi studia se stesso. Senza una tale pausa dalla
"distrazione" dei libri, durante la quale "si volge a pensare", non
potrebbero stagliarsi sul cielo nero di Recanati le prime stelle di poesia
leopardiana" (Damiani, Album Leopardi,
p. 61). Leopardi si dà alla meditazione: passa dallaspetto filologico degli studi
in cui privilegia la comprensione del testo scritto, allaspetto filosofico in cui
privilegia i perché della scrittura e della vita umana.
I lamenti disperati per la sua salute
malferma che peggiora lentamente diventano un cupo e doloroso ritornello, e il dolore
personale col passare degli anni diventa dolore universale, quasi una legge universale
della vita umana. A confortarlo rimane la sorella Paolina, che gli fa compagnia leggendo e
conversando, e talvolta Carlo.
In questanno scrive i Ricordi dinfanzia e dadolescenza (tra marzo e
maggio), Linfinito (settembre), lidillio Alla luna; fin dai primi mesi comincia a soffrire di una
grave malattia agli occhi, causata soprattutto da una congenita debolezza generale ai
nervi, e ordisce il primo progetto di fuga da Recanati, che però viene scoperto dal
padre. Per uscire dallo Stato Pontificio (o anche solo per viaggiare allinterno
dello Stato) cera bisogno di un "passaporto", che Giacomo richiede a
Macerata al Conte Saverio Broglio dAjano con una lettera del 29 luglio e per
orchestrare bene la fuga scrive che chiede il favore del suo intervento, e ringrazia,
anche a nome del padre in modo che il Broglio non capisca i disegni di fuga del giovane.
Il Broglio ottiene il passaporto grazie al capo della polizia di Macerata marchese Filippo
Solari, che conosce i Leopardi e scrive a Monaldo augurando un felice viaggio per il
figlio; Monaldo chiede allora spiegazioni e il marchese invita allora il Broglio ad
inviare il passaporto direttamente al padre, che cerca di far capire al figlio le
difficoltà insite nel vivere lontano da casa, e pur dicendo di volerlo assecondare e di
volergli dare il "passaporto" di fatto congela tutta la situazione, promettendo
a Giacomo di passargli un mensile, se proprio vuole andare a vivere fuori da Recanati, che
gli possa permettere di vivere decorosamente. Ma Giacomo si sente ingannato, e così
descrive la sua sensazione al Broglio in una lettera del 13 agosto 1819:
... La risoluzione chio aveva presa non era né immatura né nuova. Io laveva fissata già da un mese, e lavea concepita fin da quando conobbi la mia condizione, e i principii immutabili di mio padre, cioè da parecchi anni. Io non sono né pentito né cangiato. Ho desistito dal mio progetto per ora, non forzato, né persuaso, ma commosso e ingannato. Persuaso non poteva essere, come né anche persuadere, perché le nostre massime sono opposte, e perciò fuggo ogni discorso su questa materia, giacché il discorso non può esser concorde quando i fondamenti sono discordi. Se mi opporranno la forza, io vincerò, perché chi è risoluto di ritrovare o la morte o una vita migliore, ha la vittoria nelle sue mani. Le mie risoluzioni non sono passeggere, come quelle degli altri, e come mio padre stimo che si persuada, per dormire i suoi sonni in pace, come si suol dire. Io non voglio vivere in Recanati. Se mio padre mi procurerà i mezzi di uscire, come mi ha promesso, io vivrò grato e rispettoso, come qualunque ottimo figlio, se no, quello che doveva accadere e non è accaduto, non è altro che differito.
Mio padre crede chio da giovanastro inesperto non conosca gli uomini. Vorrei non conoscerli, così scellerati come sono. Ma forse sono più avanti chegli non simmagina. Non creda dingannarmi. Se la dissimulazione è profonda ed eterna, sappia però chio non mi fido di lui, più di quello chegli si fidi di me. Si vanti, se vuole, davermi ingannato, dicendomi a chiare note, chegli non volendomi forzare in nessunissima guisa, non facea nessun passo per intercettarmi il passaporto. Mi parve di vedergli il cuore sulle labbra, e feci quello che non avea fatto da molti anni: gli prestai fede, fui ingannato, e per lultima volta. ...
