Giacomo Leopardi

Ricordi d’infanzia e d’adolescenza

nota: tutte le minuscole sono nel testo originale

introduzione
introduzione

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pieghevolezza dell’ingegno facilità d’imitare, occasione di parlarne sarà la Batrac. imitata dal Casti.
         molto entusiasmo temperato da ugual riflessione e però incapace di splendide pazzie mi pare che formi in genere uno dei più gran tratti del suo carattere.
         La mia faccia aveva quando io era fanciulletto e anche più tardi un non so che di sospiroso e serio che essendo senza nessuna affettaz. di malinconia ec. le dava grazia (e dura presentemente cangiata in serio malinconico) come vedo in un mio ritratto fatto allora con verità, e mi dice di ricordarsi molto bene un mio fratello minore di un anno, (giacché io allora non mi specchiava) il che mostra che la cosa durò abbastanza poich’egli essendo minore di me se ne ricorda con idea chiara. Quest’aria di volto colle maniere ingenue e non corrotte né affettate dalla cognizione di quel ch’erano o dal desiderio di piacere ec. ma semplici e naturali altrimenti che in quei ragazzi ai quali si sta troppo attorno mi fecero amare in quella età da quelle poche Signore che mi vedevano in maniera così distinta dagli altri fratelli che questo amore cresciuto ch’io fui durò poi sempre assolutamente parziale fino al 21 anno nel quale io scrivo (11 marzo 1819) quando quest’amore per quella quindicina d’anni ch’essendo cresciuta a me era cresciuta anche alle Signore già mature fin dal principio non era punto pericoloso.
         E una di queste Signore anzi sempre che capitava l’occasione, più e più volte mi dicea formalmente che quantunque volesse bene anche agli altri fratelli, non potea far che a me non ne volesse uno molto particolare, e si prendeva effettivam. gran pena d’ogni cosa sinistra che m’accadesse, anche della minime bagattelle, e questo senza ch’io le avessi dato un minimo segno di particolar benevolenza né compiaciutala notabilmente o precisamente in nessuna cosa, anzi fuggendola il più che poteva quanto nessun’altra.

          Canto dopo le feste, Agnelli sul cielo della stanza, Suono delle navi, Gentilono (otium est pater ec.), Spezioli (chierico), dettomi da mio padre ch’io dovea essere un Dottore, Paure disciplinazione notturna dei missionari. Compassione per tutti quelli ch’io vedeva non avrebbono avuto fama, Pianto e malinconia per esser uomo, tenuto e proposto da mia madre per matto, compassione destata in Pietruccio sulle mie ginocchia, desiderio concepito studiando la geogr. di viaggiare. Sogni amorosi ed efficacia singolare de’ sogni teneri notata, amore per la balia, per la Millesi, per Ercole, Scena dopo pranzo affacciandomi alla finestra, coll’ombra delle tettoie il cane sul pratello i fanciulli la porta del cocchiere socchiusa le botteghe ec., effetti della musica in me sentita nel giardino, aria cantata da qualche opera E prima di partire ec., Compiacente e lezioso da piccolo ma terribile nell’ira e per la rabbia ito in proverbio tra’ fratelli più cattivi assai nel resto, prima lettura di Omero e primo sonetto, Amore amore cantato dai fanciulli (leggendo io l’Ariosto) come in Luciano ec., principio del mondo (ch’io avrei voluto porre in musica non potendo la poesia esprimere queste cose ec. ec.) immaginato in udir il canto di quel muratore mentr’io componeva ec. e si può dire di Rea ec. senza indicar l’inno a Nettuno, gennaio del 1817 e lettura dell’Alamanni e del Monti nell’aspettazione della morte e nella vista di un bellissimo tempo da primavera passeggiando, nel finire di un di questi passeggi grida delle figlie del cocchiere per la madre sul mettermi a tavola, composizione notturna fra il dolore ec. della Cantica, lettera notturna di Cicerone e voglia di slanciarmi quindi preso Orazio, descriz della veduta che si vede dalla mia casa le montagne la marina S. Stefano e gli alberi da quella parte con quegli stradelli ec., mie meditazioni dolorose nell’orto o giardino al lume della luna in vista del monistero deserto della caduta di Napoleone sopra un mucchio di sassi per gli operai che ec. aspettando la morte, desiderio d’uccidere il tiranno, fanciulli nella domenica delle palme e falsa amicizia dell’uno più grandicello, educande mia cugina ed orazione mia a loro (Signorine mie) consolatoria (mi fate piangere anche me) con buon esito di un sorriso come il sole tra una pioggetta perciò