Giacomo Leopardi
Paralipomeni
della Batracomiomachia
canto primo
CANTO PRIMO
I topi sconfitti sono costretti a una ritirata precipitosa (1-4); morto in battaglia il loro re Mangiaprosciutti, durante una sosta eleggono il valoroso Rubatocchi come capo provvisorio (5-13) e inviano il conte Leccafondi come ambasciatore al campo nemico (32-47). Lunga digressione sullantica grandezza dItalia (14-31).
1 Poi che da granchi a rintegrar venuti Delle ranocchie le fugate squadre, Che non gli aveano ancor mai conosciuti, Come volle colui cha tutti è padre, Del topo vincitor furo abbattuti Gli ordini, e volte invan lopre leggiadre, Sparse laste pel campo e le berrette E le code topesche e le basette; 2 Sanguinosi fuggian per ogni villa I topi galoppando in su la sera, Tal che veduto avresti anzi la squilla Tutta farsi di lor la piaggia nera: Quale spesso in parete, ove più brilla Del Sol dautunno la dorata sfera, Vedi un nugol di mosche atro, importuno, Il bel raggio del ciel velare a bruno. 3 Come loste papal cui lalemanno Colli il franco a ferir guidava il volto, Da Faenza, onde pria videro il panno Delle insegne francesi allaria sciolto, Mosso il tallon, dopo infinito affanno, Prima il fiato in Ancona ebbe raccolto; Cui precedeva in fervide, volanti Rote il Colli, gridando, avanti avanti; 4 O come dianzi la fiamminga gente, Che Napoli infelice avea schernita, Viste larmi dOlanda, immantinente La via ricominciò chavea fornita, Né fermo prima il piè, che finalmente Giunse invocata la francese aita; Tale i topi al destin, di valle in valle, Per più di cento miglia offrìr le spalle. 5 Passata era la notte, e il dì secondo Già laria incominciava a farsi oscura, Quando un guerrier chiamato il Miratondo, A fuggir si trovò per unaltura; Ed o fosse ardimento, ovver chal mondo Vinta dalla stanchezza è la paura, Fermossi; e di spiar vago per uso, Primo del gener suo rivolse il muso. 6 E ritto in su due piè con gli occhi intenti, Mirando quanto si potea lontano, Di qua, di là, da tutti quattro i venti, Cercò lacqua e la terra, il monte e il piano, Spiò le selve, i laghi e le correnti, Le distese campagne e loceano; Né vide altro stranier, se non farfalle E molte vespe errar giù per la valle. 7 Granchi non vide già, né granchiolini, Né darmi ostili indizio in alcun lato. Soli di verso il campo i vespertini Fiati venian movendo i rami e il prato, Soavemente susurrando, e i crini Era gli orecchi molcendo al buon soldato. Era il ciel senza nubi, e rubiconda La parte occidentale, e il mar senzonda. 8 Rinvigorir sentissi, ed allaspetto Di sì queta beltà lalma riprese Il Miratondo. E poi che con effetto, Quattro volte a girar per lo paese Le pupille tornando, ogni sospetto Intempestivo e vano esser comprese, Osò gridare a suoi compagni eroi: Sì gran fede prestava agli occhi suoi. 9 Non con tanta allegrezza i diecimila Cui lor propria virtù dEuropa ai liti Riconducea, dallarmi e dalle fila Del re persian per tanta terra usciti, La voce udìr, che via di fila in fila Saccrescea, di color che pria saliti Onde il mar si scopria, qual chi mirare Crede suo scampo, gridàr, mare, mare, 10 Con quanta i topi, omai ridotti al fine Per fatica e per tema, udiro il grido Del buono esplorator, cui le marine Caverne muggìr con tutto il lido: Chera dintorno intorno ogni confine Ove il guardo aggiungea, tranquillo e fido; Che raccorsi e far altro, e che dal monte Di novo convenia mostrar la fronte. 11 Altri in sul poggio, ed altri appiè dellerta, Convenner da più bande i fuggitivi, Cui la tema, in un dì, per via deserta, Mille piagge avea mostro e mille rivi; Smarriti ancora, e con la mente incerta, E dal corso spossati e semivivi; E incominciàr tra loro a far consiglio Del bisogno presente e del periglio. 