Dante Alighieri

LA DIVINA COMMEDIA

PARADISO

Canto I

mercoledì 13 aprile, mezzogiorno Paradiso terrestre, fino al verso 75; 
sfera del fuoco.
Beatrice, Dante Dante è attirato dallo spettacolo delle sfere celesti, mentre si diffonde una musica sublime e una luce di intensità inconcepibile sulla terra; intanto con Beatrice vola velocissima verso il Paradiso, libero da ogni impedimento e da ogni peccato.
Comincia la terza parte della Cantica, chiamata Paradiso, del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firenze. E di questa terza parte comincia il canto primo. Nel quale l'autore, poi che dimostrato ha sommariamente quello che in essa intende di trattare e fatta la sua invocazione se ne salisse nel primo cielo, e come ella gli solvesse un dubbio per lo suo veloce montare venutogli.
       La gloria di colui che tutto move 
per l'universo penetra, e risplende 
in una parte più e meno altrove. 
       Nel ciel che più de la sua luce prende 
fu' io, e vidi cose che ridire 
né sa né può chi di là sù discende; 
       perché appressando sé al suo disire, 
nostro intelletto si profonda tanto, 
che dietro la memoria non può ire. 
       Veramente quant'io del regno santo 
ne la mia mente potei far tesoro, 
sarà ora materia del mio canto. 
       O buono Appollo, a l'ultimo lavoro 
fammi del tuo valor sì fatto vaso, 
come dimandi a dar l'amato alloro. 
       Infino a qui l'un giogo di Parnaso 
assai mi fu; ma or con amendue 
m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. 
       Entra nel petto mio, e spira tue 
sì come quando Marsia traesti 
de la vagina de le membra sue. 
       O divina virtù, se mi ti presti 
tanto che l'ombra del beato regno 
segnata nel mio capo io manifesti, 
       vedra'mi al piè del tuo diletto legno 
venire, e coronarmi de le foglie 
che la materia e tu mi farai degno. 
       Sì rade volte, padre, se ne coglie 
per triunfare o cesare o poeta, 
colpa e vergogna de l'umane voglie, 
       che parturir letizia in su la lieta 
delfica deità dovria la fronda 
peneia, quando alcun di sé asseta. 
       Poca favilla gran fiamma seconda: 
forse di retro a me con miglior voci 
si pregherà perché Cirra risponda. 
       Surge ai mortali per diverse foci 
la lucerna del mondo; ma da quella 
che quattro cerchi giugne con tre croci, 
       con miglior corso e con migliore stella 
esce congiunta, e la mondana cera 
più a suo modo tempera e suggella. 
       Fatto avea di là mane e di qua sera 
tal foce, e quasi tutto era là bianco 
quello emisperio, e l'altra parte nera, 
       quando Beatrice in sul sinistro fianco 
vidi rivolta e riguardar nel sole: 
aquila sì non li s'affisse unquanco. 
       E sì come secondo raggio suole 
uscir del primo e risalire in suso, 
pur come pelegrin che tornar vuole, 
       così de l'atto suo, per li occhi infuso 
ne l'imagine mia, il mio si fece, 
e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso. 
       Molto è licito là, che qui non lece 
a le nostre virtù, mercé del loco 
fatto per proprio de l'umana spece. 
       Io nol soffersi molto, né sì poco, 
ch'io nol vedessi sfavillar dintorno, 
com'ferro che bogliente esce del foco; 
       e di sùbito parve giorno a giorno 
essere aggiunto, come quei che puote 
avesse il ciel d'un altro sole addorno. 
       Beatrice tutta ne l'etterne rote 
fissa con li occhi stava; e io in lei 
le luci fissi, di là sù rimote. 
       Nel suo aspetto tal dentro mi fei, 
qual si fé Glauco nel gustar de l'erba 
che 'l fé consorto in mar de li altri dèi. 
       Trasumanar significar per verba 
non si poria; però l'essemplo basti 
a cui esperienza grazia serba. 
       S'i' era sol di me quel che creasti 
novellamente, amor che 'l ciel governi, 
tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti. 
       Quando la rota che tu sempiterni 
desiderato, a sé mi fece atteso 
con l'armonia che temperi e discerni, 
       parvemi tanto allor del cielo acceso 
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume 
lago non fece alcun tanto disteso. 
       La novità del suono e 'l grande lume 
di lor cagion m'accesero un disio 
mai non sentito di cotanto acume. 
       Ond'ella, che vedea me sì com'io, 
a quietarmi l'animo commosso, 
pria ch'io a dimandar, la bocca aprio, 
       e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso 
col falso imaginar, sì che non vedi 
ciò che vedresti se l'avessi scosso. 
       Tu non se' in terra, sì come tu credi; 
ma folgore, fuggendo il proprio sito, 
non corse come tu ch'ad esso riedi». 
       S'io fui del primo dubbio disvestito 
per le sorrise parolette brevi, 
dentro ad un nuovo più fu' inretito, 
       e dissi: «Già contento requievi 
di grande ammirazion; ma ora ammiro 
com'io trascenda questi corpi levi». 
       Ond'ella, appresso d'un pio sospiro, 
li occhi drizzò ver' me con quel sembiante 
che madre fa sovra figlio deliro, 
       e cominciò: «Le cose tutte quante 
hanno ordine tra loro, e questo è forma 
che l'universo a Dio fa simigliante. 
       Qui veggion l'alte creature l'orma 
de l'etterno valore, il qual è fine 
al quale è fatta la toccata norma. 
       Ne l'ordine ch'io dico sono accline 
tutte nature, per diverse sorti, 
più al principio loro e men vicine; 
       onde si muovono a diversi porti 
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna 
con istinto a lei dato che la porti. 
       Questi ne porta il foco inver' la luna; 
questi ne' cor mortali è permotore; 
questi la terra in sé stringe e aduna; 
       né pur le creature che son fore 
d'intelligenza quest'arco saetta 
ma quelle c'hanno intelletto e amore. 
       La provedenza, che cotanto assetta, 
del suo lume fa 'l ciel sempre quieto 
nel qual si volge quel c'ha maggior fretta; 
       e ora lì, come a sito decreto, 
cen porta la virtù di quella corda 
che ciò che scocca drizza in segno lieto. 
       Vero è che, come forma non s'accorda 
molte fiate a l'intenzion de l'arte, 
perch'a risponder la materia è sorda, 
       così da questo corso si diparte 
talor la creatura, c'ha podere 
di piegar, così pinta, in altra parte; 
       e sì come veder si può cadere 
foco di nube, sì l'impeto primo 
l'atterra torto da falso piacere. 
       Non dei più ammirar, se bene stimo, 
lo tuo salir, se non come d'un rivo 
se d'alto monte scende giuso ad imo. 
       Maraviglia sarebbe in te se, privo 
d'impedimento, giù ti fossi assiso, 
com'a terra quiete in foco vivo». 
       Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
 