scritta tra me allora che me ne tenni eloquente, testa battuta nel muro all’Assunta, faccia dignitosa ma serena e di un ideale simile a quel a quel cammeo di Giove Egioco avute le debite proporzioni ec., S. Cecilia considerata più volte dopo il pranzo desiderando e non potendo contemplar la bellezza, baci alla figlia e sospiri per la vicina partenza che senza nessuna mia invidia pur mi turbavano in quel giuoco a cagione ec., prevedo ch’io mi guasterei coi cattivi compagni coll’esempio massimamente ec. e perciò che nessun uomo non milenso è capace di guastarsi , mal d’occhi e vicinanza al suicidio, pensieri romanzeschi alla vista delle figure di Kempis e di quelle della piccola storia sacra ec., del libro dei santi mio di Carlo e Paolina del Goldoni della storia santa francese dei santi in rami dell’occhio di Dio in quella miniatura mio disprezzo degli uomini massime nel tempo dell’amore e dopo la lettura dell’Alfieri ma già anche prima come apparisce da una mia lettera a Giordani, mio desiderio di vedere il mondo non ostante che ne conosca perfettamente il vuoto e qualche volta l’abbia quasi veduto e concepito tutto intiero, accidia e freddezza e secchezza del gennaio ec. insomma del carnevale del 19 dove quasi neppur la vista delle donne più mi moveva e mio piacere allora della pace e vita casalinga e inclinazione al fratesco, scontentezza nel provar le sensazioni destatemi dalla vista della campagna ec. come per non poter andar più addentro e gustar più non parendomi mai quello il fondo oltre a non saperle esprimere ec. tenerezza di alcuni miei sogni singolare movendomi affatto al pianto (quanto mai maissimo m’è successo vegliando) e vaghissimi concetti come quando sognai di Maria Antonietta e di una canzone da mettergli in bocca nella tragedia che allora ne concepii la qual canzone per esprimere quegli affetti ch’io aveva sentiti non si sarebbe potuto fare se non in musica senza parole, mio spasimo letto il Cimitero della Maddalena, carattere e passione infelice della mia cugina di cui sopra, lettura di Virgilio e suoi effetti, notato quel passo del canto di Circe come pregno di fanciullesco mirabile e da me amato già da scolare, così notato quel far tornar indietro nel 2do libro (Eneide, II, 735-794, ndr.), lettura di Senofonte e considerazioni sulla sua politica, notato quel luogo delle fanciulle persiane che cavavano acqua comparato cogl’inni a Cerere di Callimaco e Omero ed. e Verter lett. 3, mie consideraz. sulla pluralità dei mondi e il niente di noi e di questa terra e sulla grandezza e la forza della natura che noi misuriamo coi torrenti ec. che sono un nulla in questo globo ch’è un nulla nel mondo e risvegliato da una voce chiamatemi a cena onde allora mi parve un niente la vita nostra e il tempo e i nomi celebri e tutta la storia ec., sulle fabbriche più grandi e mirabili che non fanno altro che inasprire la superficie di questo globetto asprezze che non si vedono da poco in su e da poco lontano ma da poco in su il nostro globo par liscio ed ecco le grandi imprese degli uomini della cui forza ci maravigliamo in mirar quei massi ec., mio giacere d’estate allo scuro a persiane chiuse colla luna annuvolata e caliginosa allo stridore delle ventaroleconsolato dall’orologio della torre ec., veduta notturna colla luna a ciel sereno dall’alto della mia casa tal quale alla similitudine di Omero (Iliade, VIII, 555-559, ndr.) ec., favole e mie immaginazioni in udirle vivissime in quella mattina prato assolato ec., Giordani, apostrofe all’amico e all’amicizia, mio desiderio della morte lontana timore della vicina per malattia, quindi spiegato quel fenomeno dell’amor per la vita ne’ vecchi e non ne’ giovani che nello Spettatore, detto a Carlo più volte quando faremo qualcosa di grande?, canti e arie quanto influiscano mirabilm. e dolcem. sulla mia memoria mosco (sta per Mosco, poeta greco del II sec. a.C., di cui Leopardi traduce gli Idilli nel 1817, ndr.) ec., allegrezze pazze massime nei tempi delle maggiori angosce dove se non mi tenessi sarei capace di gittar sedie in aria ec. saltare ec. e anche forse danneggiarmi nella persona per allegria, malattia di 5 anni o 6 mortale, Ricotti, Donna Marianna (Mattei, moglie di Carlo Antici, zio materno di Giacomo, ndr.) e miei sforzi in carrozza, prima gita in teatro miei pensieri alla vista di un popolo tumultuante ec. maraviglia che gli scrittori non s’infiammino ec. unico luogo rimasto al popolo ec.
