Giacomo Leopardi
Paralipomeni
della Batracomiomachia
Canto terzo
CANTO TERZO
Rubatocchi, che ha condotto in salvo leesercito dei Topi in salvo nella città-stato di Topaia (1-19), rinuncia al potere che gli viene offerto; digressione sul secolo XVI (20-34). I Topi instaurano allora un regime costituzionale ed eleggono come loro Re Rodipane, genero di Mangiaprosciutti (35-45).
1 Intanto Rubatocchi avea ridotte Le sue schiere in Topaia a salvamento, Dove per più dun giorno e duna notte Misto fu gran dolor con gran contento. Chi gode in riveder, chi con dirotte Lacrime chiama il suo fratello spento, Altri il padre o il marito, altri la prole, Altri del regno e dellonor si dole. 2 Era Topaia, acciò che la figura E il sito della terra io vi descriva, Tutta con ammirabile struttura Murata dentro duna roccia viva, La qual era per arte o per natura Curvata sì che una capace riva Al Sol per sempre ed alle stelle ascosta Nellutero tenea come riposta. 3 Ricordivi a ciascun se la montagna Che dAsdrubale il nome anche ritiene, Là ve Livio e Neron per la campagna Sparser dellAffrican larmi e la spene, Varcaste per la strada ove compagna Leterea luce al viator non viene, Sotterranea, sonora, onde a grandarte Schiuso è il monte dalluna allaltra parte. 4 O se a Napoli presso, ove la tomba Pon di Virgilio unamorosa fede, Vedeste il varco che del tuon rimbomba Spesso che dal Vesuvio intorno fiede, Colà dove allentrar subito piomba Notte in sul capo al passegger che vede Quasi un punto lontan dun lume incerto Laltra bocca onde poi riede allaperto: 5 E queste avrete immagini bastanti Del loco ove Topaia era fondata, La qual per quattro bocche a quattro canti Della montagna posta avea lentrata, Cui turando con arte a tutti quanti Chiusa non solo ma rimanea celata, In guisa tal che la città di fuore Accusar non potea se non lodore. 6 Dentro palagi e fabbriche reali Sorgean di molto buona architettura, Collegi senza fine ed ospedali Vòti sempre, ma grandi oltremisura, Statue, colonne ed archi trionfali, E monumenti alfin dogni natura. Sopra un masso ritondo era il castello Forte di sito a maraviglia e bello. 7 Come chi dApennin varcato il dorso Pesso Fuligno, per la culta valle Cui rompe il monte di Spoleto il corso Prende laperto e dilettoso calle, Se il guardo lieto in su la manca scorso Leva dun sasso alle scoscese spalle, Bianco, nudato dogni fior, dogni erba, Vede cosa onde poi memoria serba, 8 Di Trevi la città, che con iscena Daerei tetti la ventosa cima Tien sì che a cerchio con lestrema schiena Degli estremi edifizi il piè sadima; Pur siede in vista limpida e serena E quasi incanto il viator lestima, Brillan templi e palagi al chiaro giorno, E sfavillan finestre intorno intorno; 9 Cotal, ma privo del diurno lume Veduto avreste quel di chio favello, Del polito macigno in sul cacume Fondato solidissimo castello, Chal margine affacciato oltre il costume Quasi precipitar parea con quello. Da un lato sol per unangusta via Con ansia e con sudor vi si salia. 10 Luce ai topi non molto esser mestieri Vede ciascun di noi nella sua stanza, Che chiusi negli armadi e nei panieri Fare ogni lor faccenda han per usanza, E spente le lucerne e i candelieri Vengon poi fuor la notte alla lor danza. Pur se luce colà si richiedea Talor, con faci ognun si provvedea. 11 DErcolano così sotto Resina, Che dignobili case e di taverne Copre la nobilissima ruina, Al tremolar di pallide lucerne Scende a veder la gente pellegrina Le membra afflitte e pur di fama eterne, Magioni e scene e templi e colonnati Allo splendor del giorno ancor negati. 12 Certo se un suol germanico o britanno Queste ruine nostre ricoprisse, Di faci a visitar lantico danno Più non bisogneria chuom si servisse, E dogni spesa in onta e dogni affanno Pompei, chad ugual sorte il fato addisse, Allaspetto del Sol tornata ancora Tutta, e non pur sì poca parte fora. 13 Vergogna sempiterna e vitupero DItalia non dirò, ma di chi prezza Disonesto tesor più che il mistero Dellaurea antichità porre in chiarezza, E riscossa di terra allo straniero, Mostrare ancor litalica grandezza. Lor sia data dal ciel giusta mercede, Se pur ciò non indarno al ciel si chiede. 14 E mercè sabbia non di riso e dira, Di chebbe sempre assai, ma daltri danni Lipocrita canaglia, onde sospira LEuropa tutta invan tanti e tanti anni I papiri ove cauta ella delira, Scacciando ognun, su i mercenari scanni; Razza e cagion di cui mi dorrebbanco Se boia e forche ci venisser manco. 