Giovanni Boccaccio
Decameron
Quarta Giornata
Novella prima
Tancredi prenze di Salerno uccide l'amante della figliuola e mandale il cuore in una coppa d'oro; la quale, messa sopr'esso acqua avvelenata, quella si bee, e così muore.
Fiera materia di ragionare n'ha oggi il nostro re data,
pensando che, dove per rallegrarci venuti siamo, ci convenga raccontare l'altrui lagrime,
le quali dir non si possono, che chi le dice e chi l'ode non abbia compassione. Forse per
temperare alquanto la letizia avuta li giorni passati l'ha fatto; ma, che che se l'abbia
mosso, poi che a me non si conviene di mutare il suo piacere, un pietoso accidente, anzi
sventurato e degno delle nostre lagrime, racconterò.
Tancredi principe di Salerno fu signore assai umano e di
benigno ingegno; se egli nello amoroso sangue nella sua vecchiezza non s'avesse le mani
bruttate; il quale in tutto lo spazio della sua vita non ebbe che una figliuola, e più
felice sarebbe stato se quella avuta non avesse.
Costei fu dal padre tanto teneramente amata, quanto alcuna
altra figliuola da padre fosse giammai; e per questo tenero amore, avendo ella di molti
anni avanzata l'età del dovere avere avuto marito, non sappiendola da sè partire, non la
maritava; poi alla fine ad un figliuolo del duca di Capova datala, poco tempo dimorata con
lui, rimase vedova e al padre tornossi. Era costei bellissima del corpo e del viso quanto
alcun'altra femina fosse mai, e giovane e gagliarda e savia più che a donna per avventura
non si richiedea. E dimorando col tenero padre, sì come gran donna, in molte dilicatezze,
e veggendo che il padre, per l'amor che egli le portava, poca cura si dava di più
maritarla, né a lei onesta cosa pareva il richiedernelo, si pensò di volere avere, se
esser potesse, occultamente un valoroso amante.
E veggendo molti uomini nella corte del padre usare,
gentili e altri, sì come noi veggiamo nelle corti, e considerate le maniere e i costumi
di molti, tra gli altri un giovane valletto del padre, il cui nome era Guiscardo, uom di
nazione assai umile ma per virtù e per costumi nobile, più che altro le piacque, e di
lui tacitamente, spesso vedendolo, fieramente s'accese, ogn'ora più lodando i modi suoi.
E il giovane, il quale ancora non era poco avveduto, essendosi di lei accorto, l'aveva per
sì fatta maniera nel cuore ricevuta, che da ogni altra cosa quasi che da amar lei aveva
la mente rimossa. In cotal guisa adunque amando l'un l'altro segretamente, niuna altra
cosa tanto disiderando la giovane quanto di ritrovarsi con lui, né volendosi di questo
amore in alcuna persona fidare, a dovergli significare il modo seco pensò una nuova
malizia. Essa scrisse una lettera, e in quella ciò che a fare il dì seguente avesse per
esser con lei gli mostrò; e poi quella messa in un bucciuol di canna, sollazzando la
diede a Guiscardo, dicendo: - Fara'ne questa sera un soffione alla tua servente, col quale
ella raccenda il fuoco.
Guiscardo il prese, e avvisando costei non senza cagione
dovergliele aver donato e così detto, partitosi, con esso se ne tornò alla sua casa, e
guardando la canna e quella veggendo fessa, l'aperse, e dentro trovata la lettera di lei e
lettala, e ben compreso ciò che a fare avea, il più contento uom fu che fosse giammai, e
diedesi a dare opera di dovere a lei andare, secondo il modo da lei dimostratogli.
