Giovanni Boccaccio
Decameron
Quinta Giornata
Novella quinta
Guidotto da Cremona lascia a Giacomin da Pavia una fanciulla, e muorsi; la quale Giannol di Severino e Minghino di Mingole amano in Faenza; azzuffansi insieme; riconoscesi la fanciulla esser sirocchia di Giannole, e dassi per moglie a Minghino.
Aveva ciascuna donna, la novella dell'usignolo ascoltando, tanto riso, che ancora,
quantunque Filostrato ristato fosse di novellare, non per ciò esse di ridere si potevan
tenere. Ma pur, poi che alquanto ebber riso, la reina disse : - Sicuramente, se tu ieri ci
affliggesti, tu ci hai oggi tanto dileticate, che niuna meritamente più di te si dee
ramaricare. - E avendo a Neifile le parole rivolte, le 'mpose che novellasse; la quale
lietamente così cominciò a parlare.
Poi che Filostrato ragionando in Romagna è intrato, a me
per quella similmente gioverà d'andare alquanto spaziandomi col mio novellare.
Dico adunque che già nella città di Fano due lombardi
abitarono, de' quali l'un fu chiamato Guidotto da Cremona e l'altro Giacomin da Pavia,
uomini omai attempati e stati nella lor gioventudine quasi sempre in fatti d'arme e
soldati. Dove, venendo a morte Guidotto, e niuno figliuolo avendo né altro amico o
parente di cui più si fidasse che di Giacomin facea, una sua fanciulla d'età forse di
dieci anni, e ciò che egli al mondo avea, molto de' suoi fatti ragionatogli, gli lasciò,
e morissi. Avvenne in questi tempi che la città di Faenza, lungamente in guerra e in mala
ventura stata, alquanto in miglior disposizion ritornò, e fu a ciascun che ritornar vi
volesse liberamente conceduto il potervi tornare; per la qual cosa Giacomino, che altra
volta dimorato v'era, e piacendogli la stanza, là con ogni sua cosa si tornò, e seco ne
menò la fanciulla lasciatagli da Guidotto, la quale egli come propria figliuola amava e
trattava.
La quale crescendo divenne bellissima giovane quanto alcuna
altra che allora fosse nella città; e così come era bella, era costumata e onesta. Per
la qual cosa da diversi fu cominciata a vagheggiare, ma sopra tutti due giovani assai
leggiadri e da bene igualmente le posero grandissimo amore, in tanto che per gelosia
insieme si 'ncominciarono ad avere in odio fuor di modo: e chiamavasi l'un Giannole di
Severino, e l'altro Minghino di Mingole. Né era alcuno di loro, essendo ella d'età di
quindici anni, che volentieri non l'avesse per moglie presa, se dà suoi parenti fosse
stato sofferto; per che, veggendolasi per onesta cagione vietare, ciascuno a doverla, in
quella guisa che meglio potesse, avere, si diede a procacciare.
Aveva Giacomino in casa una fante attempata e un fante che
Crivello aveva nome, persona sollazzevole e amichevole assai; col quale Giannole
dimesticatosi molto, quando tempo gli parve, ogni suo amore discoperse, pregandolo che a
dovere il suo disidero ottenere gli fosse favorevole, gran cose se ciò facesse
promettendogli.
Al quale Crivello disse: - Vedi, in questo io non potrei
per te altro adoperare se non che quando Giacomino andasse in alcuna parte a cenare,
metterti là dove ella fosse, per ciò che, volendole io dir parole per te, ella non mi
starebbe mai ad ascoltare. Questo s'el ti piace, io il ti prometto, e farollo; fa tu poi,
se tu sai, quello che tu creda che bene stea. -
Giannole disse che più non volea, e in questa concordia
rimase. Minghino d'altra parte aveva dimesticata la fante, e con lei tanto adoperato che
ella avea più volte ambasciate portate alla fanciulla, e quasi del suo amore l'aveva
accesa; e oltre a questo gli aveva promesso di metterlo con lei, come avvenisse che
Giacomino per alcuna cagione da sera fuori di casa andasse.
