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Proprio negli anni in cui maggiormente trionfava l’Ermetismo si levarono le prime voci di dissenso contro l’ambiguità ed il solipsismo degli ermetici. Ad esempio nel 1936 Cesare Pavese pubblicò la sua prima raccolta di versi, “Lavorare stanca”, in cui, con poesie-racconto accessibilissime a tutti, affrontava il tema della infelicità umana ma così come era sentita dall’uomo comune alle prese con i problemi della disoccupazione, dell’emigrazione, della emarginazione imposta dalla vita convulsa della città, ecc. Leggiamo una strofa de “I mari del Sud”:
D’altra
parte, come abbiamo già detto, lo
stesso Quasimodo, nella seconda fase
della sua attività poetica, si era
accostato di più ai problemi generali
dell’uomo contemporaneo e si era
distaccato in maniera rilevante
dall’ambiguità dell’espressione
ermetica. E così andavano facendo anche
altri poeti ermetici, come il Luzi ed il
Sereni. Comunque è la formula del
Pavese che avrà un seguito,
specialmente negli anni del secondo
dopoguerra, quando nel cinema e nella
narrativa si andava affermando il
movimento del neorealismo. Il più
rappresentativo esponente della poesia
neorealistica fu, inizialmente, Rocco
Scotellaro (“E'
fatto giorno”, 1954), seguito poi
da personaggi di maggior rilievo, come Gianni
Scalia, Roberto
Roversi, Francesco
Leonetti, Franco
Fortini e, maggiore di tutti, Pier
Paolo Pasolini, che all’impegno
civile (di ispirazione marxista e
gramsciana) aggiunse una sorta di “sperimentalismo
polemico e rivoltoso” (secondo la
definizione del Ferretti) che esplicò
soprattutto in campo linguistico. Del
Pasolini poeta ricordiamo: “Le
ceneri di Gramsci” (1957), “L’usignolo
della Chiesa cattolica” (1958),
“La
religione del nostro
tempo” (1962), “Poesia
in forma di rosa” (1964) e “Transumanar
e
organizzar” (1970). |