Niccolò Machiavelli
Clizia
Atto quarto
Scena prima
Cleandro: Come è egli possibile che mia madre sia stata
sì poco avveduta, che la si sia rimessa a questo modo alla sorta d'una cosa, che ne vadi
in tutto l'onore di casa nostra?
Eustachio: Egli è come io t'ho detto.
Cleandro: Ben sono sventurato! Ben sono infelice! Vedi s'i' trovai appunto uno, che
mi tenne tanto a bada, che si è, sanza mia saputa, concluso el parentado, e deliberate le
nozze ed ogni cosa! E seguirà secondo el desiderio del vecchio! O Fortuna, tu suòi pure,
sendo donna, essere amica de' giovani: a questa volta tu se' stata amica de' vecchi! Come
non ti vergogni tu, ad avere ordinato che sì dilicato viso sia da sì fetida bocca
scombavato, sì dilicate carne da sì tremanti mani, da sì grinze e puzzolente membra
tocche? Perché, non Pirro, ma Nicomaco, come io mi stimo, la possederà. Tu non mi
possevi fare la maggior ingiuria, avendomi con queste colpo tolto ad un tratto l'amata e
la roba, perché Nicomaco, se questo amore dura, è per lasciare delle sue sustanze più a
Pirro che a me. E' mi par mille anni di vedere mia madre, per dolermi e sfogarmi con lei
di questo partito.
Eustachio: Confortati, Cleandro, che mi parve che la ne andassi in casa ghignando,
in modo che mi pare essere certo che 'l vecchio non abbia ad avere questa pera monda, come
e' crede. Ma ecco che viene fuora, egli e Pirro, e son tutti allegri.
Cleandro: Vanne, Eustachio, in casa: io voglio stare da parte, per intendere
qualche loro consiglio, che facessi per me.
Eustachio: Io vo.
Scena seconda
Nicomaco, Pirro, Cleandro
Nicomaco: Oh, come è ella ita bene! Hai tu veduto come la brigata
sta malinconosa, come mogliama sta disperata? Tutte queste cose accrescono la mia
allegrezza; ma molto più sarò allegro, quando io terrò in braccio Clizia, quando io la
toccherò, bacerò, strignerò. O dolce notte! giugnerovv'io mai? E questo obligo, che io
ho teco, io sono per pagarlo a doppio!
Cleandro: O vecchio impazzato!
Pirro: Io lo credo; ma io non credo già che voi possiate fare cosa nessuna questa
sera, né ci veggo commodità alcuna.
Nicomaco: Come?! Io ti vo' dire come io ho pensato di governare la cosa.
Pirro: Io l'arò caro.
Cleandro: Ed io molto più, che potrei udir cosa, che guasterebbe e fatti d'altri,
e racconcerebbe e mia.
Nicomaco: Tu cognosci Damone, nostro vicino, da chi io ho tolto la casa a pigione
per tuo conto?
Pirro: Sì, cognosco.
Nicomaco: Io fo pensiero che tu la meni stasera in quella casa, ancora ch'egli vi
abiti e che non l'abbia sgombera, perch'io dirò ch'io voglio che tu la meni in casa dove
l'ha a stare.
Pirro: Che sarà poi?
Cleandro: Rizza gli orecchi, Cleandro!
Nicomaco: Io ho imposto a mogliama che chiami Sostrata, moglie di Damone, perché
gli aiuti ad ordinare queste nozze ed acconciare la nuova sposa; ed a Damone dirò che
solleciti che la donna vi vadia. Fatto questo, e cenato che si sarà, la sposa da queste
donne sarà menata in casa di Damone, e messa teco in camera e nel letto, ed io dirò di
volere restare con Damone ad albergo e Sostrata ne verrà con Sofronia qui in casa. Tu,
rimaso solo in camera, spegnerai il lume, e ti baloccherai per camera, faccendo vista di
spogliarti; intanto io, pian piano, me ne verrò in camera, e mi spoglierò, ed enterrò
allato a Clizia. Tu ti potrai stare pianamente in sul lettuccio. La mattina, avanti
giorno, io mi uscirò del letto, mostrando di volere ire ad orinare, rivestirommi, e tu
enterrai nel letto.
Cleandro: O vecchio poltrone! Quanta è stata la mia felicità intendere questo tuo
disegno! Quanta la tua disgrazia ch'io l'intenda.
Pirro: E' mi pare che voi abbiate divisata bene questa faccenda. Ma e' conviene che
voi vi armiate in modo che voi paiate giovane, perché io dubito che la vecchiaia non si
riconosca al buio.
Cleandro: E' mi basta quel che io ho inteso: io voglio ire a raguagliare mia madre.