12 Già la stella di Venere apparia Dinanzi allaltre stelle ed alla luna: Tacea tutta la piaggia, e non sudia Se non il mormorar duna laguna, E la zanzara stridula, chuscia Di mezzo la foresta allaria bruna: Despero dolce la serena imago Vezzosamente rilucea nel lago. 13 Taceano i topi ancor, quasi temendo I granchi risvegliar, benché lontani, E chetamente andavan discorrendo Con la coda in gran parte e con le mani, Maravigliando pur di quellorrendo Esercito di bruti ingordi e strani, E partito cercando a ciascheduna Necessità della comun fortuna. 14 Morto nella battaglia era, siccome Nel poema dOmero avete letto, Mangiaprosciutti, il qual, credo, per nome Mangiaprosciutti primo un dì fu detto; Intendo il re de topi; ed alle some Del regno sostener nessuno eletto Avea morendo, e non lasciato erede Cui dovesser gli Dei la regia sede. 15 Ben di lui rimaneva una figliuola, Leccamacine detta, a Rodipane Sposata, e madre a quello onde ancor vola Cotanta fama per le bocche umane, Rubabriciole il bel, dalla cui sola Morte il foco scoppiò fra topi e rane: Tutto ciò similmente o già sapete, O con agio in Omero il leggerete. 16 Ma un tedesco filologo, di quelli Che mostran che il legnaggio e lidioma Tedesco e il greco un dì furon fratelli, Anzi un solo in principio, e che fu Roma Germanica città, con molti e belli Ragionamenti e con un bel diploma Prova che lunga pezza era già valica Che fra topi vigea la legge salica. 17 Che non provan sistemi e congetture E teorie dellalemanna gente? Per lor, non tanto nelle cose oscure Lun dì tutto sappiam, laltro niente, Ma nelle chiare ancor dubbi e paure E caligin si crea continuamente: Pur manifesto si conosce in tutto Che di seme tedesco il mondo è frutto. 18 Dunque primieramente in provvedere A se di novo capo in quelle strette Porre ogni lor pensier le afflitte schiere Per lo scampo comun furon costrette: Dura necessità, chuomini e fere Per salute a servaggio sottomette, E della vita in prezzo il mondo priva Del maggior ben per cui la vita è viva. 19 Stabile elezion per or non piacque Far; né potean; ma differire a quando In Topaia tornati, ove già nacque La più parte di lor, la tema in bando Avrian cacciata, e le ranocchie e lacque E seco il granchio barbaro e nefando, Né credean ciò lontan lunga stagione, Avrian posto in eterna oblivione. 20 Intanto il campo stesso, e la fortuna Commetter del ritorno, e dei presenti Consigli e fatti dar larbitrio ad una Militar potestà furon contenti. Così quando del mar la vista imbruna, Popol battuto da contrarii venti Segue lacuto grido onde sua legge Dà colui che nel rischio il pin corregge. 21 Scelto fu Rubatocchi a cui limpero Si desse allor di mille topi e mille: Rubatocchi, che fu, come dOmero Sona la tromba, di quel campo Achille. Lungamente per lui sul lago intero Versàr vedove rane amare stille; E fama è che insin oggi appo i ranocchi Terribile a nomar sia Rubatocchi. 22 Né Rubatocchi chiameria la madre Il ranocchin per certo al nascimento, Come Annibale, Arminio odi leggiadre Voci qui gir chiamando ogni momento: Così di nazion quello che padre È dogni laude, altero sentimento Colpa o destin, che molta gloria vinse, Già trecentanni, in questa terra estinse. 23 Mancan Giulii e Pompei, mancan Cammilli E Germanici e Pii, sotto il cui nome Faccia ai nati colei che partorilli A tanta nobiltà, lavar le chiome? A veder se alcun dì valore instilli In lor la rimembranza, e se mai dome Sien basse voglie e voluttà dal riso Che un gran nome suol far di fango intriso? 