Giacomo Leopardi

Discorso sopra lo stato presente
dei costumi degl'Italiani

note

01 - In vece che adesso la Francia stessa per le dette cagioni è fatta tollerante e disposta a render giustizia agli stranieri fino a un certo segno, e che questa sua disposizione, perocch’ella segue ancora in parte a dare il tuono all’Europa civile, ne cagiona una simile nelle altre nazioni.

02 - Oltre a tutto il resto, la vita, l’immaginazione, e nella letteratura l’originalità e novità, insomma tutto quello che serve a pascere la vita umana e a scacciar la noia, ed occupare in qualche modo chi non ha bisogni, benché sia inegualmente distribuito, è però così scarso presso le nazioni ancora che più ne abbondano, che tutte sono ora rivolte a raccogliere sarmenti per così dire da ogni parte onde riparare alla freddezza che occupa generalmente la vita moderna civile, e a formare delle poche fiamme sparse qua e là e insufficienti a ciascuno, come un fuoco comune che sia manco inferiore al bisogno che tutti hanno di calore, e adunare insieme tutto quel po’ di vita che in tutte le parti si trova. E perciò oltre il ricorrere a tutti i generi e parti del sapere umano, onde si forma quello che è detto enciclopedico, ed è oggi tanto in uso, oltre i viaggi a’ più lontani climi, ed il commercio d’ogni genere, più vivo che fosse mai, tra le nazioni le più disgiunte e diverse, ciascuna nazione è ora intenta e desiderosa di conoscere i costumi, le letterature, tutto ciò che appartiene alle altre nazioni,, e partecipare il più che l’è possibile, ovvero occuparsene. Si traducono, si compendiano, si divulgano opere straniere antiche e moderne, non mai finora conosciute in quella tal nazione, e che mai non lo sarebbero state in altre circostanze, e forse appena meritevoli di esser conosciute da’ nazionali non che di passare i confini delle loro nazioni; si studiano tutte le lingue colte; si moltiplicano i giornali che rendono conto delle cose ed opere straniere, e la esattezza, estensione e minutezza loro in far questo. Così dicasi dei costumi e di tutto il resto appartenente agli stranieri, del che non si è meno solleciti in mille modi, che delle letterature per mezzo dello studio. Dal che dee necessariamente seguire che quel che v’è di buono da per tutto (ché già tutto non può esser cattivo), meglio conosciuto, corregga le sinistre opinioni che si avevano del totale, e che generalmente nulla si disprezzi, tutto passi, e per poco di buono, di nuovo, d’interessante che si trovi, di tutto si sia contenti. La novità se non altro o il poco comune, che nella ricerca delle cose straniere non può mancar di trovarsi relativamente, è un gran requisito in un tempo così scarso di novità come è il nostro (dopo tanti secoli di esperienze e studi), e così avido della medesima, come furono tutti i tempi, e massime un secolo sì disoccupato d’altronde. Oltre lo spirito di moderazione, e di giudizio ragionato e spassionato , necessaria conseguenza dello spirito filosofico e giusto, universale in questo tempo, e maggiore che fosse mai in alcun popolo particolare; la disposizione comune di render giustizia a se stesso e giudicar delle cose proprie colla minor prevenzione possibile, tanto più che elle son meglio conosciute, dalla qual disposizione segue quella di render giustizia all’altre nazioni, e di non condannarle facilmente perché elle sieno diverse in che che sia e quanto che sia dalla propria. – Realmente (parlando della letteratura in particolare) fuor di una scintilla di fuoco che ancora si conserva in Germania a causa della giovanezza della sua letteratura, e che presto sarà spenta, l’originalità, l’immaginazione e l’invenzione sono estinte in tutta l’Europa: tutto il mondo imita, raccoglie, compila, disserta sopra le cose trovate da altri, o antichi o stranieri. La creazione è finita, o così scarsa che nulla più, da per tutto. Quindi nasce che non solo si accolgono con piacere le cose straniere qualunque sieno, e si rende giustizia a letterature prima disprezzate, ma anche si apprezzano che non meritano e che erano disprezzate giustamente, o quegli autori che lo erano; o almeno si apprezzano più che non valgono, vi si trovano pregi e bellezze che non vi sono; insomma nel giudizio delle letterature e classici e scrittori stranieri si eccede nella stima forse quanto già si eccedeva nella disistima, o certo si eccede piuttosto in quella che in questa. Tale è particolarmente il caso della letteratura e degli autori italiani appresso gli stranieri oggidì. E il simile dico de’ costumi, opinioni, e cose tali.

