ALTRI ARGOMENTI
|
Giuseppe Bonghi: Biografia |
Abbiamo diviso la biografia
machiavelliana in sezioni, perché sarebbe stato difficile contenerla in un
unico file. Per questo abbiamo distinto:
l'epoca
dell'infanzia, le prime letture, i primi
maestri, dal 1469 al
1498; l'epoca
del segretariato, le ambasciate, le relazioni
dal 1492 al
1512; l'epoca
del letterato, le grandi opere, Firenze e i
Medici, dal 1513 al 1527.
Machiavelli è indubbiamente uno dei più straordinari personaggi sia della
nostra storia che della nostra letteratura. Per la storia perché ha dato
una impronta indelebile allo studio attraverso la realtà sia
dell'organizzazione politica del principato che della repubblica (Il Principe e i Discorsi sulla prima deca di Tito
Livio), e per la nostra letteratura perchè la novella Belfagor e la commedia La
Mandragola sono veramente due capolavori, tanto che se si fosse
dato al teatro avrebbe impresso sicuramente una svolta al teatro italiano,
come Molière in Francia. Inevitabile quindi una più approfondita disamina
della sua vita nei tre periodi che l'hanno caratterizzata.
l'infanzia
(1469-1498)
Niccolò
Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio 1469 da Bernardo e Bartolomea
Nelli. La famiglia paterna, appartenente all'antica piccola nobiltà
fiorentina, che aveva dominato in Val di Pesa e in Val di Greve e per
qualche tempo su Montespertoli prima di cadere sotto l'egemonia del comune
di Firenze, nel quale si allearono con la parte Guelfa del Sesto
d'Oltrarno (che abbandonò Firenze nel 1260 dopo la rotta di Montaperti),
raggiungendo alti gradi dell'ufficio di governo (tennero per tredici volte
l'ufficio di Gonfalone di Giustizia e in vari tempi per 53 volte il
Priorato), ora decaduta. Lo stemma di famiglia aveva quattro chiodi ("mali
clavelli", chiodi cattivi per chi li offendesse), agli estremi della croce
d'argento in campo azzurro. Anche la madre (di cui si diceva che sapesse
comporre poesie) apparteneva a una famiglia abbastanza distinta,
proveniente dagli antichi conti di Borgonuovo di Fucecchio, noti fin dal
decimo secolo (ebbe l'onore di ricoprire una volta con Francesco di Nello
l'ufficio di Gonfaloniere e per cinque volte la carica del
Priorato). Era l'anno
in cui Lorenzo il Magnifico divenne signore di Firenze dando vita ad
un'epoca di straordinario splendore: in quegli anni Firenze ospitò e dette
vita a intellettuali grandissimi, come Marsilio Ficino e Pico della
Mirandola, artisti fra i più grandi mai esistiti come Leonardo da Vinci e
Michelangelo Buonarroti, e artisti di grandezza assoluta le cui opere sono
l'orgoglio dei più importanti musei del mondo come Raffaello e Botticelli;
Firenze fu senza paragone "la sede più importante del moderno spirito
italiano ed anzi europeo" e "il primo fra gli stati del mondo moderno"
(Burckhardt). Il padre
di Niccolò era un uomo di legge che (giureconsulto e tesoriere della
Marca), per accrescere i mezzi per vivere un'esistenza dignitosa, era
dovuto andare a servizio di vari comuni della zona. Questa "povertà"
iniziale peserà non poco sulla vita di Niccolò quando entrerà nella vita
politica. Fu anche per sua esplicita volontà che Machiavelli ebbe un'ampia
e approfondita formazione culturale umanistica, studiando con maggiore
attitudine più profitto di molti: conobbe il latino e un poco di greco e
soprattutto i grandi scrittori della lingua fiorentina; ma soprattutto
lesse i classici e visse attentamente la vita del suo tempo, comprendendo
che non si può risalire al passato senza intendere e vivere intensamente
il presente, perché l'uomo del presente è l'uomo di sempre pur nella
diversità delle circostanze e delle apparenze in cui si manifestano le sue
azioni. Machiavelli
vive in una città di mercanti e di banchieri, nella quale corrono le
notizie politiche ed economiche provenienti da tutto il mondo, notizie che
vengono variamente commentate per capire i risvolti che certi fatti hanno
o potrebbero avere su Firenze. Uno degli "amici" (e si dice anche maestro
dal 1494) di quegli anni è senza dubbio Marcello Virgilio Adriani, che
sarà segretario della Repubblica, col quale in qualche modo collaborerà.
Della sua giovinezza si sa poco o nulla, come poco si sa dei suoi maestri
o dei suoi studi; qualche notizia ce l'offre Bernardo Machiavelli nel suo
Libro di ricordi: nel 1476 comincia a studiare aritmetica e latino, l'anno
dopo viene affidato alla scuola di Battista da Poppi nella chiesa di San
Benedetto, dal novembre 1481 passa alla scuola del latinista Paolo da
Ronciglione, col quale approfondisce la lettura degli autori
latini. Possiamo
immaginare che studiò approfonditamente la storia romana e quella greca e
i grandi scrittori. Nel 1496 gli muore la madre e quattro anni dopo, il 10
maggio 1500, il padre; nel 1497 patrocina a nome di "tutta la famiglia de'
Machiavegli, cives florentini" una causa relativa alla rivendicazione di
certi prelievi fiscali e al godimento di vari diritti che da qualche tempo
erano nelle mani di una potente famiglia fiorentina. Nell'autunno 1501
sposa Marietta Corsini, dalla quale avrà cinque figli e alla quale non
sarà molto fedele: nelle sue lettere parla spesso di amori fugaci o anche
tenaci, come quello per la Riccia o per la cantante Barbara Salutati, che
porterà il suo coro a cantare alla rappresentazione della Mandragola che
il Guicciardini voleva far rappresentare a Faenza o a Bologna, per la
quale lo stesso Machiavelli avrebbe preparato le canzonette; la relazione
con la "Bàrbera" durerà in pratica fino alla morte del
Nostro. Il Machiavelli
assistette a certi fatti salienti della sua città: arresti, condanne,
esilii, esecuzioni capitali come quelle dell'arcivescovo Salviati e Iacopo
Poggio Bracciolini pendere dalle finestre di Palazzo Vecchio, o la morte
di Lorenzo il Magnifico nel 1492, l'entrata in Firenze di Carlo VIII nel
1494, l'ascesa e la morte di fra Girolamo Savonarola condannato e arso nel
1498. "Machiavelli
rimase estraneo all'ammirazione popolare per il frate domenicano Gerolamo
Savonarola, che dopo la cacciata dei Medici da Firenze (grazie anche a
Carlo VIII) e la restaurazione della Repubblica, cercò di realizzare dal
'94 al '98 un governo insieme democratico e teocratico; ma, essendo
ostacolato, per la prima forma di governo, dal papato e per la seconda dai
partiti politici della città, il suo tentativo fallì ed egli pagò con la
morte. Una lettera di Machiavelli indirizzata al Ricci contiene delle
valutazioni critiche sull'operato del Savonarola: gli appare come un
"profeta disarmato". A cinque giorni dall'esecuzione del Savonarola, forse
grazie anche all'appoggio di Marcello Virgilio Adriani, professore nello
Studio fiorentino, suo maestro di greco e latino che nel frattempo era
divenuto capo della prima cancelleria, Machiavelli viene candidato
all'ufficio di secondo cancelliere (o segretario) della Repubblica di
Firenze, in sostituzione di Alessandro Braccesi, seguace del frate
domenicano. Per avere l'ufficio occorreva avere capacità diplomatiche e
competenze nelle materie umanistiche (conoscenza perfetta del latino,
della storia antica e della filosofia morale dei classici, capacità
stilistica e retorica). Il 19 giugno viene eletto a quella carica (die 15
mensis junii 1498 in Consilio Octuaginta Virorum pro secunda Cancellaria
loco ser Alexandri Braccesi, privati a dicto Officio, ex plurimis
nominatis et scrutinatis, iuxta formam legis de materia disponentis,
remanserunt electi infrascripti quatuor… Missis singulariter ad partitum
in Consilio Majori suprascriptis … qui sub die 15 ejusdem remanserunt
electi in Consilio Octuaginta, prefatus Nicolao de Machiavellis, obtento
legitime partito, habuit majorem numero fabarum nigrarum. Et sic juxta
formam legis remansit electus pro dicta secunda cancellaria loco dicti ser
Alexandri Braccesi et pro residuo temporis electionis ipsius ser Alexandri
cum eodem salario… un'elezione che sarebbe dovuta durare solo un mese per
un salario di 192 fiorini annui) e, poiché la seconda cancelleria
s'occupava soprattutto della corrispondenza relativa all'amministrazione
dello Stato, Machiavelli come capo di questa sezione era anche considerato
uno dei sei segretari del primo cancelliere e come tale viene ben presto
assegnato, il 14 luglio, al Consiglio dei Dieci della guerra (o di libertà
e di pace): il comitato responsabile per le relazioni estere e
diplomatiche della Repubblica (Die 14 julii 1498. Item dicti Domini simul
adunati… deliberaverunt quod Nicolaus Domini Bernardi de Machiavellis
eorum Cancellarium inserviat usque ad per totum mensem augusti prox. Fut.
