Giovanni Boccaccio
Decameron
Quarta Giornata
Novella terza
Tre giovani amano tre sorelle e con loro si fuggono in Creti. La maggiore per gelosia il suo amante uccide; la seconda, concedendosi al duca di Creti, scampa da morte la prima, l'amante della quale l'uccide e con la prima si fugge: ènne incolpato il terzo amante con la terza sirocchia; e presi il confessano e per tema di morire con moneta la guardia corrompono, e fuggonsi poveri a Rodi e in povertà quivi muoiono.
Filostrato, udita la fine del novellar di Pampinea,
sovra sé stesso alquanto stette e poi disse verso di lei: - Un poco di buono e che mi
piacque fu nella fine della vostra novella; ma troppo più vi fu innanzi a quella da
ridere, il che avrei voluto che stato non vi fosse. -
Poi alla Lauretta voltato disse: - Donna, seguite appresso
con una migliore, se esser può. -
La Lauretta ridendo disse: - Troppo siete contro agli
amanti crudele, se pure malvagio fine disiderate di loro; e io, per ubidirvi, ne
racconterò una di tre li quali igualmente mal capitarono, poco del loro amore essendo
goduti - ; e così detto, incominciò.
Giovani donne, sì come voi apertamente potete conoscere,
ogni vizio può in gravissima noia tornar di colui che l'usa e molte volte d'altrui; e tra
gli altri che con più abbandonate redine ne'nostri pericoli ne trasporta, mi pare che
l'ira sia quello; la quale niuna altra cosa è che un movimento subito e inconsiderato, da
sentita tristizia sospinto, il quale, ogni ragion cacciata e gli occhi della mente avendo
di tenebre offuscati, in ferventissimo furore accende l'anima nostra. E come che questo
sovente negli uomini avvenga, e più in uno che in uno altro, nondimeno già con maggior
danni s'è nelle donne veduto, per ciò che più leggiermente in quelle s'accende e ardevi
con fiamma più chiara e con meno rattenimento le sospigne.
Né è di ciò maraviglia, per ciò che, se ragguardar
vorremo, vedremo che il fuoco di sua natura più tosto nelle leggieri e morbide cose
s'apprende che nelle dure e più gravanti; e noi pur siamo (non l'abbiano gli uomini a
male) più delicate che essi non sono e molto più mobili. Laonde, veggendoci naturalmente
a ciò inchinevoli, e appresso ragguardato come la nostra mansuetudine e benignità sia di
gran riposo e di piacere agli uomini co' quali a costumare abbiamo, e così l'ira e il
furore essere di gran noia e di pericolo, acciò che da quella con più forte petto ci
guardiamo, l'amor di tre giovani e d'altrettante donne, come di sopra dissi, per l'ira
d'una di loro di felice essere divenuto infelicissimo, intendo con la mia novella
mostrarvi.
Marsilia, sì come voi sapete, è in Provenza sopra la
marina posta, antica e nobilissima città, e già fu di ricchi uomini e di gran mercatanti
più copiosa che oggi non si vede. Tra' quali ne fu un chiamato N'Arnald Civada, uomo di
nazione infima, ma di chiara fede e leal mercatante, senza misura di possessioni e di
denari ricco, il quale d'una sua donna avea più figliuoli, de' quali tre n'erano femine
ed eran di tempo maggiori che gli altri che maschi erano. Delle qua li le due, nate ad un
corpo, erano d'età di quindici anni, la terza aveva quattordici; né altro s'attendeva
per li loro parenti a maritarle, che la tornata di N'Arnald il quale con sua mercatantia
era andato in Ispagna. Erano i nomi delle due prime, dell'una Ninetta e dell'altra
Maddalena; la terza era chiamata Bertella. Della Ninetta era un giovane gentile uomo,
avvegna che povero fosse, chiamato Restagnone, innamorato quanto più potea, e la giovane
di lui; e sì avevan saputo adoperare, che, senza saperlo alcuna persona del mondo, essi
godevano del loro amore; e già buona pezza goduti n'erano, quando avvenne che due giovani
compagni, de'quali l'uno era chiamato Folco e l'altro Ughetto, morti i padri loro ed
essendo rimasi ricchissimi, l'un della Maddalena e l'altro della Bertella s'innamorarono.