Era allato al palagio del prenze una grotta cavata nel
monte, di lunghissimi tempi davanti fatta, nella qual grotta dava alquanto lume uno
spiraglio fatto per forza nel monte, il quale, per ciò che abbandonata era la grotta,
quasi da pruni e da erbe di sopra natevi era riturato; e in questa grotta per una segreta
scala, la quale era in una delle camere terrene del palagio, la quale la donna teneva, si
poteva andare, come che da un fortissimo uscio serrata fosse. Ed era sì fuori delle menti
di tutti questa scala, per ciò che di grandissimi tempi davanti usata non s'era, che
quasi niuno che ella vi fosse si ricordava; ma Amore, agli occhi del quale niuna cosa è
sì segreta che non pervenga, l'aveva nella memoria tornata alla innamorata donna. La
quale, acciò che niuno di ciò accorger si potesse, molti dì con suoi ingegni penato
avea, anzi che venir fatto le potesse d'aprir quell'uscio; il quale aperto, e sola nella
grotta discesa e lo spiraglio veduto, per quello aveva a Guiscardo mandato a dire che di
venire s'ingegnasse, avendogli disegnata l'altezza che da quello infino in terra esser
poteva. Alla qual cosa fornire Guiscardo, prestamente ordinata una fune con certi nodi e
cappi da potere scendere e salire per essa, e sè vestito d'un cuoio che da'pruni il
difendesse, senza farne alcuna cosa sentire ad alcuno, la seguente notte allo spiraglio
n'andò, e accomandato ben l'uno de'capi della fune ad un forte bronco che nella bocca
dello spiraglio era nato, per quello si collò nella grotta ed attese la donna.
La quale il seguente dì, faccendo sembianti di voler
dormire, mandate via le sue damigelle e sola serratasi nella camera, aperto l'uscio, nella
grotta discese, dove trovato Guiscardo, insieme maravigliosa festa si fecero; e nella sua
camera insieme venutine, con grandissimo piacere gran parte di quel giorno si dimorarono;
e, dato discreto ordine alli loro amori acciò che segreti fossero, tornatosi nella grotta
Guiscardo ed ella serrato l'uscio, alle sue damigelle se ne venne fuori. Guiscardo poi, la
notte vegnente su per la sua fune salendo, per lo spiraglio donde era entrato se n'uscì
fuori e tornossi a casa. E avendo questo cammino appreso, più volte poi in processo di
tempo vi ritornò.
Ma la fortuna, invidiosa di così lungo e di così gran
diletto, con doloroso avvenimento la letizia dei due amanti rivolse in tristo pianto. Era
usato Tancredi di venirsene alcuna volta tutto solo nella camera della figliuola, e quivi
con lei dimorarsi e ragionare alquanto, e poi partirsi. Il quale un giorno dietro mangiare
laggiù venutone essendo la donna, la quale Ghismonda aveva nome, in un suo giardino con
tutte le sue damigelle, in quella, senza essere stato da alcuno veduto o sentito,
entratosene, non volendo lei torre dal suo diletto, trovando le finestre della camera
chiuse e le cortine del letto abbattute, a piè di quello in un canto sopra un carello si
pose a sedere; e appoggiato il capo al letto e tirata sopra sè la cortina quasi come se
studiosamente si fosse nascoso quivi, s'addormentò.
E così dormendo egli, Ghismonda, che per isventura quel
dì fatto aveva venir Guiscardo, lasciate le sue damigelle nel giardino, pianamente se
n'entrò nella camera, e quella serrata, senza accorgersi che alcuna persona vi fosse,
aperto l'uscio a Guiscardo che l'attendeva e andatisene in su 'l letto, sì come usati
erano, e insieme scherzando e sollazzandosi, avvenne che Tancredi si svegliò e sentì e
vide ciò che Guiscardo e la figliuola facevano; e dolente di ciò oltre modo, prima gli
volle sgridare, poi prese partito di tacersi e di starsi nascoso, se egli potesse, per
potere più cautamente fare e con minore sua vergogna quello che già gli era caduto
nell'animo di dover fare. I due amanti stettero per lungo spazio insieme, sì come usati
erano, senza accorgersi di Tancredi; e quando tempo lor parve, discesi del letto,
Guiscardo se ne tornò nella grotta ed ella s'uscì della camera. Della quale Tancredi,
ancora che vecchio fosse, da una finestra di quella si calò nel giardino, e senza essere
da alcuno veduto, dolente a morte, alla sua camera si tornò.