Giacomo si sente
ingannato e questo brano ci serve per poter meglio capire la sua personalità, combattiva
e razionale perché tende a mettere gli affetti sul piano di una reciproca fiducia:
lamore non è fatto di inganni, nemmeno tra padri e figli, come lamicizia;
luomo che inganna può essere definito in un solo modo: scellerato. La conseguenza
più evidente è che diventa praticamente un segregato, perchè, come scriverà lo stesso
Giacomo allavvocato Brighenti il 21 aprile dellanno successivo, viene
sorvegliato in continuazione, sorveglianza che lo fa soffrire intimamente e di cui spesso
si lamenterà. Monaldo si giustificherà a più riprese dicendo che lo fa perché ha
timore che il figlio, che aveva intrapreso una corrispondenza epistolare con persone
ferventi di sentimenti liberali e già abbastanza chiaramente patriottico-risorgimentali,
seppure ancora a un livello più letterario che pratico, possa incorrere in gravi guai con
la giustizia.
Gli anni seguenti furono pieni di
attività e scrive tra laltro Ad Angelo Mai, La sera del dì di festa, La vita solitaria,
Nelle nozze della sorella Paolina, A un
vincitore nel pallone, Bruto minore, Ultimo canto di Saffo, Inno ai Patriarchi.
Dal 1818 cominceranno ad essere stampate, prima a Roma nel 1818, poi a Bologna presso
Jacopo Marsigli nel luglio 1820 la canzone ad Angelo Mai e infine sempre a Bologna presso
Nobili nel 1823. Contrastate anche dal padre, le varie pubblicazioni, tanto che si parla
anche di un sequestro di copie da parte della polizia (V. S. si
mostra informata che mio padre impedì che non si stampasse una altra mia canzone. Avrebbe
impedito anche questa - la canzone Ad Angelo Mai,
ndr - se l'avesse veduta. Oltracciò ella è stata interdetta e
sequestrata per comando supremo in tutta la Lombardia e la Venezia: e in questo medesimo
Stato, de' pochi esemplari che n'ho spedito in diverse parti, io non credo ch'abbia avuto
ricapito se non quello c'ho mandato a V. S. , scrive a Giannantonio Roverella
da Recanati il 20 novembre 1820)
Pessimismo storico
Gli anni 1819-1822, dalla tentata e non riuscita fuga alla partenza per
Roma, sono caratterizzati dal pessimismo storico:
luomo anticamente era felice, viveva a contatto con la natura, madre benigna; ma le
condizioni di vita non sempre erano facili, i pericoli erano sempre in agguato, ed erano
creati non solo dagli animali selvaggi, ma anche dagli altri uomini, che si spostavano di
luogo in luogo in cerca di cibo. Ecco allora la necessità di allearsi con altri uomini,
di stringere vincoli di amicizia e di parentela che erano il punto di partenza della
creazione di piccoli gruppi, che col tempo divennero sempre più numerosi. Si avvertì
allora la necessità di regolare i rapporti interpersonali con delle norme: nasce la
legge, che diventa il punto di partenza dellinfelicità umana.
In effetti più che di pessimismo dobbiamo parlare in Leopardi di infelicità storica, perché mai nelle sue opere il
poeta accenna al pessimismo se non in una sola occasione nello Zibaldone
e certamente per rifiutarlo, tenendo conto che il pessimismo è una condizione mentale e
razionale dello spirito nei confronti delle cose e dellesistenza, mentre Leopardi
assume sempre una condizione affettiva e "sentimentale" di fronte alla Natura,
al destino, alle origini delluomo, ai fini della vita umana, alluniverso e
alleternità. Sono i grandi interrogativi che luomo si pone di fronte alla
vita, ai quali cerca di dare una risposta o di tipo filosofico e razionale oppure di tipo
poetico e affettivo: entrambe le risposte avranno conseguenze importanti sulla vita
quotidiana senza che luna neghi o elimini necessariamente laltra.
La cosiddetta conversione filosofica del
1819 (il passaggio dallaspetto rigidamente filologico a quello generalmente
filosofico) ci porta a capire che il pensiero del Leopardi non porta a un sistema
filosofico come quello di Platone o di Hegel, ma alla volontà di "approfondire lidea della problematicità della condizione umana,
rigettando ogni conforto illusorio" (Mario Pazzaglia, III, p. 285) ed
ogni spunto esistenziale banalmente compensatorio delle difficoltà quotidiane.
