Giacomo Leopardi
Paralipomeni
della Batracomiomachia
canto quarto
CANTO QUARTO
Dopo una lunga digressione satirica sui primordi della società umana in polemica con le teorie provvidenzialistiche della storia (1-25), il racconto riprende dalle elezioni di Rodipane: viene costituito un governo liberale, nel quale il liberale Leccafondi è nominato consigliere del re e ministro degli interni, e si adopera per il progresso culturale, civile ed economico del popolo (26-42. Ma Senzacapo, il re dei Granchi, non tollera questa svolta pericolosa ed invia a Topaia il suo messo Boccaferrata (43-47)0.
1 Maraviglia talor per avventura, Leggitori onorandi e leggitrici, Cagionato cavrà questa lettura. E come son degli uomini i giudici Facili per usanza e per natura, Forse, benché benevoli ed amici, Più dun pensiero in mente avrete accolto, Chessere io deggia o menzognero o stolto, 2 Perché le cose del topesco regno, Che son per vetustà da noi lontane Tanto che come appar da più dun segno, Agguaglian le antichissime indiane, I costumi, il parlar, lopre, lingegno, E linfime faccende e le sovrane, Quasi ieri o laltrier fossero state, Simili a queste nostre ho figurato. 3 Ma con la maraviglia ogni sospetto Come una nebbia vi torrà di mente Il legger, sanco non avete letto, Quel che i savi han trovato ultimamente, Speculando col semplice intelletto Sopra la sorte dellumana gente, Che dEuropa il civil presente stato Debbe ancor primitivo esser chiamato. 4 E che quei che selvaggi il volgo appella Che nei più caldi e nei più freddi liti Ignudi al sole, al vento alla procella, E sol di tetto natural forniti, Contenti son da poi che la mammella Lasciàr, derbe e di vermi esser nutriti, Temon laure, le frondi, e che disciolta Dal Sol non cangia la celeste volta; 5 Non vita naturale e primitiva Menan, come fin qui furon creduti, Ma per corruzion sì difettiva, Da una perfetta civiltà caduti, Nella qual come in propria ed in nativa I padri de lor padri eran vissuti: Perché stato sì reo, come il selvaggio, Estimar natural non è da saggio: 6 Non potendo mai star che la natura, Che al ben degli animali è sempre intenta, E più delluom che principal fattura Esser di quella par che si consenta Da tutti noi, sì povera e sì dura Vita ove pur pensando ei si sgomenta, Come propria e richiesta e conformata Abbia al genere uman determinata. 7 Né manco sembra che possibil sia Che lo stato delluom vero e perfetto Sia posto in capo di sì lunga via Quanta a farsi civile appar costretto Il gener nostro a misurare in pria, U son centanni un dì quanto alleffetto: Sì lento è il suo cammin per quelle strade Che il conducon dal bosco a civiltade. 8 Perché ingiusto e crudel sarebbe stato, Né per modo nessun conveniente, Che allinfelicità predestinato, Non per suo vizio o colpa anzi innocente, Per ordin primo e natural suo fato Fosse un numero tal dumana gente, Quanta nascer convenne, e che morisse Prima che a civiltà si pervenisse. 9 Resta che il viver zotico e ferino Corruzion si creda e non natura, E che ingiuria facendo al suo destino Caggia quivi il mortal da grande altura, Dico dal civil grado, ove il divino Senno avea di locarlo avuto cura: Perché se al ciel non vogliam fare oltraggio, Civile ei nasce, e poi divien selvaggio. 10 Questa conclusion che ancor che bella Parravvi alquanto inusitata e strana, Non daltronde provien se non da quella forma di ragionar diritta e sana Cha priori in iscola ancora sappella, Appo cui ciascunaltra oggi par vana, La qual per certo alcun principio pone, E tutto laltro a quel piega e compone. 