24 Intanto a studio là nel Trasimeno Estranio peregrin lava le membra, Perché la strage nostra onde fu pieno Quel flutto, con piacer seco rimembra: La qual, se al ver si guarda, nondimeno Zama e Cartago consolar non sembra: E notar nel Metauro anco potria Quegli e Spoleto salutar per via. 25 Se questo modo, ondhanno altri conforto, Piacesse a noi di seguitar per gioco, In molte acque potremmo ire a diporto, E di più selve riscaldarci al foco, Ed in più campi dalloccaso allorto Potremmo, andando, ristorarci un poco, E tra via rimembrar più dun alloro E nelle nostre e nelle terre loro. 26 Tantodio il petto agli stranieri incende Del nome italian, che di quel danno Onde nessuna gloria in lor discende, Sol perché nostro fu, lieti si fanno. Molte genti provàr dure vicende, E prave diventàr per lungo affanno; Ma nessuna ad esempio esser dimostra Di tantodio potria come la nostra. 27 E questo avvien perché quantunque doma, Serva, lacera segga in isventura, Ancor per forza italian si noma Quanto ha più grande la mortal natura; Ancor la gloria delleterna Roma Risplende sì, che tutte laltre oscura; E la stampa dItalia, invan superba Con noi lEuropa, in ogni parte serba. 28 Né Roma pur, ma col mental suo lume Italia inerme, e con la sua dottrina, Vinse poi la barbarie, e in bel costume Unaltra volta ritornò regina; E del goffo stranier, choggi presume Lei dispregiar, come la sorte inchina, Rise gran tempo, ed infelici esigli Laltre sedi parer vide a suoi figli. 29 Senton gli estrani, ogni memoria un nulla Esser a quella ondè lItalia erede; Sentono, ogni lor patria esser fanciulla Verso colei chogni grandezza eccede; E veggon ben che se strozzate in culla Non fosser quante doti il ciel concede, Se fosse Italia ancor per poco sciolta, Regina torneria la terza volta. 30 Indi lodio implacato, indi la rabbia, E lironico riso ondaltri offende Lei che fra ceppi, assisa in su la sabbia, Con lingua né con man più si difende. E chi maggior pietà mostra che nabbia, E di speme fra noi glignari accende Prima il Giudeo tornar vorrebbe in vita Challitalico onor prestare aita. 31 Di Roma là sotto leccelse moli, Pigmeo la fronte spensierata alzando, Percote i monumenti al mondo soli Con sua verghetta, il corpo dondolando; E con suoi motti par che si consoli, La rimembranza del servir cacciando. Ed è ragion cha una grandezza tale Linimicizia altrui segua immortale. 32 Ma Rubatocchi, poi che della cura Gravato fu delle compagne genti, Fece il campo afforzar, perché sicura Da inopinati assalti e da spaventi Fosse la notte; e poi di nutritura Giovare ai corpi tremuli e languenti. Facil negozio fu questo secondo, Perché topi a nutrir tutto è fecondo. 33 Poscia mestier gli parve allodiato Esercito spedir subito un messo, A dimandar perché, non provocato, Contra lor nella zuffa sera messo; Se ignaro delle rane, o collegato, Se per error, se per volere espresso; Se gir oltre o tornar nella sua terra, Se volesse da topi o pace o guerra. 34 Era nel campo il conte Leccafondi, Signor di Pesafumo e Stacciavento; Topo raro a suoi dì, che di profondi Pensieri e di dottrina era un portento: Leggi e stati sapea dentrambi i mondi, E giornali leggea più di dugento; Al cui studio in sua patria avea eretto, Siccomoggi diciamo, un gabinetto. 35 Gabinetto di pubblica lettura, Con legge tal, che da giornali in fuore, Libro non saccogliesse in quelle mura, Che di due fogli al più fosse maggiore; Perché credea che sopra tal misura Stender non si potesse uno scrittore Appropriato ai bisogni universali Politici, economici e morali. 