Lapprodo di questo approfondimento sul piano espressivo è rappresentato prima dalle
Operette morali e successivamente dai grandi Idilli del 1828-1830, passando
attraverso il pessimismo cosmico, o meglio
linfelicità cosmica. È il momento in
cui acquistano forza le illusioni, come la virtù e la patria, lamore e la gloria,
che cozzano però con la realtà quotidiana, vanificando gli sforzi degli individui per
approdare a un sistema nel quale possa diventare preminente la felicità delluomo:
ciò che conta "non è il loro soddisfacimento, riconosciuto impossibile, bensì il
loro essere e vivere nella coscienza". Paradossalmente il nulla dellillusione
diventa la realtà dellanimo, diventa il non cedere a un destino che condanna
luomo alla frustrazione totale e mette in risalto quella dignità dellio che
è superiore alla miseria della condizione umana.
Così scrive nello Zibaldone:
del piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente l'infinità, perchè ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è indeterminata, e l'anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l'estensione immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire, perchè non si può formare idea chiara di una cosa ch'ella desidera illimitata....[165] Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l'animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L'anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o congenita coll'esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1. nè per durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere che uguagli 1. nè la sua durata, perchè nessun piacere è eterno, 2. nè la sua estensione, perchè nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto. Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata, perchè, come ho detto non finisce se non coll'esistenza, e quindi l'uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch'è sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio
Linfelicità storica è legata
soprattutto alletà moderna, perché in questo tempo il prevalere delle leggi e
della ragione sullindividuo è essenziale e porta inevitabilmente al dolore,
contro il quale si erge la volontà di costruire un mondo di affetti generosi di eroismo e
di solidale pietà per luomo da opporre alla Natura,
indifferente al suo dolore, anzi creatrice della sua infelicità. È la stagione delle
grandi Canzoni, nelle quali notevole diventa
proprio la solidarietà e lunità dintenti, mentre il poeta è abbastanza
sicuro della buona riuscita del progresso, e è cosciente che quando questo viene a
mancare non ci può essere che il dolore e linfelicità, di cui maggiore
responsabile è la Natura che
impedisce alluomo il godimento del piacere che comincia ad essere caratterizzato
come momentanea sospensione del dolore e dellinfelicità, che è condizione
affettiva, ma non del pessimismo, che è condizione intellettiva.
La solitudine e la grave malattia agli
occhi lo hanno portato a una serie di considerazioni sulla natura e sulla ragione che lo
portano alla scoperta del nulla, che avrà una grande importanza nella sua poesia.
Importantissima, a questo riguardo può risultare la lettura della lettera al Giordani del 20 marzo 1820,
sulla quale occorrerà soffermarsi un poco, per capire un po' più intimamente il
Leopardi:
Sto anch'io sospirando caldamente la bella primavera come l'unica speranza di medicina che rimanga allo sfinimento dell'animo mio; e poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro e un bel raggio di luna, e sentendo un'aria tepida e certi cani che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, domandando misericordia alla natura, la cui voce mi pareva di udire dopo tanto tempo. E in quel momento dando uno sguardo alla mia condizione passata, alla quale era certo di ritornare subito dopo, com'è seguito, m'agghiacciai dallo spavento, non arrivando a comprendere come si possa tollerare la vita senza illusioni e affetti vivi, e senza immaginazione ed entusiasmo, delle quali cose un anno addietro si componeva tutto il mio tempo, e mi faceano così beato non ostante i miei travagli. Ora sono stecchito e inaridito come una canna secca, e nessuna passione trova più l'entrata di questa povera anima, e la stessa onnipotenza eterna e sovrana dell'amore è annullata a rispetto mio nell'età in cui mi trovo. Intanto io ti fo questi racconti che non farei a verun altro, in quanto mi rendo certo che non gli avrai per romanzeschi, sapendo com'io detesti sopra ogni cosa la maledetta affettazione corruttrice di tutto il bello di questo mondo, e che tu sei la sola persona che mi possa intendere, e perciò non potendo con altri, discorro con te di questi miei sentimenti, che per la prima volta non chiamo vani. Perché questa è la miserabile condizione dell'uomo, e il barbaro insegnamento della ragione, che i piaceri e i dolori umani essendo meri inganni, quel travaglio che deriva dalla certezza della nullità delle cose, sia sempre e solamente giusto e vero. E se bene regolando tutta quanta la nostra vita secondo il sentimento di questa nullità, finirebbe il mondo e giustamente saremmo chiamati pazzi, a ogni modo è formalmente certo che questa sarebbe una pazzia ragionevole per ogni verso, anzi che a petto suo tutte le saviezze sarebbero pazzie, giacché tutto a questo mondo si fa per la semplice e continua dimenticanza di quella verità universale, che tutto è nulla. Queste considerazioni io vorrei che facessero arrossire quei poveri filosofastri che si consolano dello smisurato accrescimento della ragione, e pensano che la felicità umana sia riposta nella cognizione del vero, quando non c'è altro vero che il nulla, e questo pensiero, ed averlo continuamente nell'animo, come la ragion vorrebbe, ci dee condurre necessariamente e dirittamente a quella disposizione che ho detto, la quale sarebbe pazzia secondo la natura, e saviezza assoluta e perfetta secondo la ragione. ...