11 Per certo si suppon che intenta sia Natura sempre al ben degli animali, E che gli ami di cor come la pia Chioccia fa del pulcin che ha sotto lali: E vedendosi al tutto acerba e ria La vita esser che al bosco hanno i mortali, Per forza si conchiude in buon latino Che la città fu pria del cittadino. 12 Se libere le menti e preparate Fossero a ciò che i fatti e la ragione Sapessero insegnar, non inchinate A questa più che a quella opinione, Se natura chiamar dogni pietate E di qual sè cortese affezione Sapesser priva, e de suoi figli antica E capital carnefice e nemica; 13 O se piuttosto ad ogni fin rivolta, Che al nostro che diciamo o bene o male; E confessar che de suoi fini è tolta La vista al riguardar nostro mortale, Anzi il saper se non da fini sciolta Sia veramente, e se ben vabbia, e quale; Diremmo ancor con ciascunaltra etade Che il cittadin fu pria della cittade. 14 Non è filosofia se non unarte La qual di ciò che luomo è risoluto Di creder circa a qualsivoglia parte, Come meglio alla fin lè conceduto, Le ragioni assegnando empie le carte O le orecchie talor per instituto, Con più dingegno o men, giusta il potere Che il maestro o lautor si trova avere. 15 Quella filosofia dico che impera Nel secol nostro senza guerra alcuna, E che con guerra più o men leggera Ebbe negli altri non minor fortuna, Fuor nel prossimo a questo, ove se intera La mia mente oso dir, portò ciascuna Facoltà nostra a quelle cime il passo Onde tosto inchinar lè forza al basso. 16 In quelletà, dunaspra guerra in onta, Altra filosofia regnar fu vista, A cui dinanzi valorosa e pronta L'età nostra arretrossi appena avvista Di ciò che più le spiace e che più monta, Esser quella in sostanza amara e trista; Non che i pricipii in lei né le premesse Mostrar false da sé ben ben sapesse. 17 Ma false o vere, ma disformi o belle Esser queste si fosse o no mostrato, Le conseguenze lor non eran quelle Che l'uom d'aver per ferme ha decretato, E che per ferme avrà fin che le stelle D'orto in occaso andran pel cerchio usato Perché tal fede in tali o veri o sogni Per sua quiete par che gli bisogni. 18 Ed ancor più, perché da lunga pezza È la sua mente a cotal fede usata, Ed ogni fede a che sia quella avvezza Prodotta par da coscienza innata: Che come suol con grande agevolezza L'usanza con natura esser cangiata, Così vien facilmente alle persone Presa l'usanza lor per la ragione. 19 Ed imparar cred'io che le più volte Altro non sia, se ben vi si guardasse, Che un avvedersi di credenze stolte Che per lungo portar l'alma contrasse E del fanciullo racquistar con molte Cure il saper ch'a noi l'età sottrasse; Il qual già più di noi non sa né vede, Ma di veder né di saper non crede. 20 Ma noi, s'è fuor dell'uso, ogni pensiero Assurdo giudichiam tosto in effetto, Né pensiam ch'un assurdo il mondo e il vero Esser potrebbe al fral nostro intelletto: E mistero gridiam, perch'a mistero Riesce ancor qualunque uman concetto, Ma i misteri e gli assurdi entro il cervello Vogliam foggiarci come a noi par bello. 21 Or, leggitori miei, scendendo al punto Al qual per lunga e tortuosa via Sempre pure intendendo, ecco son giunto, Potete omai veder che non per mia Frode o sciocchezza avvien che tali appunto Si pingan nella vostra fantasia De' topi gli antichissimi parenti Quali i popoli son che abbiam presenti: 22 Ma procede da ciò, che il nostro stato Antico è veramente e primitivo Non degli uomini sol, ma in ogni lato D'ogni animal che in aria o in terra è vivo. Perché ingiusto saria che condannato Fosse di sua natura a un viver privo Quasi d'ogni contento e pien di mali L'interminato stuol degli animali. 23 Per tanto in civiltà, data secondo Il grado naturale a ciascheduna, Tutte le specie lor vennero al mondo, E tutte poscia da cotal fortuna Per lor proprio fallir caddero in fondo, E infelici son or; né causa alcuna Ha il ciel però dell'esser lor sì tristo Il qual bene al bisogno avea provvisto. 