Della qual cosa avvedutosi Restagnone, essendogli stato
dalla Ninetta mostrato, pensò di potersi ne'suoi difetti adagiare per lo costoro amore. E
con lor presa dimestichezza, or l'uno e or l'altro e talvolta amenduni gli accompagnava a
vedere le lor donne e la sua; e quando dimestico assai e amico di costoro esser gli parve,
un giorno in casa sua chiamatigli, disse loro: - Carissimi giovani, la nostra usanza vi
può aver renduti certi quanto sia l'amore che io vi porto, e che io per voi adopererei
quello che io per me medesimo adoperassi; e per ciò che io molto v'amo, quello che nello
animo caduto mi sia intendo di dimostrarvi, e voi appresso con meco insieme quel partito
ne prenderemo che vi parrà il migliore. Voi, se le vostre parole non mentono, e per
quello ancora che ne'vostri atti e di dì e di notte mi pare aver compreso, di grandissimo
amore delle due giovani amate da voi ardete, e io della terza loro sorella; al quale
ardore, ove voi vi vogliate accordare, mi dà il cuore di trovare assai dolce e piacevole
rimedio, il quale è questo. Voi siete ricchissimi giovani, quello che non sono io. Dove
voi vogliate recare le vostre ricchezze in uno e me far terzo posseditore con voi insieme
di quelle e diliberare in che parte del mondo noi vogliamo andare a vivere in lieta vita
con quelle, senza alcun fallo mi dà il cuor di fare che le tre sorelle, con gran parte di
quello del padre loro, con esso noi, dove noi andar ne vorremo ne verranno; e quivi
ciascun con la sua, a guisa di tre fratelli, viver potremo li più contenti uomini che
altri che al mondo sieno. A voi omai sta il prender partito in volervi di ciò consolare,
o lasciarlo. -
Li due giovani, che oltre modo ardevano, udendo che le lor
giovani avrebbono, non penar troppo a diliberarsi, ma dissero, dove questo seguir dovesse,
che essi erano apparecchiati di così fare. Restagnone, avuta questa risposta da' giovani,
ivi a pochi giorni si trovò con la Ninetta, alla quale non senza gran malagevolezza andar
poteva; e poi che alquanto con lei fu dimorato, ciò che co' giovani detto aveale
ragionò, e con molte ragion s'ingegnò di farle questa impresa piacere. Ma poco
malagevole gli fu, per ciò che essa molto più di lui disiderava di poter con lui esser
senza sospetto; per che essa liberamente rispostogli che le piaceva e che le sorelle, e
massimamente in questo, quel farebbono che ella volesse, gli disse che ogni cosa opportuna
intorno a ciò, quanto più tosto potesse, ordinasse. Restagnone a' due giovani tornato,
li quali molto ciò che ragionato avea loro il sollicitavano, disse loro, che dalla parte
delle lor donne l'opera era messa in assetto. E fra sé diliberati di doverne in Creti
andar, vendute alcune possessioni le quali avevano, sotto titolo di voler con denari andar
mercatando, e d'ogn'altra lor cosa fatti denari, una saettia comperarono e quella
segretamente armarono di gran vantaggio, e aspettarono il termine dato.