E per ordine da lui dato, all'uscir dello spiraglio la
seguente notte in su 'l primo sonno, Guiscardo, così come era nel vestimento del cuoio
impacciato, fu preso da due, e segretamente a Tancredi menato. Il quale, come il vide,
quasi piagnendo disse: - Guiscardo, la mia benignità verso te non avea meritato
l'oltraggio e la vergogna la quale nelle mie cose fatta m'hai, sì come io oggi vidi con
gli occhi miei.
Al quale Guiscardo niuna altra cosa disse se non questo: -
Amor può troppo più che né voi né io possiamo.
Comandò adunque Tancredi che egli chetamente in alcuna
camera di là entro guardato fosse, e così fu fatto. Venuto il dì seguente, non
sappiendo Ghismonda nulla di queste cose, avendo seco Tancredi varie e diverse novità
pensate, appresso mangiare, secondo la sua usanza, nella camera n'andò della figliuola,
dove fattalasi chiamare e serratosi dentro con lei, piagnendo le cominciò a dire:
- Ghismonda, parendomi conoscere la tua virtù e la tua
onestà, mai non mi sarebbe potuto cader nell'animo, quantunque mi fosse stato detto, se
io co'miei occhi non lo avessi veduto, che tu di sottoporti ad alcuno uomo, se tuo marito
stato non fosse, avessi, non che fatto, ma pur pensato; di che io in questo poco di
rimanente di vita che la mia vecchiezza mi serba sempre sarò dolente, di ciò
ricordandomi. E or volesse Iddio che, poi che a tanta disonestà conducere ti dovevi
avessi preso uomo che alla tua nobiltà decevole fosse stato; ma tra tanti che nella mia
corte n'usano, eleggesti Guiscardo, giovane di vilissima condizione, nella nostra corte
quasi come per Dio da picciol fanciullo infino a questo dì allevato; di che tu in
grandissimo affanno d'animo messo m'hai, non sappiendo io che partito di te mi pigliare.
Di Guiscardo, il quale io feci stanotte prendere quando dello spiraglio usciva, e hollo in
prigione, ho io già meco preso partito che farne; ma di te, sallo Iddio che io non so che
farmi. Dall'una parte mi trae l'amore, il quale io t'ho sempre più portato che alcun
padre portasse a figliuola, e d'altra mi trae giustissimo sdegno, preso per la tua gran
follia; quegli vuole che io ti perdoni, e questi vuole che contro a mia natura in te
incrudelisca; ma prima che io partito prenda, disidero d'udire quello che tu a questo dei
dire.- E questo detto bassò il viso, piagnendo sì forte come farebbe un fanciul ben
battuto.
