Niccolò Machiavelli

Clizia


Atto terzo

Scena prima
Nicomaco, Cleandro

Nicomaco: Cleandro! o Cleandro!
Cleandro: Messere!
Nicomaco: Esci giù, esci giù, dico io! Che fai tu, tanto el dì, in casa? Non te ne vergogni tu, che dài carico a cotesta fanciulla? Sogliono a simili dì di carnasciale e giovani tuoi pari andarsi a spasso veggendo le maschere, o ire a fare al calcio. Tu se' uno di quelli uomini, che non sai far nulla, e non mi pari né morto né vivo.
Cleandro: Io non mi diletto di coteste cose, e non me ne dilettai mai, e piacemi più lo stare solo che con coteste compagnie, e tanto più stavo ora volentieri in casa veggendovi stare voi, per potere, se voi volevi cosa alcuna, farla.
Nicomaco: Deh! guarda dove l'aveva! Tu se' el buon figliuolo! Io non ho bisogno di averti tuttodì drieto! Io tengo dua famigli ed uno fattore, per non avere a comandare a te.
Cleandro: Al nome d'Iddio! e' non è però che quello ch'io fo no 'l faccia per bene.
Nicomaco: Io non so per quel che tu te 'l fai, ma io so bene che tua madre è una pazza, e rovinerà questa casa. Tu faresti el meglio a ripararci.
Cleandro: O lei, o altri.
Nicomaco: Chi altri?
Cleandro: Io non so.
Nicomaco: E' mi pare bene che tu no 'l sappi. Ma che di' tu di questi casi di Clizia?
Cleandro: Vedi che vi capitàmo!
Nicomaco: Che di' tu? Di' forte, ch'io t'intenda.
Cleandro: Dico ch'io non so che me ne dire.
Nicomaco: Non ti par egli che questa tua madre pigli un granchio, a non volere che Clizia sia moglie di Pirro?
Cleandro: Io non me ne intendo.
Nicomaco: Io son chiaro! tu hai preso la parte sua! E' ci cova sotto altro che favole! Parrebbet'egli però che la stessi bene con Eustachio?
Cleandro: Io non lo so, e non me ne intendo.
Nicomaco: Di che diavolo t'intendi tu?
Cleandro: Non di cotesto.
Nicomaco: Tu ti sei pur inteso di far venire in Firenze Eustachio, e trafugarlo, perché io non lo vegga, e tendermi lacciuoli per guastare queste nozze. Ma te e lui caccerò io nelle Stinche; a Sofronia renderò io la sua dota, e manderolla via, perché io voglio essere io signore di casa mia, e ognuno se ne sturi gli orecchi! E voglio che questa sera queste nozze si faccino, o io, quando non arò altro rimedio, caccerò fuoco in questa casa. Io aspetterò qui tua madre, per vedere s'io posso essere d'accordo con lei; ma quando io non possa, ad ogni modo ci voglio l'onor mio, che io non intendo ch'e paperi menino a bere l'oche. Va', pertanto, se tu desideri el bene tuo e la pace di casa, a pregarla che facci a mio modo. Tu la troverrai in chiesa, ed io aspetterò te e lei qui in casa. E se tu vedi quel ribaldo di Eustachio digli che venghi a me, altrimenti non farà bene e casi suoi.
Cleandro: Io vo.