 

 
 

 
 
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Canto II

mercoledì 13 aprile Cielo I: Luna 
Intelligenze motrici: Angeli
Beatrice, Dante Spiegazione dell'origine delle macchie lunari;  
relazione tra grado di beatitudine e luminosità dei vari cieli.
Comincia il canto secondo del Paradiso. Nel quale l'autore, poi che a quegli che meno sofficienti sono alla presente considerazione ha detto che si rimangano, dimostra la cagione de' segni bui, li quali nel corpo della luna veggiamo.
       O voi che siete in piccioletta barca, 
desiderosi d'ascoltar, seguiti 
dietro al mio legno che cantando varca, 
       tornate a riveder li vostri liti: 
non vi mettete in pelago, ché forse, 
perdendo me, rimarreste smarriti. 
       L'acqua ch'io prendo già mai non si corse; 
Minerva spira, e conducemi Appollo, 
e nove Muse mi dimostran l'Orse. 
       Voialtri pochi che drizzaste il collo 
per tempo al pan de li angeli, del quale 
vivesi qui ma non sen vien satollo, 
       metter potete ben per l'alto sale 
vostro navigio, servando mio solco 
dinanzi a l'acqua che ritorna equale. 
       Que' gloriosi che passaro al Colco 
non s'ammiraron come voi farete, 
quando Iasón vider fatto bifolco. 
       La concreata e perpetua sete 
del deiforme regno cen portava 
veloci quasi come 'l ciel vedete. 
       Beatrice in suso, e io in lei guardava; 
e forse in tanto in quanto un quadrel posa 
e vola e da la noce si dischiava, 
       giunto mi vidi ove mirabil cosa 
mi torse il viso a sé; e però quella 
cui non potea mia cura essere ascosa, 
       volta ver' me, sì lieta come bella, 
«Drizza la mente in Dio grata», mi disse, 
«che n'ha congiunti con la prima stella». 
       Parev'a me che nube ne coprisse 
lucida, spessa, solida e pulita, 
quasi adamante che lo sol ferisse. 
       Per entro sé l'etterna margarita 
ne ricevette, com'acqua recepe 
raggio di luce permanendo unita. 
       S'io era corpo, e qui non si concepe 
com'una dimensione altra patio, 
ch'esser convien se corpo in corpo repe, 
       accender ne dovrìa più il disio 
di veder quella essenza in che si vede 
come nostra natura e Dio s'unio. 
       Lì si vedrà ciò che tenem per fede, 
non dimostrato, ma fia per sé noto 
a guisa del ver primo che l'uom crede. 
       Io rispuosi: «Madonna, sì devoto 
com'esser posso più, ringrazio lui 
lo qual dal mortal mondo m'ha remoto. 
       Ma ditemi: che son li segni bui 
di questo corpo, che là giuso in terra 
fan di Cain favoleggiare altrui?». 
       Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra 
l'oppinion», mi disse, «d'i mortali 
dove chiave di senso non diserra, 
       certo non ti dovrien punger li strali 
d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi 
vedi che la ragione ha corte l'ali. 
       Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». 
E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso 
credo che fanno i corpi rari e densi». 
       Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso 
nel falso il creder tuo, se bene ascolti 
l'argomentar ch'io li farò avverso. 
       La spera ottava vi dimostra molti 
lumi, li quali e nel quale e nel quanto 
notar si posson di diversi volti. 
       Se raro e denso ciò facesser tanto, 
una sola virtù sarebbe in tutti, 
più e men distributa e altrettanto. 
       Virtù diverse esser convegnon frutti 
di princìpi formali, e quei, for ch'uno, 
seguiterìeno a tua ragion distrutti. 
       Ancor, se raro fosse di quel bruno 
cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte 
fora di sua materia sì digiuno 
       esto pianeto, o, sì come comparte 
lo grasso e 'l magro un corpo, così questo 
nel suo volume cangerebbe carte. 
       Se 'l primo fosse, fora manifesto 
ne l'eclissi del sol per trasparere 
lo lume come in altro raro ingesto. 
