Giacomo Leopardi
Paralipomeni
della Batracomiomachia
canto sesto
CANTO 6
Cade Topaia e cade il suo regime liberale (1-6): Camminatorto, il ministro reazionario che i Granchi impongono a Rodipane, abroga tutti i provvedimenti che aveva preso lilluminato Leccafondi (7-13). A Topaia i Topi cominciano a tramare congiure velleitarie, mentre Leccafondi viene esiliato (14-23); durante la tempesta in una notte dautunno trova rifugio nel palazzo di Dedalo (unico personaggio umano del poema) (24-36), che lo ospita generosamente e al quale narra le sue peripezie, come Enea a Didone (37-45).
1 Meta al fuggir le inviolate schiere Di Topaia ingombràr le quattro porte. Non che ferir, potute anco vedere Non ben le avea de' granchi il popol forte. Cesar che vide e vinse, al mio parere, Men formidabil fu di Brancaforte, Al qual senza veder fu co' suoi fanti Agevole a fugar tre volte tanti. 2 Tornata l'oste a' babbi intera e sana, Se a qualcuno il fuggir non fu mortale, Chiuse le porte fur della lor tana Con diligenza alla paura uguale. E per entrarvi lungamente vana Stata ogni opra saria d'ogni animale, Sì che molti anni in questo avria consunto Brancaforte che là tosto fu giunto, 3 Se non era che quei che per nefando Inganno del castello eran signori, E ch'or più faci al vento sollevando Sedean lassù nell'alto esploratori, Visto il popolo attorno ir trepitando E dentro ritornar quelli di fuori, Indovinàr quel ch'era, e fatti arditi I serragli sforzàr mal custoditi. 4 E con sangue e terror corsa la terra Aprìr le porte alla compagna gente, Che qual tigre dal carcer si disserra, O da ramo si scaglia atro serpente, Precipitaron dentro, e senza guerra Tutto il loco ebber pieno immantinente. Il rubare, il guastar d'una nemica Vincitrice canaglia il cor vi dica. 5 Più giorni a militar forma d'impero L'acquistata città fu sottoposta, Brancaforte imperando, anzi nel vero Quel ranocchin ch'egli avea seco a posta A ciò che l'alfabetico mistero Gli rivelasse in parte i dì di posta, E sempre che bisogno era dell'arte D'intendere o parlar per via di carte. 6 Tosto ogni atto, ogn'indizio, insegna o motto Di mista monarchia fu sparso al vento, Raso, abbattuto, trasformato o rotto. Chi statuto nomava o parlamento In carcere dai lanzi era condotto, Che del parlar de' topi un solo accento Più là non intendendo, in tal famiglia Di parole eran dotti a maraviglia. 7 Leccafondi che noto era per vero Amor di patria e del civil progresso, Non sol privato fu del ministero E del poter che il re gli avea concesso, Ma dalla corte e dai maneggi intero Bando sostenne per volere espresso Di Senzacapo, e i giorni e le stagioni A passar cominciò fra gli spioni. 8 Rodipan mi cred'io che volentieri Precipitato i granchi avrian dal trono. Ma trovar non potendo di leggeri Chi per sangue a regnar fosse sì buono, Spesi d'intorno a ciò molti pensieri, Parve al re vincitor dargli perdono, E re chiamarlo senza altro contratto, Se per dritto non era almen per fatto. 9 Ma con nome e color d'ambasciatore Inviogli il baron Camminatorto Faccendier grande e gran raggiratore E in ogni opra di re dotto ed accorto, Che per arte e per forza ebbe valore Di prestamente far che per conforto Suo si reggesse il regno, e ramo o foglia Non si movesse in quel contro sua voglia. 10 Chiuso per suo comando il gabinetto, Chiuse le scole fur che stabilito Aveva il conte, come sopra ho detto, E d'esser ne' caratteri erudito Fu, com'ei volle, al popolo interdetto, Se di licenza special munito A ciò non fosse ognun: perché i re granchi D'oppugnar l'abbiccì non fur mai stanchi. 