Giovanni Boccaccio
Decameron
Terza Giornata
Novella quarta
Don Felice insegna a frate Puccio come egli diverrà beato faccendo una sua penitenzia; la quale frate Puccio fa, e don Felice in questo mezzo con la moglie del frate si dà buon tempo.
Poi che Filomena, finita la sua novella, si tacque,
avendo Dioneo con dolci parole molto lo 'ngegno della donna commendato e ancora la
preghiera da Filomena ultimamente fatta, la reina ridendo guardò verso Panfilo, e disse:
- Ora appresso, Panfilo, continua con alcuna piacevol cosetta il nostro diletto. Panfilo
prestamente rispose che volontieri, e cominciò:
Madonna, assai persone sono che, mentre che essi si
sforzano d'andarne in paradiso, senza avvedersene vi mandano altrui; il che ad una nostra
vicina, non ha ancor lungo tempo, sì come voi potrete udire, intervenne.
Secondo che io udii già dire, vicino di san Brancazio
stette un buon uomo e ricco, il quale fu chiamato Puccio di Rinieri, che poi, essendo
tutto dato allo spirito, si fece bizzoco di quegli di san Francesco, e fu chiamato frate
Puccio, e seguendo questa sua vita spirituale, per ciò che altra famiglia non avea che
una sua donna e una fante, né per questo ad alcuna arte attender gli bisognava, usava
molto la chiesa. E per ciò che uomo idiota era e di grossa pasta, diceva suoi
paternostri, andava alle prediche, stava alle messe, né mai falliva che alle laude che
cantavano i secolari esso non fosse, e digiunava e disciplinavasi, e bucinavasi che egli
era degli scopatori. La moglie, che monna Isabetta avea nome, giovane ancora di ventotto
in trenta anni, fresca e bella e ritondetta che pareva una mela casolana, per la santità
del marito e forse per la vecchiezza, faceva molto spesso troppo più lunghe diete che
voluto non avrebbe; e, quand'ella si sarebbe voluta dormire o forse scherzar con lui, ed
egli le raccontava la vita di Cristo e le prediche di frate Nastagio o il lamento della
Maddalena o così fatte cose.
Tornò in questi tempi da Parigi un monaco chiamato don
Felice, conventuale di san Brancazio, il quale assai giovane e bello della persona era e
d'aguto ingegno e di profonda scienza, col qual frate Puccio prese una stretta
dimestichezza. E per ciò che costui ogni suo dubbio molto bene gli solvea, e oltre a
ciò, avendo la sua condizion conosciuta, gli si mostrava santissimo, se lo incominciò
frate Puccio a menare talvolta a casa e a dargli desinare e cena, secondo che fatto gli
venia; e la donna altressì per amor di fra Puccio era sua dimestica divenuta e volentier
gli faceva onore.
Continuando adunque il monaco a casa di fra Puccio e
veggendo la moglie così fresca e ritondetta, s'avvisò qual dovesse essere quella cosa
della quale ella patisse maggior difetto; e pensossi, se egli potesse, per tor fatica a
fra Puccio, di volerla supplire. E, postole l'occhio addosso e una volta e altra bene
astutamente, tanto fece che egli l'accese nella mente quello medesimo disidero che aveva
egli; di che accortosi il monaco, come prima destro gli venne, con lei ragionò il suo
piacere. Ma, quantunque bene la trovasse disposta a dover dare all'opera compimento, non
si poteva trovar modo, per ciò che costei in niun luogo del mondo si voleva fidare ad
esser col monaco se non in casa sua; e in casa sua non si potea, perché fra Puccio non
andava mai fuor della terra; di che il monaco avea gran malinconia.
E dopo molto gli venne pensato un modo da dover potere
essere colla donna in casa sua senza sospetto, non ostante che fra Puccio in casa fosse.
