Giuseppe Bonghi
Biografia
di
Francesco Redi
- La presente Biografia può essere riprodotta su qualsiasi tipo di supporto magnetico, ma non su carta in qualsiasi forma. Per i diritti d'autore rivolgersi a Giuseppe.Bonghi @mail.fausernet.novara.it -
Indice Introduzione |
||
Bacco in Toscana vv. 1-357 vv. 358-732 |
||
Ritorna in Biblioteca |
Indice |
Fausernet |
TRADUZIONE TELEMATICA - settembre 1994 - Giuseppe Bonghi
REVISIONE E RIDUZIONE HTML - maggio 1996 Giuseppe Bonghi.
Francesco Redi nasce il 18
febbraio 1626 ad Arezzo, primogenito di otto figli, di cui 5 femmine, che prenderanno
tutte i voti, da Gregorio e Cecilia dei Ghinci; dopo aver fatto i suoi primi studi a
Firenze, si laurea a Pisa in Filosofia e Medicina nel 1647. Dal 1650 al '54 è a
Roma, ospite del Cardinal Colonna, dove continua gli studi e stringe amicizia con molti
letterati e uomini di scienza dell'epoca, facilitato anche dal suo carattere socievole,
gioviale e pronto nell'aiutare gli amici.
Tornato a Firenze, viene accolto al
servizio dei Medici, coi quali sembra essere stato uno dei promotori dell'Accademia del
Cimento, di cui fu comunque uno dei primi e più brillanti membri, e comincia a
studiare le più importanti lingue europee (francese, tedesco, inglese e spagnolo) che
riuscirà a possedere abbastanza bene; successivamente intraprende a studiare perfino
l'arabo e il greco, di cui si accinge perfino a scrivere un vocabolario, che non è stato
mai pubblicato; l'amore per le lingue lo aiuterà nella sua opera di compilatore del Vocabolario
della Crusca, opera condotta insieme ad altri Accademici e che verrà pubblicata nel
1691.
Nel 1655, il 23 dicembre, come ebbe
a scrivere lo stesso Redi in una lettera inviata all'amico Egidio Menagio nel 1678, fu
nominato Accademico della Crusca, anche se non aveva ancora scritto né pubblicato
niente, e quindi non poteva avere una fama di Letterato tale che potesse permettergli la
nomina stessa; ma sicuramente molto gli giovò il fatto che fosse figlio del Primo medico
del Granduca Ferdinando II, gli studi condotti e superati brillantemente a Pisa e una
certa notorietà acquisita come erudito presso celebri Letterati e uomini di scienza, che
in quegli anni aveva conosciuto sia a Roma che a Firenze.
Tre anni più tardi, nel '58, fu
incaricato insieme ad altri della correzione e dell'ampliamento delle voci del Vocabolario
della Crusca, facendosi fautore di una lingua viva, lontana da ogni pedanteria, tutta
basata sulle cose e sull'osservazione dei fenomeni linguistici operata con razionalità.
Il Redi si mostrò favorevole all'accettazione non solo delle parole usate dai grandi
scrittori del Trecento, ma anche di quelle consacrate dalla pratica quotidiana della
lingua parlata dagli eruditi e dai cortigiani raffinati, anche se talvolta, per confermare
l'uso di certi vocaboli, nei suoi lavori di compilazione del Vocabolario inventava
addirittura degli autori, che affermava di possedere manoscritti nella sua ricca
biblioteca, da cui riprendeva degli esempi calzanti o, nella migliore delle ipotesi,
riportava a memoria brani di autori conosciuti, quindi in maniera del tutto personale, in
modo che confermassero le sue idee: questo suo modo di procedere verrà messo in evidenza
due secoli dopo da uno studioso della stessa Accademia.
Questo incarico venne portato avanti
in modo più vivo e impegnato dal momento in cui fu nominato Arciconsolo dell'Accademia,
il 27 giugno 1678, succedendo a un illustre personaggio, l'amico Vincenzo da Filicaia, che
verrà nominato anche nel Ditirambo; manterrà l'Arciconsolato fino al 1690, quando gli
subentrerà il Gentiluomo fiorentino Manfredi Macigni.
