Giacomo Leopardi

Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl'Italiani

seconda parte

         Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
         Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio (rovina, ndr) e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
         Queste sono le conseguenze della poca società e della poca vita che avvi in Italia. Dalla poca società nasce che non v’ha buona società e che quella poca nuoce al morale. E ciò nasce ancora come s’è detto dal disprezzo della vita che naturalmente ha luogo più che negli altri in quelli che nulla vi godono, e per chi niente ella vale, sì stante le altre circostanze come atteso eziandio la mancanza di buona e non tediosissima società. La poca società e la poca vita (cioè poca azione) apparisce dalle sopraddette cose che sono naturalmente sinonimi di società e vita cattiva e scostumata e noiosa e immorale.
         O tutti o gran parte degl’inconvenienti di sopra specificati [12] hanno luogo proporzionatamente anche nelle nazioni più sociali e nelle migliori conversazioni. Da per tutto v’ha inconvenienti, da per tutto la società e l’uomo, considerato sì in se stesso e come individuo, sì come sociale, è imperfettissimo. Di più i suoi difetti e quelli della società e gl’inconvenienti di questa, presi generalmente e capo per capo all’ingrosso, sono da per tutto i medesimi, massime in questi tempi di grandissimo commercio d’ogni genere e quindi conformità fra le nazioni civili, anche le più distanti. È impossibile nominare o descrivere un difetto e un inconveniente proprio d’una nazione in generale, che non si trovi o al tutto uguale o con poca differenza e modificazione in ciascun’altra. Io non intendo dunque di attribuire all’Italia esclusivamente gl’incomodi che ho detti. Sono ben lontano dall’immaginarmi un mondo diverso e più bello del nostro né paesi remoti da’ miei occhi. In particolare poi, dovunque v’ha società, quivi l’uomo cerca sempre d’innalzarsi, in qualunque modo e con qualunque sia mezzo, colla depressione degli altri, e di far degli altri uno sgabello a se stesso (o trattisi di parole o di fatti), e l’amor proprio in nessun paese è scompagnato dall’avversione comunque sentita e dalla persecuzione comunque esercitata verso i propri simili, e massime verso quelli con cui si convive e che ci toccano più da presso o con gl’interessi o con l’uso quotidiano. E questo accade più che mai nei popoli civili, e oggi più che in qualunque altro tempo, essendo riconosciuto per caratteristico di questo secolo, e per necessaria conseguenza delle opinioni e dello stato presente dei popoli, quel genere di amor proprio che si chiama egoismo, il pessimo di tutti i generi. Ma oltre che le modificazioni dei difetti e inconvenienti umani e sociali possono essere differenti come ho detto, vi si dà anche il più e il meno, e di essi altro può esser dominante e principale in un luogo, ed altro in un altro. Quello dunque che io intendo di dire si è che gli accennati inconvenienti, per le cagioni e circostanze nostre specificate, sono maggiori qui che altrove, sono i dominanti in Italia, di peggior natura, più efficaci, più gravi, più estesi e frequenti e divulgati, più dannosi, più caratteristici e distinti nella nostra società e nella nostra vita che altrove.