Il primo viaggio
Il 17 novembre 1822
finalmente parte par Roma, dove arriva il 23, ospite dello zio materno Carlo Antici, nel
palazzo Antici-Mattei che si trova nellattuale via Michelangelo Caetani; il viaggio
lo fa ospite di una delle due carrozze con le quali lo zio, dopo aver trascorso
lestate a Recanati, ritorna a Roma. Monaldo finalmente si era arreso alle ragioni di
Giacomo e della famiglia Antici; il viaggio dura sei giorni attraverso uno dei paesaggi
più belli dItalia: ma di nulla abbiamo testimonianza, perché tutto gli era
ugualmente indifferente; solo un piccolo incidente accaduto a Spoleto, nella locanda dove
trascorse la prima notte fuori di Recanati, così raccontato al fratello Carlo in una
lettera del 25 nov.: scrissi in tavola fra una canaglia di
Fabrianesi, Iesini ec. i quali serano informati dal Cameriere dellesser mio, e
già conoscevano il mio nome e qualità di poeta ec. ec. E un birbante di prete furbissimo
chera con loro, si propose di dar la burla anche a me, come la dava a tutti gli
altri: ma credetemi che alla mia prima risposta, cambiò tuono tutto dun salto, e la
sua compagnia divenne bonissima e gentilissima come tante pecore.
A Roma, comunque, si trova subito male,
non solo perché la vastità del nuovo mondo, incomparabile con quello della piccola
Recanati, fa perdere il senso della misura (Tutta la grandezza di
Roma non serve ad altro che a moltiplicare le distanze, e il numero de gradini che
bisogna salire per trovare chiunque vogliate. Queste fabbriche immense, e queste strade
per conseguenza interminabili, sono tanti spazi gittati fra gli uomini, invece
dessere spazi che contengano uomini)e gli fa capire di essere un niente
sconosciuto, ma soprattutto perché ciò che aveva immaginato della città, della vita in
casa Antici, della cultura è lontano mille miglia dalla realtà che vede coi suoi occhi;
questo è ad esempio il ritratto di Francesco Cancellieri, un erudito romano che era in
rapporti con Carlo Antici zio romano di Giacomo, che aveva avuto il merito di aver
nominato per primo il Leopardi in nellopera Dissertazione
intorno agli uomini dotati di gran memoria e verso il quale Leopardi aveva
provato sentimenti di gratitudine nel 1815: Ieri fui da
Cancellieri, il qual è un coglione, un fiume di ciarle, il più noioso e disperante uomo
della terra; parla di cose assurdamente frivole col massimo interesse, di cose somme colla
maggior freddezza possibile; ti affoga di complimenti e di lodi altissime, e ti fa gli uni
e laltre in modo così gelato e con tale indifferenza, che a sentirlo, pare che
lesser uomo straordinario sia la cosa più ordinaria del mondo. Il
ritratto del Cancellieri, col quale, così anche con Angelo Mai, fu impossibile andare al
di là di rapporti di semplice cortesia, è in fin dei conti il ritratto degli uomini di
cultura che si aggirano per Roma, gente oziosa che vive "dintrigo,
dimpostura e dinganno", colla quale però non si confonde la ristretta
cerchia di studiosi stranieri, che privilegia soprattutto il salotto
dellambasciatore olandese Reinhold, dei quali conosce Niebuhr, Bunsen, Jacopssen.