         Persiani d’Eschilo ec., mie reveie sopra una giovane di piccola condizione bella ma molto allegra veduta veduta da me spesso ec. poi sognata interessantemente ec. solita a salutarmi ec. mie apostrofi fra me e lei dopo il sogno, vedutala il giorno e non salutato quindi molestia, (eh pazzo, ell’aveva altri pensieri ec. e se non ti piace, se non l’ho detto né le dirò mai una sola parola. Eppure avrei voluto che mi salutasse), primo tocco di musica al teatro e mio buttarmi ec. e quindi domandato se avessi male, pensiero che queste stesse membra questa mano con cui scrivo ec. saranno fra poco ec. (nel fine), desiderio di morire in un patibolo stesso in guerra ec. ec. (nel fine), si discorrerà per due momenti in questa piccola città della mia morte e poi ec., aprì la finestra ec. era l’alba ec. ec. non aveva pianto nella sua malattia se non di rado ma allora il vedere ec. per l’ultima volta ec. comparare la vita della natura e la sua eterna giovinezza e rinnuovamento col suo morire senza rinnuovamento appunto nella primavera della giovinezza ec. pensare che mentre tutti riposavano egli solo, come disse, vegliava per morire ec. tutti questi pensieri gli strinsero il cuore in modo che tutto sfinito cadendo sopra una sedia si lasciò correre qualche lagrima né più si rialzò ma entrati ec. morì senza lagnarsi né rallegrarsi ma sospirando com’era vissuto, non gli mancarono i conforti della religione ch’egli chiama (la cristiana) l’unica riconciliatrice della natura e del genio colla ragione per l’addietro e tuttavia (dove questa mediatrice non entra) loro mortale nemica, (dove ho detto qui sopra, come disse, bisogna notare ch’io allora lo fingo solo) scrisse (o dettò) al suo amico quest’ultima lettera (muoio innocente seguace ancora della santa natura ec. non contaminatoec.) a Giordani nell’apostrofe (se queste mie carte morendo io come spero prima di te verranno sott’occhio ec. ec.), timore di un accidente e mia indifferenza allora, i veri infortuni sono nemici della compassione della malinconia che ce ne finge dei falsi e di quelle dolcezze che si provano dallo stesso fabbricarsi una sventura ec. cacciano le sventure fatteci dalla nostra fantasia fervore ec. ci disseccano ec. eccetto in qualche parte di sensibilità, si può portare il mio primo sonetto, S.Agostimo (chiesa di Recanati, ndr.) (cioè benedizione in quel giorno di primavera nel cortile solitario per la soppressione cantando gli uccelli allora tornati ai nidi sotto quei tetti, bel giorno, sereno, sole, suono delle campane vicine quivi, e al primo tocco mia commozione verso il Creatore), l’istesso giorno passeggiando campana a morto e poi entrando in città Dati accompagnato dai seminaristi, buoi del sole quanto ben fanciullesco nel princip. dell’Odissea come anche tutto il poema in modo speciale, che gli antichi continuassero veramente mercè la loro ignoranza a provare quei diletti che noi proviamo solo fanciulli? oh sarebbero pur da invidiare e si vedrebbe bene che quello è lo stato naturale ec. mio rammarico in udire raccontare i gridi del popolo contro mio padre per l’affare del papa (che si racconti con riflessioni sopra l’aura popolare essendo stato sempre mio padre così papalino) comparata al presente disprezzo forse nato in parte allora, odi anacreontiche composte da me alla rinchiera sentendo i carri andanti al magazzino e cenare allegramente dal cocchiere intanto che la figlia stava male, storia di Teresa da me poco conosciuta e interesse ch’io ne prendeva come di tutti i morti giovani in quello aspettar la morte per me, mia avversione per la poesia modo onde ne ritornai e palpabile operaz. della natura nel dirigere ciascuno al suo genio ec., filsero e riflesioni su quel carattee espresso con una voce di mia invenzione ec., favole raccontate a Carlo la matina delle feste in letto ec., mio fuggire facendosi qualche –comando duro o rimbrotto