Officio Decem Libertatis Civitatis Florentiae.). Questi uffici gli daranno
modo di radunare un vastissimo materiale storico e politico che costituirà
l'ossatura di tutte le sue opere". Manterrà entrambe le cariche sino al 7
novembre 1512, anche se la seconda avrebbe dovuto avere la durata di un
solo mese, per quattordici anni e cinque mesi. (liberamente tratto da
Galarico; in corsivo i due decreti di nomina da "Deliberazioni de' Signori
e Collegi dal 1494 al 1502", provenienti dal Protocollo esistente nelle
Riformagioni).
il letterato
Si ritira nella sua villa a San Casciano, ma spesso è chiamato
ad andare in quel Palazzo Vecchio che così solennemente gli era stato
proibito di frequentare, per spiegare cose pertinenti al lavoro che vi si
svolgeva. Nel febbraio 1513 viene scoperta la congiura di Agostino Capponi
e Pietropaolo Boscoli contro il nuovo governo mediceo, col fine di
ammazzare il Cardinale Giovanni: vengono presi i capi e uno di essi
smarrisce una lista di venti nomi, fra i quali si trova, al settimo posto,
quello del Machiavelli, che viene sospettato di avervi preso parte,
arrestato e torturato "con sei tratti di corda". Viene liberato dopo 22
giorni di prigione, in occasione dell'amnistia per l'elezione dello stesso
cardinale Giovanni, divenuto papa col nome di Leone X. Provata la sua
innocenza, spera di poter rientrare nelle grazie dei nuovi padroni, ma le
sue domande d'impiego rimarranno
inascoltate. Si
ritira allora nella Potesteria di San Casciano nel quartiere detto di
Sant'Andrea in Percussina, località La Strada, nella villa detta
L'Albergaccio (che nel testamento del 27 novembre 1522 lascerà alla
moglie Marietta Corsini figlia di Ludovico Corsini). Machiavelli non nutre
più alcuna speranza di tornare alla vita politica attiva: la sua vita
politica attiva è definitivamente chiusa; per quanti sforzi facesse in
seguito di ritornare ad vedersi assegnato un posto di rilevante
importanza, sempre i suoi sforzi resteranno vani e daranno frutti ben
poveri e miseri. Da adesso unirà alla sua firma la scritta "quondam
segretario". Machiavelli cerca di reagire con una certa forza morale alla
nuova situazione che si è venuta a creare, ma si rende conto che nulla più
potrà essere come prima. Rimane praticamente fuori dalla vita attiva, e
risponde alle lettere dei suoi amici e al suo amico Francesco Vettori,
solo "per parere vivo", ben sapendo che egli ormai è "alieno con l'animo
da tucte queste pratiche, come ne fa fede lo essermi riducto in villa, et
discosto da ogni viso humano, et per non sapere le cose che vanno adtorno,
in modo che io ho ad discorrere al buio". (a Vettori, 29 aprile
1513) Nel 1513
scrive Il Principe, in pochi mesi; il 10 dicembre così scrive
all'amico Francesco Vettori: "Venuta la sera, mi ritorno in casa ed
entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste
cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto i panni reali e curiali; e
rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini,
dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è
mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e
domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi
rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico
ogni affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte: tutto mi
transferisco in loro. E, perché Dante dice che non fa scienza sanza lo
ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro
conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De
principatibus; dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di
questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono,
come e' si acquistono, come e' si mantengono, perché e' si
perdono".
Con questa operetta, scritta fra il luglio e il dicembre, e più
verosimilmente tra ottobre e novembre, piccola come mole, ma grandissima
come teorizzazione politica e conseguenze nei secoli futuri, Machiavelli
spera d'ingraziarsi le simpatie dei Medici, dedicandola a Lorenzo II dei
Medici (detto Lorenzino), che l'accoglie con una certa freddezza e un
distacco che delude molto il Nostro che capisce che è ben lontano il
momento di poter tornare alla politica attiva, anche perché a Roma
esisteva un preciso veto ad utilizzare Machiavelli in qualsiasi tipo di
incarico politico, pur riconoscendo la sua intelligenza, preparazione e
soprattutto affidabilità. Questa nuova coscienza lo spinge sulla via della
letteratura, per la quale si sentiva comunque particolarmente portato,
tanto da restare amaramente deluso quando Ariosto non lo inserirà
nell'elenco dei poeti e dei personaggi importanti del secolo presenti nel
canto 46°. Dal
1513 al 1519 lavora ai Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio,
trattato sulle Repubbliche, che sotto certi aspetti è più importante del
Principe. I Discorsi ricordano la più grande esperienza che
un popolo abbia mai fatto e lasciato come ammaestramento per le
generazioni future soprattutto sul piano del Diritto. Le due opere sono
legate insieme, e quasi non esiste distinzione tra il Machiavelli
repubblicano e il Machiavelli monarchico del Principe, perché molti
nessi in comune hanno i concetti fondamentali delle due opere.
L'impostazione dei Discorsi risente comunque della frequentazione
degli Orti Oricellari, riunioni che avvenivano nei giardini di
palazzo Rucellai a Firenze, da quando, diminuita la rigidità del confino,
Machiavelli potè cominciare a rimettere piede in
Firenze. Nel
1514 scrive il Decennale secondo, che si ferma ai fatti del 1509 e
del 1517, come testimonia anche una lettera dello stesso Machiavelli
scritta in quell'anno a Ludovico Alamanni, è l'Asino (da qualcuno
intitolato anche Asino d'oro), un poemetto in terza rima che si
ispira un po' ad Apuleio e un po' a Dante e contiene un fondo di amarezza
dovuta alla irrimediabile caduta delle illusioni che seguirono i dolorosi
eventi del 1512. La donna che guida Machiavelli (una Duchessa come
Virgilio per Dante è stato Duca o una nuova Beatrice) è una donna moderna
e terrena, legata alle cose
quotidiane: "Ma perché via passar la notte
sento,
vo' che pigliam qualche consolazione…" lontane da quella
spiritualità che caratterizza la Beatrice di Dante. Non solo, ma per
converso laddove Dante mira verso il cielo e la beatitudine eterna,
Machiavelli scende sempre più sulla terra per capire
che:
"non dà l'un porco a l'altro porco
doglia,
l'un cervo a l'altro: solamente
l'uomo
l'altr'uom amazza, crucifigge e
spoglia…"!
Nel 1515 Francesco I di Francia conquista Milano e sigla la pace con Leone
X. L'anno successivo muore, dopo lunga malattia, Giuliano e gli succede
Lorenzo II dei Medici detto Lorenzino, che diviene Capitano generale dei
fiorentini e, successivamente nel mese di ottobre, Duca
d'Urbino:
"Acquistato con l'armi quello stato, che insieme con Pesero e
Sinigaglia, membri separati dal ducato di Urbino, non era di entrata di
piú di venticinquemila ducati, Leone, seguitando il processo cominciato,
ne privò per sentenza Francesco Maria, e di poi ne investí nel concistorio
Lorenzo suo nipote; aggiugnendo, per maggiore validità, alla bolla
espedita sopra questo atto la soscrizione della propria mano di tutti i
cardinali. Co' quali non volle concorrere Domenico Grimanno vescovo di
Urbino, e molto amico di quel duca: donde temendo lo sdegno del pontefice
partí, pochi dí poi, da Roma; né vi ritornò mai se non dopo la sua
morte".
(Guicciardini, cit. lib 12, cap. 21).