D'altra parte la Ninetta, che del disiderio delle sorelle
sapeva assai, con dolci parole in tanta volontà di questo fatto l'accese che esse non
credevano tanto vivere che a ciò pervenissero. Per che, venuta la notte che salire sopra
la saettia dovevano, le tre sorelle, aperto un gran cassone del padre loro, di quello
grandissima quantità di denari e di gioie trassono, e con esse di casa tutte e tre
tacitamente uscite secondo l'ordine dato, li lor tre amanti che l'aspettavano trovarono;
con li quali senza alcuno indugio sopra la saettia montate, dier de'remi in acqua e andar
via; e senza punto rattenersi in alcuno luogo, la seguente sera giunsero a Genova, dove i
novelli amanti gioia e piacere primieramente presero del loro amore.
E rinfrescatisi di ciò che avean bisogno, andaron via, e
d'un porto in uno altro, anzi che l'ottavo dì fosse senza alcuno impedimento pervennero
in Creti, dove grandissime e belle possessioni comperarono, alle quali assai vicini di
Candia fecero bellissimi abituri e dilettevoli e quivi con molta famiglia, con cani e con
uccelli e con cavalli, in conviti e in festa e in gioia colle lor donne i più contenti
uomini del mondo a guisa di baroni cominciarono a vivere.
E in tal maniera dimorando, avvenne (sì come noi veggiamo
tutto il giorno avvenire che, quantunque le cose molto piacciano, avendone soperchia copia
rincrescono) che a Restagnone, il qual molto amata avea la Ninetta, potendola egli senza
alcun sospetto ad ogni suo piacere avere, gl'incominciò a rincrescere e per conseguente a
mancar verso lei l'amore. Ed essendogli ad una festa sommamente piaciuta una giovane del
paese, bella e gentil donna, e quella con ogni studio seguitando, cominciò per lei a far
maravigliose cortesie e feste; di che la Ninetta accorgendosi, entrò di lui in tanta
gelosia, che egli non poteva andare un passo che ella nol risapesse, e appresso con parole
e con crucci lui e sé non ne tribolasse.
Ma così come la copia delle cose genera fastidio, così
l'esser le disiderate negate moltiplica l'appetito, così i crucci della Ninetta le fiamme
del nuovo amore di Restagnone accrescevano; e come che in processo di tempo s'avvenisse, o
che Restagnone l'amistà della donna amata avesse o no, la Ninetta, chi che gliele
rapportasse, l'ebbe per fermo; di che ella in tanta tristizia cadde, e di quella in tanta
ira e per conseguente in tanto furor trascorse, che, rivoltato l'amore il quale a
Restagnon portava in acerbo odio, accecata dalla sua ira, s'avvisò colla morte di
Restagnone l'onta che ricever l'era paruta vendicare. E avuta una vecchia greca gran
maestra di compor veleni, con promesse e con doni a fare un'acqua mortifera la condusse,
la quale essa, senza altramenti consigliarsi, una sera a Restagnon riscaldato e che di
ciò non si guardava diè bere. La potenzia di quella fu tale che, avanti che il mattutin
venisse, l'ebbe ucciso. La cui morte sentendo Folco e Ughetto e le lor donne, senza saper
che di veleno fosse morto, insieme con la Ninetta amaramente piansero e onorevolmente il
fecero sepellire.
Ma non dopo molti giorni avvenne che per altra malvagia
opera fu presa la vecchia che alla Ninetta l'acqua avvelenata composta avea, la quale tra
gli altri suoi mali, martoriata, confessò questo, pienamente mostrando ciò che per
quello avvenuto ne fosse; di che il duca di Creti, senza alcuna cosa dirne, tacitamente
una notte fu d'intorno al palagio di Folco, e senza romore o contradizione alcuna, presa
ne menò la Ninetta. Dalla quale senza alcun martorio prestissimamente ciò che udir volle
ebbe della morte di Restagnone.
Folco e Ughetto occultamente dal duca avean sentito, e da
loro le lor donne, perché presa la Ninetta fosse, il che forte dispiacque loro; e ogni
studio ponevano in far che dal fuoco la Ninetta dovesse campare, al quale avvisavano che
giudicata sarebbe, sì come colei che molto ben guadagnato l'avea; ma tutto pareva niente,
per ciò che il duca pur fermo a volerne fare giustizia stava.
