Giacomo Leopardi
Canti
I.
AllItalia.
(1818)
O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri e lerme Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro onderan carchi I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite, Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, Formosissima donna! Io chiedo al cielo E al mondo: dite dite; Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che di catene ha carche ambe le braccia; Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata, Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange. Piangi, che ben hai donde, Italia mia, Le genti a vincer nata E nella fausta sorte e nella ria.
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Dove sono i tuoi figli? Odo
suon darmi Oh venturose e care e
benedette E di lacrime sparso
ambe le guance, Ma non senza de Persi
orrida pena Prima divelte, in mar
precipitando, |
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II.
SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE
CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.
Perchè
le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da lacci sciolte Dellantico sopor litale menti Sai patrii esempi della prisca etade Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia Far ai passati onor; che daltrettali Oggi vedove son le tue contrade, Nè vè chi donorar ti si convegna. Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita dimmortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; Che senza sdegno omai la doglia è stolta: Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, E ti punga una volta Pensier degli avi nostri e de nepoti.
Daria e dingegno e di parlar diverso Amor dItalia, o cari, Voi spirerà laltissimo
subbietto, Ecco voglioso anchio Ma non per te; per questa ti
rallegri Beato te che il fato Perchè venimmo a sì
perversi tempi? Padre, se non ti sdegni, Di lor querela il boreal
deserto Di voi già non si lagna In eterno perimmo? e il
nostro scorno |
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III.
AD ANGELO MAI,
QUANDEBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONE
DELLA REPUBBLICA.
Italo
ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Sì forte a nostri orecchi e sì frequente, Voce antica de nostri, Muta sì lunga etade? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente I polverosi chiostri Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor tinfonde, Italo egregio, il fato? O con lumano Valor forse contrasta il fato invano?
Certo senza de numi alto consiglio Di noi serbate, o gloriosi,
ancora Bennato ingegno, or quando
altrui non cale Eran calde le tue ceneri
sante, Ma tua vita era allor con
gli astri e il mare, Nostri sogni leggiadri ove
son giti Nascevi ai dolci sogni
intanto, e il primo O Torquato, o Torquato, a
noi leccelsa Torna torna fra noi, sorgi
dal muto Da te fino a questora
uom non è sorto, Disdegnando e fremendo,
immacolata |
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IV.
NELLE NOZZE
DELLA SORELLA PAOLINA.
Poi
che del patrio nido I silenzi lasciando, e le beate Larve e lantico error, celeste dono, Chabbella agli occhi tuoi questermo lido, Te nella polve della vita e il suono Tragge il destin; lobbrobriosa etate Che il duro cielo a noi prescrisse impara, Sorella mia, che in gravi E luttuosi tempi Linfelice famiglia allinfelice Italia accrescerai. Di forti esempi Al tuo sangue provvedi. Aure soavi Lempio fato interdice Allumana virtude, Nè pura in gracil petto alma si chiude.
O miseri o codardi Donne, da voi non poco Ad atti egregi è sprone Madri dimbelle prole Virginia, a te la molle O generosa, ancora |
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V.
A UN VINCITORE
NEL PALLONE.
Di
gloria il viso e la gioconda voce, Garzon bennato, apprendi, E quanto al femminile ozio sovrasti La sudata virtude. Attendi attendi, Magnanimo campion (salla veloce Piena degli anni il tuo valor contrasti La spoglia di tuo nome), attendi e il core Movi ad alto desio. Te lecheggiante Arena e il circo, e te fremendo appella Ai fatti illustri il popolar favore; Te rigoglioso delletà novella Oggi la patria cara Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona Vano dirai quel che disserra
e scote Tempo forse verrà challe
ruine Alla patria infelice, o buon
garzone, |
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© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 18 luglio 1999