ec. alla servitù ec. e da che nato, mia madre consolante una povera donna come facesse male dicendole che se un momento prima ci avesse pensato avrebbe ottenuto ec., si riportino de’ pezzi della Cantica (l’Appressamento della morte, ndr.) mio costume di meleta/n (=esercitare) meco stesso l’eloquenza e la facondia in tutto quello che mi accadea poi trovato riferiti da Plutarco di Demostene, fu posto (sotterrato) nel sepolcro della famiglia, e di lui non resta altra memoria nella città dove solamente fu conosciuto (tra appresso quanti lo conobbero) che di qualunque altro giovane morto senza fatti e senza fortuna, Orazione contro Gioacchino sull’affare della libertà e indipendenza italiana, sergente tedesco che diceva – voi siete per l’indipendenza ec. a mio padre ch’era tutto il contrario ma ec., mio spavento dell’oblivione e della morte totale ec. v. Ortis 25 Maggio 1798 sul fine, Canto mattutino della donna allo svegliarmi, canto delle figlie del cocchiere e in particolare Teresa mentre ch’io leggeva il Cimotero della Maddalena, logge fuor della porta del duomo buttate giù ch’io spesso vedeva uscendo ec. e tornando ec. alla luna o alle stella (vedendo tutti i lumi della città) dicendo la corona in Legno (carrozza, ndr.), in proposito della fig. di Noè della storia sacra si ricordi quella fenestrella sopra la scaletta ec. onde io dal giardino mirava la luna o il sereno ec., mie occupaz. con Pietruccio, suonargli quand’era in fasce, ammaestrarlo, farci sperienze circa le tenebre, ec., sdraiato presso a un pagliaio a S. Leopardo sul crepuscolo vedendo venire un contadino dall’orizzonte avendo in faccia i lavoranti d’altri pagliai ec., torre isolata in mezzo all’immenso sereno come mi spaventasse con quella veduta della camerottica per l’infinito ec., volea dire troverai altri in vece mia ma no: un cuore come il mio non lo troverai ec. (nell’ultima lettera), mio amore per la Broglio monacantesi, perder per sempre la vista della bellezza e della natura dei campi ec. perduti gli occhi ciò m’induceva al suicidio, riflessioni sopra coloro che dopo aver veduto rimasti ciechi pur desiderano la vita che a me parea ec. e forse anch’io ec. come quel povero di Luciano il cui luogo (dell’ult. Dial. de’ morti circa) si può portare chiudendo il capo con quelle parole tradotte h|duè gaèr ec. – la Vita è una bella cosa ma la morte è bruttissima e fa paura, palazzo bello, luna nel cortile, ho qui raccolte le mie rimembranze ec. (nel proemio) Teresa si afflisse pel caso della sorella carcerata e condannata di furto, non era avvezza al delitto né all’obbrobrio ec. ed era toccata dalla confusione della rea cosa orrenda per un innocente, suo bagno cagione del male, suo pianto ch’ella interrogata non sapea renderne ragione ec. ma era chiaro che una giovanetta ec. morire ec., come alcuni godono della loro fama ancora vivente così ella per la lunghezza del suo male sperimentò la consolazione dei genitori ec., non ebbe neppure il bene di morire tranquillamente ma straziata da fieri dolori la poverina, circa la politica di Senofonte si può in buona occasione mentovare quelle parole di Senofonte il giovine spediz. d’Alessand. lib. 1, c. 7, sect. 2., Benedetto storia della sua morte ec., mio dolore in veder morire i giovini come a veder bastonare una vite carica d’uve immeture ec. una messe ec. calpestare ec. (in proposito di Benedetto), (nello stesso proposito) allora mi parve la vita umana (in veder troncate tante speranze ec.) come quando essendo fanciullo io era menato a casa di qualcuno per visita ec. che coi ragazzini che v’erano intavolava ec. cominciava ec. e quando i genitori sorgevano e mi chiamavano ec. mi si stringeva il cuore ma bisognava partire lasciando l’opera tal quale né più né meno a mezzo e le sedie ec. sparpagliate e i ragazzini afflitti ec. come se non ci avessi pensato mai, così che la nostra esistenza mi parve veram. un