Scena seconda
Cleandro solo

Cleandro: O miseria di chi ama! Con quanti affanni passo io il mio tempo! Io so bene che qualunque ama una cosa bella, come è Clizia, ha di molti rivali, che gli dànno infiniti dolori; ma io non intesi mai che ad alcuno avvenissi di avere per rivale il padre; e, dove molti giovani hanno trovato appresso al padre qualche remedio, io vi truovo el fondamento e la cagione del male mio; e, se mia madre mi favorisce, la non fa per favorire me, ma per disfavorire la impresa del marito. E perciò io non posso scoprirmi in questa cosa gagliardamente, perché subito la crederrebbe che io avessi fatti quelli patti con Eustachio che mio padre ha fatti con Pirro, e come la credesse questo, mossa dalla conscienzia, lascerebbe ire l'acqua alla china, e non se ne travaglierebbe più, e io al tutto sarei spacciato, e ne piglierei tanto dispiacere, ch'io non crederrei più vivere. Io veggio mia madre, che esce di chiesa: io voglio parlare seco, ed intendere la fantasia sua, e vedere quali rimedii ella apparecchi contro a' disegni del vecchio.


Scena terza
Cleandro, Sofronia

Cleandro Dio vi salvi, madre mia!
Sofronia: O Cleandro! Vieni tu di casa?
Cleandro: Madonna sì.
Sofronia: Se'vi tu stato tuttavia, poi ch'io vi ti lasciai?
Cleandro: Sono.
Sofronia: Nicomaco, dove è?
Cleandro: E' in casa, e per cosa che sia accaduta non è uscito.
Sofronia: Lascialo fare, al nome d'Iddio! Una ne pensa el ghiotto, e l'altra el tavernaio. Hatt'egli detto cosa alcuna?
Cleandro: Un monte di villanie; e parmi che gli sia entrato el diavolo addosso. E' vuole mettere nelle Stinche Eustachio e me, a voi vuole rendere la dota, e cacciarvi via, e minaccia, nonché altro, di cacciare fuoco in casa, e mi ha imposto ch'io vi truovi e vi persuada a consentire a queste nozze, altrimenti non si farà per voi.
Sofronia: Tu, che ne di'?
Cleandro: Dicone quello che voi, perché io amo Clizia come sorella, e dorrebbemi infino all'anima, che la capitassi in mano di Pirro.
Sofronia: Io non so come tu te la ami, ma io ti dico bene questo, che s'io credessi trarla delle mani di Nicomaco e metterla nelle tua, che io non me ne impaccerei. Ma io penso che Eustachio la vorrebbe per sé, e che il tuo amore, per la sposa tua (che siamo per dartela presto), si potessi cancellare.
Cleandro: Voi pensate bene; e però io vi prego, che voi facciate ogni cosa, perché queste nozze non si faccino; e, quando non si possa fare altrimenti che darla ad Eustachio, dìesili; ma, quando si possa, sarebbe meglio, secondo me, lasciarla stare così, perché l'è ancora giovinetta, e non le fugge il tempo: potrebbono e Cieli farle trovare e sua parenti, e, quando e' fussino nobili, arebbono un poco obligo con voi, trovando che voi l'avessi maritata o ad uno famiglio, o ad uno contadino!
Sofronia: Tu di' bene: io ancora ci avevo pensato, ma la rabbia di questo vecchio mi sbigottisce. Nondimeno, e' mi si aggirano tante cose per il capo, che io credo che qualcuna gli guasterà ogni suo disegno. Io me ne voglio ire in casa, perché io veggo Nicomaco aliare intorno all'uscio. Tu, va' in chiesa, e di' ad Eustachio che venga a casa, e non abbia paura di cosa alcuna.
Cleandro: Così farò.