03 - E veramente oggi l’odio e il disprezzo verso l’altre nazioni sì ne’ libri che altrimenti, sono cose fuor di moda.

04 - Anche il Gozzi, il Parini, il Goldoni e gli altri pochi comici italiani che meritano questo nome e per conseguenza hanno studiato i costumi della propria nazione e di questi parlano e questi descrivono, non gli stranieri, come tanti nostri drammatici, e i presenti costumi, non gli antichi; anche questi, dico, si possono contare fra gli scrittori de’ nostri moderni costumi sebbene non filosofici né ragionati, ché tale non fu l’instituto e la natura de’ loro scritti.

05 - Onde egli, anche scientemente, sacrifica spesso a questa sua voglia, e a questo instituto e carattere de’ suoi libri, la verità.

06 - L’opinion pubblica è di niun conto per se stessa e perché poco o nulla influisce sulla persona, sulla fortuna e sui beni o mali, sulla felicità o infelicità dell’individuo, ed è cosa di niuna sostanza, e sta più nell’immaginazione che nel fatto. Ma oltre a ciò, filosoficamente, è da esser disprezzata sopra ogni altra cosa, perch’è posta fuori della potestà dell’individuo, perch’è regolarmente incerta e senza regola; incostante nei principii e nelle applicazioni; varia e mutabile ogni giorno intorno a uno stesso individuo, a una stessa azione, o qualità; le pià volte ingiusta favorevole al male e a’ mali, contraria al bene e a’ buoni; sempre incapace di essere preveduta, proccurata con mezzi sicuri, e fissata ancor dopo ottenuta. – Del resto l’opinione pubblica ha men sostanza anche in effetto laddove ella è meno stimata, e viceversa, e niuna dov’ella non ha niuna stima. Dove n’è fatto conto, si ha ragione, anche filosoficamente parlando e fuor d’illusioni, di farne conto, perch’ella in tal luogo influisce veramente più o meno su molti beni e molti mali reali (o così detti) della vita dell’individuo. Ella ha tanta realtà di peso quanto peso gli uomini le danno, il che non accade nelle altre cose, che più o men peso che gli uomini dieno loro, hanno per la più parte la stessa somma e qualità di valore effettivo.

07 - Gli uomini politi delle dette nazioni si astengono dal fare il male e fanno il bene, non mossi dal dovere, ma dall’onore. Osservo qui di passaggio che oggidì la solitudine, contro quello che si è sempre detto e creduto, ed oggi si crede e si dice né più né meno, piuttosto nuoce alla morale dell’individuo, e massime di chi abbia lo spirito filosofico, di quello che giovi. Le illusioni sociali cessano nella solitudine, l’onor sparisce, perché tolto dagli occhi quello che le dava apparenza e una specie di realtà, se ne vede l’irragionevolezza, la vanità e la frivolezza. Sparisce l’onore, e il dovere non gli sottentra. (Sopra quali considerazioni e quali principii sarebbe egli fondato? Che cosa ne può rinnuovare o far nascere l’idea in un animo abbandonato a se stesso, e però più riflessivo che mai, e in grado di andar più al fondo delle cose, e di non ammettere senza prove certe, come spessissimo succede nel tumulto e dissipazione del mondo, né anche quello che è approvato per vero e per certo dal’universale?) Mancano nella solitudine gli stimoli delle passioni e le occasioni di fare il male, ma anche quelli e quelle di fare il bene, sicché per questo lato appena si può dire se il carattere morale guadagni o perda. E d’altra parte, mancati generalmente i principii e i fondamenti stabili della morale, che nella solitudine non risorgono, (anzi all’opposto), si perdono anche, o s’indeboliscono e si riconoscono riposatamente per frivoli quei ritegni e quegl’incitamenti dal male e dal bene che la società stessa produce. Or questo è in pura perdita e danno del carattere morale dell’individuo, quando anche non guasti i suoi disegni e le sue opere, per mancanza di occasioni, naturale nella solitudine.