Arrivando a Roma aveva creduto di entrare
nel giro dei grandi eruditi, come Cancellieri e Angelo Mai o dei grandi artisti come
Canova; ma laccoglienza è dappertutto di maniera, fatta di apparenze e
sostanzialmente di indifferenza. Tra una frustrazione e laltra, nella difficoltà di
stringere qualche amicizia con le donne "difficili da fermare
in Roma come in Recanati, anzi molto più, a causa delleccessiva frivolezza e
dissipatezza", comincia a vacillare anche la speranza che lo aveva sempre
sostenuto; "Fuori del ristretto cerchio della città natale,
doveva, secondo lui, esserci indubbiamente una donna più sensibile, più spirituale, più
gentile, capace di dimenticare i difetti del corpo nella tenerezza del cuore, una donna
che malgrado tutto, avrebbe il coraggio di amarlo" (Origo,
cit., p. 208).
La consapevolezza della sua deformità
comincia a fargli vivere la sua vita come una lunga malattia, portandolo a una solitudine
sdegnosa e malinconica molto simile a quella che viveva a Recanati, ma più grave perché
unaltra delle illusioni giovanili, quella di un ambiente vivibile diverso da
Recanati, era ormai andata in frantumi, tanto da fargli scrivere nello Zibaldone
qualche anno dopo:
Andato a Roma, la necessità di conviver cogli uomini, di versarmi al di fuori, di agire, di vivere esternamente, mi rese stupido, inetto, morto internamente. Divenni affatto privo e incapace di azione e di vita interna, senza perciò divenir più atto all'esterna. Io era allora incapace di conciliar l'una vita coll'altra; tanto incapace, che io giudicava questa riunione impossibile, e mi credeva che gli altri uomini, i quali io vedeva atti a vivere esternamente, non provassero più vita interna di quella ch'io provava allora, e che i più non l'avessero mai conosciuta. La sola esperienza propria ha potuto poi disingannarmi su questo articolo. Ma quello stato fu forse il più penoso e il più mortificante che io abbia passato nella mia vita; perch'io, divenuto così inetto all'interno come all'esterno, perdetti quasi affatto ogni opinione di me medesimo, ed ogni speranza di riuscita nel mondo e di far frutto alcuno nella mia vita. (1. Dic. 1828.).
Deluso dallambiente e visto vano il tentativo di ottenere un impiego nellamministrazione pontificia (si parlò di incarichi di vario genere fra cui quello di bibliotecario), il 28 aprile 1823, come aveva anticipato al padre in una lettera del 22, parte da Roma per far ritorno a Recanati, dove giunge il 3 maggio. In questo anno scrive una sola poesia, Alla sua donna, la più breve delle sue Canzoni: di essa così leggiamo nella prefazione alledizione Nobili di Bologna del 1824,
La donna, cioè linnamorata, dellautore, è una di quelle immagini, uno di quei fantasmi di bellezza e virtù celeste e ineffabile, che ci occorrono spesso alla fantasia, nel sonno e nella veglia, quando siamo poco più che fanciulli, e poi qualche rara volta nel sonno, o in una quasi alienazione di mente, quando siamo giovani. Infine è la donna che non si trova. Lautore non sa se la sua donna (e così chiamandola, mostra di non amare altra che questa) sia mai nata finora, o debba mai nascere; sa che ora non vive in terra, e che noi non siamo suoi contemporanei; la cerca tra le idee di Platone, la cerca nella luna, nei pianeti del sistema solare, in quei de sistemi delle stelle. Se questa Canzone si vorrà chiamare amorosa, sarà pur certo che questo tale amore non può né dare né patir gelosia, perché fuor dellautore, nessun amante terreno vorrà fare allamore col telescopio.
Fino al 1827, tranne qualche eccezione, non scriverà più poesie, ma userà la prosa per esprimere quanto si agita nella sua anima.
1823-1824: dall'infelicità storica all'infelicità umana
La sera del 3 maggio 1823 Giacomo risale i gradini dello scalone di casa Leopardi, che aveva lasciato solo sei mesi addietro così pieno di speranze e di desideri, con lunico vero bagaglio nuovo della sua inabilità a vivere, come scrive da Roma il 26 aprile, alla vigilia della partenza, a Pietro Giordani:
Fuor del vigore che non riacquisterò mai più, e della piena signoria de miei occhi e della mia testa, che parimente ho perduto per sempre posso dir che la mia salute è non solamente buona ma ottima. Non così bene posso dire del mio spirito , il quale assuefatto per lunghissimo tempo alla solitudine ed al silenzio, è pienamente ed ostinatissimamente nullo nella società degli uomini, e tale sarà in eterno, come mi sono accertato per molte anzi continue esperienze.