Avvenne adunque, non molto tempo appresso queste parole,
che, per opera di Crivello, Giacomino andò con un suo amico a cenare; e fattolo sentire a
Giannole, compose con lui che, quando un certo cenno facesse, egli venisse e troverrebbe
l'uscio aperto. La fante d'altra parte, niente di questo sappiendo, fece sentire a
Minghino che Giacomino non vi cenava, e gli disse che presso della casa dimorasse sì, che
quando vedesse un segno ch'ella farebbe, egli venisse ed entrassesene dentro. Venuta la
sera, non sappiendo i due amanti alcuna cosa l'un dell'altro, ciascun, sospettando
dell'altro, con certi compagni armati a dovere entrare in tenuta andò. Minghino co'suoi,
a dovere il segno aspettare, si ripose in casa d'un suo amico vicino della giovine;
Giannole co'suoi alquanto dalla casa stette lontano.
Crivello e la fante, non essendovi Giacomino, s'ingegnavano
di mandare l'un l'altro via. Crivello diceva alla fante: - Come non ti vai tu a dormire
oramai? Che ti vai tu pure avviluppando per casa?
E la fante diceva a lui: - Ma tu perché non vai per
signorto? Che aspetti tu oramai qui, poi hai cenato? -
E così l'uno non poteva l'altro far mutare di luogo. Ma
Crivello, conoscendo l'ora posta con Giannole esser venuta, disse seco: - Che curo io di
costei? Se ella non istarà cheta, ella potrà aver delle sue -; e fatto il segno posto
andò ad aprir l'uscio, e Giannole prestamente venuto con due compagni andò dentro, e
trovata la giovane nella sala la presono per menarla via.
La giovane cominciò a resistere e a gridar forte, e la
fante similmente. Il che sentendo Minghino, prestamente co' suoi compagni là corse; e
veggendo la giovane già fuori dell'uscio tirare, tratte le spade fuori, gridarono tutti:
- Ahi traditori, voi siete morti; la cosa non andrà così: che forza è questa? -; e
questo detto, gl'incominciarono a ferire. E d'altra parte la vicinanza uscita fuori al
romore e con lumi e con arme, cominciarono questa cosa a biasimare e ad aiutar Minghino.
Per che, dopo lunga contesa, Minghino tolse la giovane a Giannole, e rimisela in casa di
Giacomino. Né prima si partì la mischia che i sergenti del capitan della terra vi
sopraggiunsero e molti di costoro presero; e fra gli altri furono presi Minghino e
Giannole e Crivello, e in prigione menatine. Ma poi racquetata la cosa, e Giacomino
essendo tornato; e, di questo accidente molto malinconoso, essaminando come stato fosse e
trovato che in niuna cosa la giovane aveva colpa, alquanto si diè più pace, proponendo
seco, acciò che più simil caso non avvenisse, di doverla come più tosto potesse
maritare.
La mattina venuta, i parenti dell'una parte e dell'altra
avendo la verità del fatto sentita e conoscendo il male che a' presi giovani ne poteva
seguire, volendo Giacomino quello adoperare che ragionevolmente avrebbe potuto, furono a
lui, e con dolci parole il pregarono che alla ingiuria ricevuta dal poco senno de' giovani
non guardasse tanto, quanto all'amore e alla benivolenza la quale credevano che egli a
loro che il pregavano portasse, offerendo appresso sé medesimi e i giovani che il male
avevan fatto ad ogni ammenda che a lui piacesse di prendere.