Il suo impegno come Accademico
della Crusca e l'amicizia col Granduca, determinata anche dal fatto, come abbiamo
detto, che suo padre era Primo medico della corte medicea, gli permisero di partecipare,
nel '57, alla fondazione dell'Accademia del Cimento, della quale fu uno dei
rappresentanti più attivi: comincia così quella sua attività di ricercatore più o meno
scientifico che lo porta al possesso non solo di una vasta e solida cultura medica per
quei tempi notevole, ma anche ad affermare un principio che sempre avrà presente nella
sua produzione, anche poetica: quello di attenersi ai fatti e alla realtà, di
sperimentare le verità e le affermazioni anche in prima persona, come farà con il veleno
delle vipere, ingerito per dimostrare che questo diventa praticamente innocuo se bevuto ma
è mortale se iniettato nel sangue. Come Accademico del Cimento scriverà la maggior parte
delle sue opere scientifiche e delle sue lettere che avranno come argomento osservazioni
naturalistiche ed esperimenti vari di anatomia.
Nel 1663 viene nominato Lettore di
Lingua Toscana dello Studio Fiorentino, ed ha come discepoli personaggi che assumeranno un
posto di notevole importanza nel campo letterario verso la fine del secolo, tra i quali i
più importanti furono il Filicaia, il Menzini ed il Salvini. Del 1664 è la sua prima
opera, un opuscolo di storia naturale, le Osservazioni intorno alle vipere, con la
quale egli afferma una posizione di raggiunto prestigio non solo come medico e ricercatore
scientifico, ma anche presso la corte granducale, tanto che tre anni più tardi, nel 1666,
gli viene affidato l'incarico di sovrintendente della Fonderia e della Spezieria, e
soprattutto di Archiatro, cioè Primo medico, da Ferdinando II, succedendo in
pratica al padre che aveva mantenuto questa carica per molti anni, un incarico che
continuerà a mantenere anche sotto il successore Cosimo III, divenuto Granduca di Toscana
alla morte del padre nel 1670.
I suoi scritti nascono, secondo
alcuni critici, da osservazioni occasionali, non in un preordinato campo di ricerca; il
Redi mette comunque da parte superstizioni e dicerie e porta il suo lavoro sul piano della
sperimentazione razionale e sensista, scindendo, per quanto possibil,e la scienza dalla
morale cattolica e dai princìpi religiosi, spesso legati a una lettura acritica della
Bibbia e che talvolta non tenevano conto dell'evoluzione lenta e faticosa della ricerca
scientifica; anzi princìpi religiosi e morale cattolica spesso si mettono in violento
contrasto con la scienza, basti pensare alla vicenda emblematica di Galileo, della teoria
eliocentrica, della distinzione fra sostanza e accidente, ecc.
In lui, come nei ricercatori che
vivono e operano a cavallo fra il Seicento e il Settecento, non interessano tanto le
grandi questioni generali della Fisica o dell'Astronomia, quanto la realtà naturale del
microcosmo, delle piccole cose, indagate con senso naturalistico e razionale, non privo di
intuizioni geniali, che negli ultimi tempi stanno venendo alla luce grazie agli studi di
appassionati studiosi di quella vasta attività di "appunti" che giace per lo
più inesplorata. Da questo nascono le sue già citate Osservazioni intorno alle vipere
(1664), le Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668), le Esperienze
intorno a diverse cose naturali, e particolarmente a quelle che ci son portate dalle Indie
(1671), e infine, solo per citare le più importanti, le Osservazioni intorno agli
animali viventi che si trovano negli animali viventi, pubblicate nel 1684.
Proprio nel campo della ricerca
Redi acquistò una fama che lo rese celebre in Europa.
I Principi Mecenati trattavano allo
stesso modo scienziati e artisti, letterati e poeti, mettendo a disposizione di tutti
larghi mezzi per esprimere al massimo livello la propria personalità sia come elemento
per vedersi onorare e soddisfare l'ambizione di essere ricordati dai posteri, sia come
semplice e pura liberalità.