Ghismonda, udendo il padre e conoscendo non solamente il
suo segreto amore esser discoperto, ma ancora esser preso Guiscardo, dolore inestimabile
sentì, e a mostrarlo con romore e con lagrime, come il più le femine fanno, fu assai
volte vicina; ma pur, questa viltà vincendo il suo animo altiero, il viso suo con
maravigliosa forza fermò, e seco, avanti che a dovere alcun priego per sè porgere, di
più non stare in vita dispose, avvisando già esser morto il suo Guiscardo. Per che, non
come dolente femina o ripresa del suo fallo, ma come non curante e valorosa, con asciutto
viso e aperto e da niuna parte turbato, così al padre disse: - Tancredi, né a negare né
a pregare son disposta, per ciò che né l'un mi varrebbe né l'altro voglio che mi
vaglia; e oltre a ciò in niuno atto intendo di rendermi benivola la tua mansuetudine e 'l
tuo amore; ma, il ver confessando, prima con vere ragioni difender la fama mia e poi con
fatti fortissimamente seguire la grandezza dello animo mio. Egli è il vero che io ho
amato e amo Guiscardo, e quanto io viverò, che sarà poco, l'amerò; e se appresso la
morte s'ama, non mi rimarrò d'amarlo; ma a questo non mi indusse tanto la mia feminile
fragilità, quanto la tua poca sollecitudine del maritarmi e la virtù di lui. Esser ti
dovea, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne e non di
pietra o di ferro; e ricordarti dovevi e dei, quantunque tu ora sia vecchio, chenti e
quali e con che forza vengano le leggi della giovanezza; e, come che tu uomo in parte
ne'tuoi migliori anni nell'armi esercitato ti sii, non dovevi di meno conoscere quello che
gli ozi e le dilicatezze possano ne'vecchi non che ne' giovani. Sono adunque, sì come da
te generata, di carne, e sì poco vivuta, che ancor son giovane; e per l'una cosa e per
l'altra piena di concupiscibile disidero, al quale maravigliosissime forze hanno date
l'aver già, per essere stata maritata, conosciuto qual piacer sia a così fatto disidero
dar compimento. Alle quali forze non potendo io resistere, a seguir quello a che elle mi
tiravano, sì come giovane e femina, mi disposi e innamora'mi. E certo in questo opposi
ogni mia virtù di non volere né a te né a me di quello a che natural peccato mi tirava,
in quanto per me si potesse operare, vergogna fare. Alla qual cosa e pietoso Amore e
benigna Fortuna assai occulta via m'avean trovata e mostrata, per la quale, senza sentirlo
alcuno, io a'miei disideri perveniva; e questo, chi che ti se l'abbi mostrato o come che
tu il sappi, io nol nego. Guiscardo non per accidente tolsi, come molte fanno, ma con
diliberato consiglio elessi innanzi ad ogn'altro, e con avveduto pensiero a me
lo'ntrodussi, e con savia perseveranza di me e di lui lungamente goduta sono del mio
disio. Di che egli pare, oltre allo amorosamente aver peccato, che tu, più la volgare
oppinione che la verità seguitando, con più amaritudine mi riprenda, dicendo (quasi
turbato esser non ti dovessi, se io nobile uomo avessi a questo eletto) che io con uom di
bassa condizione mi son posta. In che non ti accorgi che non il mio peccato ma quello
della Fortuna riprendi, la quale assai sovente li non degni ad alto leva, a basso
lasciando i dignissimi. Ma lasciamo or questo, e riguarda alquanto a' principii delle
cose: tu vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere, e da uno medesimo creatore
tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenzie, con iguali virtù create. La virtù
primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne distinse; e quegli che di lei
maggior parte avevano e adoperavano nobili furon detti, e il rimanente rimase non nobile.