24 E se colma d'angoscia e di paura Del topolin la vita ci apparisce, Il qual mirando mai non s'assicura, Fugge e per ogni crollo inorridisce, Corruzion si creda e non natura La miseria che il topo oggi patisce, A cui forse il menàr quei casi in parte Che seguitando narran queste carte. 25 E la dispersion della sua schiatta Ebbe forse d'allor cominciamento, La qual raminga in su la terra è fatta, Perduto il primo e proprio alloggiamento, Come il popol giudeo, che mal s'adatta Esule, sparso, a cento sedi e cento, E di Solima il tempio e le campagne Di Palestina si rammenta e piagne. 26 Ma il novello signor giurato ch'ebbe Servar esso e gli eredi eterno il patto, Incoronato fu come si debbe E il manto si vestì di pel di gatto, E lo scettro impugnò, che d'auro crebbe Nella cui punta il mondo era ritratto, Perché credeva allor del mondo intero La specie soricina aver l'impero. 27 Dato alla plebe fu cacio con polta, E vin vecchio gittàr molte fontane, Gridando ella per tutto allegra e folta Viva la carta e viva Rodipane, Tal ch'eccheggiando quell'alpestre volta Carta per tutto ripeteva e pane, Cose al governo delle culte genti, Chi le sa ministrar, sufficienti. 28 Re de' topi costui con nuovo nome, O suo trovato fosse o de' soggetti, S'intitolò, non di Topaia, come Propriamente in addietro s'eran detti I portatori di quell'auree some. Cosa molto a notar, che negli effetti Differisce d'assai, benché non paia, S'alcun sia re de' topi o di Topaia. 29 La noto ancor, però che facilmente Nella cronologia non poco errato Potrebbe andar chi non ponesse mente A questo metafisico trovato, E creder che costui primieramente Rodipan fra quei re fosse nomato, Quando un Rodipan terzo avanti a questo Da libri e da monete è manifesto. 30 Primo fra' re de' topi, ma contando Quei di Topaia ancor, s'io bene estimo, Fu quarto Rodipan. Questo ignorando Può la cronologia da sommo ad imo Andar sossopra. A ciò dunque ovviando Notate che costui Rodipan primo, E il notin gli eruditi e i filotopi, Fra i re de' topi fu, non fra i re topi. 31 Non era il festeggiar finito ancora Quando giunse dal campo il messaggero, Non aspettato omai, che la dimora Sua lunga aveane sgombro ogni pensiero; Né desiato più, che insino allora Soleano i sogni più gradir che il vero. Sogni eran gli ozi brevi e l'allegria, Ver ciò che il conte a rapportar venia. 32 Immantinente poi che divulgato Fu per fama in Topaia il suo ritorno, Interrotto il concorso ed acchetato Il giulivo romor fu d'ogni intorno. Tristo annunzio parea quel che bramato E sospirato avean pur l'altro giorno, Perché già per obblio fatte sicure Destava l'alme ai dubbi ed alle cure. 33 Prestamente il legato a Rodipane L'umor del granchio e l'aspre leggi espose, E nel maggior consiglio la dimane Per mandato del re l'affar propose. Parver l'esposte leggi inique e strane, Fatti sopra vi fur comenti e chiose, Alfin per pace aver dentro e di fuore A tutto consentir parve il migliore. 34 Tornò nel campo ai rigidi contratti Il conte con famigli e con arnesi, E l'accordo fermò secondo i patti Che già per le mie rime avete intesi. Soscriver non sapea, né legger gli atti Il granchio, arti discare a' suoi paesi; Ma lesse e confermò con la sua mano Un ranocchio che allor gli era scrivano. 35 Ratto uno stuol di trentamila lanzi Ver Topaia lietissimo si mosse, A doppie paghe e più che doppi pranzi, Benché rato l'accordo ancor non fosse, E nella terra entrò, dietro e dinanzi Schernito per le vie con le più grosse Beffe che immaginar sapea ciascuno, Non s'avvedendo quelli in modo alcuno. 