Ed essendosi un dì andato a star con lui frate Puccio, gli disse così: - Io ho già
assai volte compreso, fra Puccio, che tutto il tuo disidero è di divenir santo, alla qual
cosa mi par che tu vadi per una lunga via, là dove ce n'è una che è molto corta, la
quale il papa e gli altri suoi maggior prelati, che la sanno e usano, non vogliono che
ella si mostri; per ciò che l'ordine chericato, che il più di limosine vive,
incontanente sarebbe disfatto, sì come quello al quale più i secolari né con limosine
né con altro attenderebbono. Ma, per ciò che tu se'mio amico e ha' mi onorato molto,
dove io credessi che tu a niuna persona del mondo l'appalesassi, e volessila seguire, io
la t'insegnerei.
Frate Puccio, divenuto disideroso di questa cosa, prima cominciò a pregare con
grandissima instanzia che gliele insegnasse, e poi a giurare che mai, se non quanto gli
piacesse, ad alcuno nol direbbe, affermando che, se tal fosse che esso seguir la potesse,
di mettervisi.
- Poi che tu così mi prometti, - disse il monaco - e io la
ti mosterrò . Tu dei sapere che i santi dottori tengono che a chi vuol divenir beato si
convien fare la penitenzia che tu udirai; ma intendi sanamente: io non dico, che dopo la
penitenzia tu non sii peccatore come tu ti se'; ma avverrà questo, che i peccati che tu
hai infino all'ora della penitenzia fatti, tutti si purgheranno e sarannoti per quella
perdonati; e quegli che tu farai poi non saranno scritti a tua dannazione, anzi se
n'andranno con l'acqua benedetta, come ora fanno i veniali. Conviensi adunque l'uomo
principalmente con gran diligenzia confessare de' suoi peccati quando viene a cominciar la
penitenzia; e appresso questo li convien cominciare un digiuno e una astinenzia
grandissima, la qual convien che duri quaranta dì, ne'quali, non che da altra femina, ma
da toccare la propria tua moglie ti conviene astenere. E oltre a questo si conviene avere
nella tua propria casa alcun luogo donde tu possi la notte vedere il cielo, e in su l'ora
della compieta andare in questo luogo, e quivi avere una tavola molto larga ordinata in
guisa che, stando tu in pie', vi possi le reni appoggiare, e tenendo gli piedi in terra
distender le braccia a guisa di crucifisso; e se tu quelle volessi appoggiare ad alcun
cavigliuolo, puoil fare; e in questa maniera guardando il cielo, star senza muoverti punto
insino a matutino. E, se tu fossi litterato, ti converrebbe in questo mezzo dire certe
orazioni che io ti darei; ma, perché non se', ti converrà dire trecento paternostri con
trecento avemarie a reverenzia della Trinità, e riguardando il cielo, sempre aver nella
memoria Iddio essere stato creatore del cielo e della terra, e la passion di Cristo,
stando in quella maniera che stette egli in su la croce. Poi, come matutino suona, te ne
puoi, se tu vuogli, andare e così vestito gittarti sopra 'l letto tuo e dormire: e la
mattina appresso si vuole andare alla chiesa, e quivi udire almeno tre messe e dir
cinquanta paternostri con altrettante avemarie; e appresso questo con simplicità fare
alcuni tuoi fatti, se a far n'hai alcuno, e poi desinare, ed essere appresso al vespro
nella chiesa e quivi dire certe orazioni che io ti darò scritte, senza le quali non si
può fare; e poi in su la compieta ritornare al modo detto. E faccendo questo, sì come io
feci già, spero che anzi che la fine della penitenzia venga, tu sentirai maravigliosa
cosa della beatitudine etterna, se con divozione fatta l'avrai.
Frate Puccio disse allora: - Questa non è troppo grave
cosa, né troppo lunga, e deesi assai ben poter fare; e per ciò io voglio al nome di Dio
cominciar domenica.