Giacomino, il qual de'suoi dì assai cose vedute avea ed
era di buon sentimento, rispose brievemente: - Signori, se io fossi a casa mia come io
sono alla vostra, mi tengo io sì vostro amico, che né di questo né d'altro io non farei
se non quanto vi piacesse; e oltre a questo più mi debbo a'vostri piaceri piegare in
quanto voi a voi medesimi avete offeso, per ciò che questa giovane, forse come molti
stimano, non è da Cremona né da Pavia, anzi è faentina, come che io né ella né colui
da cui io l'ebbi non sapessimo mai di cui si fosse figliuola; per che; di quello che
pregate tanto sarà per me fatto, quanto me ne imporrete. I valenti uomini, udendo costei
esser di Faenza, si maravigliarono; e rendute grazie a Giacomino della sua liberale
risposta, il pregarono che gli piacesse di dover lor dire come costei alle mani venuta gli
fosse, e come sapesse lei esser faentina. -
A' quali Giacomin disse: - Guidotto da Cremona fu mio
compagno e amico, e venendo a morte mi disse che quando questa città da Federigo
Imperatore fu presa, andataci a ruba ogni cosa, egli entrò co' suoi compagni in una casa,
e quella trovò di roba piena esser dagli abitanti abbandonata, fuor solamente da questa
fanciulla, la quale d'età di due anni o in quel torno, lui sagliente su per le scale
chiamò padre; per la qual cosa a lui venuta di lei compassione, insieme con tutte le cose
della casa seco ne la portò a Fano, e quivi morendo, con ciò che egli avea costei mi
lasciò, imponendomi che, quando tempo fosse, io la maritassi e quello che stato fosse suo
le dessi in dota; e venuta nell'età da marito, non m'è venuto fatto di poterla dare a
persona che mi piaccia; fare' '1 volentieri, anzi che altro caso simile a quel di ier sera
me n'avvenisse. -
Era quivi intra gli altri un Guiglielmino da Medicina, che
con Guidotto era stato a questo fatto, e molto ben sapeva la cui casa stata fosse quella
che Guidotto avea rubata; e vedendolo ivi tra gli altri, gli s'accostò e disse: -
Bernabuccio, odi tu ciò che Giacomin dice? -
Disse Bernabuccio: - Sì; e testé vi pensava più, per
ciò ch'io mi ricordo che in quegli rimescolamenti io perdei una figlioletta di quella
età che Giacomin dice. -
A cui Guiglielmino disse: - Per certo questa è dessa, per
ciò ch'io mi trovai già in parte ove io udii a Guidotto divisare dove la ruberia avesse
fatta, e conobbi che la tua casa era stata; e per ciò rammemorati se ad alcun segnale
riconoscer la credessi, e fanne cercare, ché tu troverrai fermamente che ella è tua
figliuola. -
Per che, pensando Bernabuccio, si ricordò lei dovere avere
una margine a guisa d'una crocetta sopra l'orecchia sinistra, stata d'una nascenza che
fatta gli avea poco davanti a quello accidente tagliare; per che, senza alcuno indugio
pigliare, accostatosi a Giacomino che ancora era quivi, il pregò che in casa sua il
menasse e veder gli facesse questa giovane. Giacomino il vi menò volentieri, e lei fece
venire dinanzi da lui. La quale come Bernabuccio vide, così tutto il viso della madre di
lei, che ancora bella donna era, gli parve vedere; ma pur, non stando a questo, disse a
Giacomino che di grazia voleva da lui poterle un poco levare i capelli sopra la sinistra
orecchia; di che Giacomino fu contento.
Bernabuccio, accostatosi a lei che vergognosamente stava,
levati colla man dritta i capelli, la croce vide; laonde, veramente conoscendo lei esser
la sua figliuola, teneramente cominciò a piagnere e ad abbracciarla, come che ella si
contendesse; e volto a Giacomin disse: - Fratel mio, questa è mia figliuola; la mia casa
fu quella che fu da Guidotto rubata, e costei nel furor subito vi fu dentro dalla mia
donna e sua madre dimenticata, e infino a qui creduto abbiamo che costei, nella casa che
mi fu quel dì stesso arsa, ardesse. -La giovane, udendo questo e vedendolo uomo attempato
e dando alle parole fede e da occulta virtù mossa, sostenendo li suoi abbracciamenti, con
lui teneramente cominciò a piagnere. Bernabuccio di presente mandò per la madre di lei e
per altre sue parenti e per le sorelle e per li fratelli di lei, e a tutti mostratala e
narrando il fatto, dopo mille abbracciamenti fatta la festa grande, essendone Giacomino
forte contento, seco a casa sua ne la menò. Saputo questo il capitano della città, che
valoroso uomo era, e conoscendo che Giannole, cui preso tenea, figliuolo era di
Bernabuccio e fratel carnale di costei, avvisò di volersi del fallo commesso da lui
mansuetamente passare; e intromessosi in queste cose con Bernabuccio e con Giacomino,
insieme a Giannole e a Minghino fece far pace; e a Minghino, con gran piacer di tutti i
suoi parenti, diede per moglie la giovane, il cui nome era Agnesa, e con loro insieme
liberò Crivello e gli altri che impacciati v'erano per questa cagione.
E Minghino appresso lietissimo fece le nozze belle e
grandi, e a casa menatalasi, con lei in pace e in bene poscia più anni visse.
Indici delle giornate
Indice delle novelle della quinta giornata
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 febbraio 1998