Giovanni Boccaccio
Decameron
Terza Giornata
Conclusione
Mille fiate o più aveva la novella di Dioneo a rider
mosse l'oneste donne, tali e sì fatte loro parevan le sue parole. Per che, venuto egli al
conchiuder di quella, conoscendo la reina che il termine della sua signoria era venuto,
levatasi la laurea di capo, quella assai piacevolmente pose sopra la testa a Filostrato, e
disse: - Tosto ci avvedremo se il lupo saprà meglio guidare le pecore, che le pecore
abbiano i lupi guidati.
Filostrato, udendo questo, disse ridendo: - Se mi fosse
stato creduto, i lupi avrebbono alle pecore insegnato rimettere il diavolo in inferno, non
peggio che Rustico facesse ad Alibech, e perciò non ne chiamate lupi, dove voi state
pecore non siete; tuttavia, secondo che conceduto mi fia, io reggerò il regno commesso.
A cui Neifile rispose: - Odi, Filostrato, voi avreste,
volendo a noi insegnare, potuto apparar senno, come apparò Masetto da Lamporecchio dalle
monache e riavere la favella a tale ora che l'ossa senza maestro avrebbono apparato a
sufolare.
Filostrato, conoscendo che falci si trovavano non meno che
egli avesse strali, lasciato stare il motteggiare, a darsi al governo del regno commesso
cominciò. E, fattosi il siniscalco chiamare, a che punto le cose fossero tutte volle
sentire; e oltre a questo, secondo che avviso che bene stesse e che dovesse sodisfare alla
compagnia, per quanto la sua signoria dovea durare, discretamente ordinò; e quindi alle
donne rivolto, disse: - Amorose donne, per la mia disavventura, poscia che io ben da mal
conobbi, sempre per la bellezza d'alcuna di voi stato sono ad Amor suggetto, né l'essere
umile né l'essere ubbidiente né il seguirlo in ciò che per me s'è conosciuto alla
seconda in tutti i suoi costumi, m'è valuto, ch'io prima per altro abbandonato e poi non
sia sempre di male in peggio andato, e così credo che io andrò di qui alla morte; e per
ciò non d'altra materia domane mi piace che si ragioni se non di quella che a'miei fatti
è più conforme, cioè di coloro li cui amori ebbero infelice fine, per ciò che io a
lungo andar l'aspetto infelicissimo, né per altro il nome, per lo quale voi mi chiamate,
da tale che seppe ben che si dire mi fu imposto - e così detto, in piè levatosi, per
infino all'ora della cena licenziò ciascuno.
Era sì bello il giardino e sì dilettevole, che alcuno non
vi fu che eleggesse di quello uscire per più piacere altrove dover sentire. Anzi, non
faccendo il sol già tiepido alcuna noia a seguire, i cavriuoli e i conigli e gli altri
animali che erano per quello e che a lor sedenti forse cento volte per mezzo lor saltando
eran venuti a dar noia, si dierono alcune a seguitare. Dioneo e la Fiammetta cominciarono
a cantare di Messer Guiglielmo e della Dama del Vergiù; Filomena e Panfilo si diedono a
giucare a scacchi; e così chi una cosa e chi altra faccendo, fuggendosi il tempo, l'ora
della cena appena aspettata sopravvenne; per che, messe le tavole d'intorno alla bella
fonte, quivi con grandissimo diletto cenaron la sera.
Filostrato, per non uscir del camin tenuto da quelle che
reine avanti a lui erano state, come levate furono le tavole, così comandò che la
Lauretta una danza prendesse e dicesse una canzone. La qual disse: - Signor mio, delle
altrui canzoni io non so, né delle mie alcuna n'ho alla mente che sia assai convenevole a
così lieta brigata; se voi di quelle che io ho volete, io ne dirò volentieri.
Alla quale il re disse: - Niuna tua cosa potrebbe essere
altro che bella e piacevole; e per ciò tale qual tu l'hai, cotale la di'.
Lauretta allora con voce assai soave, ma con maniera
alquanto pietosa, rispondendo l'altre, cominciò così:
Niuna sconsolata da dolersi ha quant'io, che 'nvan sospiro, lassa!, innamorata Colui che muove il
cielo e ogni stella, Già fu chi m'ebbe cara, e volentieri Femmisi innanzi poi presuntuoso Io maladico la mia isventura, O caro amante, del qual prima fui |
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Qui fece fine la Lauretta alla sua canzone, la quale
notata da tutti, diversamente da diversi fu intesa; ed ebbevi di quegli che intender
vollono alla melanese, che fosse meglio un buon porco che una bella tosa. Altri furono di
più sublime e migliore e più vero intelletto, del quale al presente recitare non accade.
Il re, dopo questa, su l'erba e 'n su'fiori avendo fatti
molti doppieri accendere, ne fece più altre cantare infin che già ogni stella a cader
cominciò che salia. Per che, ora parendogli da dormire, comandò che con la buona notte
ciascuno alla sua camera si tornasse.
Finisce la terza giornata del Decameron
Indici delle giornate
Indice delle novelle della terza giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998