36 Nel superbo castel furo introdotti, Dove l'insegna cor piantata e sciolta, Poser mano a votar paiuoli e botti, E speràr pace i topi un'altra volta. Lieti i giorni tornàr, liete le notti, Ch'ambo sovente illuminar con molta Spesa fece il comun per l'allegria Dell'acquistata nuova monarchia. 37 Ma quel che più rileva, a far lo stato Prospero quanto più far si potesse Del popolo in comune e del privato Fama è che cordialmente il re si desse. Il qual subito poi che ritornato Fu Leccafondi, consiglier lo elesse, Ministro dell'interno e principale Strumento dell'impero in generale. 38 Questi a rimover l'ombra ed all'aumento Di civiltà rivolse ogni sua cura, Sapendo che con altro fondamento Prosperità di regni in piè non dura, E che civile e saggia, il suo contento La plebe stessa ed il suo ben procura Meglio d'ogni altro, né favor né dono, Fuor ch'esser franca, l'è mestier dal trono. 39 E bramò che sapesse il popol tutto Leggere e computar per disciplina, Stimando ciò, cred'io, maggior costrutto, Che non d'Enrico quarto la gallina. Quindi nella città fe da per tutto Tante scole ordinar, che la mattina Piazze, portici e vie per molti dì Non d'altro risonàr che d'a b c. 40 Crescer più d'una cattedra o lettura Anco gli piacque a ciaschedun liceo, Con più dote che mai per avventura Non ebbe professor benché baggeo. Dritto del topo, dritto di natura, Ed ogni dritto antegiustinianeo, E fuvvi col civil, col criminale Esposto il dritto costituzionale. 41 E già per la fidanza ond'è cagione All'alme un convenevol reggimento, D'industria a rifiorir la nazione Cominciava con presto accrescimento. Compagnie di ricchissime persone Cercar da grandi spese emolumento, D'orti, bagni, ginnasi a ciascun giorno Vedevi il loco novamente adorno. 42 Vendite nuove ed utili officine Similmente ogni dì si vedean porre, Merci del loco e merci pellegrine In copia grande ai passeggeri esporre, Stranie commodità far cittadine, Nuovi teatri il popolo raccorre, Qui strade a raccorciar la plebe intenta, Là d'un palagio a por le fondamenta. 43 Concorde intanto la città con bianchi Voti il convegno ricevuto avea, E che di quello dal signor de' granchi Fosse fatto altrettanto s'attendea. Andando e ritornando eran già stanchi Più messi, e nulla ancor si conchiudea, Tanto che in fin dei principali in petto Nascea, benché confuso, alcun sospetto. 44 Senzacapo re granchio il più superbo De' prenci di quel tempo era tenuto, Nemico ostinatissimo ed acerbo Del nome sol di carta o di statuto, Che il poter ch'era in lui senza riserbo Partir con Giove indegno avria creduto. Se carta alcun sognò dentro il suo regno Egli in punirlo esercitò l'ingegno. 352 45 E cura avea che veramente fosse Con perfetto rigor la pena inflitta, Né dalle genti per pietà commosse Qualche parte di lei fosse relitta, E il numero e il tenor delle percosse Ricordava e la verga a ciò prescritta. Buon sonator per altro anzi divino La corte il dichiarò di violino. 46 Questi poiché con involute e vaghe Risposte ebbe gran tempo ascoso il vero, Al capitan di quei che doppie paghe Già da' topi esigean senza mistero Ammessi senza pugna e senza piaghe, Mandò, quando gli parve, un suo corriero. Avea quel capitan fra i parlatori Della gente de' granchi i primi onori. 47 Forte nei detti sì che per la forte Loquela il dimandàr Boccaferrata. Il qual venuto alle reali porte Chiese udienza insolita e privata. Ed intromesso, fe, come di corte, Riverenza per granchio assai garbata: Poi disse quel che riposato alquanto Racconterò, lettor, nell'altro canto. 374 |
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© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 03 May 1998