La lirica d'arte in Italia inizia
ufficialmente verso la metà del sec. XIII, cioè del Duecento) presso la
corte palermitana di Federico II di Svevia. Fu proprio il sovrano,amante
dell'arte e della cultura, a favorirne lo sviluppo organizzando la Scuola
poetica siciliana. A questa Scuola parteciparono poeti non solo siciliani,
ma anche dell'Italia meridionale, i quali, essendo completamente estranei
alla vita politica del regno, si limitarono a trattare nei loro
componimenti il tema dell'amore cortese,
a cui affiancarono quello del "contrasto tra amante e madonna",
cioè tra il giovane innamorato e la ragazza ritrosa, e quello del
"lamento per la partenza del crociato". Questi poeti furono
piuttosto freddi perché non si ispiravano a sentimenti genuini del
proprio animo, ma trattavano l'amore tutti allo stesso modo imitando
quello usato prima di loro dai provenzali. Tuttavia essi furono importanti
perché operarono il primo tentativo di fornire l'Italia, o almeno l'
Italia meridionale e la Sicilia, di un'unica lingua, che fu appunto il
volgare parlato alla corte di Federico, un volgare elaborato col
contributo di poeti di diversa origine. Alla Scuola parteciparono,oltre
allo stesso re Federico ed al figlio Enzo, Rinaldo d'Aquino, Guido
ed Odo delle Colonne, Giacomo da Lentini
(forse l'inventore del sonetto) e numerosi altri.
Sempre in Sicilia, ma al di fuori
della Scuola siciliana, operò un certo Cielo (o
Ciullo) d'Alcamo, rimasto famoso per un "contrasto"
fresco e vivace, "Rosa fresca aulentissima".
La lirica d'arte fece un notevole
progresso quando,dopo la caduta degli Svevi e l'avvento degli Angioini
alla corte di Palermo, i poeti della Scuola siciliana si dispersero e la
loro poesia andò a trapiantarsi in Toscana, dove si innestò in un altro
filone poetico già presente e diede vita a qual movimento che fu detto
dei poeti di transizione. Il maggiore esponente di questi poeti fu Guittone
d'Arezzo. Essi arricchirono la poesia di altri temi civili,
politici e religiosi e ciò si spiega col fatto che in Toscana vi erano i
liberi Comuni i cui cittadini esercitavano direttamente le funzioni
politiche e amministrative ed erano perciò molto sensibili a questi
problemi. Anche il tema dell'amore era sentito in maniera nuova: esso
andava sempre più interiorizzandosi ed arricchendosi di significati
morali,aprendo così la via all'altro movimento poetico di grande rilievo,
quello che fu chiamato da Dante Alighieri il "dolce
stil novo".
Il "Dolce stil novo" prese
l'avvio ad opera di Guido Guinizelli bolognese, ma ebbe il suo massimo
sviluppo soprattutto in Toscana grazie a Guido
Cavalcanti, a Cino da Pistoia e soprattutto
allo stesso Dante. Questi poeti considerano la donna una creatura angelica
discesa dal Cielo per migliorare l'animo dell'uomo e renderlo meritevole
del Paradiso. L'amore, che può albergare solo in un "cuore
gentile", suscita tante sensazioni nell'uomo da farlo sentire
profondamenta mutato. Egli, al passaggio della sua donna, depone
immediatamente ogni motivo di odio o di invidia e si sente preso da un
forte desiderio di pace e di amore verso tutte le creature. Il poeta
stilnovista approfondisce l'esame dei suoi stati d'animo,delle sensazioni
che prova sotto l'impulso dell'amore e perciò nei suoi versi esprime
sentimenti genuini con molta sincerità. Possiamo dire che gli stilnovisti
furono i primi autentici poeti della letteratura italiana.
La canzone "Al
cor gentil rempaira sempre Amore" di
Guido Guinizelli è comunemente intesa come il "manifesto" - cioè
il primo programma - dello Stilnovo. In essa il Poeta afferma che l'Amore
e il cuore gentile sono una cosa come la luce e il calore del Sole, per
cui sono inconcepibili separati l'uno dall'altro. Ne consegue che amare
una donna non è peccato,anche perché essa è in grado di innamorare di sé
un uomo solo se è dotata di virtù celesti. Inoltre il suo amore non può
che rivolgersi ad un uomo fatto eletto e puro dalla Natura, così come la
stella può rendere preziosa una pietra solo dopo che questa sia stata
purificata e liberata di tutte le sue impurità dai raggi del Sole. Il
Poeta afferma poi che la "nobiltà" è nell'uomo virtù
individuale, da conquistare con i propri meriti, e non ha niente a che
vedere con i titoli nobiliari che si ereditano dagli antenati.
La poetica del "dolce stil
novo" è sinteticamente ed egregiamente esposta da Dante nel "Purgatprio"
(XXIV,52-54):
...I'
mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch' e' ditta dentro vo significando.
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