         Si vede dalle sopraddette cose che l’Italia è, in ordine alla morale, più sprovveduta di fondamenti che forse alcun’altra nazione europea e civile, perocché manca di quelli che ha fatti nascere ed ora conferma ogni dì più co’ suoi progressi la civiltà medesima, ed ha perduti quelli che il progresso della civiltà e dei lumi ha distrutti. Sì per l’una parte è inferiore alle nazioni più colte o certo più istruite, più sociali, più attive e più vive di lei, per l’altra alle meno colte e istruite e men sociali di lei, come dire alla Russia, alla Polonia, al Portogallo, alla Spagna, le quali conservano ancora una gran parte de’ pregiudizi de’ passati secoli, e dalla ignoranza hanno ancor qualche garanzia della morale, benché sien prive di quella che dà alla morale la società e il sentimento delicato dell’onore. Il quale stato della Spagna in particolare, fece dire allo Chateaubriand prima della sua rivoluzione, che quando gli altri popoli rotti e invecchiati dall’eccesso della civiltà e per conseguenza dalla corruzione avrebbero perduta ogni virtù, e seco ogni forza, valore ed energia, la Spagna ancor fresca, ancor vicina alla natura, si sarebbe trovata in quello stato di vigore che nasce da’ principii e da’ costumi non corrotti di una nazione serbata lontano e illesa dal commercio cogli altri popoli; e che quello sarebbe stato il tempo in cui la Spagna sarebbe tornata a risplendere, e ricomparsa superiore all’altre nazioni in Europa, come l’unica non corrotta. Nel che lo Chateaubriand, come in molte altre cose, e per conseguenza necessaria di molti suoi falsi principii, s’ingannava grandemente. Si potrà forse disputare non poco se l’antica civiltà sia da preporre o posporre alla moderna, in ordine alla felicità sì dell’uomo sì de’ popoli ed alla virtù, valore, vita, energia ed attività delle nazioni. Ma lo stato della Spagna non ha niente a fare con l’antica civiltà. Tutto quello che la Spagna (e i popoli che se le assomigliano) si distingue dagli altri d’Europa (prescindendo dalle differenze di necessità occasionate dal clima e carattere nazionale: differenze che si trovano fra tutte l’altre nazioni anche civilissime) appartiene alla barbarie de’ tempi bassi, è una derivazione, o piuttosto una continuazione di quella. Se la Spagna differisce dalle altre europee e dalle sue vicine, più che tutte queste altre non differiscono tra loro anche tra le più lontane ciò non accade perch’ella abbia nulla d’antico o conservato o racquistato, ma perch’ella ha conservato della barbarie dell’età media assai più ella sola che tutte l’altre nazioni civili insieme. Ora i costumi, le opinioni e lo stato propriamente antico favorivano, conducevano, e generavano il grande, ma quelli del tempo basso in generale considerandoli, non hanno mai né favorito né prodotto niente di grande, né sono di natura da poterne produrre o da esser compatibili colla vera grandezza né dell’individuo né molto meno delle nazioni. È un falsissimo modo di vedere quello di considerar la civiltà moderna come liberatrice dell’Europa dallo stato antico. Questo falso concetto guasta generalissimamente il giudizio e il vero modo di pensare sulla storia e le vicende del genere umano e delle nazioni, ed è un errore o una svista sostanzialissima che turba e falsifica tutta l’idea che un filosofo può concepire in grande sulla detta storia e sui progressi o andamenti dello spirito umano [13]. Il risorgimento è stato dalla barbarie de’ tempi bassi non dallo stato antico; la civiltà, le scienze, le arti, i lumi, rinascendo, avanzando e propagandosi non ci hanno liberato dall’antico, ma anzi dalla totale e orribile corruzione dell’antico. In somma la civiltà non nacque nel quattrocento in Europa, ma rinacque. Certo ella non fu totalmente conforme alla prima, anzi beaucoup s’en faut (molto ci manca, ndr.); le circostanze non lo consentirono allora, e ne l’hanno forse più che mai allontanata in progresso, ed allontanano ogni dì più, ma in quanto ella ci rende diversi dagli antichi, si può forse molto dubitare se ella faccia un benefizio agl’individui e alle nazioni e se giovi alla felicità, virtù e grandezza sì degli uni separatamente considerati, e sì dell’altre considerate ciascuna in corpo, e tutte insieme. Il grandissimo e incontrastabile beneficio della rinata civiltà e del risorgimento de’ lumi si è di averci liberato da quello