Ritornato da Roma
trascorre a Recanati poco più di due anni, e sono pieni di solitudine e di noia, di
ritorno allantico, tanto che gli sembra di essere ritornato nel sepolcro di sempre.
Ma sono due anni fecondi e vivi. Proseguendo lapprofondimento dei temi
dellesperienza esistenziale umana e dei perché che affannano luomo sin dalla
sua nascita, riprende un progetto di cui parla già nel settembre 1820 in una lettera al
Giordani: In questi giorni, quasi per vendicarmi del mondo, e
quasi anche della virtù, ho immaginato e abbozzato certe prosette satiriche. Labbozzo
diventerà più chiaro nei mesi seguenti, tanto che da Recanati l11 maggio 1821
scriverà, riferendosi a Pietro Giordani, a Pietro Brighenti a Bologna: sto preparando un'operetta in prosa, che forse non gli sarà discaro di
vedere. Nel 1824 porta a compimento, quindi, le Operette
morali, e forse nel mese di marzo il Discorso sopra lo
stato presente dei costumi deglItaliani; in agosto intanto esce, coi tipi
del Nobili, un opuscolo che contiene le dieci Canzoni.
Nelledizione definitiva del 1845 Le
Operette morali sono 24, delle quali 19 scritte nel
1824, 1 nel 1825, 2 nel 1827, e le ultime due nel 1832: (lordine è della
pubblicazione definitiva del 1845)
1 | Storia del genere umano | 19/1-7/2 1824 |
2 | Dialogo dErcole e dAtlante |
10-13 febbraio 1824 |
3 | Dialogo della moda e della Morte |
15-18 febbraio 1824 |
4 | Proposta di premi fatta dallAccademia dei Sillografi | 22-25 febbraio 1824 |
5 | Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo | 2-6 marzo 1824 |
6 | Dialogo di Malambruno e di Farfarello | 1-3 aprile 1824 |
7 | Dialogo della Natura e di unAnima |
9-14 aprile 1824 |
8 | Dialogo della Terra e della Luna | 24-28 aprile 1824 |
9 | La scommessa di Prometeo | 30/4-8/5 1824 |
10 | Dialogo di un Fisico e di un Metafisico | 14-19 maggio 1824 |
11 | Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare | 1-10 giugno 1824 |
12 | Dialogo della Natura e di un Islandese | 21-30 maggio 1824 |
13 | Parini, ovvero della gloria | 6/7-13/8 1824 |
14 | Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie | 16-23 agosto 1824 |
15 | Detti memorabili di Filippo Ottonieri | 29/8-26/9 1824 |
16 | Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez | 19-25 ottobre 1824 |
17 | Elogio degli uccelli | 29/10-5/11 1824 |
18 | Cantico del gallo silvestre | 10-16 novembre 1824 |
19 | Frammento apocrifo di Stratone di Lampsaco autunno | 1825 (Bologna?) |
20 | Dialogo di Timandro e di Eleandro | 14-24 giugno 1824 |
21 | Il Copernico (Dialogo) | 1827 |
22 | Dialogo di Plotino e di Porfirio | Firenze? 1827 |
23 | Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere | Firenze? 1832 |
24 | Dialogo di Tristano e di un amico | Firenze? 1832 |
Le Operette sono unopera maturata lentamente e profondamente sentita, tanto che così scrive alleditore Stella presentandogli il manoscritto il 12 marzo 1826:
Ha ella veduto il numero 61 dellAntologia, gennaio 1826? È penetrato, ed ha avuto corso in cotesti Stati? Vi ha ella veduto il Saggio delle mie Operette morali? Le parlai già in Milano di questo mio ms. Ne abbiamo pubblicato questo Saggio in Firenze per provare se il ms. passerebbe in Lombardia. Giudica Ella che il ms. faccia a proposito per Lei? Bisognerebbe che si compiacesse di darmene una risposta non affatto indecisa, perché io ho esibizioni ed istanze di stamparlo da Firenze, da Torino, ed anche da Napoli, nei quali luoghi il mio nome non ha la disgrazia di essere così profondamente disprezzato come nella dotta e grassa Lombardia. La pregherei dunque di leggere, se le piace, con qualche attenzione quel Saggio, e dirmene il suo parere; perché piacendo a lei, rifiuterò qualunque altra occasione, come ho sospeso di accettarle fin qui, per intendere il piacer suo. Tutte le altre operette sono del genere del saggio, se non che ve ne ha parecchie di un tuono più piacevole. Del resto in quel ms. consiste, si può dire, il frutto della mia vita finora passata, e io lho più caro de miei occhi.