Proprio a lui Machiavelli dedica Il
Principe, ma, come, narrano certi aneddoti del tempo, Lorenzino fu
attratto soprattutto dal regalo di una coppia di cani che accompagnava il
dono dell'operetta
politica. In
quegli stessi anni comincia a frequentare, nei giardini di Cosimo
Rucellai, i cosiddetti Orti Oricellari, una compagnia di giovani di
elevata condizione sociale e culturale, che si stringe intorno al "vecchio
segretario". Nei
mesi di gennaio-febbraio del 1518, secondo studi approfonditi
sull'argomento, Machiavelli compone la "Commedia di Callimaco e Lucrezia,
cioè La Mandragola, che viene data alle scene per la prima volta
durante le rappresentazioni teatrali organizzate per le nozze di Lorenzo
de' Medici (detto Lorenzino) con Margherita de La Tour d'Auvergne nel
settembre dello stesso anno (le altre commedie rappresentate per quelle
nozze furono il Falargho e la Nutrice o Pisana di
Filippo
Strozzi). La
fortuna della Mandragola fu rapida e di grande importanza; le
rappresentazioni più importanti avvennero nel 1520, durante il carnevale
di Venezia del 1522 "allorché la prima recita fu sospesa per l'eccessivo
affollamento del teatro, e sempre nella stessa città nel 1526". Alla fine
del 1525 Machiavelli compose le Canzoni che chiudono i cinque atti della
Commedia, per le rappresentazioni del Carnevale di Modena del 1526
patrocinate da Francesco Guicciardini e cantate da "Barbera" Salutati,
come abbiamo già
ricordato. Del
1518 è probabilmente, secondo alcuni, ma la datazione è molto controversa,
la novella Il demonio che prese moglie, una favola meglio
conosciuta col titolo di Belfagor Arcidiavolo, col quale anche noi
l'abbiamo riportata nella nostra Biblioteca elettronica; apparve col nome
del suo autore per la prima volta nel 1549, anche se già quattro anni
prima Antonio Blado l'aveva stampata nella raccolta delle Rime e prose
volgari di Monsignor Giovanni Brevio, in un testo che conteneva molti
errori, "ben lontano dalla finezza e dall'arguzia dell'originale. Il furto
del Brevio fu subito avvertito e già nel 1547 Anton Francesco Doni
dichiarava di voler denunziarlo, ma fu preceduto nelle sue intenzioni da
Battista Giunti, che restituì al Machiavelli la novella" (Gaeta). Belfagor
un diavolo che scende sulla terra per prendere moglie e capire quale è la
condizione degli uomini che si sono sposati e che tento si lamentano delle
donne da rappresentare appunto come un inferno la vita matrimoniale:
Belfagor non vedrà l'ora che passino in fretta i dieci anni concessigli da
Plutone, il Diavolo supremo degli Inferi: tutto è costruito con quella
razionalità che contraddistingue il Machiavelli, che individua un problema
e mette in chiaro anche la soluzione. Di questi stessi anni probabilmente
è il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, in cui cerca di
dimostrare (attraverso il dialogo con Dante) che la lingua usata non ha
origini "curiali" ma deriva tutta da quella usata quotidianamente dai
fiorentini. Nel
mese di gennaio del 1519, alla morte dell'imperatore Massimiliano, Carlo
di Spagna acquisisce il dominio familiare degli Asburgo e il 28 giugno
cinge la corona imperiale. In Italia il 4 maggio muore Lorenzo II de'
Medici, cui il Machiavelli aveva dedicato l'edizione definitiva del
Principe. Gli subentra nel governo della città il cardinale Giulio
dei Medici, che chiede a nome di papa Leone X, allo scrittore un parere
sul futuro assetto della città di Firenze e sulla situazione politica
generale; Machiavelli gli invia la relazione Discursus florentinarum
rerum post mortem iunioris Laurentii Medices, che segno un timido
ritorno dello scrittore alla vita politica; se non altro la morte di
Lorenzino lo aveva tolto da quell'emarginazione che tanto lo affliggeva e
la nuova situazione gli dava la speranza di poter ancora fare qualcosa per
la sua Firenze, sulla quale si stavano addensando tempi bui e difficili.
Nel Discursus Machiavelli ribadisce il concetto della politica come
scienza autonoma, mentre la vita dello stato è vista come lotta fra tre
qualità di uomini che sono in tutte le città, cioè primai, mezzani e
ultimi. Nel
mese di giugno comincia a scrivere il trattato Dell'arte della
guerra, che verrà portato a compimento l'anno dopo: è il primo testo
teorico di arte militare e lo resterà fino a von Clausewitz che tra il
1832 e il 1837 scriverà il trattato Dell'arte della Guerra, in cui
afferma che la razionalità del capo e il coraggio della fanteria restano
fattori decisivi. L'originalità dell'opera consiste proprio
nell'interpretazione dell'arte militare, nel superamento del sistema
feudale che privilegiava la cavalleria per arrivare alla nuova concezione
della milizia territoriale o popolare teorizzando una riforma delle
istituzioni militari. Il grande scrittore francese Montaigne nei suoi
Saggi pone il Machiavelli con questa sua opera vicino a Polibio e
Cesare come grande autorità in campo
militare. Nel
1520, in luglio, viene inviato a Lucca per tutelare gli interessi di
alcuni mercanti fiorentini coinvolti in un grave fallimento e qui scrive
la Vita di Castruccio Castracani, che è la favola esemplare del
principe virtuoso o razionale; la visita a Lucca verrà in seguito
riassunta in un Sommario delle cose della città di Lucca.
Lentamente ricomincia a prendere una certa posizione all'interno della
politica della città. Il libretto viene dedicato a Zanobi Buondelmonti e a
Luigi Alamanni, frequentatori come lui degli Orti
Oricellari.
Il primo novembre sotto la spinta di Lorenzo Strozzi, uno degli amici
della compagnia degli Orti Oricellari, e per interessamento del
cardinale Giulio de' Medici, succeduto nella guida della vita politica di
Firenze alla morte di Lorenzino, ebbe la nomina a servire nello Studio
per due anni e, fra l'altro, l'incarico di redigere annalia et
cronacas florentinas, con uno stipendio di 57 fiorini l'anno, la metà
di quanti anni prima ne prendeva come cancelliere (che in seguito subirà
un aumento fino a 100 fiorini l'anno, e quando le presenterà a papa
Clemente a Roma, questi gli darà un sussidio di altri cento ducati perché
le continui). Anche se lo stipendio era scarso, l'incarico era comunque
prestigioso, perché riceveva l'onore di essere lo storico ufficiale della
città, incarico che prima di lui avevano ricoperto altri primi
cancellieri, come Leonardo Bruni e Poggio
Bracciolini. "Ma
c'era un inghippo: era pacifico che le sue storie fossero scritte alla
maniera di Livio, cioè con un fine etico, quello di fornire un modello del
buon cittadino. Sceso ormai in basso e per poco risalito, Machiavelli fu
preso da crisi di coscienza (come risulta dalla testimonianza del
Giannotti e dalla sua corrispondenza col Guicciardini. - Vedi ad es. la
lettera del 30 agosto del 1524: 'ingegnerommi di fare in modo che, dicendo
il vero, nessuno si possa dolere', ndr -). Come poteva il repubblicano
Machiavelli elogiare i Medici? Cominciò con lo strutturare in maniera
complicata gli otto libri delle Istorie fiorentine, riducendo agli
ultimi quattro la storia medicea; parlò di politica estera piuttosto che
di politica intera; evitò accuratamente i giudizi sul governo dei Medici;
ed infine elogiò Cosimo e Lorenzo, ma come uomini, non come capi di una
dinastia. Come ne I Discorsi, così anche nelle Istorie
ricalca lo schema della introduzione de Il Principe, con la stessa
rivendicazione di dignità e di autonomia di giudizio. E già nel I libro fa
il contrario di quel che doveva essere fatto: non si pèrita di sostenere
la tesi che il papato è causa delle invasioni straniere e abbonda in uno
spirito di laicità. Ma troppi fatti sono qui riassunti insieme… Così con
molta noia cronachistica le storie vanno avanti". (Tommaso
Albarani). Nel
1521, per desiderio del cardinale Giulio, viene inviato dagli "Otto di
Pratica" al capitolo dei Frati Minori riunito a Carpi, per ottenere la
separazione dei conventi dell'Ordine del territorio di Firenze, creandone
una provincia autonoma che si sarebbe potuta governare meglio, da quelli
del resto della Toscana, mentre Francesco Guicciardini era governatore di
Modena: le avversità della fortuna prendono indubbiamente un aspetto molto
ironico, se pensiamo a quanto egli amasse e apprezzasse i frati così ben
rappresentati da fra' Timoteo nella Mandragola. Per giunta, i
consoli dell'Arte della Lana, approfittando di quella legazione,
mentre si trova già a Carpi, gli affidano anche la commissione di
scegliere un buon frate predicatore; la notizia gli viene portata da un
certo frate Ilarione, confidente del cardinal de' Medici: il compito
effettivo di Machiavelli è solo quello di consegnare una lettera al
ministro generale, frate Francesco da Potenza e dirgli che la formazione
della provincia fiorentina è desiderata dal cardinale, anche perché il
cardinale e la Signoria "desiderano de' frati sentire buon odore, e non
malo, come insino a ora hanno fatto". E nulla è più comico di questo
ambasciatore che si presenta al Capitolo generale dei francescani dopo
aver creato la figura di fra
Timoteo. Era un
incarico indubbiamente ridicolo e meschino per un uomo della levatura
intellettiva e politica come Machiavelli; eppure era un incarico
importante, perché non solo segnava il ritorno dell'ex segretario alla
vita politica attiva, pur se minimale, ma segnava un suo ritornare a
sentirsi vivo e utile in qualche modo per
Firenze. Il
primo dicembre 1521, pochi giorni dopo aver elevato Carlo V al ruolo di
Difensore della Fede Cattolica contro le nuove idee religiose che in
quegli anni stavano dilagando ad opera di Martin Lutero, attiva già dal
1517 con l'affissione delle sue 95 tesi sulla parta della cattedrale di
Wittenberg, muore a soli 46 anni Leone X, tanto improvvisamente che
circolò la voce che fosse stato avvelenato, tanto che fu arrestato il suo
coppiere Bernabò Malaspina e il maestro delle cerimonie di corte, Paride
Malaspina, invano insistette presso i medici per l'autopsia. Il 27
dicembre viene eletto il vescovo di Tortosa, Adriaan Florensz che prende
il nome di Adriano VI e viene incoronato il 31 agosto 1322 sulla scalinata
di San Pietro, senza alcuna pompa, mentre in Roma si diffonde la peste; ma
il suo pontificato ha vita troppo breve, per poter lasciare un segno
tangibile nella caotica vita politica europea del tempo, mentre sempre più
si diffondeva l'eresia luterana. Dopo aver cercato di imporre ai prelati
una vita più dedita alle cose spirituali che a quelle terrene, non supera
una breve malattia e muore improvvisamente il 14 settembre 1523. Il 19
novembre viene eletto Giulio de' Medici, già candidato contro Adriano VI,
che viene incoronato il successivo giorno 26 prendendo il nome di Clemente
VII, salutato con entusiasmo dalla folla, ma dimostrandosi incapace di
risolvere con decisione i difficili problemi che affliggevano il papato.