11 Quindi i reami lor veracemente Fur del mondo di sopra i regni bui. Ed era ben ragion, che chiaramente Dovean veder che la superbia in cui La lor sopra ogni casa era eminente Non altro avea che l'ignoranza altrui Dove covar: che dal disprezzo, sgombra Che fosse questa, non aveano altr'ombra. 12 Lascio molti e molti altri ordinamenti Del saggio nunzio, e sol dirò che segno Della bontà de' suoi provvedimenti Fu l'industria languir per tutto il regno, Crescer le usure, impoverir le genti, Nascondersi dal Sol qualunque ingegno, Sciocchi o ribaldi conosciuti e chiari Cercar soli e trattar civili affari. 13 Il popolo avvilito e pien di spie Di costumi ogni dì farsi peggiore, Ricorrere agl'inganni, alle bugie, Sfrontato divenendo e traditore, Mal sicure da' ladri esser le vie Per tutta la città non che di fuore; L'or fuggendo e la fede entrar le liti, Ed ir grassi i forensi ed infiniti. 14 Subito poi che l'orator fu giunto Cui de' topi il governo era commesso Dal re de' granchi, a Brancaforte ingiunto Fu di partir co' suoi. Ma dallo stesso Cresciuto insino a centomila appunto Fu lo stuolo in castel male intromesso, Il resto a trionfar di topi e rane Tornò con Brancaforte alle sue tane. 15 Allor nacque fra' topi una follia Degna di riso più che di pietade, Una setta che andava e che venia Congiurando a grand'agio per le strade, Ragionando con forza e leggiadria D'amor patrio, d'onor, di libertade, Fermo ciascun, se si venisse all'atto, Di fuggir come dianzi avevan fatto, 16 E certo quanto a sé che pur col dito Lanzi ei non toccheria né con la coda. Pure a futuri eccidi amaro invito O ricevere o dar con faccia soda Massime all'età verde era gradito, Perché di congiurar correa la moda, E disegnar pericoli e sconquasso Della città serviva lor di spasso. 17 Il pelame del muso e le basette Nutrian folte e prolisse oltre misura, Sperando, perché il pelo ardir promette, D'avere, almeno ai topi, a far paura. Pensosi in su i caffè, con le gazzette Fra man, parlando della lor congiura, Mostraronsi ogni giorno, e poi le sere Cantando arie sospette ivano a schiere. 18 Al tutto si ridea Camminatorto Di sì fatte commedie, e volentieri Ai topi permettea questo conforto, Che con saputa sua senza misteri, Lui decretando or preso, or esser morto, Gli congiurasser contro i lustri interi: Ma non sostenne poi che capo e fonte Di queste trame divenisse il conte. 19 Al quale i giovinastri andando in frotte Offrian sé per la patria a morir presti; E disgombro giammai né dì né notte Non era il tetto suo d'alcun di questi. Egli, perché le genti ancorché dotte E sagge e d'opre e di voleri onesti, Di comandare altrui sempre son vaghe, E più se in tempo alcun di ciò fur paghe; 20 Anche dal patrio nome e da quel vero Amor sospinto ond'ei fu sempre specchio, Inducevasi a dar, se non intero Il sentimento, almen grato l'orecchio Al dolce suon che lui nel ministero, E che la patria ritornar nel vecchio Onore e grado si venia vantando E con la speme il cor solleticando. 21 L'ambasciador, quantunque delle pie Voglie del conte ancor poco temesse, Pur com'era mestier che molte spie Con buone paghe intorno gli tenesse, Rivolger quei danari ad altre vie, E torsi quella noia un giorno elesse, E gentilmente e in forma di consiglio Costrinse il conte a girsene in esiglio. 22 Peregrin per la terra il chiaro topo Vide popoli assai, stati e costumi; A quante bestie narrò poscia Esopo Si condusse varcando or mari or fiumi, Con gli occhi intenti sempre ad uno scopo D'augumentar come si dice i lumi Alle sue genti, e se gli fosse dato Trovar soccorso al lor dolente stato. 