Giuseppe Bonghi
INTRODUZIONE
XXV - IL SABATO DEL VILLAGGIO
DI GIACOMO LEOPARDI
Creazione: canzone composta a Recanati nel settembre del 1829 (iniziata dopo il giorno 20 e terminata il giorno 29); fu pubblicata prima in Firenze nel 1831, poi nell'edizione Starita del 1835.
Metro: canzone libera di quattro strofe con qualche rima al mezzo (l'ultimo verso della terza e quarta strofa rima con uno dei versi precedenti, nella terza, brevissima, col primo verso della strofa.
Tema centrale1) la giovinezza e la vecchiaia;
2) tema del sabato
3) parallelo tra sabato-domenica e giovinezza-maturità.
vv. 1-15 |
Contrasto fra giovinezza e vecchiaia, rappresentato dalla donzelletta (che rappresenta il passato ricordato nel presente) e dalla vecchierella (che rappresenta il presente che ricorda il passato) |
La donzelletta torna al calar del sole dalla campagna con il suo fascio d'erba, recando in mano un mazzolino di rose e di viole, con cui s'appresta ad ornarsi la veste e i capelli come suole per il giorno della festa. La vecchierella sulla scala siede filando con le vicine guardando verso occidente, e racconta la sua giovinezza, quando anche lei, ancor sana e snella, danzava con coloro che gli furono compagni dell'età più bella. - Il tramonto del giorno simboleggia per la vechierella il tramonto della vita, cioè la morte |
vv. 16-37 |
Arriva il tramonto, il poeta pensa alla festa che verrà: lo zappatore torna fischiando alla sua casa e il falegname cerca di terminare il lavoro prima del ritorno a casa |
Lo sguardo si dilata sulla natura: è il tramonto, torna azzuro il cielo e le ombre scendono giù dai colli e dai tetti mentre la luna biancheggia nel cielo; la campana annuncia la festa che sta arrivando e a questo suono il cuore prova un senso di conforto: giocano rumorosamente i fanciulli nella piazza, lo zappatore ritorna a casa pensando al giorno del riposo. Cala la notte e tutto tace, mentre il falegname nella sua bottega cerca di terminare il lavoro prima del giorno. |
vv. 38-51 |
Alla definizione del sabato, pieno di speranza e di gioia contrapposto alla domenica, piena di tristezza e noia segue l'invito al garzoncello scherzoso a vivere il presente perché il futuro è ben triste, una volta finita la giovinezza. Il poeta, amaramente disilluso dalla vita non può illudere troppo gli altri, non può ingannare come inganna la Natura, anche se sa che nessuno di quei garzoncelli gli presterà attenzione, ma continuerà ad essere scherzoso. |
La giovinezza è come il sabato, un giorno pieno d'allegrezza, sereno, senza tristezze, che nei sogni e nelle aspettative dei giovani, precede l'età matura. È nella giovinezza che si può essere felici, perché questa è un'età soave, una condizione fortunata, una stagione lieta della vita; per questo, se anche dovesse tardare un po' l'età matura, non bisogna avere fretta e il ritardo non deve essere motivo di dolore. "Come la presente tua età, garzoncello scherzoso, somiglia al lieto sabato, così la festa della tua vita, e cioè quella età nella quale si appuntano ora le tue belle speranze, somiglierà alla triste e noiosa domenica: e tu, fatto uomo, fanciullo mio, non vedrai realizzata nessuna delle vaghe immaginazioni che ora concepisci nella tua mente, e non godrai nessuno dei beni che ti prometti di vivere, e non desiderare che finisca presto la fanciullezza e presto cominci l'età virile." Nella domenica ciascuno col suo pensiero farà ritorno al lavoro di tutti i giorni: il Leopardi ci vuol dare la misura della misura della noia che si vive nelle tristi ore inoperose del giorno festivo, una noia così profonda che spinge ciascuno a a desiderare di tornare presto all'usato travaglio quotidiano |
Luoghi e personaggi
a) Lo spazio che si trova davanti al palazzo Leopardi si chiama piazzuola del "Sabato del villaggio", dominata dalla duecentesca e merlata Torre del borgo da non confondere con la torre antica, del passero solitario, che è quella del convento di Sant'Agostino; dal lato orientale è la chiesa parrocchiale di Montemorello, intitolata a San Vito, dietro a cui sorgeva il campanile, che dava il segno della festa che viene; a occidente s'aprono due viuzze, delle quali la più vicina al palazzo Leopardi (via di Monte Tabor), conduce al Colle dell'Infinito, ove si recava il poeta attraversando un orto" (Alfredo Straccali), dal quale si può godere un vasto panorama.