nulla, a veder la facilità infinita di morire e i tanti pericoli ec. ec. mi par da dirsi piuttosto caso il nostro continuare a vivere che quegli accidenti che ci fanno morire come una facella messa nell’aria inquieta che ondeggia ec. e sul cui lume nessuno farebbe un minimo fondamento ed è miracolo se non si spegne e ad ogni modo gli è dedtinato e certo di spegnersi al suo finire. Ecco dunque il fine di tutte le mie speranze de’ miei voti e degli infiniti desideri (dice Verter moribondo e ti può servire pel fine), si suol dire che in natura non si fa niente per salto ec. e nondimeno l’innamorarsi se non è per salto è almeno rapidiss. e impercettib. voi avrete veduto quello stesso oggetto per molto tempo forse con piacere ma indifferentem. ec. all’improvviso vi diventa tenero e sacro ec. non ci potete più pensare senza ec. come un membro divenuto dolente all’impovviso per un colpo o altro accidente che non vi si può più tastare ec., vedeva i suoi parenti ec. consolati anticipatamente dalla sua morte e spento il dolore che da principio ec. ministrarle indifferentem. e considerarla ec. freddamente fra i dolori ec. ec. parlarle ec. pittura del bel gennaio del 17 donne che spandono i panni ec. e tutte le bellezze di un sereno invernale gratissimo alla fantasia perché non assuefattaci ec., detti della mia donna quella sera circa la povertà della famiglia ond’era uscita ec. e le sue malattie e la famiglia ov’era si potrà farlo morire in villa andatovi per l’aria onde fargli vedere e riflettere sulla campagna ec., quel mio padre che mi volea dottore vedutomi poi ec. disubbidiente ai pregiudizi ec. diceva in faccia mia in proposito de’ miei fratelli minori che non si curava ec. (nell’Oraz. su Gioacchino) apostrofe a Gioacchino, scelleratissimo sappi che se tu stesso non ti andasto ora a procacciar la tua pena io ti avrei scannato con queste mani ec. Giuro che non voglio più tiranni ec. la mia provincia desolata da te e da’ tuoi cani ec., mirabile e sfacciatiss. egoismo in un quasi solitario e nondimeno viaggiatore ec. ec. veduta tutta l’Italia ec. dimorato in capitali ec. del che gli esempi sarebbero innumerabili ma si può portar quel delle legna, del far scansar gli altri e restringerli ec. a tavola senz’addurre altro se non ch’egli stava incomodo, dell’offrire il formaggio ec. e forzare a prenderlo 1 per torne il risecco, 2 per sapere se il giorno dopo fosse buono ec. (questo 2 si può dire in genere di una vivanda), dello sgridare apertamente stando pure in casa d’altri ec. la padrona ec. per non aver messo in tavola qualche buon piatto ec., del fare un delitto serio a D. Vincenzo per non avergli mandato parte di una vivanda sua mentr’egli mangiava in camera ec. tutto ciò scusandomi con dire che solo in tavola egli conviveva ec. e però quindi son tratti quasi tutti gli es. ma anche altri ne potrò cercare e discorrere del suo metodo e piccolezza di spirito e d’interessi occupazioni ec., il fanciullesco del luogo di Virg. su Circe non consiste nel modo nello stile nei costumi ec. come per l’ordinar. in omero ec. ma nella idea nell’immagine ec. come pur quello degli altri luoghi che ho notati, allora (nel pericolo di perder la vista) non mi maravigliava più come altri avesse coraggio di uccidersi, ma come i più dopo tal disgrazia non si uccidessero, contadino dicente le ave Maria e ‘l requiem aeternam sulla porta del suo tugurio volto alla luna poco alta sugli alberi del suo campo opposti all’orizzonte ad alta voce da se (il dì 9 maggio 1819 tornando io da S. Leopardo lungo la via non molto lontano dalla Città, a piedi con Carlo), per l’oraz. contro Gioacchino v. Ortis lett. 4 Dicembre 1798., io non saprei niente se non avessi allora il fine immediato nei fanciulli che non guardano troppo lungi mirandoci anche gli uomini assai poco, così mi duole veder morire un giovine come segare una messe verde verde o sbattere giù da un albero i pomi bianchi ed acerbi;