23 Com'esule e com'un ch'era discaro Al re granchio, al baron Camminatorto, E ch'alfabeto e popolo avea caro, Molte corti il guardàr con occhio torto. Più d'un altro con lui fu meno avaro, Più d'un ministro e re largo conforto Gli porse di promesse, ed ei contento Il cammin proseguia con questo vento. 24 Una notte d'autunno, andando ei molto Di notte, come i topi han per costume, Un temporal sopra il suo capo accolto Oscurò delle stelle ogni barlume, Gelato un nembo in turbine convolto Colmò le piagge d'arenose spume, Ed ai campi adeguò così la via, Che seguirla impossibil divenia. 25 Il vento con furor precipitando Schiantava i rami e gli arbori svellea, E tratto tratto il fulmine piombando Vicine rupi e querce scoscendea Con altissimo suon, cui rimbombando Ogni giogo, ogni valle rispondea, E con tale un fulgor che tutto il loco Parea subitamente empier di foco. 26 Non valse al conte aver la vista acuta, E nel buio veder le cose appunto, Che la strada assai presto ebbe perduta, E dai seguaci si trovò disgiunto. Per la campagna un lago or divenuta Notava o sdrucciolava a ciascun punto. Più volte d'affogar corse periglio, E levò supplicando all'etra il ciglio. 27 Il vento ad or ad or mutando lato più volte indietro e innanzi il risospinse, Talora il capovolse e nel gelato Umor la coda e il dorso e il crin gli tinse, E più volte a dir ver quell'apparato Di tremende minacce il cor gli strinse, Che di rado il timor, ma lo spavento Vince spesso de' saggi il sentimento. 28 Cani pecore e buoi che sparsi al piano O su pe' monti si trovàr di fuore, Dalle correnti subite lontano Ruzzolando fur tratti a gran furore Insino ai fiumi, insino all'oceano, Orbo lasciando il povero pastore. Fortuna e delle membra il picciol pondo Scamparo il conte dal rotare al fondo. 29 Già ristato era il nembo, ed alle oscure Nubi affacciarsi or l'una or l'altra stella Quasi timide ancora e mal sicure Ed umide parean dalla procella. Ma sommerse le valli e le pianure Erano intorno, e come navicella Vota fra l'onde, senza alcuna via Il topo or qua or là notando gia. 30 E in suo cor sottentrata allo spavento Era l'angoscia del presente stato. Senza de' lochi aver conoscimento, Solo e già stanco, e tutto era bagnato. Messo s'era da borea un picciol vento Freddo, di punte e di coltella armato, Che dovunque, spirando, il percotea, Pungere al vivo e cincischiar parea. 31 Sì che se alcun forame o s'alcun tetto Non ritrovasse a fuggir l'acqua e il gelo, E la notte passar senza ricetto Dovesse, che salita a mezzo il cielo Non era ancor, sentiva egli in effetto Che innanzi l'alba lascerebbe il pelo. Ciò pensando, e mutando ognor cammino, Vide molto di lungi un lumicino, 32 Che tra le siepi e gli arbori stillanti Or gli appariva ed or parea fuggito. Ma s'accorse egli ben passando avanti Che immobile era quello e stabilito, E di propor quel segno ai passi erranti, O piuttosto al notar, prese partito: E così fatto più d'un miglio a guazzo, Si ritrovò dinanzi ad un palazzo. 33 Grande era questo e bello a dismisura, Con logge intorno intorno e con veroni, Davanti al qual s'udian per l'aria oscura Piover due fonti con perenni suoni. Vide il topo la mole e la figura Questa aver che dell'uomo han le magioni: Dal lume il qual d'una finestra uscia Ch'abitata ella fosse anco apparia. 