Nicomaco: Io ho pensato a tutto, e fo conto, a dirti il vero, di cenare con Damone,
ed ho ordinato una cena a mio modo. Io piglierò prima una presa d'uno lattovaro, che si
chiama satirionne.
Pirro: Che nome bizzarro è cotesto?
Nicomaco: Gli ha più bizzarri e fatti, perché gli è un lattovare, che farebbe,
quanto a quella faccenda, ringiovanire uno uomo di novanta anni, nonché di settanta, come
ho io. Preso questo lattovaro, io cenerò poche cose, ma tutte sustanzevole: in prima, una
insalata di cipolle cotte; dipoi, una mistura di fave e spezierie...
Pirro: Che fa cotesto?
Nicomaco: Che fa? Queste cipolle, fave e spezierie, perché sono cose calde e
ventose, farebbono far vela ad una caracca genovese. Sopra queste cose si vuole uno
pippione grosso arrosto, così verdemezzo, che sanguini un poco.
Pirro: Guardate che non vi guasti lo stomaco, perché bisognerà, o che vi sia
masticato, o che voi lo 'ngoiate intero: non vi vegg'io tanti o sì gagliardi denti in
bocca!
Nicomaco: Io non dubito di cotesto, ché, bench'io non abbia.molti denti, io ho le
mascella che paiono d'acciaio.
Pirro: Io penso che, poi che voi ne sarete ito, ed io entrato nel letto, che io
potrò fare sanza toccarla, perché io ho viso di trovare quella povera fanciulla
fracassata.
Nicomaco: Bàstiti ch'io arò fatto l'ufficio tuo e quel d'un compagno.
Pirro: Io ringrazio Dio, poiché mi ha dato una moglie in modo fatta, ch'io non
arò a durare fatica né a 'mpregnarla, né a darli le spese.
Nicomaco: Vanne in casa, sollecita le nozze, ed io parlerò un poco con Damone,
ch'io lo veggo uscir di casa sua.
Pirro: Così farò.
Scena terza
Nicomaco: Egli è venuto quello tempo, o Damone, che mi hai a
mostrare se tu mi ami. E' bisogna che tu sgomberi la casa, e non vi rimanga né la tua
donna, né altra persona, perché io vo' governare questa cosa, come io t'ho già detto.
Damone: Io son parato a fare ogni cosa, purché io ti contenti.
Nicomaco: Io ho detto a mogliama che chiami Sostrata tua, che vadia ad aiutarla
ordinare le nozze. Fa' che la vadia subito, come la chiama, e che vadia con lei la serva,
sopratutto.
Damone: Ogni cosa è ordinato: chiamala a tua posta.
Nicomaco: Io voglio ire infino allo speziale a fare una faccenda, e tornerò ora:
tu aspetti qui, che mogliama eschi fuora, e chiami la tua. Ecco che la viene: sta' parato.
Addio.
Scena quarta
Sofronia: Non maraviglia che 'l mio marito mi sollecitava ch'io
chiamassi Sostrata di Damone! E' voleva la casa libera, per potere giostrare a suo modo.
Ecco Damone di qua. O specchio di questa città, e colonna del suo quartieri, che accomoda
la casa sua a sì disonesta e vituperosa impresa! Ma io gli tratterò in modo, che si
vergogneranno sempre di loro medesimi. E voglio or cominciare ad uccellare costui.
Damone: Io mi maraviglio che Sofronia si sia ferma, e non venga avanti a chiamare
la mia donna. Ma ecco che la viene. Dio ti salvi, Sofronia!
Sofronia: E te, Damone! Ove è la tua donna?
Damone: La è in casa, ed è parata a venire, se tu la chiami,perché el tuo marito
me ne ha pregato. Vo io a chiamarla?
Sofronia: No, no! la debbe avere faccenda.
Damone: Non ha faccenda alcuna.
Sofronia: Lasciala stare, io non le voglio dare briga: io la chiamerò, quando fia
tempo.
Damone: Non ordinate voi le nozze?
Sofronia: Sì, ordiniamo.
Damone: Non hai tu necessità di chi ti aiuti?
Sofronia: E' vi è brigata un mondo, per ora.
Damone: Che farò ora io? Ho fatto uno errore grandissimo a cagione di questo
vecchio impazzato, bavoso, cisposo, e sanza denti. E' mi ha fatto offerire la donna per
aiuto a costei, che non la vuole, in modo che la crederrà ch'io vadi mendicando un pasto,
e terrammi uno sciagurato.
Sofronia: Io ne rimando costui tutto inviluppato. Guarda come ne va ristretto nel
mantello! E' mi resta ora ad uccellare un poco el mio vecchio. Eccolo che viene dal
mercato. Io voglio morire, se non ha comperato qualche cosa, per parere gagliardo o
odorifero!