Intanto nel 1524 Signore di Firenze diventa Ippolito de' Medici, figlio
naturale di Giuliano di
Nemours Tra la
fine del 1524 e i primi giorni del 1525 compone la Clizia, una
commedia, forse commissionata, sul modello della Casina di Plauto,
e probabilmente viene corretta in occasione del matrimonio di Maria di
Filippo Strozzi con Lorenzo Ridolfi ed ha quasi un sapore autobiografico,
perché in essa Machiavelli rappresenta il suo amore per Barbara Raffacani
Salutati (che verrà condannata dalla Chiesa ad essere sepolta fuori del
sagrato). La
prima rappresentazione della commedia avviene il 13 gennaio 1525 nella
villa suburbana di Jacopo di Filippo Falconetti, con le scene e le
prospettive di Bastiano da
Sangallo.
Intanto gli eventi politici assumono una piega negativa per le forze
francesi in Italia. Il 24 febbraio Francesco I viene sconfitto dalle
truppe imperiali a Pavia, fatto prigioniero e portato in Spagna: verrà
liberato nel gennaio 1526 accettando le dure condizioni della pace di
Madrid colla rinuncia a tutti i diritti sull'Italia; ma, non rispettando
gli accordi, ritorna in Italia arrabbiato per lo smacco subito e riapre le
ostilità organizzando nel mese di maggio la Lega di Cognac insieme a
Firenze, Milano, Venezia e al papa Clemente VII che invano con una
infruttuosa ambasceria Carlo V aveva cercato di attirare nella sua
orbita. Alla
fine del mese di maggio si reca a Roma per offrire a Clemente VII le
Istorie fiorentine; il Vettori lo aveva sconsigliato di venire a
Roma a presentarle di persona, forse divenuto sospettoso di quella corte
di preti, anche se lo stesso papa ne aveva espresso il desiderio; ma
l'opera era ben degna di quella solennità che il papa dava alla
presentazione. E dell'incontro Machiavelli approfitta bene, esponendo al
papa un suo progetto di truppe nazionali, mostrando la necessità di
contrapporre una forte milizia italiana agli eserciti stranieri accampati
nella pianura padana. Il papa si mostra interessato al progetto
machiavelliano e chiede un parere tecnico al Guicciardini che svolge le
funzioni di presidente pontificio della
Romagna. A
Firenze si pensa alla difesa: nel giugno '26 viene istituita una nuova
magistratura, quella dei Cinque Procuratori delle mura e
Machiavelli viene nominato segretario con l'incarico di sovrintendere alle
fortificazioni della città. Si getta nel lavoro con la solita passione e
con l'abilità delle sue conoscenze, anche se più teoriche che
pratiche.
Intanto nell'estate del 1526 le truppe della Lega assediano il castello di
Milano (in quel mentre gli armati dello Stato pontificio hanno come
luogotenente generale Francesco Guicciardini) e Machiavelli segue le
operazioni di guerra delle truppe della lega di Cognac. In questo momento
di relativa calma viene inviato dal Guicciardini a sollecitare dai capi
della lega una più decisa condotta di guerra contro Carlo V. Ma nel
frattempo le truppe della Lega devono abbandonare l'assedio del castello
di Milano, proprio per gli errori politici del papa, che nel mese di
maggio si deve umiliare col cardinale Pompeo Colonna che aveva
sguinzagliato per Roma le sue soldataglie facendosi interprete del
risentimento della Curia contro l'operato del papa, che a questo punto non
può più tirarsi fuori dalla politica filofrancese. Ma all'inizio del '27
si trova solo, senza aiuti militari quando il duca di Ferrara si schiera
al fianco di Carlo V, con i Lanzichenecchi in marcia verso Roma, che
neanche il comandante Carlo di Borbone riusciva a tenere a freno. Il 6
maggio 1527 15.000 uomini assatanati saccheggiano Roma; così racconta
Guicciardini (cit., lib. 18, cap. 8:
"Entrati dentro, cominciò ciascuno a discorrere tumultuosamente
alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né
all'autorità e degnità de' prelati, ma eziandio a' templi a' monasteri
alle reliquie onorate dal concorso di tutto il mondo, e alle cose sagre.
Però sarebbe impossibile non solo narrare ma quasi immaginarsi le
calamità di quella città, destinata per ordine de' cieli a somma
grandezza ma eziandio a spesse direzioni; … Impossibile a narrare la
grandezza della preda, essendovi accumulate tante ricchezze e tante cose
preziose e rare, di cortigiani e di mercatanti; ma la fece ancora
maggiore la qualità e numero grande de' prigioni che si ebbeno a
ricomperare con grossissime taglie: accumulando ancora la miseria e la
infamia, che molti prelati presi da' soldati, massime da' fanti
tedeschi, che per odio del nome della Chiesa romana erano crudeli e
insolenti, erano in su bestie vili, con gli abiti e con le insegne delle
loro dignità, menati a torno con grandissimo vilipendio per tutta Roma;
molti, tormentati crudelissimamente, o morirono ne' tormenti o trattati
di sorte che, pagata che ebbono la taglia, finirono fra pochi dí la
vita. Morirono, tra nella battaglia e nello impeto del sacco, circa
quattromila uomini. Furono saccheggiati i palazzi di tutti i cardinali
(eziandio del cardinale Colonna che non era con l'esercito), eccetto
quegli palazzi che, per salvare i mercatanti che vi erano rifuggiti con
le robe loro e cosí le persone e le robe di molti altri, feciono
grossissima imposizione in denari: e alcuni di quegli che composeno con
gli spagnuoli furono poi o saccheggiati dai tedeschi o si ebbeno a
ricomporre con loro. … Sentivansi i gridi e urla miserabili delle donne
romane e delle monache, condotte a torme da' soldati per saziare la loro
libidine: non potendo se non dirsi essere oscuri a' mortali i giudizi di
Dio, che comportasse che la castità famosa delle donne romane cadesse
per forza in tanta bruttezza e miseria. Udivansi per tutto infiniti
lamenti di quegli che erano miserabilmente tormentati, parte per
astrignergli a fare la taglia parte per manifestare le robe ascoste.
Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali
erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate
per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E
quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose piú vili)
tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il
cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne
fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie,
fusse asceso il sacco a piú di uno milione di ducati, ma che di taglie
avessino cavata ancora quantità molto maggiore.
"
Una guarnigione imperiale penetra in
Castel Sant'Angelo e tiene prigioniero papa Clemente per sette mesi fino
al 6 dicembre, quando comincia , dopo lunghi negoziati, l'evacuazione
della fortezza; il giorno dopo , colla compiacenza di alcuni ufficiali,
potrà fuggire travestito da venditore ambulante, rifugiandosi prima a
Orvieto e poi a Viterbo, da cui farà ritorno a Roma solo nell'ottobre
dell'anno dopo.
La caduta di Clemente VII provoca a Firenze la caduta dei Medici. Il 18
maggio una sollevazione popolare rovescia il governo mediceo e
ristabilisce la costituzione repubblicana. Machiavelli, che si era recato
a Civitavecchia per ispezionare la flotta di Andrea Doria, torna
precipitosamente a Firenze, ma si trova di fronte a una generale ostilità,
determinata non solo dalla sua collaborazione coi Medici, anche se di
scarsa rilevanza, ma anche dalle interpretazioni faziose che si cominciano
a dare del Principe, raccogliendo quasi una generale avversione,
perché, come scrive Giovan Battista Busini in una sua lettera a Benedetto
Varchi, "pareva che quel suo Principe fosse stato un documento da
insegnare al Duca di tor loro tutta la roba e a' poveri tutta la libertà;
ai piagnoni pareva che e' fosse eretico, ai buoni disonesto, ai tristi più
tristo o più valente di loro; talché ognuno lo
odiava".