         giardino presso alla casa del guardiano, io era malinconichiss. e mi posi a una finestra che metteva sulla piazzetta ec. due giovanotti sulla gradinata della chiesa abbandonata ec. erbosa ec. sedevano scherzando sotto al lanternone ec. si sballottavano ec. comparisce la prima lucciola ch’io vedessi in quell’anno ec. uno dei due s’alza gli va addosso ec. io domandava fra me misericordia alla poverella l’esortava ad alzarsi ec. ma la colpì e gittò a terra e tornò all’altro ec. intanto la figlia del cocchiere ec. alzandosi da cena e affacciatasi alla finestra per lavare un piattello nel tornare dice a quei dentro – stanotte piove da vero. Se vedeste che tempo. Nero come un cappello. – e poco dopo sparisce il lume di quella finestra ec. intanto la lucciola era risorta ec. avrei voluto ec. ma quegli se n’accorse tornò – porca buzzarona – un’altra botta la fa cadere già debole com’era ed egli col piede ne fa una striscia lucida fra la polvere ec. e poi ec. finchè la cancella. Veniva un terzo giovanotto da una stradella in faccia alla chiesa prendendo a calci i sassi e borbottando ec. l’uccisore gli corre a dosso e ridendo lo caccia a terra e poi lo porta ec. s’accresce il giuoco ma con voce piana come pur prima ec. ma risi un po’ alti ec. sento una voce di donna che non conoscea né vedea ec. Natalino andiamo ch’è tardi – Per Amor di Dio che adesso adesso non faccia giorno – risponde quegli ec. sentivo un bambino che certo dovea essere in fasce e in braccio alla donna e suo figlio ciangottare con una voce di latte suoni inarticolati e ridenti e tutto di tratto in tratto e da se senza prender parte ec. cresce la baldoria ec. C’è più vino da Girolamo? passava uno a cui ne domandarono ec. non c’era ec. la donna venia ridendo dolcemente con qualche paroletta ec. oh che matti! ec. (e pure quel vino non era per lei e quel danaro sarebbe stato tolto alla famiglia dal marito) e di quando in quando ripetea pazientemente e ridendo l’invito d’andarsene e invano ec. finalmente una voce di loro oh ecco che piove era una leggera pioggetta di primavera ec. e tutti si ritirarono e s’udiva il suono delle porte e i catenacci ec. e questa scena mi rallegrò (12 maggio 1819), giuoco degli scacchi e in essi mia filotimiéa da piccolo, facilità e intensità delle antipati e simpatie ordinaria ne’ fanciulli e a me particolare ec. e ancora rimastine gli effetti sini nei nomi di quelle persone o cose ec. e di questa antipatia o simpatia per i nomi si potrà pur discorrere, forse riportando il passo della Cantica sulla tirannia si potrà dire che rappresenti la tirannia piuttosto dopo riportatolo che prima ec. dico però, forse, mio desiderio sommo di gloria da piccolo manifesto in ogni cosa ec. ne’ giuochi ec. come nel volante scacchi ec. battaglie che facevamo fra noi a imitaz. della Omeriche al giardino colle coccole sassi ec. S. Leopardo coi bastoni e dandoci i nomi omerici ovvero quelli della storia romana della guerra civile per la quale io era interessatiss. sino ad avermi fatto obliare Scipione che prima ec. (e se non erro ne aveva anche sognato davvero e non da burla come Marcio che diede ad intendere ai soldati d’aver veduto in sogno i due vecchi Scipioni ec.) e mio discorso latino contro Cesare recitato a babbo e riflessioni su questo mio odio pel tiranno e amore ed entusiasmo in leggere la sua uccisione ec., altre simili rappresentazioni che noi facevamo secondo quello che venivamo leggendo, nota ch’io sceglieva d’esser Pompeo quantunque soccombente dando a Carlo il nome di cesare ch’egli pure prendeva con ripugnanza, fanciullo visto in chiesa il 20 Maggio dì dell’ascensione passeggiare su e giù disinvoltamente in mezzo alla gente e mie considerazioni sul perdere questo stesso che fanno gli uomini e poi cercar con tutti i modi di tornare là onde erano partiti e quello stesso che già