Scena quinta
Nicomaco: Io ho comperato el lattovaro e certa unzione appropriata
a fare risentire le brigate. Quando si va armato alla guerra, si va con più animo la
metà. Io ho veduta la donna: ohimé, che la m'arà sentito!
Sofronia: Sì, ch'io t'ho sentito, e con tuo danno e vergogna, s'io vivo insino a
domattina!
Nicomaco: Sono ad ordine le cose? Hai tu chiamata questa tua vicina, che ti aiuti?
Sofronia
Io la chiamai, come tu mi dicesti, ma questo tuo caro amico le favellò non so che
nell'orecchio, in modo che la mi rispose che non poteva venire.
Nicomaco: Io non me ne maraviglio, perché tu se' un poco rozza, e non sai
accomodarti con le persone, quando tu vuoi alcuna cosa da loro.
Sofronia: Che volevi tu, ch'io lo toccassi sotto 'l mento? Io non son usa a fare
carezze a' mariti d'altri. Va', chiamala tu, poiché ti giova andare drieto alle moglie
d'altri, ed io andrò in casa ad ordinare il resto.
Scena sesta
Damone, Nicomaco
Damone: Io vengo a vedere, se questo amante è tornato dal mercato.
Ma eccolo davanti all'uscio. Io venivo appunto a te.
Nicomaco: Ed io a te, uomo da farne poco conto! Di che t'ho io pregato? Di che t'ho
io richiesto? Tu m'hai servito così bene!
Damone: Che cosa è?
Nicomaco: Tu mandasti mogliata! Tu hai vòta la casa di brigata, che fu un
sollazzo! In modo che, alle tua cagione, io son morto e disfatto!
Damone: Va' t'impicca! Non mi dices'tu che mogliata chiamerebbe la mia?
Nicomaco: La l'ha chiamata, e non è voluta venire.
Damone: Anzi, che gliene offersi! Ella, non volle che la venissi; e così mi fai
uccellare, e poi ti duoli di me. Che 'l diavolo ne 'l porti, te e le nozze ed ognuno!
Nicomaco: Infine, vuoi tu che la venga?
Damone: Sì, voglio, in mal'ora! ed ella, e la fante, e la gatta, e chiunque vi è!
Va', se tu hai a fare altro: io andrò in casa, e, per l'orto, la farò venire or ora.
Nicomaco: Ora, m'è costui amico! Ora, andranno le cose bene! Ohimè! ohimè! che
romore è quel che è in casa?
Scena settima
Doria: Io son morta! Io son morta! Fuggite, fuggite! Toglietele
quel coltello di mano! Fuggitevi, Sofronia!
Nicomaco: Che hai tu, Doria? Che ci è?
Doria: Io son morta!
Nicomaco: Perché se' tu morta?
Doria: Io son morta, e voi spacciato!
Nicomaco: Dimmi quel che tu hai!
Doria: Io non posso per lo affanno! Io sudo! Fatemi un poco di vento col mantello!
Nicomaco: Deh! dimmi quel che tu hai, ch'io ti romperò la testa!
Doria: Ah! padron mio, voi siate troppo crudele!
Nicomaco: Dimmi quel che tu hai, e qual romore è in casa!
Doria: Pirro aveva dato l'anello a Clizia, ed era ito ad accompagnare el notaio
infino all'uscio di drieto. Ben sai che Clizia, non so da che furore mossa, prese uno
pugnale, e, tutta scapigliata, tutta furiosa, grida: "Ove è Nicomaco? Ove è Pirro?
Io gli voglio ammazzare!" Cleandro, Sofronia, tutte noi la volavamo pigliare, e non
potemo. La si è arrecata in uno canto di camera, e grida che vi vuole ammazzare in ogni
modo, e per paura chi fugge di qua e chi di là. Pirro si è fuggito in cucina, e si è
nascosto drieto alla cesta de' capponi. Io son mandata qui, per avvertirvi, che voi non
entriate in casa.
Nicomaco: Io son il più misero di tutti gli uomini! Non si può egli trarle di
mano il pugnale?
Doria: Non, per ancora.
Nicomaco: Chi minacc'ella?
Doria: Voi e Pirro.
Nicomaco: Oh! che disgrazia è questa! Deh! figliuola mia, io ti prego che tu torni
in casa, e con buone parole vegga, che se le cavi questa pazzia del capo, e che la ponga
giù il pugnale; ed io ti prometto ch'io ti comperrò un paio di pianelle ed uno
fazzoletto. Deh! va', amor mio!
Doria: Io vo: ma non venite in casa, se io non vi chiamo.
Nicomaco: O miseria! O infelicità mia! Quante cose mi si intraversano, per fare
infelice questa notte, ch'io aspettavo felicissima! Ha ella posto giù il coltello? Vengo
io?