stato egualmente lontano dalla coltura e dalla natura proprio de’ tempi bassi, cioè di tempi corrottissimi; da quello stato che non era né civile né naturale, cioè propriamente e semplicemente barbaro, da quella ignoranza molto peggiore e più dannosa di quella de’ fanciulli e degli uomini primitivi, dalla superstizione, dalla viltà e codardia crudele e sanguinaria, dall’inerzia e timidità ambiziosa, intrigante e oppressiva, dalla tirannide all’orientale, inquieta e micidiale, dall’abuso eccessivo del duello, dalla feudalità del Baronaggio e dal vassallaggio, dal celibato volontario o forzoso, ecclesiastico o secolare, dalla mancanza d’ogn’industria e deperimento e languore dell’agricoltura, dalla spopolazione, povertà, fame, peste che seguivano ad ogni tratto da tali cagioni, dagli odii ereditarii e di famiglia, dalle guerre continue e mortali e devastazioni e incendi di città e di campagna tra Re e Baroni, Baroni e vassalli, città e città, fazioni e fazioni, famiglie e famiglie, dallo spirito non d’eroismo ma di cavalleria e d’assassineria, dalla ferocia non mai usata per la patria né per la nazione, dalla total mancanza di nome e di amor nazionale patrio, e di nazioni, dai disordini orribili nel governo, anzi dal niun governo, niuna legge, niuna forma costante di repubblica e amministrazione, incertezza della giustizia, de’ diritti, delle leggi, degl’instituti e regolamenti, tutto in potestà e a discrezione e piacere della forza, e questa per lo più posseduta e usata senza coraggio, e il coraggio non mai per la patria e i pericoli non mai incontrati per lei, né per gloria, ma per danari, per vendetta, per odio, per basse ambizioni e passioni, o per superstizioni e pregiudizi, i vizi non coperti d’alcun colore, le colpe non curanti di giustificazione alcuna, i costumi sfacciatamente infami anche ne’ più grandi e in quelli eziandio che facean professione di vita e carattere più santo, guerre di religione, intolleranza religiosa, inquisizione, veleni, supplizi orribili verso i rei veri o pretesi, o i nemici, niun diritto delle genti, tortura, prove del fuoco, e cose tali. Da questo stato ci ha liberati la civiltà moderna; da questo, di cui sono ancora grandissime le reliquie, ci vanno liberando sempre più i suoi progressi giornalieri; da’ suoi effetti e da’ suoi avanzi e dalle opinioni che li favoriscono proccura e sforzasi di liberarci la nuova filosofia nata, si può dire, non ancor sono due secoli, e intenta propriamente a terminare e perfezionare il nostro risorgimento dagli abusi, pregiudizi (peggiori assai che l’ignoranza), depravazione e barbarie de’ tempi bassi; degna perciò solo di lode e gratitudine e gloria e favore e coltura, e perciò solo utile o almeno perciò principalmente. Questo stato e natura di cose, propriamente parlando, o gli effetti e avanzi suoi, o gli usi, le opinioni e le forme ad essa appartenenti o corrispondenti, amano, difendono, lodano, cercano di ritenere e salvare dalla distruzione a cui sono incamminate i nemici della moderna filosofia, quelli che piangono, condannano, biasimano, oppugnano, combattono la civiltà moderna o i lumi del secolo e i suoi progressi, e quelli che fecero il simile ne'’passati secoli, quelli che richiamano o richiamarono l'’ntico, e se ne chiamano difensori e conservatori e lo prendono per loro divisa, e gridano e s’indegnano contro la novità; laddove il vero antico è in gran parte quello appunto che essi combattono, e non v’è cosa più propriamente antica di moltissime di quelle che essi chiamano novità e che impugnano come tali e se ne maravigliano gravemente come cose finora ignote al genere umano, e contrarie all’esperienza, e però perniciosissime. Vedi i miei pensieri p. 162-163 [14].
         Da questa digressione tornando al proposito, dico che la Spagna in particolare, e seco le nazioni d’Europa o d’altrove che le somigliano più più o manco, benché sottoposte a infiniti inconvenienti ed a uno stato in verità non invidiabile, hanno pur qualche residuo di fondamento alla morale pubblica e privata, oltre alla forza, ne’ pregiudizi stessi e nella ignoranza di tante cose rivelate dai lumi moderni, e nell’avanzo non piccolo della barbarie dell’età media. Il qual fondamento manca all’Italia, senza che sia compensato da quello che la civiltà moderna istessa offre alle nazioni d’Europa e d’America più sociali e più vive di lei.