08 - Anche gli uomini più duri, ostinati, inflessibili, indipendenti, renitenti ai consigli, ai desideri, alle opinioni altrui, nell’operare o nel pensare, nei sistemi di vita o di credenze, fanno però grandissima e forse la maggior parte di quel che fanno, credono la maggior parte di quel che credono, perciò solo che gli altri lo credono, lo fanno, lo costumano, lo gradiscono. L’uomo il più singolare, il più libero, il più brusco e selvatico, sia nella condotta, sia nelle opinioni e giudizi di qualunque sorta (se egli vive in società) non lo è veramente se non in piccola parte della sue azioni e de’ suoi pensieri. In tutto il resto egli è determinato e modificato dagli altri. Letto o leggendo un libro, anche sciocco o stimato tale da chi lo legge, anche dirittamente contrario alle più care e più radicate e confermate opinioni di questo, non è possibile che chi lo legge, o lo ha letto, sia pure un filosofo assolutissimo e liberissimo, non pensi, almeno per una mezz’ora, anche suo malgrado, in maniera, per certa guisa, conforme allo scrittore del libro, non prenda il suo spirito, non sia mosso dalla sua autorità, e non le dia qualche peso. Così nel parlare o aver parlato con una persona, anzi allora anche più, perché sembra che la viva voce, e l’esempio vivo dia più autorità e più peso alle opinioni e al modo di vedere o pensare, ai gusti e alle inclinazioni di chicchessia. Se non altro un’ombra di dubbio, non fondato punto sulla ragione, ma sul puro esempio e sulla pura autorità, non è possibile che non entri e per qualche spazio di tempo non rimanga nell’animo di chi ha letto o parlato come ho detto, ancorché liberissimo.

09 - Dalla tendenza dell’uomo a imitare, massimamente i suoi simili, nasce in parte quella sua inclinazione a seguire l’autorità sì nel risolvere e nell’operare che nel giudicare e nel credere, inclinazione incontrastabilmente propria dell’uomo, non solo dell’uomo debole, ma di tutti gli uomini più o meno, posti che sieno in relazione cogli altri. La quale inclinazione ha fatto per tanto tempo che l’autorità prevalesse alla ragione non pure universalmente, ma eziandio presso i migliori ingegni, i quali e gli altri si movevano non tanto forse per l’autorità di quei maestri o precettori che essi seguivano, quanto per quella de’ loro contemporanei e maggiori che gli avevano seguiti e seguivangli. Né si dee credere che il progresso della ragione abbia ora distrutto né sia mai per distruggere l’imperio dell’autorità né sugli animi né sugl’intelletti non solo de’ volgari o timidi o irriflessivi, ma neanche de’ grandi spiriti, de’ più liberi e arditi nel pensare e nel risolvere circa l’azione o la credenza e il giudizio, de’ più riflessivi, de’ più autognomoni. L’autorità ha sempre e e inevitabilmente qualche o maggiore o minor parte nelle determinazioni qualunque di qualunque mente, e massime di quelli che vivono in società, e massime l’autorità di quelli con cui più prossimamente e quotidianamente si conversa, sia per mezzo de’ libri, sia nella vita; e ciò quando anche questi tali sieno pochissimo stimati dalla persona. Veggasi quel che dice la Staël nell’Histoire di Corinne sopra l’influenza di quelli che ci circondano sui nostri giudizi e risoluzioni, anche quando un grande ingegno vive tra piccolissimi e incolti spiriti. Tanta è l’influenza dell’autorità, che quella delle persone che ci circondano in qualunque modo, e che da noi per ragione sono disprezzate, prevale sempre in qualche parte a quella delle persone lontane che da noi per ragione sono stimatissime, quella dell’ultimo libro che si è letto a quella delle passate letture, e così discorrendo: o certo è molto difficile l’impedire che in qualche parte non prevalga. Ciò nasce anche dalla natural debolezza sì dell’intelletto, sì della facoltà elettiva di qualunque uomo, le quali hanno sempre bisogno come di un appoggio, come di una sicurtà e di un garante delle loro determinazioni. L’uomo anche il più risoluto, e il più libero nel pensare, è sempre sottoposto in qualche parte e all’irresoluzione e al dubbio, l’uno e l’altra molestissimi alla natura umana. Il rimedio più pronto e forse unico contro questi due mali è l’autorità, ed è impossibile che l’uomo rifiuti del tutto questo rimedio. Egli prova un certo piacere, un senso di riposo, un’opinione o una confusa immaginazione di sicurezza, ricorrendo all’autorità, assidendosi sotto l’ombra sua, e pigliandola come per ischerno delle determinazioni sì del suo intelletto che della sua volontà, nella tanta incertitudine delle cose e della vita. La ragione che gli dimostra la vanità ed insufficienza di questo schermo, non basta a fare che egli in qualche modo non se ne prevaglia quasi sempre. E per lo contrario essa ragione di rado può fare in qualsivoglia grande e forte spirito che una credenza o una risoluzione presa contro l’avviso degli altri, e massime de’ più prossimi e presenti, non che de’ più stimati, non sia sempre accompagnata da un qualche sospetto e timore di avere errato e di errare, non ostante che ella si riconosca per ragionevolissima quanto arriva a vedere il proprio pensiero e giudizio, e il contrario avviso per falsissimo e privo di fondamento e cattivissimo. L’uomo preferisce sovente l’avviso degli altri al consiglio proprio, o trovando quello conforme a questo, è più mosso e riposa più sopra quello che sul proprio giudizio, anche nelle cose dov’egli riconosce gli altri per molto inferiori a se d’intelligenza di pratica e simili. Ciò nasce che le cause che determinano se stesso si veggono interamente, le altrui non così bene, onde si stimano di più. L’uomo ha bisogno in tutto dell’illusione; e della lontananza od oscurità degli oggetti per valutarli.
Però ne’ dubbi e nelle irresoluzioni, tanto volentieri e quasi per necessità o per istinto di natura ricerchiamo il consiglio, anche, non potendo altro, di persone poco stimate da noi, o stimate meno di noi, e le quali sappiamo o che non sapranno consigliarci bene, o che intenderanno il negozio e scopriamo il partito conveniente meno di quello che possiamo far da noi stessi.