La Maddalena, la quale bella giovane era e lungamente stata
vagheggiata dal duca senza mai aver voluta far cosa che gli piacesse, imaginando che
piacendogli potrebbe la sirocchia dal fuoco sottrarre, per un cauto ambasciadore gli
significò sé esser ad ogni suo comandamento, dove due cose ne dovesser seguire: la
prima, che ella la sua sorella salva e libera dovesse riavere; l'altra che questa cosa
fosse segreta. Il duca, udita l'ambasciata e piaciutagli, lungamente seco pensò se fare
il volesse, e alla fine vi s'accordò e disse ch'era presto. Fatto adunque di
consentimento della donna, quasi da loro informar si volesse del fatto, sostenere una
notte Folco e Ughetto, ad albergare se n'andò segretamente colla Maddalena. E fatto prima
sembiante d'avere la Ninetta messa in un sacco e doverla quella notte stessa farla in mare
mazzerare, seco la rimenò alla sua sorella e per prezzo di quella notte gliele donò, la
mattina nel dipartirsi pregandola che quella notte, la qual prima era stata nel loro
amore, non fosse l'ultima; e oltre a questo le 'mpose che via ne mandasse la colpevole
donna, acciò che a lui non fosse biasimo o non gli convenisse da capo contro di lei
incrudelire.
La mattina seguente Folco e Ughetto, avendo udito la
Ninetta la notte essere stata mazzerata, e credendolo, furon liberati; e alla lor casa,
per consolar le lor donne della morte della sorella, tornati, quantunque la Maddalena
s'ingegnasse di nasconderla molto, pur s'accorse Folco che ella v'era; di che egli si
maravigliò molto, e subitamente suspicò (già avendo sentito che il duca aveva la
Maddalena amata), e domandolla come questo esser potesse che la Ninetta quivi fosse.
La Maddalena ordì una lunga favola a volergliele mostrare,
poco da lui, che malizioso era, creduta, il quale, a doversi dire il vero la costrinse; la
quale dopo molte parole gliele disse. Folco, da dolor vinto e in furor montato, tirata
fuori una spada, lei invano mercé addomandante uccise; e temendo l'ira e la giustizia del
duca, lei lasciata nella camera morta, se n'andò colà ove la Ninetta era, e con viso
infintamente lieto le disse: - Tosto andianne là dove diterminato è da tua sorella che
io ti meni, acciò che più non venghi alle mani del duca.
La qual cosa la Ninetta credendo e come paurosa disiderando
di partirsi, con Folco, senza altro commiato chiedere alla sorella, essendo già notte, si
mise in via, e con que' denari a' quali Folco potè por mani, che furon pochi; e alla
marina andatisene, sopra una barca montarono, né mai si seppe dove arrivati si fossero.
Venuto il dì seguente ed essendosi la Maddalena trovata uccisa, furono alcuni che per invidia e odio che ad Ughetto portavano, subitamente al duca l'ebbero fatto sentire; per la qual cosa il duca, che molto la Maddalena amava, focosamente alla casa corso, Ughetto prese e la sua donna e loro, che di queste cose niente ancor sapeano, cioè della partita di Folco e della Ninetta, costrinse a confessar sé insieme con Folco esser della morte della Maddalena colpevoli. Per la qual confessione costoro meritamente della morte temendo, con grande ingegno coloro che gli guardavano corruppono, dando loro una certa quantità di denari, li quali nella lor casa nascosti per li casi opportuni guardavano e con le guardie insieme, senza avere spazio di potere alcuna lor cosa torre, sopra una barca montati, di notte se ne fuggirono a Rodi, dove in povertà e in miseria vissero non gran tempo. Adunque a così fatto partito il folle amore di Restagnone e l'ira della Ninetta sé condussero e altrui.
Indici delle giornate
Indice delle novelle della quarta giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998