Nel 1685 pubblica il Bacco in
Toscana, la sua opera letteraria più celebre, e viene chiamato a far parte
dell'Accademia di Camera di Maria Cristina di Svezia e col nome di Anicio Traustio
è tra i primissimi accademici dell'Arcadia, nella quale porta la sua esperienza
non solo di letterato, ma anche di ricercatore naturalista, di persona lontana da ogni
ampollosità marinista, legata ai fatti e alle espressioni chiare e semplici.
Dal 1690 la sua salute comincia a
peggiorare, affetto da una malattia che si può approssimativamente identificare con
l'epilessia, come afferma il Giacosa. Negli ultimi mesi della sua vita, l'uomo che con
tanta sobrietà aveva curato i suoi ammalati con buon senso e realismo, lontano dalle
superstizioni e dai consueti farmaci privi di benefici effetti, invocava tutti i giorni
Gesù e si mostrava nel privato, perché non osava dichiararlo pubblicamente, fiducioso in
pratiche un po' arcane e irrazionali, come quella di farsi ungere di olii di devozione o
di credere nel potere di guarigione delle fettuccie che avevano toccato le ossa o la testa
di S. Ranieri.
Negli ultimi tempi fu, quindi, un
po' bigotto, come il Granduca Cosimo III, di cui era il cortigiano affettuoso e il
confidente. Nel 1697, mentre si trovava a Pisa insieme alla corte di Cosimo III, la
mattina del primo marzo fu trovato morto nel suo letto. Così scrive l'abate Salvino
Salvini (Opere di Francesco Redi, vol. I, Milano, Società tipografica de' Classici
italiani contrada di Santa Margherita n. 1118, anno 1809, pag. XX e seguenti) )nella sua
breve biografia di Redi: «In mezzo a queste sue glorie (le opere che letterati e
scienziati gli dedicavano, ndr), ad onta di sua piccola complessione debilitata bene
spesso dalle malattie, che lo travagliavano, come fu il mal caduco, da lui pazientemente
negli ultimi anni di sua vita sofferto, mantenne sempre indefesso l'amore alle Lettere, e
l'affezione agli amici, i cui parti d'ingegno volentieri tutto dì ascoltava: e sopra
tutto l'assiduo servigio, che egli prestava alla Casa Serenissima di Toscana, colla quale
portatosi finalmente a Pisa l'anno 1697. Fu la mattina del dì primo del mese di Marzo
dall'Incarnazione del Salvatore trovato nel proprio letto, esser passato, a cagione delle
suddette sue indisposizioni, da un breve e placido sonno agli eterni riposi del cielo,
dove il suo buon costume, e la sua religiosità ci persuadono, che egli sia andato
sicuramente.»
Il cadavere, imbalsamato nella
stessa Pisa, venne trasportato per sua espressa volontà ad Arezzo e tumulato in un ricco
mausoleo nella Chiesa di San Francesco fattogli edificare dal nipote Gregorino, anch'egli
Accademico della Crusca, erede di tutti i suoi beni e unico familiare cui il celibe Redi
fu legato da affetto. Sul sepolcro furono scolpite solamente queste parole: FRANCISCO REDI
PATRITIO ARETINO GREGORIUS FRATRIS FILIUS.
La 'Casa Serenissima di Toscana' per
pubblico decreto "collocò il suo ritratto come suol fare degli illustri suoi
cittadini, nel palagio pubblico; imitando in ciò il glorioso esempio di Cosimo III, che
non solo in foglio, ma in bronzo lui vivente, fece imprimere in tre artificiose medaglie
con ingegnosi rovesci, alludenti alle tre facoltà, che in eccellente grado possedeva di
filosofia, Medicina e Poesia.
L'Arcadia, di cui fece parte col
nome di Anicio Traustio, gli tributò particolari onori; e l'Accademia della Crusca di
Firenze il 13 agosto 1699 gli celebrò un particolare onore, con la lettura di numerosi
componimenti poetici e un'orazione funebre, che riportiamo in altra parte, scritta e
recitata dall'Abate Salvino Salvini, che mise in luce come tutta
la vita del Redi fosse stata un "continuo esercizio di letterata amicizia".
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 19 settembre 1999