         Gl’italiani hanno piuttosto usanze e abitudini che costumi. Poche usanze e abitudini hanno che si possano dir nazionali, ma queste poche, e l’altre assai più numerose che si possono e debbono dir provinciali e municipali, sono seguite piuttosto per sola assuefazione che per ispirito alcuno o nazionale o provinciale, per forza di natura, perché il contraffar loro o l’ometterle sia molto pericoloso dal lato dell’opinione pubblica, come è nelle altre nazioni, e perché quando pur lo fosse, questo pericolo sia molto temuto. Ma questo pericolo realmente non v’è, perché lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle leggi e ordinanze de’ principi, lascia a ciascuno quasi intera libertà di di condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci, o impacciandosene sia molto atteso, né se n’impacci mai in modo da dar molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere, approvazione o disapprovazione. Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia. E gli usi e costumi generali e pubblici, non sono, come ho detto, se non abitudini, e non sono seguiti che per liberissima volontà, determinata quasi unicamente dalla materiale assuefazione, dall’aver sempre fatta quella tal cosa, in quel tal modo, in quel tal tempo, dall’averla veduta fare ai maggiori, dall’essere sempre stata fatta, dal vederla fare agli altri, dal non curarsi o non pensare di fare altrimenti o di non farla ( al che basterebbe il volere); e facendola del resto con pienissima indifferenza, senz’attaccarvi importanza alcuna, senza che l’animo né lo spirito nazionale, o qualunque, vi prenda alcuna parte, considerando per egualmente importante il farla che il tralasciarla o il contraffarle, non tralasciandola e non contraffacendole appunto perché nulla importa, e per lo più con disprezzo, e sovente, occorrendo con riso e scherno di quel tal uso o costume [15].
         Da tutte le cose considerate di sopra come cagioni della total mancanza o incertezza di buoni costumi in Italia, e della mancanza eziandio di costumi propriamente italiani (la qual mancanza è sempre compagna e causa di mali costumi), segue un effetto reale, che può parere un paradosso, cioè che (siccome v’ha più propriamente costumi) v’ha migliori o men cattivi costumi nelle capitali e città grandi d’Italia, che nelle provincie, e nelle città secondarie e piccole. La ragione si è che in quelle v’ha un poco più di società, quindi un poco più di cura dell’opinion pubblica, e un poco più di esistenza reale di questa opinione, quindi un poco più di studio e spirito di onore,, e gelosia della propria fama, un poco più di necessità e di cura di esser conforme agli altri, un poco più di costume, e quindi di buono o men cattivo costume. Al contrario di quello che può sembrar verisimile, le città piccole e le provincie d’Italia sono di costumi e di principii assai peggiori e più sfrenati che le capitali e città grandi, che sembrerebbero dover essere le più corrotte, e per tali sono sempre state considerate, e si considerano generalmente anche oggi, ma a torto. In generale egli è certo che dopo la distruzione o indebolimento de’ principii morali fondati sulla persuasione, distruzione causata dal progresso e diffusione dei lumi, si verifica una cosa, che spesso affermata, è stata forse falsa in ogni altro tempo; cioè che nel mondo civile le nazioni, le provincie città, le classi, gl’individui più colti, più politi, sociali, esperimentati nel mondo, istruiti, e in somma più civili, sono