Giovanni Boccaccio
Decameron
Decima giornata
Novella seconda
Ghino di Tacco piglia l'abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale.
Lodata era già stata da tutti la magnificenzia del re
Anfonso nel fiorentin cavaliere usata, quando il re, al quale molto era piaciuta, ad
Elissa impose che seguitasse, la quale prestamente incominciò:
Dilicate donne, l'essere stato un re magnifico, e l'avere
la sua magnificenzia usata verso colui che servito l'avea, non si può dire che laudevole
e gran cosa non sia; ma che direm noi se si racconterà un cherico aver mirabil
magnificenzia usata verso persona che, se inimicato l'avesse, non ne sarebbe stato
biasimato da persona? Certo non altro se non che quella del re fosse virtù, e quella del
cherico miracolo, con ciò sia cosa che essi tutti avarissimi troppo più che le femine
sieno, e d'ogni liberalità nimici a spada tratta. E quantunque ogn'uomo naturalmente
appetisca vendetta delle ricevute offese, i cherici, come si vede, quantunque la pazienzia
predichino e sommamente la remission delle offese commendino, più focosamente che gli
altri uomini a quella discorrono. La qual cosa, cioè come un cherico magnifico fosse,
nella mia seguente novella potrete conoscere aperto.
Ghino di Tacco, per la sua fierezza e per le sue ruberie
uomo assai famoso, essendo di Siena cacciato e nimico de' conti di Santa Fiore, ribellò
Radicofani alla Chiesa di Roma, e in quel dimorando, chiunque per le circustanti parti
passava rubar faceva a'suoi masnadieri. Ora, essendo Bonifazio papa ottavo in Roma, venne
a corte l'abate di Clignì, il quale si crede essere un de' più ricchi prelati del mondo,
e quivi guastatoglisi lo stomaco, fu da' medici consigliato che egli andasse a' bagni di
Siena, e guerirebbe senza fallo. Per la qual cosa, concedutogliele il papa, senza curar
della fama di Ghino, con grandissima pompa d'arnesi e di some e di cavalli e di famiglia
entrò in cammino. Ghino di Tacco, sentendo la sua venuta, tese le reti, e, senza perderne
un sol ragazzetto, l'abate con tutta la sua famiglia e le sue cose in uno stretto luogo
racchiuse. E questo fatto, un de' suoi, il più saccente, bene accompagnato mandò allo
abate; il qual da parte di lui assai amorevolmente gli disse, che gli dovesse piacere
d'andare a smontare con esso Ghino al castello. Il che l'abate udendo, tutto furioso
rispose che egli non ne voleva far niente, sì come quegli che con Ghino niente aveva a
fare; ma che egli andrebbe avanti, e vorrebbe veder chi l'andar gli vietasse.
Al quale l'ambasciadore umilmente parlando disse: -
Messere, voi siete in parte venuto dove, dalla forza di Dio in fuori, di niente ci si teme
per noi, e dove le scomunicazioni e gl'interdetti sono scomunicati tutti; e per ciò
piacciavi per lo migliore di compiacere a Ghino di questo.
Era già, mentre queste parole erano, tutto il luogo di
masnadieri circundato; per che l'abate, co' suoi preso veggendosi, disdegnoso forte, con
l'ambasciadore prese la via verso il castello, e tutta la sua brigata e li suoi arnesi con
lui; e smontato, come Ghino volle, tutto solo fu messo in una cameretta d'un palagio assai
oscura e disagiata, e ogn'altro uomo secondo la sua qualità per lo castello fu assai bene
adagiato, e i cavalli e tutto l'arnese messo in salvo, senza alcuna cosa toccarne.
E questo fatto, se n'andò Ghino all'abate e dissegli: -
Messere, Ghino, di cui voi siete oste, vi manda pregando che vi piaccia di significarli
dove voi andavate, e per qual cagione.
L'abate, che, come savio, aveva l'altierezza giù posta,
gli significò dove andasse e perché. Ghino, udito questo, si partì, e pensossi di
volerlo guerire senza bagno; e faccendo nella cameretta sempre ardere un gran fuoco e ben
guardarla, non tornò a lui infino alla seguente mattina; e allora in una tovagliuola
bianchissima gli portò due fette di pane arrostito e un gran bicchiere di vernaccia da
Corniglia, di quella dello abate medesimo, e sì disse all'abate: - Messer, quando Ghino
era più giovane, egli studiò in medicina, e dice che apparò niuna medicina al mal dello
stomaco esser miglior che quella che egli vi farà, della quale queste cose che io vi reco
sono il cominciamento; e per ciò prendetele e confortatevi.
L'abate, che maggior fame aveva che voglia di motteggiare,
ancora che con isdegno il facesse, si mangiò il pane e bevve la vernaccia, e poi molte
cose altiere disse e di molte domandò e molte ne consigliò, e in ispezieltà chiese di
poter veder Ghino. Ghino, udendo quelle, parte ne lasciò andar sì come vane, e ad alcuna
assai cortesemente rispose, affermando che come Ghino più tosto potesse il visiterebbe; e
questo detto, da lui si partì, né prima vi tornò che il seguente dì con altrettanto
pane arrostito e con altrettanta vernaccia; e così il tenne più giorni, tanto che egli
s'accorse l'abate aver mangiate fave secche, le quali egli studiosamente e di nascoso
portate v'aveva e lasciate.