Machiavelli viene escluso da tutte le cariche della nuova repubblica il 21
giugno, quando ormai nulla più poteva interessargli delle cose di questo
mondo e la sua opera veniva affidata alla
storia. La
missione presso Francesco Guicciardini fu l'ultima azione importante della
sua vita. Tornato, come abbiamo detto, a Firenze tra la fine di maggio e i
primi giorni di giugno del 1527, pochi giorni dopo per un medicamento
semplicissimo di cui soleva far uso per i suoi frequenti mali allo
stomaco, morì tra feroci dolori il 22 giugno, munito dei soccorsi
spirituali della Chiesa ed assistito dai sacerdoti fino agli ultimi
momenti della sua esistenza. Le sue ultime ore ci sono raccontate dal
figlio Pietro in una lettera inviata a Francesco Nelli professore nello
Studio di Pisa: "Carissimo Francescho. Non posso far di meno di piangere
in dovervi dire chome è morto il dì 22 di questo mese Nicholò nostro padre
di dolori di ventre, cagionati da uno medicamento preso il dì 20.
Lasciossi confessare le sue peccata da frate Mateo, che gl'a' tenuto
compagnia fino alla morte. Il padre nostro ci a' lasciato in somma
povertà, come sapete. Quando farete ritorno qua su vi dirò molto a bocha.
O' fretta e non vi dirò altro, salvo che a voi mi raccomando. MDXXVII.
Vostro parente. Pietro Machiavelli." (Firenze 22 giugno
1527). Così
muore quasi all'improvviso il Machiavelli, repubblicano cacciato dai
Medici e mediceo cacciato dalla repubblica, ma di per sé fiorentino
attaccato alla libertà della sua città, per la quale aveva vissuto e
sofferto. Muore lasciando i cinque figli in una povertà maggiore di quella
che aveva ereditato da suo
padre. Ma
certamente Machiavelli lascia di sé un ricordo abbastanza buono, tanto da
superare ben presto quelle avversioni che lo avevano afflitto in vita. "Si
racconta, scrive Ettore Janni, che nella cappella ove egli fu sepolto in
Santa Croce, più tardi si seppellissero persone d'una certa compagnia che
ne aveva curati i restauri, e si continuasse questa promiscuità anche dopo
il seppellimento di messer Bernardo, il primogenito. Questa parve
sconvenienza a un frate guardiano, che andò a farne parola al canonico
Niccolò Machiavelli figlio di Bernardo. Ma il canonico, tranquillo, gli
rispose: - Deh! Lasciateli fare. Mio padre era amico della conversazione,
e quanti più morti andranno a trattenerlo tanto maggior piacere ne avrà. -
Erano bene il nipote e il figlio di messer Niccolò
Il Segretario fiorentino
(1498-1512)
Così Niccolò diviene il "Segretario fiorentino" per antonomasia,
pur rimanendo una certa confusione sul suo ruolo effettivo perché di fatto
una divisione netta tra prima e seconda cancelleria non esisteva, anche se
gli stipendi erano notevolmente diversi: 330 fiorini annuali per la prima
e 192 per la seconda. Comincia così la carriera diplomatica del
Machiavelli (compirà ben 23 missioni diplomatiche) proprio nel momento in
cui la politica italiana era cambiata dal momento in cui Carlo VIII era
sceso in Italia: con la discesa del re francese e successivamente di Luigi
XII i governi della penisola cessarono di formare un sistema indipendente,
divenendo quasi semplici satelliti dei regni di Francia e Spagna, mentre
tutti i problemi interni venivano discussi e decisi coll'influsso
straniero; i contrasti tra i governi non venivano più trattati nei senati
e nelle piazze, ma nelle anticamere di Luigi di Francia e Ferdinando di
Spagna. La prosperità degli stati italiani dipendeva più dall'abilità
degli ambasciatori che dall'azione politica di coloro cui era affidata
l'amministrazione della cosa
pubblica. L'ambasciatore
doveva compiere uffici molto delicati; "era un avvocato alla cura del
quale erano affidati i più cari interessi dei clienti, una spia investita
di carattere inviolabile. Invece di consultare, con modo riservato ed
ambiguo, la dignità di coloro che rappresentava, doveva cacciarsi in tutti
gli intrighi della corte in cui risiedeva, riscoprire e lusingare ogni
debolezza del principe e dei favoriti che governavano il principe, e degli
staffieri che governavano i preferiti. Doveva far complimenti ed essere di
giovamento alla bella e corrompere con doni il confessore, lusingare o
supplicare, ridere o piangere, assecondare ogni capriccio e sopire ogni
sospetto, far tesoro di ogni indizio, osservare tutto e tutto sopportare".
(Macaulay, 1868) Nel
marzo 1499 compie la sua prima missione presso Jacopo d'Appiano, signore
di Piombino per sorvegliare l'arruolamento delle truppe mercenarie e nel
mese di luglio viene inviato presso Caterina Riario Sforza, contessa di
Forlì, per indurla a partecipare alla guerra contro Pisa; verso la fine
dell'anno segue le truppe fiorentine e manda un breve rapporto al
Consiglio dei Dieci: Discorso fatto al magistrato dei Dieci sopra le
cose di
Pisa. All'inizio
del 1500 i francesi avevano mandato dei mercenari guasconi al soldo di
Firenze, ma al momento opportuno essi avevano disertato; per questo nel
mese di luglio, insieme a Francesco della Casa, viene inviato da Luigi XII
per esprimere il risentimento della Repubblica fiorentina dopo
l'ammutinamento delle truppe francesi che, al servizio di Firenze,
assediavano Pisa. Pur fallendo nello scopo principale (ottenere validi
aiuti contro Pisa) intesse una abile trama diplomatica col fine di ridare
una certa importanza alla Repubblica fiorentina attraverso un'azione volta
a "diminuire e' potenti, vezegiare li sudditi, mantenere li amici e
guardarsi da' compagni, cioè da coloro che vogliono avere equale
autorità", come scrive in una relazione mandata a Firenze, anticipando
concetti che esprimerà nel III capitolo del Principe in cui
analizza proprio gli errori della condotta di Luigi XII in
Italia. Nel febbraio
1502 viene inviato a Pistoia, lacerata da lotte intestine. Un'esperienza
su cui scrive due promemoria: Ragguaglio delle cose fatte dalla
Repubblica Fiorentina per quietare le parti di Pistoia e il De
rebus pistoriensibus, che propongono i principali temi del pensiero
politico machiavelliano: impedire il frazionamento municipalistico del
territorio dominato da Firenze e ostacolare qualsiasi tentativo
unificatore delle regioni centro-settentrionali dell'Italia, nel pieno
rispetto del sentimento che mirava esclusivamente alla sicurezza della
Repubblica fiorentina che perseguiva quale segretario della seconda
cancelleria. Nello
stesso anno, in giugno, Cesare Borgia, nominato duca di Valentinois da
Luigi XII, dopo aver conquistato Faenza il 25 aprile e compiuto così la
conquista della Romagna, si impadronisce del Ducato di Urbino con l'azione
politica del padre Papa Alessandro VI e l'appoggio delle milizie francesi,
attraversando da padrone i territori della Repubblica fiorentina, timorosa
della armi di re Luigi; nell'ottobre il vescovo Soderini, fratello di Pier
Soderini Gonfaloniere di Firenze dal 1498, si reca ad Urbino per
incontrare Cesare Borgia: è questa l'occasione del primo incontro tra
Machiavelli (che accompagna il Soderini) e il duca Valentino durante il
quale il Nostro ha quelle impressioni che caratterizzeranno il
protagonista del Principe, che appare un audace e spietato
statista, dotato di eccezionali capacità politiche prima ancora che
militari, freddamente determinato a crearsi uno stato e genialmente
incamminato sulla strada della creazione di una milizia personale e
cittadina, scartando le milizie ausiliarie e mercenarie, infide e spesso
traditrici, comunque più legate al soldo che a rischiare la vita per chi
le ha ingaggiate. Machiavelli resta molto colpito dal personaggio, tanto
che chiede al suo coadiutore di cancelleria, Biagio Buonaccorsi, una copia
delle Vite di Plutarco per cercarvi evidentemente un termine di
paragone col Valentino che si impone come personaggio quasi mitizzato, una
figura che incarna bene il "principe" dotato di quella virtù che permette
di prendere le decisioni opportune al momento opportuno, tenendo presente
il fine principale che ogni principe deve sempre tenere bene a mente:
mantenere il
principato. Il
Valentino era stato nominato dal padre, papa Alessandro VI, duca di
Romagna e dal re di Francia, duca di Valentinois; al fine di realizzare un
forte Stato nell'Italia centrale, con l'aiuto delle armi francesi di Luigi
XII sta facendo una campagna militare contro i piccoli signori
marchigiano-romagnoli, coalizzatisi nella Lega della Magione, località
presso Perugia, dove fu tenuta la riunione il 9 ottobre 1502, alla quale
parteciparono alcuni nobili della campagna romana:
"Congregornosi adunque alla Magione, in quel di Perugia, il
cardinale Orsino (il quale dopo la partita del re, temendo di ritornare a
Roma, si era stato a Monteritondo), Pagolo Orsino, Vitellozzo, Giampagolo
Baglione e Liverotto da Fermo, e per Giovanni Bentivogli Ermes suo
figliuolo, e in nome de' sanesi Antonio da Venafro ministro
confidentissimo di Pandolfo Petrucci; dove, discorsi i pericoli loro sí