Scena quarta
Nicomaco, Sofronia

Nicomaco: Io veggo mogliama, che torna: io la voglio un poco berteggiare, per vedere se le buone parole mi giovano. O fanciulla mia, ha' tu però a stare sì malinconosa, quando tu vedi la tua speranza? Sta' un poco meco!
Sofronia: Lasciami ire!
Nicomaco: Fermati, dico!
Sofronia: Io non voglio: tu mi par' cotto!
Nicomaco: Io ti verrò drieto.
Sofronia: Se' tu impazzato?
Nicomaco: Pazzo, perch'io ti voglio troppo bene?
Sofronia: Io non voglio che tu me ne voglia.
Nicomaco: Questo non può essere!
Sofronia: Tu m'uccidi! Uh, fastidioso!
Nicomaco: Io vorrei che tu dicessi il vero.
Sofronia: Credotelo.
Nicomaco: Eh! guatami un poco, amor mio.
Sofronia: Io ti guato, ed odoroti anche: tu sai di buono! Bembè, tu mi riesci!
Nicomaco: Ohimé, che la se ne è avveduta! Che maladetto sia quel poltrone, che me l'arrecò dinanzi!
Sofronia: Onde son venuti questi odori, di che sai tu, vecchio impazzato?
Nicomaco: E' passò dianzi uno di qui, che ne vendeva: io gli trassinai, e mi rimase di quello odore addosso.
Sofronia: Egli ha già trovato la bugia! Non ti vergogni tu di quello che tu fai da uno anno in qua? Usi sempre con sei giovanetti, vai alla taverna, ripariti in casa femmine, e dove si giuoca, spendi sanza modo. Begli essempli, che tu dai al tuo figliuolo! Date moglie a questi valenti uomini!
Nicomaco: Ah! moglie mia, non mi dir tanti mali ad un tratto! Serba qualche cosa a domani! Ma non è egli ragionevole che tu faccia più tosto a mio modo, che io a tuo?
Sofronia: Sì, delle cose oneste.
Nicomaco: Non è egli onesto maritare una fanciulla?
Sofronia: Sì, quando ella si marita bene.
Nicomaco: Non starà ella bene con Pirro?
Sofronia: No.
Nicomaco: Perché?
Sofronia: Per quelle cagioni, ch'io t'ho dette altre volte.
Nicomaco: Io m'intendo di queste cose più di te. Ma, se io facessi tanto con Eustachio, ch'e' non la volessi?
Sofronia: E se io facessi con Pirro tanto, che non la volessi anch'egli?
Nicomaco: Da ora innanzi, ciascuno di noi si pruovi, e chi di noi dispone el suo, abbi vinto.
Sofronia: Io son contenta. Io vo in casa a parlare a Pirro, e tu parlerai con Eustachio, che io lo veggo uscir di chiesa.
Nicomaco: Sia fatto.


Scena quinta
Eustachio, Nicomaco

Eustachio: Poiché Cleandro mi ha detto che io vadia a casa e non dubiti, io voglio fare buono cuore, ed andarvi.
Nicomaco: Io volevo dire a questo ribaldo una carta di villanie, e non potrò, poiché io l'ho a pregare. Eustachio!
Eustachio: O padrone!
Nicomaco: Quando fusti tu in Firenze?
Eustachio: Iersera.
Nicomaco: Tu hai penato tanto a lasciarti rivedere! Dove se' tu stato tanto?
Eustachio: Io vi dirò. Io mi cominciai iermattina a sentir male: e' mi doleva el capo, avevo una anguinaia, e parevami avere la febre; ed essendo questi tempi sospetti di peste, io ne dubitai forte, e iersera venni a Firenze, e mi stetti all'osteria, né mi volli rappresentare, per non fare male a voi o a la famiglia vostra, se pure e' fussi stato desso. Ma, grazia di Dio, ogni cosa è passata via, e sentomi bene.
Nicomaco: E' mi bisogna fare vista di crederlo. Ben facesti tu! Se' or bene guarito?
Eustachio: Messer sì.
Nicomaco: Non del tristo. Io ho caro che tu ci sia. Tu sai la contenzione, che è tra me e mogliama circa al dar marito a Clizia: ella la vuole dare a te, ed io la vorrei dare a Pirro.
Eustachio: E dunque, volete meglio a Pirro che a me?
Nicomaco: Anzi, voglio meglio a te che a lui. Ascolta un poco. Che vuoi tu fare di moglie? Tu hai oggimai trentotto anni, ed una fanciulla non ti sta bene; ed è ragionevole che, come la fussi stata teco qualche mese, che la cercassi un più giovane di te, e viveresti disperato. Dipoi, io non mi potrei più fidare di te, perderesti lo aviamento, diventeresti povero, ed andresti, tu ed ella, accattando.
Eustachio: In questa terra, chi ha bella moglie non può essere povero: e del fuoco e della moglie si può essere liberale con ognuno, perché quanto più ne dai, più te ne rimane.
Nicomaco: Dunque, vuoi tu fare questo parentado, per farmi dispiacere?
Eustachio: Anzi, lo vo' fare, per fare piacere a me!
Nicomaco: Or tira, vanne in casa. Io ero pazzo, s'io credevo avere da questo villano una risposta piacevole. Io muterò teco verso. Ordina di rimettermi e conti, e di andarti con Dio, e fa' stima d'essere il maggior nimico ch'io abbia, e ch'io ti abbia a fare il peggio che io posso.
Eustachio: A me non dà briga nulla, purch'io abbia Clizia.
Nicomaco: Tu arai le forche!