b) la donzelletta e la vecchierella, di cui abbiamo già parlato hanno come riferimento letterario la canzone "50" del Petrarca, come spiegheremo più oltre a proposito dello zappatore, ma sul piano dell'esistenza fanno parte delle memorie del Leopardi, come della memorie leopardiana è il quadretto della vecchierella che sulla scala (in molte case di campagna e di paese la scala che porta al primo piano si trova all'esterno della casa) racconta della sua giovinezza e il racconto giovinette si presenta pieno di serenità (giovinette che potrebbero anche essere Maria e Nazzarena Belardinelli o Lodovica e Teresa Fattorini;
Teresa: "di fronte, a destra della via che scende ad arco in mezzo alla piazzuola", si trova la casa dove abitò Giuseppe Fattorini, il cocchiere di Monaldo e padre di Teresa; a sinistra, in una casa più bassa, al pian terreno, teneva il telaio la moglie del cocchiere: qui tesseva Teresa e, dopo la sua morte, continuarono a tessere la madre e la sorella Lodovica;
c) le giovinette povere andavano in campagna "a far l'erba", cioè a raccogliere fasci di gramigna o altre erbe per venderle ai vetturali che le davano da mangiare ai cavalli; vengono citate a questo proposito Maria Belardinelli (la Nerina de Le Ricordanze) e sua sorella Nazzarena, tra l'altro dipendenti in qualche modo di casa Leopardi; le giovinette danzavano il salterello, danza tradizionale comune a più parti d'Italia anche se con nomi diversi (ricordiamo ad esempio la tarantella);
d) il falegname: pare che si alluda a un certo Giuseppe Marchetti, l'artigiano di cui si parla anche ne La quiete dopo la tempesta: nella casetta ove abitavano i Fattorini si può vedere murata la porta di una bottega: era quella del legnaiuolo (Straccali, op. cit. pag. 198);
e) il zappatore: sarebbe un bracciante, uno di quelli "detti volgarmente opere" o prestatori d'opera, i quali vivevano in città e di giorno andavano in campagna, al soldo delle famiglie ricche, in aiuto dei loro agricoltori. Il richiamo letterario corre indubbiamente alla canzone petrarchesca "50" Ne la stagion...,
Come l sol volge le
nfiammate rote per dar luogo a la notte, onde discende da gli altissimi monti maggior lombra, lavaro zappador larme riprende, e con parole e con alpestri note ogni gravezza del suo petto sgombra; e poi la mensa ingombra di povere vivande, |
ma se le tre immagini a)
della notte che arriva, b) dello zappatore
con parole e con alpestri note, e c) della
mensa ingombra di povere vivande sono uguali, diversissimo è non solo il sentimento, ma
anche l'atmosfera, il senso di umanità dolente e partecipata anche dal Leopardi che anima
lo zappatore recanatese; anzi il senso stesso della canzone petrarchesca (al tramonto
Petrarca parla della propria vita e del proprio dolore che cresce colla fine del giorno e
coll'avvicinarsi della notte mentre non accade ai semplici, alla vecchierella o allo
zappatore, che trovano nel riposo una qualche consolazione per le passate sofferenze del
giorno) è lontanissimo da quello leopardiano, che al centro della propria meditazione
pone l'uomo, indipendentemente dalla sua collocazione sociale.
In queste figure "umili"
possiamo cogliere un senso profondo di solidarietà, che supera la concezione di una
società basata su una classe privilegiata che aveva la coscienza del dominio sugli umili:
tutti gli uomini sono accomunati nello stesso destino, che è quello di vivere
un'esistenza caratterizzata dal fatto che "è funesto a chi
nasce il dì natale", che l'unico piacere che l'uomo prova è figlio
dell'affanno passato, che il piacere comunque non si vive mai nel presente ma o lo si è
vissuto nel passato o lo si vivrà nel futuro.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 18 febbraio 1999