evidenti, e l'opportunità che avevano per la ribellione dello stato
d'Urbino e perché al Valentino abbandonato da loro restavano pochissime
genti, feciono confederazione a difesa comune e a offesa di Valentino e a
soccorso del duca d'Urbino, obligandosi a mettere tra tutti in campo
settecento uomini d'arme e novemila fanti… Nella quale confederazione,
avendo grandissimo rispetto a non irritare l'animo del re di Francia …
Ricercorono oltre a questo il favore de' viniziani e de' fiorentini,
offerendo a questi la restituzione di Pisa, la quale dicevano essere in
arbitrio di Pandolfo Petrucci per la autorità che avea co' pisani; ma i
viniziani stetteno sospesi aspettando di vedere prima la inclinazione del
re di Francia, e i fiorentini ancora, per la medesima cagione e perché
avendo l'una parte e l'altra per inimici temevano della vittoria di
ciascuno…". (Guicciardini)
La coalizione contro il Duca fallisce sia per l'indecisione e
l'ingenuità dei vari partecipanti, sia perché viene a mancare l'aiuto
sperato di Venezia (quasi timorosa del re francese) e di Firenze per
motivi puramente politici. Poiché il Valentino stava già istigando Arezzo
e la Val di Chiana a ribellarsi a Firenze, questa si vide costretta a
contattarlo. Dopo essersi riconciliato con i condottieri ribelli (che
avevano partecipato alla Dieta della Magione), il Valentino invita, dopo
averli ampiamente rassicurati, i partecipanti alla Dieta a Senigallia per
celebrarvi la ratifica dei nuovi accordi, il 31 dicembre 1302, dove li fa
invece catturare e strangolare. Machiavelli, per la sua seconda legazione
presso il Borgia, è presente ai fatti e al suo ritorno a Firenze scriverà
l'operetta Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello
ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina
Orsini. Come
abbiamo detto, Machiavelli ravvisa nel Valentino il principe che poteva
incarnare la vera capacità politica di comando e dominio delle situazioni
che man mano si venivano creando in modo fluido e quasi inafferrabile. Ma
un'estrema malignità di fortuna toglierà di mezzo un personaggio che non
aveva avuto il tempo di mettere radici nella situazione politica italiana,
pur avendo capito che uno dei mezzi per poter trionfare su coloro che ti
vogliono togliere il potere è quello di avere truppe personali e non
mercenarie. Nella
primavera del mese 1503 viene mandato a Siena presso Pandolfo Petrucci di
giugno e nel mese di giugno viene incaricato da Pier Soderini di
organizzare le forze militari per mettere fine alla lotta contro Pisa e
per domare la situazione esplosiva della Valdichiana e di
Arezzo. Il 18 agosto
muore improvvisamente Alessandro VI, sembra avvelenato per errore in un
ennesimo complotto organizzato insieme al figlio Cesare ai danni del
Cardinale Adriano Castellesi di Corneto di cui avrebbero voluto incamerare
i cospicui beni da utilizzare per la continuazione e il completamento
dell'opera del Valentino nella conquista della Toscana e forse anche della
secolarizzazione dello stato della Chiesa. Invitato dal Cardinal
Castellesi nella sua villa per errore dal servitore gli viene data quella
stessa coppa di vino avvelenata che era stata destinata al padrone di
casa. Il suo successore, Pio III, avrà vita breve e morirà il 18 ottobre,
dopo due soli mesi di
pontificato. L'elezione
di Giuliano della Rovere, che assume il nome di Giulio II, segna la fine
del Valentino; il nuovo papa si rimangia il patto stretto col Borgia (che
in cambio dell'appoggio all'elezione di Giuliano della Rovere, sarebbe
stato nominato capitano generale dell'esercito papale se l'elezione avesse
avuto buon esito), mentre questi era malato e impossibilitato a influire
in maniera decisiva nell'elezione del nuovo papa, vendicandosi degli
affronti e dell'esilio decennale subiti sotto Alessandro VI. Abbandonato a
se stesso, senza più appoggi, Cesare Borgia è costretto a fuggire e verrà
arrestato dopo qualche mese da Consalvo di Cordoba gran capitano delle
truppe spagnole a Napoli. Prigioniero prima a Napoli, poi in Spagna,
riesce a fuggire e a trovare rifugio presso il cognato re di Navarra, ma
trova anche la morte nella sua ultima impresa sotto il castello di
Viana. Ad assistere
all'elezione del nuovo pontefice in autunno il governo fiorentino decide
di mandare Machiavelli che resta a Roma fino a buona parte di dicembre;
Della Rovere viene eletto con una larga maggioranza, e nella relazione che
invia a Firenze, Machiavelli giudica con dure parole l'atteggiamento del
duca Valentino sottolineandone gli errori sul piano della condotta
politica, che gli faranno perdere quel poco di credito e di "respecto" che
ancora possedeva. A
seguito della rotta francese sul Garigliano (28 dicembre 1503) all'inizio
del 1504 Machiavelli viene di nuovo inviato in Francia, in aggiunta al
regolare ambasciatore Niccolò Valori, in qualità di emissario particolare
del Gonfaloniere Pier Soderini, che il 22 settembre 1502 era stato
eletto "Gonfaloniere
Perpetuo della Repubblica Fiorentina", e che tanto si fidava dei
suoi giudizi
politici. Al 1504 deve
farsi risalire la composizione dei Capitoli per una compagnia di
piacere, nei quali si fa menzione del David di Michelangelo
come già collocato in piazza della Signoria (nel mese di giugno era stato
posto a lato di Palazzo
Vecchio. Machiavelli ha
ormai acquistato una posizione di prestigio all'interno delle istituzioni
cittadine, anche per l'appoggio del Gonfaloniere, costatato il fallimento
delle milizie mercenarie nella guerra contro Pisa, fa alla Signoria, e
quindi a Pier Soderini, una proposta rivoluzionaria: costituire una
milizia popolare. Il Consiglio Maggiore lo autorizza alla fine del 1505 a
cominciare il reclutamento nel vicariato del Mugello e nel Casentino,
evitando l'arruolamento cittadino per impedire che uomini armati potessero
far da soli e conquistare il potere nella città. I ceti borghesi non
avevano intenzione di arruolarsi, per cui le truppe erano prevalentemente
costituite da contadini; questo destava molte preoccupazioni: dare le armi
in mano al popolo, infatti, significava andare controcorrente e poneva
come importanti interrogativi in primo luogo quello della disponibilità a
combattere di persone che non vi erano abituate e non avevano motivazioni
sufficiente e in secondo luogo quello di una possibile destabilizzazione
politica di
Firenze. Nel dicembre
1505 viene istituita la magistratura dei Nove Ufficiali dell'ordinanza
e della milizia fiorentina, della quale Machiavelli viene nominato
Segretario: "cominciò el gonfaloniere, sanza fare consulta, colla
autorità della signoria a fare scrivere pel contado, come in Romagna, in
Casentino, in Mugello e ne' luoghi piú armigeri, quegli che parevano atti
a questo esercizio, e messigli sotto capi, cominciò el dí delle feste a
fare esercitare e ridursi in ordinanza al modo svizzero"
(Guicciardini). Tra gennaio e marzo 1506 Machiavelli viene dunque
impegnato dal Soderini al reclutamento in Mugello e nel Casentino. Durante
il Carnevale avviene per le vie cittadine la prima sfilata delle nuove
truppe; i fanti erano vestiti di "un farsetto bianco, un paio di calze
alla divisa bianche e rosse, e una berretta bianca, e le scarpette, e un
petto di ferro e le lance"
(Guetta). La Milizia
nel 1509 si comporterà bene durante l'assedio di Pisa, mentre il 10 marzo
di quello stesso anno Machiavelli incontra i Pisani a Piombino per
trattare una onorevole resa, firmata da Virgilio Adriani e appunto
Machiavelli che può entrare alla testa dei suoi battaglioni in Pisa dopo
una guerra durata 15 anni. La Milizia, più che un ritorno al Medioevo,
come ha affermato qualche critico, deve essere vista come una necessità
dello stato moderno che si deve avvalere delle sue forze interne per
provvedere alla sua esistenza piuttosto che servirsi delle forze
mercenarie. Nel 1506
segue come osservatore la spedizione di Giulio II per riconquistare
Perugia contro Giampaolo Baglioni e Bologna contro Giovanni Bentivoglio
(nascono da questa missione i Ghiribizzi scripti in Perugia al
Soderino, in cui troviamo il principio che bisogna guardare il fine e
non il mezzo e che la politica non è buona o cattiva ma utile o dannosa);
in dicembre è a Roma in legazione presso papa Giulio II che si è già
ripreso molti territori facenti parte un tempo dello Stato pontificio e
che ora ha intenzione di cacciare i francesi dall'Italia: cosa che
comincerà a fare a partire dal 1510. Firenze da un lato vuole mantenere la
propria neutralità e dall'altro non può dimenticare i benefici avuti dai
francesi; comunque non crede che il papato sia in grado di realizzare il
progetto. Nello stesso anno il Nostro pubblica il suo primo scritto: il
Decennale primo, una composizione in terzine, scritta in 15 giorni,
che abbraccia gli ultimi dieci anni della storia fiorentina (1494-1504).