Scena sesta
Pirro, Nicomaco

Pirro: Prima ch'io facessi ciò che voi volete, io mi lascerei scorticare!
Nicomaco: La cosa va bene. Pirro sta nella fede. Che hai tu? Con chi combatti tu, Pirro?
Pirro: Combatto ora con chi voi combattete sempre.
Nicomaco: Che dic'ella? Che vuol ella?
Pirro: Pregami che io non tolga Clizia per donna.
Nicomaco: Che l'hai tu detto?
Pirro: Che io mi lascerei prima ammazzare, che io la rifiutassi.
Nicomaco: Ben dicesti.
Pirro: Se io ho ben detto, io dubito non avere mal fatto, perché io mi sono fatto nimico la vostra donna, ed il vostro figliuolo, e tutti gli altri di casa.
Nicomaco: Che importa a te? Sta' bene con Cristo, e fatti beffe de' santi!
Pirro: Sì, ma se voi morissi, i santi mi tratterebbono assai male.
Nicomaco: Non dubitare, io ti farò tal parte, ch'e santi ti potranno dare poca briga; e, se pur e' volessino, e magistrati e le legge ti difenderanno, purch'io abbia facultà, per tuo mezzo, di dormire con Clizia.
Pirro: Io dubito che voi non possiate, tanta infiammata vi veggio contro la donna.
Nicomaco: Io ho pensato che sarà bene, per uscire una volta di questo farnetico, che si getti per sorte di chi sia Clizia; da che la donna non si potrà discostare.
Pirro: Se la sorte vi venissi contro?
Nicomaco: Io ho speranza in Dio, che la non verrà.
Pirro: O vecchio impazzato! vuol che Dio tenga le mani a queste sua disonestà! Io credo, che se Dio s'impaccia di simil' cose, che Sofronia ancora speri in Dio.
Nicomaco: Ella si speri! E, se pur la sorte mi venissi contro, io ho pensato al rimedio. Va', chiamala, e dilli che venga fuora con Eustachio.
Pirro: O Sofronia! Venite, voi ed Eustachio, al padrone.