E benché contraria usanza poi abbia questa legge nascosa, ella non è ancor tolta via né
guasta dalla natura né da' buon costumi; e per ciò colui che virtuosamente adopera
apertamente si mostra gentile, e chi altramenti il chiama, non colui che è chiamato ma
colui che chiama, commette difetto. Raguarda tra tutti i tuoi nobili uomini ed esamina la
lor virtù, i lor costumi e le loro maniere, e d'altra parte quelle di Guiscardo raguarda:
se tu vorrai senza animosità giudicare, tu dirai lui nobilissimo e questi tuoi nobili
tutti esser villani. Delle virtù e del valore di Guiscardo io non credetti al giudicio
d'alcuna altra persona che a quello delle tue parole e de'miei occhi. Chi il commendò mai
tanto, quanto tu 'l commendavi in tutte quelle cose laudevoli che valoroso uomo dee essere
commendato? E certo non a torto; ché se i miei occhi non m'ingannarono, niuna laude da te
data gli fu, che io lui operarla, e più mirabilmente che le tue parole non potevano
esprimere, non vedessi; e se pure in ciò alcuno inganno ricevuto avessi, da te sarei
stata ingannata. Dirai dunque che io con uomo di bassa condizione mi sia posta? Tu non
dirai il vero; ma per avventura, se tu dicessi con povero, con tua vergogna si potrebbe
concedere, che così hai saputo un valente uomo tuo servidore mettere in buono stato; ma
la povertà non toglie gentilezza ad alcuno, ma sì avere. Molti re, molti gran principi
furon già poveri; e molti di quegli che la terra zappano e guardan le pecore già
ricchissimi furono e sonne. L'ultimo dubbio che tu movevi, cioè che di me far ti dovessi,
caccial del tutto via. Se tu nella tua estrema vecchiezza a far quello che giovane non
usasti, cioè ad incrudelir, se'disposto, usa in me la tua crudeltà, la quale ad alcun
priego porgerti disposta non sono, sì come in prima cagion di questo peccato, se peccato
è; per ciò che io t'accerto che quello che di Guiscardo fatto avrai o farai, se di me
non fai il simigliante, le mie mani medesime il faranno. Or via, va con le femine a
spander le tue lagrime, e incrudelendo con un medesimo colpo altrui e me, se così ti par
che meritato abbiamo, uccidi.
Conobbe il prenze la grandezza dell'animo della sua
figliuola; ma non credette per ciò in tutto lei sì fortemente disposta a quello che le
parole sue sonavano, come diceva. Per che, da lei partitosi e da sè rimosso di volere in
alcuna cosa nella persona di lei incrudelire, pensò con gli altrui danni raffreddare il
suo fervente amore, e comandò a' due che Guiscardo guardavano che senza alcun romore lui
la seguente notte strangolassono, e, trattogli il cuore, a lui il recassero; li quali,
così come loro era stato comandato, così operarono. Laonde, venuto il dì seguente,
fattasi il prenze venire una grande e bella coppa d'oro e messo in quella il cuor di
Guiscardo, per un suo segretissimo famigliare il mandò alla figliuola e imposegli che,
quando gliele desse, dicesse: - Il tuo padre ti manda questo, per consolarti di quella
cosa che tu più ami, come tu hai lui consolato di ciò che egli più amava -.
Ghismonda, non smossa dal suo fiero proponimento, fattesi
venire erbe e radici velenose, poi che partito fu il padre, quelle stillò e in acqua
ridusse, per presta averla se quello di che elle temeva avvenisse. Alla quale venuto il
famigliare e col presente e con le parole del prenze, con forte viso la coppa prese, e
quella scoperchiata, come il cuor vide e le parole intese, così ebbe per certissimo
quello essere il cuor di Guiscardo.
Per che, levato il viso verso il famigliare, disse: - Non
si conveniva sepoltura men degna che d'oro a così fatto cuore chente questo è;
discretamente in ciò ha il mio padre adoperato.
E così detto, appressatoselo alla bocca, il baciò, e poi
disse: - In ogni cosa sempre e infino a questo estremo della vita mia ho verso me trovato
tenerissimo del mio padre l'amore, ma ora più che giammai; e per ciò l'ultime grazie, le
quali render gli debbo giammai, di così gran presente da mia parte gli renderai.