Nella dedica si legge: "Leggete, Alamanno (Alamanno Salviati, ndr), poi
che voi lo desiderate, le fatiche d'Italia di dieci anni, e la mia di
quindici dì". Nel 1508
scrive il Rapporto delle cose della Magna che porta la data del 17
giugno, al rientro dalla legazione, che lo aveva impegnato sin dal 17
dicembre dell'anno precedente, come osservatore in appoggio a Francesco
Vettori, presso Massimiliano d'Asburgo che si proponeva di scendere in
Italia, confidando nell'appoggio del papa, che nel frattempo era impegnato
a creare una coalizione contro Venezia che rifiutava di ridare alla Chiesa
alcuni territori dello Stato Pontificio. Machiavelli fu inviato nonostante
molte e decise opposizioni, come afferma lo stesso Guicciardini nelle
Storie Fiorentine: "E fu eletto per opera del gonfaloniere, che
vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale
mettendosi in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da
bene, chi e' si mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene
atti a andarvi ed e' quali era bene che si esercitassino. E però mutata la
elezione, fu deputato Francesco di Piero Vettori con commessione generale
e da intendere e scrivere, non da praticare e conchiudere". Il
Rapporto verrà condensato nel Discorso sopra le cose
dell'Alemagna e sopra l'imperatore e infine ripreso nel 1512 col
titolo di Ritratto delle cose della
Magna. Intanto
Giulio II, asceso al pontificato anche col fermo proposito di recuperare
alla Chiesa tutte le sue terre, non si limita a lanciare l'interdetto
contro Venezia, il rivale più agguerrito, ma aderisce alla Lega firmata a
Cambrai il 10 dicembre 1508, alla quale partecipano, insieme agli stati
italiani timorosi dell'espansionismo veneziano, anche i re di Francia
Luigi XII e di Spagna Ferdinando il Cattolico insieme all'imperatore
Massimiliano d'Austria, senz'altro il più pericoloso non solo per la sua
vicinanza ma soprattutto per la sua volontà di avere uno sbocco sul mare
Adriatico (Massimiliano pensa di sottrarre a Venezia i porti di Trieste e
Fiume). La Lega infligge ai Veneziani la rovinosa disfatta di Agnadello
(14 maggio 1509), durante la quale muore anche il comandante delle truppe
veneziane Roberto da Sanseverino, sottraendo loro molte terre Venezia è ad
un passo dalla perdita della sua indipendenza, ma viene salvata sia dalla
eroica fedeltà delle popolazioni contadine e cittadine della terraferma
(nella quale era penetrato colle sue forze l'imperatore, mettendo a ferro
e fuoco le terre di Verona Vicenza Padova Bassano Feltre) sia dall'abile
azione diplomatica messa in atto dai suoi governanti che riescono,
mediante accordi separati, a dividere il fronte dei coalizzati. Venezia
comunque dopo questa sconfitta, pur riuscendo a mantenere a conservare la
propria integrità territoriale, dovrà dire addio ai suoi sogni di
diventare una grande potenza di
terraferma. Machiavelli,
subito dopo la descritta entrata in Pisa alla testa della sua Milizia, il
10 novembre 1509 viene inviato al campo dell'Imperatore: prima Mantova e
poi Verona sono le tappe di questa legazione, e a Verona consegnerà al
tesoriere dell'Imperatore 10.000 fiorini d'oro. Invierà a Firenze in
rapporto in cui mette in risalto l'eroismo dei contadini veneti contro i
Tedeschi: "Tutto dì occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per
non negare il nome veneziano. E pure iersera ne fu uno innanzi a questo
vescovo, che disse che era Marchesco (di San Marco), e Marchesco voleva
morire, e non voleva vivere altrimenti, in modo che il vescovo lo fece
appiccare; né promesse di camparlo né d'altro bene lo poterono trarre di
questa opinione; dimodochè, considerato tutto, è impossibile che questi Re
tenghino questi paesi con questi paesani
vivi". Machiavelli
torna a Firenze il 2 gennaio 1510 e subito dopo si trova nel mezzo di uno
spregiudicato cambiamento di fronte. Giulio II, che aveva ottenuto le
terre della Romagna che facevano parte dello stato pontificio, si
riappacifica con i Veneziani e promuove una Lega, da lui stesso detta
"Santa", alla quale invita Svizzeri, Inglesi e Spagnoli: Venezia si
viene così a trovare tra due fuochi, Giulio II da un lato e i Francesi
dall'altro, senza la possibilità di poter attuare una politica
equidistante e senza il coraggio, dimostrato più volte in quegli anni
proprio dai Veneziani, così invidiati dal Machiavelli perché hanno la
fortuna di perdere nelle battaglie e di vincere nei negoziati,
riacquistando diplomaticamente più di quanto hanno perso militarmente:
"Fu un tempo cosa quasi che fatale alla repubblica veneziana perdere
nella guerra, e negli accordi vincere, e quelle cose che nella guerra
perdevano, la pace dipoi molte volte duplicatamente loro rendeva". Lo
stesso avviene con l'Imperatore Massimiliano: "secondo l'ordine della
fortuna loro fecero un accordo con i Tedeschi, non come perdenti, ma come
vincitori; tanto fu per loro la repubblica onorevole". La fortuna dei
veneziani era l'effetto del loro coraggio e della loro tenacia, di quel
non temere il peso e i pericoli della guerra; per questo i nemici venivano
a patti con Venezia temendo la sua potenza e la forza del suo radicamento
nel territorio. Il Machiavelli fiorentino, innamorato della sua "patria"
non poteva ammettere l'intrinseca forza di Venezia che derivava anche
dalla solidità di un Governo garantito nella sua esistenza e continuazione
da una serie di norme tanto rigide quanto difficili da
manomettere. Così nel
giugno 1510 Machiavelli si mette in viaggio per la Francia, incaricato di
farsi mediatore tra Francia e papato; si reca a Blois per incontrare Luigi
XII e invia a Firenze una serie di lettere che sono un chiaro esempio
della sua fredda lucidità di giudizio e della sua considerazione sempre
più frequente di inserire i fatti in una concezione politica più generale.
In esse il Machiavelli invita la repubblica a prendere una chiara
decisione in favore o del Papa o della Francia per evitare di restare
vittima comunque del vincitore, chiunque fosse stato. Ma il suo consiglio
resterà inascoltato e Soderini persisterà in una politica di equidistanza
tra papato e Francia. Tornato a Firenze, nel mese di ottobre a Firenze
scrive il Ritratto delle cose di
Francia. Nel mese
di Agosto 1511 si diffonde la notizia che Giulio II è gravemente malato;
allora Pier Soderini, quasi raccogliendo il vecchio consiglio di
Machiavelli, decide di appoggiare i cardinali filofrancesi, confidando in
una loro vittoria; ma il papa guarisce inaspettatamente, e Machiavelli
viene subito chiamato per parare l'ira del papa e il 10 settembre è
inviato a Milano e quindi in Francia per cercare di impedire o almeno di
rimandare l'effettuazione del concilio. Ma i tempi precipitano: Giulio II
lancia il 23 settembre l'interdetto contro Pisa e Firenze;
"Sopravenne in questo mezzo il primo dí di settembre, dí determinato a
dare principio al concilio pisano; nel quale dí i procuratori de'
cardinali venuti a Pisa celebrorono in nome loro gli atti appartenenti ad
aprirlo. Per il che il pontefice, sdegnato maravigliosamente co'
fiorentini che avessino consentito che nel dominio loro si cominciasse il
conciliabolo (il quale con questo nome sempre chiamava), dichiarò essere
sottoposte allo interdetto ecclesiastico le città di Firenze e di Pisa,
per vigore della bolla del concilio intimato da lui; nella quale si
conteneva che qualunque favorisse il conciliabolo pisano fusse scomunicato
e interdetto, e sottoposto a tutte le pene ordinate severamente dalle
leggi contro agli scismatici ed
eretici".
(Guicciardini, Storia d'Italia, Lib. 10, cap. 5)
Il concilio,
voluto dal re di Francia, con l'intento di far deporre il papa con
l'accusa di simonia, comincia a Pisa, tra l'ostilità generale sia dei
pisani che della stessa signoria di Firenze che non consentì il passaggio
e lo stazionamento non solo delle truppe francesi ma anche dei soldati al
seguito dei vari cardinali, all'interno del territorio della repubblica.