eziandio i meno scostumati e immorali nella condotta, e in parte ancora ne’ principii, cioè in quei principii di morale che si fondano sopra discorsi e ragioni al tutto umane. Tutto ciò è esattamente vero nell’Italia in generale, non solamente quanto alle città e provincie, ma eziandio quanto agl’individui e quanto alle classi, almeno almeno a quelle non laboriose, paragonate fra loro. E forse in alcuni luoghi le classi civili si troveranno più morali, per esempio, di più buona fede, anche paragonandole alle classi laboriose; tanta è la diffusione de’ principi distruttivi della morale in Italia come altrove. I quali principii non hanno nelle condizioni basse altra cosa che li compensi, oltre che in esse non sono accompagnati da quegli altri principii che raffreddano le passioni e i desiderii degli uomini illuminati e sperimentati sulla natura e il valore de’ beni umani. Onde la distruzione o indebolimento de’ principii morali (ch’è il più pronto e il più facile effetto della diffusione dei lumi, perché favorito sommamente dalle inclinazioni naturali, e il lume che più agevolmente penetra e si abbraccia) è accompagnato in queste tali condizioni collo stesso ardore di cupidità e di passioni che prima –vevano, il quale stato è il più pernicioso,, e il più favorevole, anzi necessario compagno, alla scostumatezza, che mai possa darsi; oltre alla viltà de’ pensieri, alla bassezza d’animo, alla poca stima di se stessi, propria di tali condizioni. Così discorrasi proporzionatamente dell’altre classi, e delle provincie e popolazioni e nazioni comparativamente l’une all’altre. La società che sotto molti aspetti è chiamata e veramente è corruzione, pure infondendo lo spirito di onore mediante l’uso della società, e la stima dell’opinion pubblica che di là nasce, e la gelosia e cura di quel che gli altri pensino e dicano di te, o sieno per pensare e per dire, opera oggidì in modo, che mancando generalmente, più o meno, gli altri principii morali, e gli altri aiuti e garanti della morale, i costumi dove è minor civiltà, cioè corruzione, quivi son più corrotti o vogliamo in somma dir più cattivi. Il che negli altri tempi non poteva aver luogo, perché gli altri fondamenti della morale pubblica e privata non erano distrutti, né mai forse furono così indeboliti; e qualunque altro di tali fondamenti è molto maggiore e più desiderabile e saldo di quel che offre la civiltà /fondamento ben superficiale, nondimeno da tener carissimo perché oramai unico possibile); onde dov’era minor civiltà quivi essendo più di quegli altri fondamenti (che la civiltà ha sempre sapés), la morale doveva esservi migliore che dove era più civiltà. Del resto la civiltà ripara oggi quanto ai costumi in qualche modo i suoi propri danni, quando ella sia in un certo grado: e però non può farsi cosa più utile ai costumi oramai che il promuoverla e diffonderla più che si possa, come rimedio di se medesima da una parte, e dall’altra di ciò che avanza della corruzione estrema e barbarie de’ bassi tempi, o che a questa appartiene, e corrisponde al di lei spirito, e all’impulso espresso e ai vestigi lasciati da lei nelle nazioni civili. Parlando sommariamente e senza dissimulazione, ma cvhiaramente, la morale propriamente è distrutta, e non è credibile che ella possa risorgere per ora, né chia fino a quando, e non se ne vede il modo; i costumi possono in qualche guisa mantenersi e sola la civiltà può farlo ad essere instrumento a questo effetto, quando ella sia in un alto grado.