Questo detto, rivolta sopra la coppa la quale stretta
teneva, il cuor riguardando disse: - Ahi! dolcissimo albergo di tutti i miei piaceri, mala
detta sia la crudeltà di colui che con gli occhi della fronte or mi ti fa vedere! Assai
m'era con quegli della mente riguardarti a ciascuna ora. Tu hai il tuo corso fornito, e di
tale chente la fortuna tel concedette ti se'spacciato; venuto se'alla fine alla qual
ciascun corre; lasciate hai le miserie del mondo e le fatiche, e dal tuo nemico medesimo
quella sepoltura hai che il tuo valore ha meritata. Niuna cosa ti mancava ad aver compiute
esequie, se non le lagrime di colei la qual tu vivendo cotanto amasti; le quali acciò che
tu l'avessi, pose Iddio nel l'animo al mio dispietato padre che a me ti mandasse, e io le
ti darò, come che di morire con gli occhi asciutti e con viso da niuna cosa spaventato
proposto avessi; e dateleti, senza alcuno indugio farò che la mia anima si congiugnerà
con quella, adoperandol tu, che tu già cotanto cara guardasti. E con qual compagnia ne
potre'io andar più contenta o meglio si cura ai luoghi non conosciuti che con lei? Io son
certa che ella è ancora quincentro e riguarda i luoghi de'suoi diletti e de'miei; e come
colei che ancor son certa che m'ama, aspetta la mia, dalla quale sommamente è amata.
E così detto, non altramenti che se una fonte d'acqua
nella testa avuta avesse, senza fare alcun feminil romore, sopra la coppa chinatasi,
piagnendo cominciò a versare tante lagrime, che mirabile cosa furono a riguardare,
baciando infinite volte il morto cuore. Le sue damigelle, che dattorno le stavano, che
cuore questo si fosse o che volesson dire le parole di lei non intendevano; ma da
compassion vinte tutte piagnevano e lei pietosamente della cagion del suo pianto
domandavano invano, e molto più, come meglio sapevano e potevano, s'ingegnavano di
confortarla.
La qual, poi che quanto le parve ebbe pianto, alzato il
capo e rasciuttosi gli occhi, disse: - O molto amato cuore, ogni mio uficio verso te è
fornito; né più altro mi resta a fare se non di venire con la mia anima a fare alla tua
compagnia E questo detto, si fe' dare l'orcioletto nel quale era l'acqua che il dì avanti
aveva fatta, la qual mise nella coppa ove il cuore era da molte delle sue lagrime lavato,
e senza alcuna paura postavi la bocca, tutta la bevve, e bevutala, con la coppa in mano se
ne salì sopra il suo letto, e quanto più onestamente seppe compose il corpo suo sopra
quello, e al suo cuore accostò quello del morto amante, e senza dire alcuna cosa
aspettava la morte.
Le damigelle sue, avendo queste cose e vedute e udite, come
che esse non sapessero che acqua quella fosse la quale ella bevuta aveva, a Tancredi ogni
cosa avean mandata a dire; il quale, temendo di quello che sopravvenne, presto nella
camera scese della figliuola, nella qual giunse in quella ora che essa sopra il suo letto
si pose; e tardi con dolci parole levatosi a suo conforto, veggendo i termini ne'quali
era, cominciò dolorosamente a piagnere.
Al quale la donna disse: - Tancredi, serbati coteste
lagrime a meno disiderata fortuna che questa, né a me le dare, che non le disidero. Chi
vide mai alcuno, altro che te, piagnere di quello che egli ha voluto? Ma pure, se niente
di quello amore che già mi portasti ancora in te vive, per ultimo dono mi concedi che,
poi che a grado non ti fu che io tacitamente e di nascoso con Guiscardo vivessi, che 'l
mio corpo col suo, dove che tu te l'abbi fatto gittar morto, palese stea.
L'angoscia del pianto non lasciò rispondere al prenze.
Laonde la giovane, al suo fine esser venuta sentendosi strignendosi al petto il morto
cuore, disse: - Rimanete con Dio, ché io mi parto.
E velati gli occhi, e ogni senso perduto, di questa dolente
vita si dipartì.
Così doloroso fine ebbe l'amor di Guiscardo e di
Ghismonda, come udito avete; li quali Tancredi dopo molto pianto, e tardi pentuto della
sua crudeltà, con general dolore di tutti i salernetani, onorevolmente amenduni in un
medesimo sepolcro gli fe' sepellire.
Indici delle giornate
Indice delle novelle della quarta giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998