15 Tornando ai topi, a cui dagli scaffali Di questi furbi agevole è il ritorno, Vincea Topaia allor le principali Città dal tramontano al mezzogiorno, O rare assai fra quelle aveva uguali, Proprio de topi e natural soggiorno, Là dove consistea massimamente Il regno e il fior della topesca gente. 16 Perché lunge di là stabil dimora Avean pochi o nessun di lor legnaggio, Salvo in colonie, ove soleano allora Finir le genti or questo or quel viaggio. Ciò ben sapete lungo tempo ancora Più dun popolo usò civile e saggio: Chiudea sola una cerchia un regno intero, Che per colonie distendea limpero. 17 Potete immaginar quale infinita Turba albergò Topaia entro sue mura. Di Statistica ancor non sera udita La parola a quei dì per isventura, Ma di più milioni aver compita Color la quantità sha per sicura Sentenza, e con Topaia oggi si noma Ninive e Babilonia e Menfi e Roma. 18 Tornato dunque, come sopra ho detto, Lesercito dei topi alla cittade, e cessato il picchiar le palme e il petto Pei caffè, per le case e per le strade, Cedendo allamor patrio ogni altro affetto, Od al timor, come più spesso accade, Del ritorno a cercar del messaggero Fu volto con le lingue ogni pensiero. 19 Perché parea che nel saper lintento Deglinimici consistesse il tutto, E fosse senza tal conoscimento Ogni consiglio a caso e senza frutto, Né trattar del durabil reggimento Del regno aver potesse alcun costrutto, Se la tempesta pria non si quetasse Chogni estremo parea che minacciasse. 20 Ma per quei giorni sospirata invano La tornata del conte alla sua terra, Il qual, venuto a fera gente in mano, Regii cenni attendea prigion sotterra, Crescendo dellignoto e del lontano Lansia e la tema, ed a patir la guerra Parendo pur, se guerra anco savesse, Che lo stato ordinar si richiedesse; 21 Giudicò Rubatocchi e i principali Della città con lui, di non frapporre Più tempo, né dar loco a novi mali, Ma prestamente il popolo raccorre, E le gravi materie e capitali Del reggimento in pubblico proporre, Sì chai rischi di fuor tornando loste Dentro le cose pria fosser composte. 22 Ben avria Rubatocchi, e per le molte Parentele sue nobili e potenti, E perché de soldati in lui rivolte Con amor da gran tempo eran le menti, E per quel braccio che dal mondo tolte Cotante avea delle nemiche genti, Potuto ritener quel già sovrano Poter che il fato gli avea posto in mano. 23 E spontanei non pochi a lui venendo Capi dellarmi e principi e baroni, Confortandolo piano ed offerendo Se pronti a sostener le sue ragioni. Ma ributtò leroe con istupendo Valor le vili altrui persuasioni, E il dar forma allo stato e il proprio impero Nellarbitrio comun rimise intero. 24 Degno perciò deterna lode, al quale Non ha lantica e la moderna istoria Altro da somigliar non chaltro uguale, quanto or so rinvenir con la memoria, Fuor tre dinclita fama ed immortale, Timoleon corintio ed Andrea Doria, In sul fianco di qua dalloceano, E Washington dal lato americano. 25 Dei quali per pudor per leggiadria Vera di fatti e probità dingegno, Negar non vo né vo tacer che sia Quantunque italian Doria il men degno, Ma perfetta bontà non consentia Quel secolo infelice, ovebbe regno Ferocia con arcano avvolgimento E viltà di pensier con ardimento. 26 Deserto è la sua storia, ove nessuno Dincorrotta virtude atto si scopre, Cagion che sopra ogni altra a ciascheduno Fa grato il riandar successi ed opre; Tedio il resto ed obblio, salvo questuno Sol degli eroici fatti alfin ricopre, Del cui splendor non è beato Il deserto chio dico in alcun lato. 27 Maraviglia è colà che sappresenti Maurizio di Sassonia alla tua vista, Che con mille vergogne e tradimenti Gran parte a suoi di libertade acquista, Egmont, Orange, a lor grandezza intenti Lor patria liberando oppressa e trista, E quel miglior che invia con braccio forte Il primo duca di Firenze a morte. 28 Né loco dammirar vi si ritrova, Se dammirar colui non vi par degno, Che redando grandezze antiche innova, Non già virtudi, e che di tanto regno Se minor dimostrando in ogni prova, Par che mirar non sappia ad alcun segno, Cittadi alternamente acquista e perde, E il fior dEuropa in Affrica disperde. 29 Non di cor generoso e non abbietto, non infedel né pio, crudo né mite, Non delliniquo amante e non del retto, Or servate promesse ed or tradite, Al grande, al bel non mai volto laffetto, Non agevoli imprese e non ardite, Due prenci imprigionati in suo potere Né liberi sa far, né ritenere. 30 Alfin di tanto suon, tanta possanza Nessuno effetto riuscir si vede, Anzi il gran fascio, che sue forze avanza Gitta egli stesso e volontario cede, La cui mole che invan passò lusanza Divide e perde infra più duno erede; Poi chiuso in monacali abiti involto Gode prima che morto esser sepolto. 