         Fin qui abbiamo considerato negli italiani la mancanza di società. A questa si deve anche aggiungere come altra cagione de’ medesimi o simili effetti la natura del clima e del carattere nazionale che ne dipende e risulta. È tutto mirabile e simile a paradosso, quanto vero, che non v’ha né individuo né popolo sì vicino alla freddezza, all’indifferenza, all’insensibilità e a un grado così alto e profondo e costante di freddezza, insensibilità e indifferenza, come quelli che per natura sono più vivaci,più sensibili, più caldi. Collocati questi tali o popoli o individui in uno stato e in circostanze o politiche o qualunque, in cui niuna cosa conferisca all’immaginazione e all’illusione, anzi tutto contribuisca al disinganno, questo disinganno per la vivacità stessa della loro natura e in ragione diretta di essa vivacità è completo, totale, fortissimo, profondissimo. L’indifferenza che ne risulta è perfetta, radicatissima, costantissima; l’inattività, se si può così dire, efficacissima; la noncuranza effettivissima; la freddezza è vero ghiaccio, come accade nel gran caldo che i vapori sono da esso elevati a tanta altezza che quivi stringendosi nel più duro gelo, precipitano ridotti in gragnuola. I popoli settentrionali meno caldi nelle illusioni, sono anche meno freddi nel disinganno. Di più sono meno facili a questo disinganno. Poca cosa basta ad alimentare la loro immaginazione e conservare le loro illusioni. Così dico degl’individui poco sensibili. Ma la gran forza del sentimento e dell’immaginazione ha bisogno di molto pascolo, di aiuti vivi, di qualche sostentamento nelle cose reali. Altrimenti rivolgendo la sua forza e il suo calore in se stessa si consuma da se tanto più presto e più completamente quanto essa forza ed esso calore è più grande ed attivo. Uno spirito delicato messo a contatto della durezza delle cose reali, e confricato per così dire con essi, diviene tanto più presto e tanto maggiormente ottuso quanto era più acuto e più fino, e tanto più facilmente e profondamente incallisce, quanto era più delicato tenero e molle. Così accade nel fisico, così nel morale. Or dunque se noi consideriamo da una parte questa proprietà inseparabile dagli spiriti vivaci e sensibili, cioè di cadere tanto più facilmente e altamente nelle qualità contrarie (proprietà comune a tutti gli eccessi sempre proclivi e vicini ai loro opposti), e ciò anche in parità delle altre circostanze rispetto agli spiriti riposati e temperati o freddi e insensibili per natura; e dall’altra parte che non solo questa parità di circostanze nel nostro caso non ha luogo, ma che l’Italia è in uno stato, quanto alle cose reali che favoriscono l’immaginazione e le illusioni, molto inferiore a quello di tutte l’altre nazioni civili (parlo delle circostanze della vita e non di quelle del clima e naturali, che anzi nocciono per le dette ragioni); non ci maraviglieremo punto che gl’italiani la più vivace di tutte le nazioni colte e la più sensibile e calda per natura, sia ora per assuefazione e per carattere acquisito la più morta, la più fredda, la più filosofa in pratica, la più circospetta, indifferente, insensibile, la più difficile ad esser mossa da cose illusorie, e molto meno governata dall’immaginazione neanche per un momento, la più ragionatrice nell’operare e nella condotta, la più povera, anzi priva affatto di opere d’immaginazione (nelle quali una volta, anzi due volte, superò di gran lunga tutte le nazioni che ora ci superano), di poesia qualunque (non parlo di versificazione), di opere sentimentali, di romanzi [16] e la più insensibile all’effetto di queste tali opere e generi (o proprie o straniere). E d’altra parte non farà maraviglia che i popoli settentrionali e massime i più settentrionali sieno oggi i più caldi di spirito, i più immaginosi in fatto, i più mobili e governabili dale illusioni, i più sentimentali e di carattere e di spirito e di costumi, i più poeti nelle azioni e nella vita, e negli scritti e letterature. Questa è una verità di fatto che salta agli occhi, sebben sembra singolare e mostruosa. E per recare un esempio, dove mai si potrebbe se non in Germania e nel fondo del settentrione, mantenere e sussistere a’ tempi nostri e in tanto dissipamento d’illusioni, la società dei Fratelli Moravi e molti altri simili stabilimenti e costumi fondati sopra la sola forza dell’opinioni? e opinioni certo non conformi all’esatta, secca e fredda filosofia geometrica-moderna. Che dirò del quakerismo che ancora dura? e di cento simili cose d’Inghilterra, Germania, e degli altri popoli del nord. Né mi si oppongano simili pratiche religiose o qualunque degl’italiani, perché queste in Italia, come ho detto, sono usi e consuetudini, non costumi, e tutti se ne ridono, né si trovano più in Italia veri fanatici di nessun genere, appena tra quelli che per istato hanno interesse alla conservazione di questa o quella specie di fanatismo e d’illusioni. Certo le dette pratiche de’ settentrionali sanno affatto di antico e niente di moderno, e paiono incompatibili co’ tempi nostri, e quasi innesti dell’antichità in essi tempi. E notisi che esse pratiche sono in gran parte, e forse le più, di origine modernissima, anzi nate dalle moderne rivoluzioni di opinioni e di politica, e giornalmente ne nascono di simili [17].