Giacomo ci tiene molto allopera, tanto da scrivere in questi termini alleditore Stella il 6 dicembre 1826:
Colla schiettezza dellamicizia le confesso che mi affligge un poco lintendere il pensiero che Ella ha, di stampare le mie Operette morali nella Biblioteca amena; pensiero del quale io non aveva finora avuto altro cenno. Le opere edite non perdono nulla, entrando nelle Raccolte; ma io ho conosciuto per prova che le opere inedite, se per la prima volta escon fuori in una Collezione, non levano mai rumore, perché non si considerano se non come parti e membri di un altro corpo, e come cose che non istanno da sé. Poi, un libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico, trovandosi in una Biblioteca per Dame, non può che scadere infinitamente nellopinione, la quale giudica sempre dai titoli più che dalla sostanza. La leggerezza di una tal collezione è pregio del suo genere, ma non quando sia applicata al mio libro. Finalmente luscir fuori a pezzi di 108 pagine luno, nuocerà sommamente ad unopera che vorrebbesser giudicata dallinsieme, e dal complesso sistematico, come accade di ogni cosa filosofica, benchè scritta con leggerezza apparente. È vero che Ella darà poi tutto il libro in un corpo, ma il primo giudizio del pubblico sarà già stato formato sopra quei pezzi usciti a poco a poco, e molto lentamente: e il primo giudizio, è quello che sempre resta. Malgrado di tutto ciò, se la cosa è assolutamente di sua convenienza, io farò un sacrifizio del mio amor proprio e della tenerezza particolare che ho per quel libro; e non mi opporrò; sebbene mi sarei certamente opposto a qual si fosse altro in tal caso. Ma se Ella non sinduce a inserir queste operette nella Biblioteca amena, se non per dar loro un qualche luogo; e del resto è indifferente su questo particolare; e non trova il suo conto a pubblicarlo altrimenti; io la pregherei a volermi rimandare il manoscritto per via sicura: e troverò altra occasione di darlo fuori, o lo riterrò presso di me più volentieri.
Sarebbe stato quindi disposto a non pubblicare lopera piuttosto che vederla uscire nella Biblioteca amena per Dame.
Le Operette morali sono dialoghi o prose continuate, scritte
con lintento di offrire un ideale di prosa artistica degna della grande prosa
classica applicata a un contenuto moderno, sul modello dei Dialoghi di Luciano, e quindi
con un iniziale sentimento satirico. Per Leopardi rappresentano una meditazione sulla vita
umana, alla scoperta delle origini dello stato dinfelicità nel quale il genere
umano vive la sua quotidiana esperienza esistenziale. Luomo ha accettato il suo
destino di uomo solo e il suo dialogo è quello intimo col suo destino, con la natura, con
la felicità sognata e sperata e mai raggiunta.
Ancora nella lettera del 6 maggio 1825 al
Giordani, Leopardi sembra aver perso ogni speranza di poter uscire dal
"sepolcro" di Recanati, con la possibilità di vivere senza laiuto
economico dei suoi genitori; ma loccasione si presenta nello stesso mese: Antonio
Fortunato Stella aveva in programma unedizione completa delle opere di Cicerone,
alla quale avrebbero partecipato diversi autori con traduzioni e annotazioni e chiede al
Leopardi di partecipare alledizione. Leopardi risponde con una lettera del 18
maggio, confessandosi costretto a rifiutare lofferta perché non disponeva dei mezzi
finanziari sufficienti per mantenersi a Milano; alla nuova offerta di Stella, che avrebbe
pagato spese di viaggio e lo avrebbe ospitato a casa sua, Leopardi non oppone più alcun
rifiuto, ma si precipita ad accettare.
![]() Biblioteca |
![]() Progetto Leopardi |
![]() bio - parte 1 bio - parte 3 bio - parte 4 |
![]() Fausernet |
© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 30 agosto 1999