Doria: Non, ancora! non venite!
Nicomaco: O Iddio! che sarà poi? Poss'io venire?
Doria Venite, ma non entrate in camera, dove ella è. Fate che la non vi vegga.
Andate in cucina, da Pirro.
Nicomaco: Io vo.
Scena ottava
Doria: In quanti modi uccelliamo noi questo vecchio! Che festa è egli vedere e travagli di questa casa! Il vecchio e Pirro sono paurosi in cucina, in sala son quelli che apparecchiano la cena; ed in camera sono le donne, Cleandro, ed il resto della famiglia; ed hanno spogliato Siro, nostro servo, e de' sua panni vestita Clizia, e de' panni di Clizia vestito Siro, e vogliono che Siro ne vadia a marito in scambio di Clizia; e perché il vecchio e Pirro non scuoprino questa fraude, gli hanno, sotto ombra che Clizia sia cruciata, confinati in cucina. Che belle risa! Che bello inganno! Ma ecco fuora Nicomaco e Pirro.
Scena nona
Nicomaco: Che fai tu costì, Doria? Clizia è quietata?
Doria: Messer sì, ed ha promesso a Sofronia di volere fare ciò che voi volete.
Egli è ben vero che Sofronia giudica che sia bene che voi e Pirro non li capitiate
innanzi, acciò che non se li riaccendessi la collera; poi, messa che la fia al letto, se
Pirro non la saprà dimesticare, suo danno!
Nicomaco: Sofronia ci consiglia bene, e così faremo. Ora, vattene in casa; e,
perché gli è cotto ogni cosa, sollecita che si ceni; Pirro ed io ceneremo a casa Damone;
e, come gli hanno cenato, fa' che la menino fuora. Sollecita, Doria, per l'amore d'Iddio,
che sono già sonate le tre ore, e non è bene stare tutta notte in queste pratiche.
Doria: Voi dite el vero. Io vo.
Nicomaco: Tu, Pirro, riman' qui: io andrò a bere un tratto con Damone. Non andare
in casa, acciò che Clizia non si infuriassi di nuovo; e, se cosa alcuna accade, corri a
dirmelo.
Pirro: Andate, io farò quanto mi imponete. Poiché questo mio padrone vuole ch'io
stia sanza moglie e sanza cena, io son contento. Né credo che in uno anno intervenghino
tante cose, quante sono intervenute oggi e dubito non ne intervenghino dell'altre, perché
io ho sentito per casa certi sghignazzamenti, che non mi piacciano. Ma ecco ch'io veggo
apparire un torchio: e debbe uscir fuora la pompa, la sposa ne debbe venire. Io voglio
correre per il vecchio. O Nicomaco! O Damone! Venite da basso! La sposa ne viene.
Scena decima
Nicomaco: Eccoci. Vanne, Pirro, in casa, perché io credo che sia
bene che la non ti vegga. Tu, Damone, pàramiti innanzi, e parla tu con queste donne.
Eccoli tutti fuora.
Sofronia O povera fanciulla! la ne va piangendo. Vedi che la non si lieva el
fazzoletto dagli occhi.
Sostrata Ella riderà domattina! Così usano di fare le fanciulle. Dio vi dia la
buona sera, Nicomaco e Damone!
Damone: Voi siate le ben venute. Andatevene su, voi donne, mettete al letto la
fanciulla, e tornate giù. Intanto, Pirro sarà ad ordine anche egli.
Sostrata: Andiamo, col nome d'Iddio.
Scena undicesima
Nicomaco: Ella ne va molto malinconosa. Ma hai tu veduto come l'è
grande? La si debbe essere aiutata con le pianelle.
Damone: La pare anche a me maggiore, che la non suole. O Nicomaco, tu se' pur
felice! La cosa è condotta dove tu vuoi. Portati bene, altrimenti tu non vi potrai
tornare più.
Nicomaco: Non dubitare! Io sono per fare el debito, che, poi ch'io presi il cibo,
io mi sento gagliardo come una spada. Ma ecco le donne, che tornano.
Scena dodicesima
Nicomaco: Avetela voi messa al letto?
Sostrata: Sì, abbiamo.
Damone: Bene sta; noi fareno questo resto. Tu, Sostrata, vanne con Sofronia a
dormire e Nicomaco rimarrà qui meco.
Sofronia: Andianne, che par lor mille anni di avercisi levate dinanzi.
Damone: Ed a voi il simile. Guardate a non vi far male.
Sostrata: Guardatevi pur voi, che avete l'arme: noi siamo disarmate.
Damone: Andiamone in casa.
Sofronia E noi ancora. Va' pur là, Nicomaco, tu troverrai riscontro, perché
questa tua dama sarà come le mezzine da Santa Maria Impruneta.
Sì suave è l'inganno |