34 Però di fuor con cura e con fatica Cercolla il topo stanco in ogni canto, Per veder di trovar nova od antica Fessura ov'ei posar potesse alquanto, Non molto essendo alla sua specie amica La nostra insin dalla stagion ch'io canto. Ma per molto adoprarsi una fessura Né un buco non trovò per quelle mura. 35 Strano questo vi par, ma certo il fato Intento il conducea là dove udrete. Che vedendosi omai la morte allato, Che il Cesari chiamò mandar pel prete, E sentendosi il conte esser dannato D'ogni male a morir fuorché di sete Se fuor durasse, di cangiar periglio, D'osare e di picchiar prese consiglio. 36 E tratto all'uscio e tolto un sassolino, Dievvi de' colpi a suo poter più d'uno. Subito da un balcon fe capolino Un uom guardando, ma non vide alcuno. Troppo quel che picchiava era piccino, Né facil da veder per l'aer bruno. Risospinse le imposte, e poco stante Ecco tenue picchiar siccome avante. 37 Qui trasse fuori una lucerna accesa L'abitator del solitario ostello, E sporse il capo, e con la vista intesa Mirando inverso l'uscio, innanzi a quello Vide il topo che pur con la distesa Zampa facea del sassolin martello. Crederete che fuor mettesse il gatto, Ma disceso ad aprir fu quegli a un tratto 38 E il pellegrin con modo assai cortese Introdusse in dorati appartamenti, Parlando della specie e del paese Dei topi i veri e naturali accenti. E vedutol così male in arnese, E dal freddo di fuor battere i denti, Ad un bagno il menò dove lavollo Dalla mota egli stesso e riscaldollo. 39 Fatto questo, di noci e fichi secchi Un pasto gli arrecò di regal sorte, Formaggio parmegian, ma di quei vecchi, Fette di lardo e confetture e torte, Tutto di tal sapor che paglia e stecchi Parve al conte ogni pasto avuto in corte. Cenato ch'ebbe, il dimandò del nome E quivi donde capitasse, e come. 40 A dire incominciò, siccome Enea Nelle libiche sale, il peregrino. Al dirimpetto l'altro gli sedea Sur una scranna, ed ei sul tavolino Con due zampe atteggiando, e gli pendea Segno d'onor dal collo un cordoncino, Che salvo egli a fatica avea dai flutti, Dato dal morto re Mangiaprosciutti. 41 E dal principio il seme e i genitori E l'esser suo narrò succintamente. Poi discendendo ai sostenuti onori Fecesi a ragionar della sua gente, Narrò le rane ed i civili umori, La carta e il granchio iniquo e prepotente Le due fughe narrò chinando il ciglio, E le congiure, ed il non degno esiglio. 42 E conchiudendo, siccom'era usato, Raccontò le speranze e le promesse Che da più d'un possibile alleato Raccolte avea autentiche ed espresse, E l'ospite pregò che avesse dato Soccorso anch'egli ai topi ove potesse. Rari veleni d'erbe attive e pronte Quegli offerì, ma ricusolli il conte. 43 Dicendo, ch'oltre al non poter sì fatto Rimedio porsi agevolmente in opra, A quell'intento saria vano affatto Ch'egli ad ogni altro fin ponea di sopra, Che il popol suo d'onor fosse rifatto, Dal qual va lunge un ch'arti prave adopra. Lodò l'altro i suoi detti e gli promesse Che innanzi che dal sonno egli sorgesse, 44 Pensato avrebbe al caso intentamente Per trovar, se potea, qualche partito. Già l'aere s'imbiancava in oriente E di più stelle il raggio era sparito, E il seren puro tutto e tralucente Promettea ch'un bel dì fora seguito. Quasi sgombro dall'acque era il terreno, E il soffio boreal venuto meno. 45 L'ospite ad un veron condusse il conte Mostrando il tempo placido e tranquillo. Sola i silenzi l'una e l'altra fonte Rompea da presso, e da lontano il grillo. Qualche raro balen di sopra il monte Il nembo rammentava a chi soffrillo. Poscia a un letto il guidò ben preparato, E da lui per allor prese commiato. |
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© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 03 May 1998