         Tutto questo, torno a dire, sembra mostruoso e contraddittorio, se non si spiega colle considerazioni fatte sopra. Ma tant’è. I popoli meridionali superarono tutti gli altri nella immaginazione e quindi in ogni cosa, a’ tempi antichi; e i settentrionali per la stessa immaginazione superano di gran lunga i meridionali a’ tempi moderni. La ragione si è che a’ tempi antichi lo stato reale delle cose e delle opinioni ragionate favoriva tanto l’immaginazione quanto ai tempi moderni la sfavorisce. E però in pratica l’immaginazione de’ popoli meridionali era tanto più attiva di quella de’ settentrionali quanto è ora al contrario, perché la freddezza della realtà ha tanta più forza sulle immaginazioni e sui caratteri quanto essi sono più vivi e più caldi. E certo le nazioni settentrionali, e massime il popolo, sono molto più paragonabili e simili oggidì alle antiche che non sono le nazioni, e massime il popolo, del mezzogiorno, laddove è pur certo che dovendo sceglier tra i climi e tra i caratteri naturali dei popoli una immagine dell’antichità niuno dubiterebbe di scegliere i meridionali, e i settentrionali viceversa per immagini del moderno.
         A proposito delle quali osservazioni, sia detto di passaggio che io non dubito di attribuire in gran parte la decisa e visibile superiorità presente delle nazioni settentrionali sulle meridionali, sì in politica, sì in letteratura, sì in ogni cosa, alla superiorità della loro immaginazione. Né questa, né quella per conseguenza sono da considerarsi per cose accidentali. Sembra che il tempo del settentrione sia venuto. Finora ha sempre brillato e potuto nel mondo il mezzogiorno. Ed esso era veramente fatto per brillare e prepotere in tempi quali furono gli antichi. E il settentrione viceversa è propriamente fatto per tenere il disopra ne’ tempi della natura de’ moderni. Ciò si vide in parte, per circostanze simili de’ popoli civili nelle età di mezzo. E come la detta natura e disposizione de’ tempi moderni non è accidentale né sembra potere essere passeggera, così la superiorità del settentrione non è da stimarsi accidentale né da aspettarsi che passi, almeno in uno spazio di tempo prevedibile. L’abbondanza e l’eccesso della vita cede alla mediocrità ed anche alla scarsezza della medesima, da poi che quella non ha più come alimentarsi nella realtà delle cose e dello stato sociale, e che le opinioni ragionate contrastano seco e l’opprimono [18].
         Come la vita e la forza interna e dello spirito è naturalmente maggiore ne’ meridionali, e negl’individui sensibili e ne’ fini ingegni, che non è negli altri, perciò essi sono nelle loro azioni e nel loro carattere più determinati e governati, per dir così, dall’animo, e meno macchinali che gli altri popoli e individui. Quindi è che quando i principii e le persuasioni loro sono contrarie alle illusioni, fredde, conducenti all’indifferenza, all’aridità, al puro calcolo, anche i caratteri e le azioni loro sono al tutto e costantemente fredde, calcolate, indifferenti, insensibili, più assai che negli altri popoli e individui anche più istruiti, più filosofi, più fondati e provveduti di principii contrarii alle illusioni e all’immaginoso, e conducenti alla freddezza, indifferenza, insensibilità. La corrispondenza tra i principii e la pratica è molto maggiore e più costante in quelli che non è negli altri.

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Ultimo aggiornamento: 14 luglio 1998