avevano per natura cioè la disinvoltura ec. osservazioni applicabili anche alle arti ec., palazzo bello contemplato il 21 maggio sul vespro ec. gallina nel cortile ec. voci di fanciulli ec. di dentro ec. porta di casa socchiusa ec. da un lato una selvetta d’arbori bassi bassi e di dietro a sfuggita essendo in pendio ec., vista già tanto desiderata della Brini ec. mio volermi persuadere da principio che fosse la sorella quantunque io credessi il contrar. persuaso da Carlo ec. suo guardare spesso indietro al padrone allora passato ec. correr via frettolosam. con un bel fazzoletto in testa vestita di rosso e qualche cosa involta in fazzoletto bianco in mano ec. nel suo voltarsi ci voltava la faccia ma per momenti ed era instabile come un’ape: si fermava qua e là ec. diede un salto per vedere il giuoco del pallone ma con faccia seria e semplice, domandata da un uomo dove si va? a Boncio luogo fuori del paese un pezzo per dimorarvi del tempo colla padrona noi andarle dietro finchè fermatasi ancora con alcune donne si tolse (non già per civetteria) il fazzoletto di testa e gli passammo presso in una via strettiss. e subito ci venne dietro ed entrò con quell’uomo nel palazzo del padrone ec. miei pensieri la sera turbamento allora e vista della campagna e sole tramontante e città indorata ec. e valle sottoposta con case e filari ec. ec. mio innalzamento d’animo elettrizzamento furore e cose notate ne’ pensieri in quei giorni e come conobbi che l’amore mi avrebbe proprio eroificato e fatto capace di tutto e anche di uccidermi, Riveduta la Brini senza sapere e avendomi anche salutato dolcemente (o ch’io me lo figurai ben mi parve un bel viso e perciò come soglio domandai chi era (che m’era passata alquanto lontano) e saputolo pensa com’io restassi e più nel rivederla poco dopo a caso nello stesso passeggio: dico a caso perché io stava sulle spine per lasciare quella compagnia e Zio Ettore che poi mi trattenne affine di andare in luogo dove potessi rincontrarla ma invano finché tornandomi lasciata troppo tardi la compagnia e senza speranza la rividi pure all’improvviso, sogno di quella notte e mio vero paradiso in parlar con lei ed esserne interrogato e ascoltato con viso ridente e poi domandarle io la mano a baciare ed ella torcendo non so di che filo porgermela guardandomi con aria semplicissima e candidissima e io baciarla senza ardire di toccarla con tale diletto ch’io allora solo in sogno per la primissima volta provai che cosa sia questa sorta di consolazioni con tal verità che svegliatomi subito e riscosso pienamente vidi che il piacere era stato appunto qual sarebbe reale e vivo e restai attonito e conobbi come sia vero che tutta l’anima si possa trasfondere in un bacio e perder di vista tutto il mondo come allora proprio mi parve e svegliato errai un pezzo con questo pensiero e sonnacchiando e risvegliandomi a ogni momento rivedevo sempre l'estessa donna in mille forme ma sempre viva e vera ec. in somma il sogno mio fu tale e con sì vero diletto ch’io potea proprio dire col Petrarca In tante parti e sì bella la veggio Che se l’error durasse altro non chieggio, a quello che ho detto della meschinità degli edifizi si può aggiungere la meschina figura che fa p.e. una torre ec. qualunque più alta fabbrica veduta di prospetto sopra un monte e così una città che si veda di lontano stesa sopra una montagna che appunto le fa da corona e non altro: tanto è imparagonabile quell’altezza a quella del monte che tuttavia non è altro che un bruscolo sulla faccia della terra e in pochissima distanza sollevandosi in alto si perderebbe di vista (come certo la terra veduta dalla luna con occhi umani parrebbe rotondis. e liscia affatto) e si perde infatti allontanandosene sulla stessa superficie della terra,

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© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 16 luglio 1998