Per la qual cosa egli il domandò da parte di Ghino come
star gli pareva dello stomaco; al quale l'abate rispose: - A me parrebbe star bene, se io
fossi fuori delle sue mani; e appresso questo, niun altro talento ho maggiore che di
mangiare, sì ben m'hanno le sue medicine guerito.
Ghino adunque avendogli de' suoi arnesi medesimi e alla sua
famiglia fatta acconciare una bella camera, e fatto apparecchiare un gran convito, al
quale con molti uomini del castello fu tutta la famiglia dello abate, a lui se n'andò la
mattina seguente e dissegli: - Messere, poi che voi ben vi sentite, tempo è d'uscire
d'infermeria -; e per la man presolo, nella camera apparecchiatagli nel menò, e in quella
co' suoi medesimi lasciatolo, a far che il convito fosse magnifico attese. L'abate co'
suoi alquanto si ricreò, e qual fosse la sua vita stata narrò loro, dove essi in
contrario tutti dissero sé essere stati maravigliosamente onorati da Ghino. Ma l'ora del
mangiar venuta, l'abate e tutti gli altri ordinatamente e di buone vivande e di buoni vini
serviti furono, senza lasciarsi Ghino ancora all'abate conoscere. Ma poi che l'abate
alquanti dì in questa maniera fu dimorato, avendo Ghino in una sala tutti li suoi arnesi
fatti venire, e in una corte, che di sotto a quella era, tutti i suoi cavalli in fino al
più misero ronzino allo abate se n'andò e domandollo come star gli pareva e se forte si
credeva essere da cavalcare. A cui l'abate rispose che forte era egli assai e dello
stomaco ben guerito, e che starebbe bene qualora fosse fuori delle mani di Ghino.
Menò allora Ghino l'abate nella sala dove erano i suoi
arnesi e la sua famiglia tutta, e fattolo ad una finestra accostare donde egli poteva
tutti i suoi cavalli vedere, disse: - Messer l'abate, voi dovete sapere che l'esser
gentile uomo e cacciato di casa sua e povero, e avere molti e possenti nimici, hanno, per
potere la sua vita e la sua nobiltà difendere, e non malvagità d'animo, condotto Ghino
di Tacco, il quale io sono, ad essere rubatore delle strade e nimico della corte di Roma.
Ma per ciò che voi mi parete valente signore, avendovi io dello stomaco guerito, come io
ho, non intendo di trattarvi come un altro farei, a cui, quando nelle mie mani fosse come
voi siete, quella parte delle sue cose mi farei che mi paresse; ma io intendo che voi a
me, il mio bisogno considerato, quella parte delle vostre cose facciate che voi medesimo
volete. Elle sono interamente qui dinanzi da voi tutte, e i vostri cavalli potete voi da
cotesta finestra nella corte vedere; e per ciò e la parte e il tutto come vi piace
prendete, a da questa ora innanzi sia e l'andare e lo stare nel piacer vostro.
Maravigliossi l'abate che in un rubator di strada fosser
parole sì libere, e piacendogli molto, subitamente la sua ira e lo sdegno caduti, anzi in
benivolenzia mutatisi, col cuore amico di Ghino divenuto, il corse ad abbracciar dicendo:
- Io giuro a Dio che, per dover guadagnar l'amistà d'uno uomo fatto come omai io giudico
che tu sii, io sofferrei di ricevere troppo maggiore ingiuria che quella che infino a qui
paruta m'è che tu m'abbi fatta. Maladetta sia la fortuna, la quale a sì dannevole
mestier ti costrigne! - E appresso questo, fatto delle sue molte cose pochissime e
opportune prendere, e de' cavalli similmente, e l'altre lasciategli tutte, a Roma se ne
tornò.
Aveva il papa saputa la presura dello abate e, come che
molto gravata gli fosse, veggendolo il domandò come i bagni fatto gli avesser pro. Al
quale l'abate sorridendo rispose: - Santo Padre, io trovai più vicino che i bagni un
valente medico, il quale ottimamente guerito m'ha; e contogli il modo; di che il papa
rise. Al quale l'abate, seguitando il suo parlare, da magnifico animo mosso, domandò una
grazia.
Il papa, credendo lui dover domandare altro, liberamente
offerse di far ciò che domandasse. Allora l'abate disse: - Santo Padre, quello che io
intendo di domandarvi è che voi rendiate la grazia vostra a Ghino di Tacco mio medico,
per ciò che tra gli altri uomini valorosi e da molto che io accontai mai, egli è per
certo un de' più; e quel male il quale egli fa, io il reputo molto maggior peccato della
fortuna che suo; la qual se voi con alcuna cosa dandogli, donde egli possa secondo lo
stato suo vivere, mutate, io non dubito punto che in poco di tempo non ne paia a voi
quello che a me ne pare.
Il papa, udendo questo, sì come colui che di grande animo
fu e vago de' valenti uomini, disse di farlo volentieri, se da tanto fosse come diceva, e
che egli il facesse sicuramente venire. Venne adunque Ghino fidato, come allo abate
piacque, a corte; né guari appresso del papa fu, che egli il reputò valoroso, e
riconciliatoselo gli donò una gran prioria di quelle dello Spedale, di quello avendol
fatto far cavaliere. La quale egli, amico e servidore di santa Chiesa e dello abate di
Clignì, tenne mentre visse.
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