E da lui partitosene e andatosene a casa, ordinatamente,
con sua licenzia perciò, alla moglie disse ogni cosa. La donna intese troppo bene per lo
star fermo infino a matutino senza muoversi ciò che il monaco voleva dire; per che,
parendole assai buon modo, disse che di questo e d'ogn'altro bene, che egli per l'anima
sua faceva, ella era contenta, e che, acciò che Iddio gli facesse la sua penitenzia
profittevole, ella voleva con esso lui digiunare, ma fare altro no.
Rimasi adunque in concordia, venuta la domenica, frate
Puccio cominciò la sua penitenzia, e messer lo monaco, convenutosi colla donna, ad ora
che veduto non poteva essere, le più delle sere con lei se ne veniva a cenare, seco
sempre recando e ben da mangiare e ben da bere, poi con lei si giaceva infino all'ora del
matutino, al quale levandosi se n'andava, e frate Puccio tornava al letto.
Era il luogo, il quale frate Puccio aveva alla sua
penitenzia eletto, allato alla camera nella quale giaceva la donna, né da altro era da
quella diviso che da un sottilissimo muro; per che, ruzzando messer lo monaco troppo colla
donna alla scapestrata ed ella con lui, parve a frate Puccio sentire alcuno dimenamento di
palco della casa; di che, avendo già detti cento de' suoi paternostri, fatto punto quivi,
chiamò la donna senza muoversi, e domandolla ciò che ella faceva.
La donna, che motteggevole era molto, forse cavalcando
allora senza sella la bestia di san Benedetto o vero di san Giovanni Gualberto, rispose: -
Gnaffe, marito mio, io mi dimeno quanto io posso.
Disse allora frate Puccio: - Come ti dimeni? Che vuol dir
questo dimenare?
La donna ridendo, che e di buona aria e valente donna era,
e forse avendo cagion di ridere, rispose: - Come non sapete voi quello che questo vuol
dire? Ora io ve l'ho udito dire mille volte: chi la sera non cena, tutta notte si dimena.
Credettesi frate Puccio che il digiunare, il quale ella a
lui mostrava di fare, le fosse cagione di non poter dormire, e per ciò per lo letto si
dimenasse, per che egli di buona fede disse: - Donna, io t'ho ben detto, non digiunare;
ma, poiché pur l'hai voluto fare, non pensare a ciò, pensa di riposarti; tu dai tali
volte per lo letto, che tu fai dimenar ciò che ci è.
Disse allora la donna: - Non ve ne caglia no; io so ben
ciò ch'i' mi fo; fate pur ben voi, ché io farò bene io, se io potrò .
Stettesi adunque cheto frate Puccio e rimise mano a' suoi
paternostri; e la donna e messer lo monaco da questa notte innanzi, fatto in altra parte
della casa ordinare un letto, in quello, quanto durava il tempo della penitenzia di frate
Puccio, con grandissima festa si stavano, e ad una ora il monaco se n'andava e la donna al
suo letto tornava, e poco stante dalla penitenzia a quello se ne venia frate Puccio.
Continuando adunque in così fatta maniera il frate la
penitenzia e la donna col monaco il suo diletto, più volte motteggiando disse con lui: -
Tu fai fare la penitenzia a frate Puccio, per la quale noi abbiam guadagnato il paradiso.
E parendo molto bene stare alla donna, sì s'avvezzò a'
cibi del monaco che, essendo dal marito lungamente stata tenuta in dieta, ancora che la
penitenzia di frate Puccio si consumasse, modo trovò di cibarsi in altra parte con lui, e
con discrezione lungamente ne prese il suo piacere. Di che, acciò che l'ultime parole non
sieno discordanti alle prime, avvenne che, dove frate Puccio, faccendo penitenzia sé
credette mettere in paradiso, egli vi mise il monaco, che da andarvi tosto gli avea
mostrata la via, e la moglie, che con lui in gran necessità vivea di ciò che messer lo
monaco, come misericordioso, gran divizia le fece.
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Indice delle novelle della terza giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998