10 - La solitudine rinfranca l’anima e ne rinfresca le forze, e massime quella parte di lei che si chiama immaginazione. Ella ci ringiovanisce. Ella scancella quasi o ristringe e indebolisce il disinganno, quando abbia avuto luogo, sia pure stato interissimo e profondissimo. Ella rinnuova la vita intera. In somma, bench’ella sembri compagna indivisibile e quasi sinonimo della noia, nondimeno per un animo che vi abbia contratto una certa abitudine, e con questa sia divenuto capace di aprire e spiegare e mettere in attività nella solitudine le sue facoltà, ella è più ampia a riconciliare o affezionare alla vita, che ad alienare, a rinnovare o conservare o crescere la stima verso gli uomini e verso la vita stessa, che a distruggerla o diminuirla o finir di spegnerla. E ciò non per altro se non perché gli uomini e la vita sono lontani da lei, giacché ella affeziona o riconcilia propriamente e più particolarmente non alla vita presente, cioè a quella che si mena in essa solitudine, ma a quella del mondo che s’è abbandonata intermessa con disgusto. V. i miei pensieri pag.   678-83, 717, capoverso 3.

11 - Oltre di ciò questa tal dissipazione naturalmente annoia sopra ogni cosa (forse più della stessa solitudine disoccupata, perché è priva della vita interna dell’animo che in questa si trova): e certo nella vita disoccupata e senza grandi fini o interessi, come senza bisogni, non v’è cosa più capace di riempire il tempo senza noia, o con meno noia che la società stretta, e massime la buona società, sì per se stessa in se stessa, sì per gl’infiniti e grandissimi effetti ch’ella produce fuor di se, per gli studi e le cure ch’ella rende necessarie o promuove, capaci non pur di dare da passare il tempo, ma di occupare totalmente e veramente la vita. Perciò gli stranieri non bisognosi e non occupati s’annoiano assai meno di noi, e gl’italiani dello stesso genere s’annoiano sopra tutto gli altri viventi per quasi tutta la loro vita. È dunque chiaro che essi debbono far conto d’essa vita assai men degli altri, praticamente parlando, ed esserle meno affezionati, poiché in sostanza essa non è per loro assolutamente altro che pura, infinita, profondissima e pesantissima noia, sbadiglio e letargo.

12 - Dico segnatamente di quelli relativi al modo di conversare, e stare in società di trattenimento e simili.

13 - Nondimeno questo modo di vedere è molto comune, anzi universale, anche tra’ filosofi, almeno per l’ordinario e abitualmente.

14 - Come nelle arti e nelle letteratura lo spirito del risorgimento non è stato di allontanarci dall’antico, né anche di portarci più oltre che non giunsero gli antichi (il che forse è impossibile, e forse assolutamente male e dannos, e corruzione per se medesimo), ma di liberarci dal gotico, come egli ha fatto, e nondimeno né le arti né la letteratura moderna malgrado ancora il grandissimo studio che i cultori dell’auna e dell’altre han fatto e fanno continuamente degli antichi esempi, sono però né mai sono state conformi alle antiche, ma più e men diverse secondo l’epoche e i generi e gli scrittori e gli artefici, benché l’antico sia riconosciuto per maestro sommo e specialissimo in tali faccende; così dee discorrersi quanto ai costumi e allo stato moderno delle nazioni, benché questi e la moderna civiltà non sia né mai sia stata conforme all’antico.