Ma dopo appena due sedute, anche a seguito di un fortuito tumulto
scoppiato a causa di un francese che aveva fatto insolenti apprezzamenti
su una meretrice, si decide nella seconda seduta di trasferire il
concilio, chiamato sprezzantemente dal papa conciliabolo, a Milano,
dove avrà vita non meno difficile: "fatta il dí seguente la [seconda]
sessione, nella quale statuirno che il concilio si trasferisse a Milano,
si partirno con grandissima celerità, innanzi al quintodecimo dí della
venuta loro: con somma letizia de' fiorentini e de' pisani, ma non meno
essendone lieti i prelati che seguitavano il concilio;". Affrettano i
preparativi per la partenza, lamentandosi "per la mala qualità degli
edifici e per molte altre incomodità procedute dalla lunga guerra, non era
atto alla vita dilicata e copiosa de' sacerdoti e de' franzesi, e molto
piú perché, essendo venuti per comandamento del re contro alla propria
volontà, desideravano mutazione di luogo e qualunque accidente per
difficultare, allungare o dissolvere il concilio. Ma a Milano i cardinali,
seguitando per tutto il dispregio e l'odio de' popoli, arebbono avute le
medesime o maggiori difficoltà." (Guicciardini, cit., lib. 10, cap.
7). Gli eventi
precipitano. L'11 aprile 1512 a Ravenna, in una grandissima battaglia,
e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia,
i Francesi sconfiggono le truppe della Lega Santa, ma il comandante
delle truppe francesi, Gastone di Fois, vi trova la morte; la morte di
Fois e le gravi perdite subite, insieme al timore di un intervento
dell'imperatore al fianco del papa, neutralizza gli effetti della
vittoria; successivamente sia la tregua con l'imperatore che la paura di
un intervento sul territorio francese degli inglesi che con le navi
cominciavano a infestare le coste della Normandia e della Bretagna, spinge
Luigi XII a richiamare in Francia un forte contingente di truppe,
lasciando sguarnito l'esercito di stanza in Italia. Nel Concilio
Lateranense, che proprio in quei giorni aveva aperto per contrastare il
concilio pisano, il papa ammonisce il re francese a lasciare libero il
cardinale dei Medici, tenuto prigioniero a
Milano. Firenze resta
in balia del papa e il 29 agosto le milizie comunali raccolte dal
Machiavelli vengono sconfitte dalle truppe spagnole e pontificie che
conquistano e saccheggiano Prato due giorni dopo, mentre Machiavelli cerca
di svolgere un'opera di pacificazione cittadina inviando un appello al
partito dei Medici perché non infierisca sul gonfaloniere sconfitto
(Ricordo ai Palleschi); così racconta Guicciardini la fine della
Repubblica e il ritorno dei Medici:
"Paolo
Vettori e Antonio Francesco degli Albizi, giovani nobili, sediziosi e
cupidi di cose nuove… la mattina del secondo dí dalla perdita di Prato,
che fu l'ultimo dí di agosto, entrati con pochi compagni in palazzo, dove,
per il gonfaloniere che si era rimesso ad arbitrio del caso e della
fortuna, non era provisione né resistenza alcuna, e andati alla camera
sua, lo minacciorono di torgli la vita se non si partiva del palazzo,
dandogli in tale caso la fede di salvarlo. Alla qual cosa cedendo egli, ed
essendo a questo tumulto sollevata la città, scoprendosi già molti
contrari a lui e nessuno in suo favore, fatti per ordine loro congregare
subito i magistrati che secondo le leggi avevano sopra i gonfalonieri
amplissima autorità, dimandorno che lo privassino legittimamente del
magistrato, minacciando che altrimenti lo priverebbeno della vita: per il
quale timore avendolo contro alla propria volontà privato, lo menorno
salvo alle case di Paolo, donde la notte seguente bene accompagnato fu
condotto nel territorio de' sanesi; e di quivi, simulando di andare a Roma
con salvocondotto ottenuto dal pontefice, preso occultamente il cammino
d'Ancona, passò per mare a Raugia… Levato il gonfaloniere del magistrato,
la città mandò subito imbasciadori al viceré, col quale per opera del
cardinale de' Medici facilmente si compose: perché il cardinale si
contentò che degli interessi propri non si esprimesse altro che la
restituzione de' suoi… (e)… venne subito in Firenze alle case sue; ove,
parte con lui parte separatamente, entrorno molti condottieri e soldati
italiani, non avendo i magistrati, per la vicinità degli spagnuoli, ardire
di proibire che non vi entrassino. Dipoi il dí seguente, essendo
congregato nel palagio publico per le cose occorrenti un consiglio di
molti cittadini, al quale era presente Giuliano de' Medici, i soldati,
assaltata all'improviso la porta e poi salite le scale, occuporono il
palagio.
I Medici, cacciati nel 1494, dopo 18 anni, rovesciato il governo
repubblicano, il 16 settembre rientrano in città. L'8 novembre la signoria
medicea solleva dall'incarico, privandolo di ogni beneficio, Machiavelli:
"Die 8 novembris 1512. Praefati Magnifici et excelsi Domini et
Vexillifer simul adunati, etc., absente magnifice Domino Paulo de
Vectoris, uno ex dictis Magnificis Dominis collegii domi aegrotante,
vigore cuiuscumque auctoritatis, potestatis, eiusdem per quaecumque
statuta ad ordinamente Populi et Comunis Florentiae concessae et
attributae et omni meliori modo etc., servatis servandis etc., et obtento
partito inter eos per omnes fabas nigras, cassaverunt, privaverunt et
totaliter amoverunt Nicolaum domini Bernardi de Machiavellis ab et de
officio Cancellarii secundae Cancellariae prefatorum Magnificorum et
excelsorum Dominorum Florentiae, et ab et de officio sive exercitio, quod
ipse Nicolaus hactenus habuit et exercuit sive habere et exercere
consuevit in Cancellaria, sive pro computo Cancellariae Magistratus Decem
Libertatis et Pacis Excelsae Reipublicae Florentinae; ipsumque Nicolaum
pro casso, privato, et totaliter amoto ab et de hujusmodi Officiis, sive
exercitiis, et quolibet eorum habendum esse, et habere de caetero
voluerunt, decreverunt, et mandaverunt. Mandantes etc."; il 10 viene
condannato a un anno di confino all'interno del dominio e territorio
fiorentino con l'obbligo di non oltrepassarne il confine (che trascorrerà
presso San Casciano) e al pagamento di una cauzione ingentissima: mille
fiorini d'oro, che gli saranno forniti da tre amici rimasti sconosciuti:
"Die 10 mensis novembris 1512. Item dicti DD. Et Vexillifer simul
adunati etc., juxtis de causis moti, ut dixerunt, et servatis servandis
etc. deliberaverunt, et deliberando relegaverunt amoverunt Nicolaum domini
Bernardi de Machiavellis, civem Florentinum, olim unum ex cancellariis
dictorum Dominorum, in territorio et dominio Florentino per unum annum
continuum prox. Fut. Ab hodie; quae confinia servare teneatur et debeat,
nec de dicto dominio et territorio Florentino exeat nec exire debeat sub
poena eorum indignationis; et quod pro observantia supradictorum, et
dictae relegationis debeat dare et det dictis Magnificis et Excelsis DD.
Eosdem fidejussores, sive expromissores, quos hodie ob similem causam
dederat, ut apparet manu ser Antonii de Bagnone, qui se sub dicta eadem
poena flor. 1000 largorum, et eodem modo videlicet flor. 333 ½ largorum
pro quolibet, in forma valida se obligent, quod praedictos fines in totum
servabit; alias de eorum solvere, ut supra, Communi Florentiae quantitatem
praedictam, cui dicta poena applicari debeat, et sic eam tali casu
applicuerunt. Mandantes etc.". E infine il 17 a non mettere più piede
in Palazzo Vecchio: "Die 17 mensis Novembris 1512. Item dicti Magnifici
et Excelsi DD. Et Vexillifer simul radunati etc. deliberaverunt fieri
praeceptum et praecipi Nicolao dom. Bernardi de Machiavellis, olim
cancellario secundae Cancellariae dictorum Magnificorum et Excelsorum DD.,
et. Blasio Bonaccursi olim Coadjutori Domini Marcelli, quatenus per unum
annum proximum futurum a die notificationis hujus deliberationis, et
praecepti non intrent, nec ingredi possint palatium praefatorum
Magnificorum, et Excelsorum Dominorum, sub poena eorum indignationis etc.
Mandantes
etc.". Non si
conoscono i motivi per cui viene allontanato dai Medici dal suo incarico,
tanto più che la sua onestà è comprovata proprio dal non essersi
arricchito col suo incarico, come avrebbero fatto molti, e dal non essersi
mai schierato decisamente a favore di nessuno schieramento politico
legandovi le sue sorti. Il Machiavelli non è un eroe politico e neanche un
partigiano. Gli nocque certamente la grande amicizia dimostratagli da Pier
Soderini durante i suoi dieci anni di gonfalonierato e forse i suoi
consigli allo stesso Soderini ad assumere più energici provvedimenti atti
a consolidare lo stato della città e il governo; o forse il suo impiego
presso la Seconda Cancelleria, pur non essendo molto ben remunerato,
faceva gola a uno dei tanti servi che seguono il carro del padrone
vincitore.
www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/index007.htm
|