36 Pur dagli amici in parte, e dalle stesse Proprie avvertenze a poco a poco indotto, Anche al romanzo storico concesse Albergar coi giornali, e che per otto Volumi o dieci camminar potesse; E in fin, come dimostro è da quel dotto Scrittor che sopra in testimonio invoco, Alla tedesca poesia diè loco. 37 La qual dantichità supera alquanto Le semitiche varie e la sanscrita, E parve al conte aver per proprio vanto Sola il buon gusto ricondurre in vita, Contro il fallace oraziano canto, A studio, per uscir della via trita, Dando tonni al poder, montoni al mare; Gran fatica, e di menti al mondo rare. 38 Darti tedesche ancor fu innamorato, E chiamavale a se con gran mercede: Perché, giusta lautor sopra citato, Non eran gli obelischi ancora in piede, Né piramide il capo avea levato, Quando larti in Germania avean lor sede, Ove il senso del bello esser più fino Veggiam, che fu nel Greco o nel Latino. 39 La biblioteca chebbe, era guernita Di libri di bellissima sembianza, Legati a foggia varia, e sì squisita, Con oro, nastri ed ogni circostanza, Cha saldar della veste la partita Quattro colpi non erano abbastanza. Ed era ben ragion, che in quella parte Stava lutilità, non nelle carte. 40 Lascio il museo, larchivio, e delle fiere Il serbatoio, e lorto delle piante, E il portico, nel quale era a vedere, Con baffi enormi e coda di gigante, La statua colossal di Lucerniere, Antico topolin filosofante, E dello stesso una pittura a fresco, Pur di scalpello e di pennel tedesco. 41 Fu di sua specie il conte assai pensoso, Filosofo morale, e filotopo; E natura lodò che il suo famoso Poter mostri quaggiù formando il topo; Di cui lopre, lingegno e il glorioso Stato ammirava; e predicea che dopo Non molto lunga età, saria matura Laltra sorte che a lui dava natura. 42 Però mai sempre a cor fugli il perenne Progresso del topesco intendimento, Che aspettar sopra tutto dalle penne Ratte de giornalisti era contento: E profittare a quel sempre sostenne Ipotesi, sistemi e sentimento; E spegnere o turbar la conoscenza Analisi, ragione e sperienza. 43 Buon topo daltra parte, e da qualunque Filosofale ipocrisia lontano, E schietto in somma e veritier, quantunque Ne maneggi nutrito, e cortigiano; Popolar per affetto, e da chiunque Trattabil sempre, e, se dir lece, umano; Poco doro, e donor molto curante, E generoso, e della patria amante. 44 Questi al re de ranocchi, ambasciatore Del proprio re, sera condotto, avanti Che tra due regni il militar furore Gli amichevoli nodi avesse infranti: E comarse la guerra, appo il signore Suo ritornato, dimorò tra fanti, E sotto tende, insin che tutto il campo Dal correr presto procacciò lo scampo. 45 Ora ai compagni, ricercando a quale Fosse in nome comun luffizio imposto, Che del campo de granchi al Generale Gisse oratore, e che per gli altri tosto Dovviar singegnasse a novo male, Nessun per senno e per virtù disposto Parve a ciò più del conte; il qual di stima Tenuto era da tutti in su la cima. 46 Così da quelle schiere, a prova eretto Lun piè di quei dinanzi, alluso antico, Fu, per parer di ciascheduno, eletto Messagger dellesercito al nemico. Né ricusò luffizio, ancor chastretto Quindi a gran rischio: in campo ostil, mendico Dgni difesa, andar fra sconoscenti Dogni modo e ragion dellaltre genti. 47 E sebben lassa la persona, e molto Di posa avea mestier, non però volle Punto indugiarsi al dipartir: ma colto Brevissimo sopor su lerba molle, Sorse a notte profonda, e seco tolto Pochi servi de suoi, tacito il colle Lasciando tutto, e sonnolento, scese, E per lerma campagna il cammin prese. |
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© aprile 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 03 May 1998