Giuseppe Bonghi

INTRODUZIONE

XVIII  -  ALLA SUA DONNA
DI GIACOMO LEOPARDI

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Creazione: canto composto a Recanati in sei giorni nel settembre del 1823, è una delle poche interruzioni del silenzio poetico che dura dal 1822 al 1828; pubblicato per la prima volta a Bologna nel 1824 come ultima nell'edizione delle Canzoni.

Metro: cinque strofe di 11 versi ciascuna, tutte comincianti con un settenario e chiuse da una coppia di endecasillabi a rima baciata. Ogni strofa presenta una grande varietà metrica, sia come disposizione dei settenari e degli endecasillabi che come disposizione delle rime. Forse è la prima canzone libera creata da Leopardi.

Parafrasi

botvio.gif (942 byte)  Cara beltà, che da lontano mi ispiri amore oppure da vicino nascondendo il viso tranne quando mi scuoti il cuore nel sonno come divina immagine, apparizione celeste, o nei campi là dove più splendido risplende il giorno e il riso della natura, dove si può trovare ancora la facoltà perduta delle illusioni; forse tu ha rallegrato il secolo che prende nome dall'oro mentre ora voli tra la gente leggera come un'anima? o proprio te prepara il destino avaro, che ti nasconde ai nostri occhi, a coloro che verranno?
botvio.gif (942 byte)   Nessuna speranza ho ormai di ammirarti viva, se non forse quando nudo e solo dopo la morte il mio spirito, libero del corpo, per un nuovo sentiero, cercherà la sua nuova dimora. Già sul primo cominciare di questa mia esistenza incerta e dolorosa, immaginai di avere te come compagna di viaggio in questo arido mondo. Ma su questa terra non c'è nulla che ti somigli; e se anche qualcuna fosse pari a te nel volto, negli atti, nella parola, sarebbe, pur così simile a te, assai men bella.
botvio.gif (942 byte)   Eppure, fra tanto dolore, quanto agli uomini ha destinato e prescritto il fato, se qualcuno t'amasse su questa terra così vera e come il mio pensiero ti immagina, per costui questa vita sarebbe beata; e ben chiaramente vedo che l'amore che ti porto mi farebbe ancora seguire lode e virtù come nei primi anni della mia vita. Ma il cielo non ha voluto aggiungere alcun conforto ai nostri affanni; e con te la vita mortale sarebbe simile a quella che nel cielo rende i beati partecipi di Dio.
botvio.gif (942 byte)   Per le valli, dove risuona il canto dell'agricoltore oppresso dalla fatica (e l'agricoltore rappresenta simbolicamente la dolorosità dell'esistenza umana), mi siedo e mi lamento del giovanile errore che mi abbandona, l'errore di coltivare le illusioni; e per i poggi, dove io ricordo e piango i perduti desideri e la perduta speranza dei giorni miei; pensando a te, mi sveglio palpitando. E potessi io in questo secolo tetro e oscuro e in questa epoca nefanda che ignora ogni ideale, conservare dentro di me la tua nobile immagine; perché dell'immagine sola mi potrei anche appagare, dopo che quella reale e vera mi è tolta dal destino.
botvio.gif (942 byte)   "Ma se non è vero che tu sia stata mai viva, neppur nell'età dell'oro, o che ti debbano incontrar sulla terra neppur gli uomini che verranno, nel tempo futuro (De Robertis)", e sei una delle eterne idee che Dio (eterno senno) sdegna, facendola restare pura immagine, di rivestire di una forma sensibile e visibile, di un corpo terreno e corruttibile che prova gli affanni dolorosi di una vita mortale; oppure se ti accoglie un'altra terra, un altro pianeta fra gli infiniti mondi dell'universo che costituiscono i superni giri (le lontane galassie) e ti illumina una stella vicina più splendente del Sole e su quella terra spiri un'aria più benigna, ricevi questo inno di ignoto amante da questa terra in cui il corso della vita è breve e infausto e gli anni, nel loro rapido scorrere rendono più inutile lo stesso dolore umano.

La composizione

      Deluso dall’ambiente e visto vano il tentativo di ottenere un impiego nell’amministrazione pontificia (si parlò di incarichi di vario genere fra cui quello di bibliotecario), il 28 aprile 1823, come aveva anticipato al padre in una lettera del 22, parte da Roma per far ritorno a Recanati. La sera del 3 maggio Giacomo risale i gradini dello scalone di casa Leopardi, che aveva lasciato solo sei mesi addietro così pieno di speranze e di desideri, con l’unico vero bagaglio nuovo della sua inabilità a vivere, come scrive da Roma il 26 aprile, alla vigilia della partenza, a Pietro Giordani:

"Fuor del vigore che non riacquisterò mai più, e della piena signoria de’ miei occhi e della mia testa, che parimente ho perduto per sempre posso dir che la mia salute è non solamente buona ma ottima. Non così bene posso dire del mio spirito, il quale assuefatto per lunghissimo tempo alla solitudine ed al silenzio, è pienamente ed ostinatissimamente nullo nella società degli uomini, e tale sarà in eterno, come mi sono accertato per molte anzi continue esperienze".