31 O costanza, o valor de prischi tempi! Far gran cose di nulla era vostrarte, Nulla far di gran cose età di scempi Apprese da quel dì che il nostro marte Costantin, pari ai più nefandi esempi, Donò col nostro scettro ad altra parte. Tal differenza insiem han del romano Vero imperio gli effetti, e del germano. 32 Non donore appo noi, ma dodio e sdegno Han gara i sommi di quel secol bruno. Né facilmente a chi dovuto il regno Dellodio sia giudicherebbe alcuno, Se tu, portento di superbia e pegno Dira del ciel, non superassi ognuno, O secondo Filippo, austriaca pianta, Di cui Satan maestro ancor si vanta. 33 Tantodio quanto è sul tuo capo accolto De tuoi pari di tempo e de nepoti, Altro mai non portò vivo o sepolto, O ne prossimi giorni o ne remoti. Tu nominato ogni benigno volto Innaspri ed ogni cor placido scoti, Stupendo in ricercar nellira umana La più vivace ed intima fontana. 34 Dopo te quel grandissimo incorono Duca dAlba che quasi emulo ardisce Contender teco, e il general perdono, Tutti escludendo, ai Batavi bandisce. Nobile esempio e salutar, che al trono De successori tuoi tanto aggradisce, A cui dOlanda il novo sdegno e il tanto Valor si debbe ed il tuo giogo infranto. 35 Ma di troppo gran tratto allontanato Son da Topaia, e là ritorno in fretta, Dove accolto, o lettori, in sul mercato Un infinito popolo maspetta, Che un infinito cicalar di stato Ode o presume udir, loda o rigetta, E si consiglia o consigliarsi crede, E fa leggi o di farle ha certa fede. 36 Chi dir potria le pratiche, i maneggi, Le discordie, il romor, le fazioni Che soglion accader quando le greggi Procedono a sì fatte elezioni, Per empier qual si sia specie di seggi, Non che sforniti rifornire i troni? Tutto ciò fra coloro intervenia, E da me volentier si passa via. 37 E la conclusion sola toccando, Dico che dopo un tenzonare eterno Allalba ed alle squille, or disputando Dello stato di fuori, or dellinterno, Novella monarchia fu per comando Del popol destinata al lor governo: Una di quelle che temprate in parte Son da statuti che si chiaman carte. 38 Se dInghilterra più sassomigliasse Allo statuto o costituzione, Comoggi il nominiamo, o saccostasse A quel di Francia o daltra nazione, Con Parlamenti o corti alte o pur basse, Di pubblica o di regia elezione, Doppio o semplice alfin, come in Ispagna, Lo statuto de topi o carta magna, 39 Da tutto quel che degli antichi ho letto Dintorno a ciò, raccor non si potria. Questo solo affermar senza sospetto Dignoranza si può né di bugia, Essere sotto il prence allora eletto Da topi, e la novella signoria, Quel che, se in verso non istesse male, Avrei chiamato costituzionale. 40 Deputato a regnar fu Rodipane, Genero al morto re Mangiaprosciutti. Così quando Priamo alle troiane Genti e di sua radice i tanti frutti Mancàr, fuggendo a regioni estrane Sotto il genero Enea convenner tutti: Perché di regno alfin sola ci piace La famiglia real creder capace. 41 E quella estinta, i prossimi di sangue E poscia ad uno ad un gli altri parenti Cerchiam di grado in grado insin che langue Il regio umor negli ultimi attenenti. Né questo in pace sol, ma quando esangue Il regno è omai per aspri trattamenti, Allor per aspra e sanguinosa via Ricorre in armi a nova dinastia. 42 E quando per qualunque altra occorrenza Mutando stato il pristino disgombra, Di qualche pianta di real semenza Sempre saccoglie desioso allombra. Qual pargoletto che rimasto senza La gonna che il sostiene e che ladombra, Dopo breve ondeggiar tosto col piede, Gridando, e con la man sopra vi riede. 43 O come ardita e fervida cavalla Che di mano al cocchier per gioco uscita, A gran salti ritorna alla sua stalla, Dove sferza, e baston forse, linvita; O come augello il vol subito avvalla Dalle altezze negate alla sua vita, Ed alla fida gabbia ove soggiorna Dagli anni acerbi, volontario torna. 44 Re cortese, per altro, amante e buono Veggo questo in antico esser tenuto, Memore ognor in quanto appiè del trono Soggetto infra soggetti era vissuto: Al popol in comun per lo cui dono, E non del cielo, al regno era venuto, Riconoscente; e non de mali ignaro Di questo o quel, né di soccorso avaro. 45 E lo statuto o patto che accettato Dai cittadini avea con giuramento, Trovo che incontro allo straniero armato Difese con sincero intendimento, Né perché loco gliene fosse dato, Di restarsene sciolto ebbe talento. Di questo, poi che la credenza eccede, Interpongo laltrui, non la mia fede. |
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© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 03 May 1998