Scena settima
Sofronia, Nicomaco, Eustachio, Pirro

Sofronia: Eccomi: che sarà di nuovo?
Nicomaco: E' bisogna pur pigliare verso a questa cosa. Tu vedi, poiché costoro non si accordano, e' conviene che noi ci accordiano.
Sofronia: Questa tua furia è estraordinaria. Quel che non si farà oggi, si farà domani.
Nicomaco: Io voglio farla oggi.
Sofronia: Faccisi, in buon'ora. Ecco qui tutti a duoi e competitori. Ma come vuoi tu fare?
Nicomaco: Io ho pensato, poiché noi non consentiano l'uno all'altro, che la si rimetta nella Fortuna.
Sofronia: Come nella Fortuna?
Nicomaco: Che si ponga in una borsa e nomi loro, ed in un'altra el nome di Clizia ed una polizza bianca, e che si tragga prima el nome d'uno di loro e che, a chi tocca Clizia, se l'abbia, e l'altro abbi pazienza. Che pensi tu? Non rispondi?
Sofronia: Orsù, io son contenta.
Eustachio: Guardate quel che voi fate.
Sofronia: Io guardo, e so quel ch'io fo. Va' 'n casa, scrivi le polizze, e reca dua borse, ch'io voglio uscire di questo travaglio, o io enterrò in uno maggiore.
Eustachio: Io vo.
Nicomaco: A questo modo ci accordereno noi. Prega Dio, Pirro, per te.
Pirro: Per voi!
Nicomaco: Tu di' bene, a dire per me: io arò una gran consolazione che tu l'abbia.
Eustachio: Ecco le borse e le sorte.
Nicomaco: Da' qua. Questa, che dice? Clizia. E quest'altra? E' bianca. Sta bene. Mettile in questa borsa di qua. Questa, che dice? Eustachio. E quest'altra? Pirro. Ripiegale, e mettile in quest'altra. Serrale, tienvi su gli occhi, Pirro, che non ci andassi nulla in capperuccia: e' ci è chi sa giucare di macatelle!
Sofronia: Gli uomini sfiducciati non son buoni.
Nicomaco: Son parole, coteste! Tu sai che non è ingannato, se non chi si fida. Chi voglian noi che tragga?
Sofronia: Tragga chi ti pare.
Nicomaco: Vien' qua, fanciullo.
Sofronia: E' bisognerebbe che fussi vergine.
Nicomaco: Vergine o no, io non v'ho tenute le mani. Tra' di questa borsa una polizza, detto che io ho certe orazioni: O santa Apollonia, io prego te e tutti e santi e le sante avvocate de' matrimonii, che concediate a Clizia tanta grazia, che di questa borsa esca la polizza di colui, che sia per essere più a piacere nostro. Trai, col nome di Dio! Dàlla qua. Ohimé, io son morto! Eustachio.
Sofronia: Che avesti? O Dio! fa' questo miracolo, acciò che costui si disperi.
Nicomaco: Tra' di quell'altra. Dalla qua. Bianca. Oh, io sono resucitato! Noi abbiam vinto, Pirro! Buon pro ti faccia! Eustachio è caduto morto. Sofronia, poiché Dio ha voluto che Clizia sia di Pirro, vogli anche tu.
Sofronia: Io voglio.
Nicomaco: Ordina le nozze.
Sofronia: Tu hai sì gran fretta: non si potrebb'egli indugiare a domani?
Nicomaco: No, no, no! Non odi tu che no? Che? vuoi tu pensare a qualche trappola?
Sofronia: Voglian noi fare le cose da bestie? Non ha ella a udir la messa del congiunto?
Nicomaco: La messa della fava! La la può udire un altro dì! Non sai tu che si dà le perdonanze a chi si confessa poi, come a chi s'è confessato prima?
Sofronia: Io dubito che la non abbia l'ordinario delle donne.
Nicomaco: Adoperi lo straordinario delli uomini! Io voglio che la meni stasera . E' par che tu non mi intenda.
Sofronia: Menila, in mal'ora! Andianne in casa, e fa' questa imbasciata tu a questa povera fanciulla, che non fia da calze!
Nicomaco: La fia da calzoni! Andiano dentro.


Canzona

Chi giammai donna offendie,
a torto o a ragion, folle è se crede
trovar per prieghi o pianti in lei merzede.
Come la scende in questa mortal vita
con l'alma insieme porta
superbia, sdegno e di perdono oblio:
inganno e crudeltà le sono scorta
e tal le dànno aita
ce d'ogni impresa appaga el suo desio;
e se sdegno aspro e rio
la muove o gelosia, adopra e vede:
e la sua forza, mortal forza eccede.

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