In questo anno scrive una sola poesia, Alla sua donna, la più breve delle sue Canzoni: di essa così leggiamo nella prefazione all’edizione Nobili di Bologna del 1824, una nota scritta dallo stesso Leopardi:

La donna, cioè l’innamorata, dell’autore, è una di quelle immagini, uno di quei fantasmi di bellezza e virtù celeste e ineffabile, che ci occorrono spesso alla fantasia, nel sonno e nella veglia, quando siamo poco più che fanciulli, e poi qualche rara volta nel sonno, o in una quasi alienazione di mente, quando siamo giovani. Infine è la donna che non si trova. L’autore non sa se la sua donna (e così chiamandola, mostra di non amare altra che questa) sia mai nata finora, o debba mai nascere; sa che ora non vive in terra, e che noi non siamo suoi contemporanei; la cerca tra le idee di Platone, la cerca nella luna, nei pianeti del sistema solare, in quei de’ sistemi delle stelle. Se questa Canzone si vorrà chiamare amorosa, sarà pur certo che questo tale amore non può né dare né patir gelosia, perché fuor dell’autore, nessun amante terreno vorrà fare all’amore col telescopio.

Il 23 giugno del 1823 così scriveva a Jacopssen, un letterato belga che Leopardi aveva incontrato durante il suo primo soggiorno romano (traduciamo dal francese): "Nell'amore, tutte le gioie che provano le anime volgari, non valgono il piacere che dà un solo istante di rapimento e d'emozione profonda. Ma come fare in modo che questo sentimento sia durevole o che sovente si rinnovi durante la vita? o trovare un cuore che gli corrisponda? più volte ho evitato per qualche giorno di incontrare l'oggetto che m'aveva affascinato in un sogno delizioso. Sapevo che questo fascino sarebbe stato distrutto avvicinandosi alla realtà. Nello stesso tempo pensavo sempre a questo oggetto, ma non lo consideravo se non come era; lo contemplavo nella mia immaginazione così come mi era apparso nel mio sogno... È vero che l'abitudine di riflettere, che è sempre propria degli spiriti sensibili, impedisce spesso la facoltà di agire ed anche di godere..."

Fino al 1827, tranne qualche eccezione, non scriverà più poesie, ma userà la prosa per esprimere quanto si agita nella sua anima.

Commento

         Il canto sembra essere un doloroso addio alle illusioni nel momento che si rivela la loro inconsistenza nel contrasto tra l'immaginazione e la realtà; soprattutto è un addio alla illusione più importante e più carica di significati e di valore per la vita umana, l'amore, perché questo scatena speranze sempre risorgenti; e se le illusioni sembrano assurde al vaglio della ragione, tuttavia rappresentano l'unica realtà dello spirito umano quando questo si allontana dalla realtà contingente e quotidiana che riguarda l'individuo nella sua veste sociale rifugiandosi inevitabilmente in se stesso per meglio resistere alle delusioni.
         Proprio da questo addio nasce il canto che è un "inno all'amore, mito che in sè racchiude la bellezza, la gioia, la poesia, l'ansia di vita, di felicità, d'infinito, sempre distrutta dalla realtà e sempre risorgente (Pazzaglia)". Ma nel momento dell'addio non cogliamo la conseguenza più immediata: la rinuncia ad ogni umana amante compagnia, la condizione di esclusione e quindi di solitudine inevitabile in chi non trova il naturale completamento nell'amore.
         La donna a cui il poeta rivolge il suo inno non è una donna terrena, ma ci riporta a ricordi scolastici lontani, alle idee dell'Iperuranio di Platone, alla donna angelicata degli stilnovisti, alla Laura di Petrarca "Quante volte diss'io / Allor pien di spavento, / Costei per fermo nacque in paradiso." annota nello Zibaldone alla data del 16 settembre 1823, nello stesso periodo in cui compone questo inno. Nello Zibaldone la bellezza della donna provoca spavento, insieme al desiderio di possederla, perché l'individuo si immagina le pene che per questo desiderio dovrà vivere, e quanto più forte sarà il desiderio, più dolorose saranno le pene. Ma quanto c'è di sofferto nello Zibaldone qui diventa rarefatto: l'uomo in questo mondo non potrà mai realizzare il suo desiderio, perché la realtà distrugge il sogno. Per questo il poeta può desiderarla solo in una astrattezza che non appartiene alla realtà di questo mondo, perché lei non è la donna che appartiene a questo mondo, ma la donna che non si trova, che non è, di cui non sappiamo se sia mai stata o esistita, della quale nessuno può dirsi contemporaneo.

"Da tempo in questa canzone tarda è stata individuata una chiave di volta nell'itinerario dei Canti, la prova dell'esaurimento della linea delle canzoni e insieme di quella degli idilli. Alla linea delle canzoni non si lega più il tema qui centrale dell'amore impossibile, se non per l'assunto di un crollo di tutte le illusioni (amore compreso) che un tempo ispiravano alti ideali e potevano rendere cara e bella la vita. D'altro canto il tema, nonostante la materia "amorosa", non può certo dirsi "idillico". L'estrema rarefazione dei sentimenti che domina questa composizione ci proietta già nel clima di astrazione delle Operette morali, dove può comparire o parlare la Natura, cantano i morti, discorrono tra loro esseri della fantasia o personaggi del mito, rivivono i grandi del passato. Anche il mirabile paradosso di un amore unicamente metafisico è del tutto estraneo all'eroica protesta delle canzoni, o alle scintille di poesia "sentimentale" che erano gli idilli: Leopardi ha imboccato un'altra strada, si muove in un terreno fantastico, dove inscenare la sua visione "capovolta" del mondo." (Segre)


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Progetto Leopardi
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introduzione
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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 03 febbraio 1999