Le prime manifestazioni letterarie in
volgare che ci interessano si ebbero nei secoli XII e XIII nella Francia
settentrionale (in lingua d' oil) ed in quella meridionale o Provenza (in lingua
d'oc). In Italia furono di natura religiosa e
comparvero nella Lombardia,nel Veneto e nell' Umbria.
Della letteratura francese in lingua
d' oil sono da ricordare i famosi cicli epico-narrativi carolingio,
bretone e quello dei cosiddetti cavalieri antichi.
Il ciclo carolingio rievoca le epiche
imprese di Carlo Magno
e dei suoi paladini a difesa del suolo patrio contro le invasioni
saracene. Si compone di numerose chanson de geste, poemi in versi (il più
celebre dei quali è la "Chanson de
Roland"), in cui si riflettono e si
esaltano i sentimenti più schietti del popolo francese e per questo
motivo esse trovarono larga risonanza e profonda eco presso le classi
popolari così francesi come italiane, nelle zone della nostra penisola in
cui penetrarono.
Il ciclo
bretone, che si espresse nei romanzi (sorta
di narrazioni epiche miste di prosa e versi),narra invece le imprese di
eroi favolosi (re Artù e i cavalieri della Tavola rotonda) che corrono
mille rischiose avventure per conquistare una donna, per difendere un
debole,per vendicare un sopruso,insomma sempre e soltanto per spirito
d'avventura,per affermare cioè un ideale di coraggio individuale che
occupa troppo di sé l'eroe per poter essere messo al servizio di un
interesse collettivo. Ovviamente questo ciclo incontrò maggior fortuna
presso i nobili,tanto più raffinati nel gusto quanto meno sensibili ai
sentimenti popolari.
Infine il ciclo dei cavalieri
antichi, assai meno importante dei precedenti, fu anch'esso di natura
epica e trattò vicende eroiche di personaggi della storia e della
leggenda antiche (Enea,Ettore,Cesare,ecc.) visti in una dimensione
moderna, cioè come veri e propri cavalieri medievali.
Più importante, però, per la nostra
storia letteraria, è l'influsso esercitato in Italia dalla letteratura
provenzale (o "occitanica", perché in lingua d'oc) in quanto
esso condizionò notevolmente la più importante delle nostre prime
attività letterarie,quella della "scuola siciliana".
Si tratta di un'abbondante produzione
di liriche che svolgono di preferenza il tema dell'amore. Non però di un
amore sincero, genuino e perciò sempre nuovo da lirica a lirica,ma di un
amore stilizzato entro forme convenzionali costantemente seguite dai
rimatori. Di solito il poeta ama una nobile madonna,una castellana, d'un
amore spesso proibito,e a lei fa omaggio d'ogni sua volontà,
dichirandosene fedelissimo servitore. Autori di queste liriche (o
"rime") erano i signori nobili e dotti della Provenza (Jaufrè
Rudel, Bernardo di Ventadorn, Bertrando di Born, Arnautz Daniel, ecc.), i
cosiddetti trovatori, che componevano generalmente anche la musica di
accompagnamento ed affidavano poi ai giullari il compito di cantare i loro
componimenti di corte in corte e di piazza in piazza. Costoro,poi,non di
rado erano essi stessi dei rimatori (come il celebre Marcabruno).
I Provenzali gareggiarono tra loro
nello stile e non già nella autenticità dei contenuti, il che spiega
quella opacità, se non proprio oscurità,così frequente nei loro versi,
dovuta all'eccessivo, esasperato lavoro di cesello che avrebbe dovuto
impreziosire il canto.
Quando con la crociata contro gli
Albigesi del 1209, voluta dal papa Innocenzo III, la Provenza cadde sotto
il dominio della Francia settentrionale e i suoi signori furono costretti
a rifugiarsi all'estero, molti di essi vennero in Italia, accolti alle
corti dei nostri nobili, e qui continuarono la loro attività letteraria.
Ciò spiega la fortuna che ebbe da noi la lirica provenzale e il sorgere
in Italia di numerosi poeti che imitarono i trovatori d'oltralpe, che anzi
con essi gareggiarono, adottando gli stessi temi,lo stesso stile e
talvolta la stessa lingua d'oc. Tra i nostri rimatori provenzaleggianti ci
limitiamo a segnalare Lanfranco Cigala e Sordello
di Goito, che Dante ci presenta nel
"Purgatorio".