15 - Vedi i miei pensieri pag. 3546, seg.

16 - Di questi tali generi, per esser nati dopo la fine della nostra vita nazionale reale, la nostra letteratura ne manca affatto e di essi e qualunque che loro possa equivalere.

17 - Il sopraddetto si dimostra perfino nella letteratura, ed evidentissimamente. Se v’ha letteratura nella quale a’ tempi nostri (e ne’ prossimi passati) sieno ancora in uso i sistemi e i romanzi di opinione, questa è l’inglese, e molto più la tedesca, perché propriamente fra’ tedesci si può dire che non v’ha letterato di sorta alcuna che o non faccia o non segua un deciso sistema, e questo è per lo più, come è il solito e l’antico uso dei sistemi, un romanzo. I più pazienti ed assidui osservatori, che sono senza fallo i tedeschi, i più studiosi ed applicati a imparare e informarsi, sono per una curiosa contraddizione i più romanzeschi. In Germania e in parte anche in Inghilterra v’ha continuamente sistemi e romanzi in ogni letteratura, in filosofia qualunque, in politica, in istoria, in critica, in ogni parte di filologia, fino nelle grammatiche, massime di lingue antiche. Da gran tempo non esiste in Europa alcuna setta né scuola particolare di una tal filosofia, molto meno metafisica, fuorché in Germania negli ultimissimi tempi, e credo anche oggi, la setta e scuola, appunto metafisica, di Kant, suddivisa ancora in diverse setta, e prima di Kant quella di Wolf. Il sistema del romanticismo, che ha reso sistematica anche la poesia, non appartiene che a’ settentrionali, e massime a’ tedeschi. Le visioni, anche in fisica, se sono proprie di alcuna nazione oggidì, lo sono dei tedeschi, testimonio la fortezza e le belle strade scoperte nella luna dal prof. Gruithuisen di Monaco, e la coltivazione mensuale scoperta pur nella luna dal medesimo e dallo schrotes e dall’Herschel. In somma i tedeschi, non ostante le diversità de’ tempi, e la decisa inclinazione presente dello spirito umano alla pura osservazione e all’esperienza, sono ancora in letteratura e in filosofia ed in iscienze quel che erano gli antichi appunto, sistematici, romanzieri, settari, immaginatori, visionari. Ed accoppiano queste qualità ad una somma e infaticabile diligenza ed inclinazione e abitudine di osservazione e di esperienza e di apprendere. Lascio che i miracoli già da un pezzo obbliati, anche ne’ popoli che passano per li più superstiziosi, come l’Italia e la Spagna, si sono in questi ultimi anni rinnovellati e solennizzati nelle gazzette e nelle corti medesime, dove? in Germania. Lascio che non ha molti anni si parlò nelle gazzette di un filosofo cinico, di che nazione? tedesco; e di certe maghe o indovine tedesche, e cose simili, che non lasciano di udirsi di tempo in tempo da quella parte, e sebben derise da’ savi tedeschi (né però forse da tutti), non lasciano di manifestar lo spirito di quella nazione, mentre nelle altre anche il popolo le deride, o non ci pensa, e non ne è capace.

18 - Del resto tutte le istorie, dimostrano che i popoli superiori agli altri nelle grandi illusioni, lo sono sempre eziandio nella realtà delle cose, nella letteratura, nella felicità, ricchezza e industria nazionale, nella preponderanza e dominio diretto o indiretto sopra gli altri. Ed ora è notabilissima la situazione di alcuni popoli settentrionali, che conservano l’immaginazione in mezzo alla crescente civiltà. Unione fatta onninamente per rendere un popolo superiore a tutti gli altri. Perocché ne’ tempi bassi la immaginazione non mancò ma fu congiunta alla barbarie. Nei moderni, massime al mezzogiorno, la civiltà non manca, ma bensì l’immaginazione posta in attività. L’uno e l’altro stato è contrario alla grandezza e superiorità nazionale. L’unione della civiltà coll’immaginazione è lo stato degli antichi, e propriamente lo stato antico, e non accade dire di qual grandezza ei fosse cagione.

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© luglio 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 14 luglio 1998