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Bonghi Giuseppe Introduzione Dal 1513 al 1519 lavora ai Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio, trattato sulle Repubbliche, che sotto certi aspetti è più importante del Principe, ma rispetto al Principe manca innanzitutto di una accettabile sistematicità già a partire dalla seconda metà del primo libro. Nati probabilmente come commento alla prima deca della Storia di Tito Livio, divengono ben presto l'insieme di riflessioni autonome in cui il riferimento al testo del grande storico romano è l'occasione più evidente della discussione e la stratificazione storica all'interno della quale Machiavelli può attingere per enucleare le sue norme politiche, riguardanti:
Gli argomenti sono variamente mescolati nei tre libri, senza seguire un
filo logico apparente, ma evidentemente seguendo il filo delle
conversazioni che si venivano svolgendo fra gli amici. I Discorsi
rappresentano la teorizzazione dello Stato-Civiltà, che in germe è già
una fase più avanzata del pensiero machiavelliano e contengono il
virtuale superamento della concezione politica presente nei teorici del
Rinascimento e in parte anche nel Principe e ricordano la più
grande esperienza che un popolo abbia mai fatto e lasciato come
ammaestramento per le generazioni future soprattutto sul piano del
Diritto, e devono essere letti a integrazione del Principe; anzi,
sotto certi aspetti, sono un'opera più rivoluzionaria proprio perchè
scritta in un periodo in cui era non solo difficile ma addirittura ozioso
parlare di Repubbliche. "Le due opere così finiscono col conciliare
quelle che sono le esigenze della storia di ogni popolo: dove la virtù
creativa di un capo si incontra sempre nell'anima universale,
consustanziandosi storicamente in tutta una nazione, in tutta una civiltà"
(Luigi Russo). Quando io considero quanto onore si attribuisca all'antichità, e come molte volte lasciando andare molti altri esempli, un fragmento d'una antica statua sia stato comperato gran prezzo per averlo presso di sé, onorarne la sua casa poterlo fare imitare da coloro che di quell'arte si dilettano, e come quelli poi con ogni industria si sforzano in tutte le loro opere rappresentarlo;e veggendo dall'altro canto le virtuosissime operazioni che le istorie ci mostrano, che sono state operate da regni e da repubbliche antiche, dai re, capitani, cittadini, datori di leggi, ed altri che si sono per la loro patria affaticati, essere più presto ammirate che imitate, anzi in tanto da ciascuno in ogni parte fuggite, che di quella antica virtù non ci è rimaso alcun segno, non posso fare che insieme non me ne meravigli e dolga.
Il Machiavelli "evade dalla comune concezione
oratoria ed edonistica della storia, abbozza un suo tipo di storia
militante ed ideale, che certamente non ha quella positiva veridicità...
ma si avvia a darci una storia idealmente vera" (L. Russo). Su questo
piano Machiavelli diventa il precursore della storiografia che vedrà il
primo vero rappresentante in GianBattista Vico.
Il Principe viene scritto di getto nel 1513, i Discorsi
vengono scritti tra il 1513 e il 1517 o 1519, secondo alcuni critici
interrotti in un primo momento al XVIII capitolo per la stesura dell'opera
maggiore e successivamente ripresi. Indipendentemente da questi
particolari di tipo temporale resta evidente che le due opere nascono
nello stesso periodo di tempo e si richiamano alla stessa ispirazione; ma
la prima resta il frutto contingente di un momento, con una sua ben
precisa finalità, che è la strenua volontà dell'autore di affermare con
forza la propria presenza quasi insostituibile all'interno delle vicende
politiche che agitano Firenze: sembra quasi che voglia dire: sono qua,
questa è la mia scienza, non potete fare a meno di me perché avete
bisogno di me. La seconda opera è invece il frutto di lunghe riflessioni
e discussioni con gli amici, durante le quali non solo i fatti storici
vengono analizzati da più punti di vista ma anche da capacità
intellettive di diverso spessore e di diversa preparazione culturale.
La Repubblica si contrappone alla tirannide, che prima o poi corrode le
basi stesse della propria potenza che in alcuni momenti sembra addirittura
illimitata. Ma la tirannide contiene in sé il principio stesso del suo
inevitabile sfaldamento: se un'idea o un principio possono vivere a lungo,
quasi partecipando della stessa eternità, l'uomo è un essere mortale e
il tiranno trascina con sé la sua stessa creazione. Anzi, il tiranno sa
che la sua potenza è fondata sulla paura di sudditi che ubbidiscono con
la forza, mentre nella Repubblica l'individuo partecipa liberamente perché
sa che il bene individuale si fonde col bene collettivo. www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/index007.htm |
Copyright © 1999 Luigi De Bellis