In Italia la letteratura religiosa fu
tra le prime manifestazioni letterarie in volgare. Essa si sviluppò nel
Duecento (XIII secolo) soprattutto nella Lombardia e nel Veneto,ove
assunse un ruolo pratico di rigenerazione morale soprattutto descrivendo
le orribili pene infernali riservate ai malvagi e le gioie sublimi
destinate ai buoni, senza, ovviamente, raggiungere mai la vera poesia.
Tra gli autori segnaliamo Giacomino
da Verona, che compose due poemetti in
quartine per descrivere le pene dell'inferno ("De Babilonia Civitate
infernali) e le gioie del paradiso ("De Jerusalem celesti"), e
Bonvesin de la Riva, che scrisse il "Libro delle tre scritture",
in cui spiega la vita peccaminosa dell'uomo e le pene dell'inferno
(scrittura negra), il mirabile esempio della vita di Cristo e la sua
passione e morte per la redenzione delle umanità (scrittura rossa), le
gioie del paradiso (scrittura dorata).
Ma il centro più importante della
letteratura religiosa fu l' Umbria, ove il canto religioso nasce da una
profonda e sincera ispirazione e raggiunge vette di alta poesia. I suoi
maggiori esponenti furono S. Francesco d'Assisi
e Jacopone da Todi.
Francesco d'Assisi nacque da un ricco
mercante nel 1182. Dopo una giovinezza dissipata ed irrequieta, nel 1206
rinunziò alle proprie ricchezze e si diede ad una vita di umiltà e di
predicazione in lode del Signore. Fondò l'Ordine dei Frati Minori. Mori
nel 1226. Di lui ci è giunto,in volgare umbro, il "Cantico di Frate
Sole" (o "Cantico delle creature"),
in cui il Santo invita tutte le creature ad innalzare un canto di
ringraziamento al Creatore. C'è un vero e proprio umiliarsi e confondersi
dell'uomo nelle cose del creato,le più umili come le più alte, sicché
in una universale comunione di intenti un'unica voce di lode sale dalla
Terra al Cielo. Il Cantico ha il duplice valore di preghiera e di poesia:
esso è un inno di lode e di ringraziamento delle creature al Signore, e
come tale è preghiera; ma è anche l'aprirsi di tutta l'anima del Santo
dinanzi alla vista gioiosa del Creato, e come tale è poesia.
Jacopo de' Benedetti (detto Jacopone
per la mole del corpo) nacque a Todi nel 1236. Fu procuratore legale e
amante degli agi e delle sregolatezze. L'improvvisa e drammatica morte
della moglie, seppellita dalle macerie nel crollo del pavimento durante
una festa da ballo (sul suo corpo fu rinvenuto un cilicio, segno di
penitenza), sconvolse Jacopone a tal punto da renderlo il più spietato
censore dei vizi umani e il più collerico punitor di se stesso. Tutta la
sua vita, dal giorno della disgrazia,fu rivolta all'espiazione esasperata
degli anni trascorsi tra i bagordi e all'incestante ricerca di un meritato
approdo nel perdono di Dio. Nel 1278, dopo vari ed inutili tentativi,
riuscì ad entrare nell'Ordine francescano, ove appoggiò con risolutezza
la causa degli Spirituali in lotta con i Conventuali, che volevano
mitigare e forse mondanizzare la Regola del fondatore. Anzi fu così aspro
nei confronti del papa Bonifacio VIII, che appoggiava per calcolo politico
i Conventuali, da guadagnarsi il carcere e la scomunica, da cui verrà
liberato e sciolto solo nel 1303 da Benedetto XI. Morì nel 1306.
Fu autore di numerose laude che
attentano il fervore della sua spiritualità religiona,tutta la sua
angoscia per il male del mondo, la sua sete ossessiva di Dio. Le laude
mostrano un temperamento fiero, gagliardo,violento: sono scritte più per
combattere il male che per annunciare il bene, più per colpire che per
rialzare e sorreggere.
Il suo capolavoro è il "Pianto
della Madonna",lauda dialogata con più
personaggi (un fedele,Maria,la folla,Cristo) che anticipa la sacra
rappresentazione. Vi è descritta punto per punto,in tono drammatico, la
crocifissione di Cristo e in un potente crescendo lo strazio di Maria, non
più Madre di Dio, ma semplice povera creatura umana dal cuore trafitto.