       Questo non è: però è da vedere 
de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi, 
falsificato fia lo tuo parere. 
       S'elli è che questo raro non trapassi, 
esser conviene un termine da onde 
lo suo contrario più passar non lassi; 
       e indi l'altrui raggio si rifonde 
così come color torna per vetro 
lo qual di retro a sé piombo nasconde. 
       Or dirai tu ch'el si dimostra tetro 
ivi lo raggio più che in altre parti, 
per esser lì refratto più a retro. 
       Da questa instanza può deliberarti 
esperienza, se già mai la provi, 
ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti. 
       Tre specchi prenderai; e i due rimovi 
da te d'un modo, e l'altro, più rimosso, 
tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. 
       Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso 
ti stea un lume che i tre specchi accenda 
e torni a te da tutti ripercosso. 
       Ben che nel quanto tanto non si stenda 
la vista più lontana, lì vedrai 
come convien ch'igualmente risplenda. 
       Or, come ai colpi de li caldi rai 
de la neve riman nudo il suggetto 
e dal colore e dal freddo primai, 
       così rimaso te ne l'intelletto 
voglio informar di luce sì vivace, 
che ti tremolerà nel suo aspetto. 
       Dentro dal ciel de la divina pace 
si gira un corpo ne la cui virtute 
l'esser di tutto suo contento giace. 
       Lo ciel seguente, c'ha tante vedute, 
quell'esser parte per diverse essenze, 
da lui distratte e da lui contenute. 
       Li altri giron per varie differenze 
le distinzion che dentro da sé hanno 
dispongono a lor fini e lor semenze. 
       Questi organi del mondo così vanno, 
come tu vedi omai, di grado in grado, 
che di sù prendono e di sotto fanno. 
       Riguarda bene omai sì com'io vado 
per questo loco al vero che disiri, 
sì che poi sappi sol tener lo guado. 
       Lo moto e la virtù d'i santi giri, 
come dal fabbro l'arte del martello, 
da' beati motor convien che spiri; 
       e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello, 
de la mente profonda che lui volve 
prende l'image e fassene suggello. 
       E come l'alma dentro a vostra polve 
per differenti membra e conformate 
a diverse potenze si risolve, 
       così l'intelligenza sua bontate 
multiplicata per le stelle spiega, 
girando sé sovra sua unitate. 
       Virtù diversa fa diversa lega 
col prezioso corpo ch'ella avviva, 
nel qual, sì come vita in voi, si lega. 
       Per la natura lieta onde deriva, 
la virtù mista per lo corpo luce 
come letizia per pupilla viva. 
       Da essa vien ciò che da luce a luce 
par differente, non da denso e raro; 
essa è formal principio che produce, 
       conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro».
 
 

 
 

 
 
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Canto III

mercoledì 13 aprile Cielo I: Luna 

Intelligenze motrici: Angeli

Piccarda Donati, Costanza imperatrice Spiriti mancanti ai voti: immagini evanescenti, come apparissero da vetri tersi o da acque nitide. 
La felicità celeste nasce dalla perfetta adeguazione al volere dello Spirito e all'ordine dell'universo voluto da Dio. 
Piccarda svanisce cantando l'Ave Maria.
Comincia il canto terzo del Paradiso. Nel quale l'autore parla con madonna Piccarda; e ella gli solve un dubbio, mostrandogli ciascuna anima esser contenta nel luogo dove posta è in paradiso; e poi gli mostra Costanza imperadrice.
       Quel sol che pria d'amor mi scaldò 'l petto, 
di bella verità m'avea scoverto, 
provando e riprovando, il dolce aspetto; 
       e io, per confessar corretto e certo 
me stesso, tanto quanto si convenne 
leva' il capo a proferer più erto; 
       ma visione apparve che ritenne 
a sé me tanto stretto, per vedersi, 
che di mia confession non mi sovvenne. 
       Quali per vetri trasparenti e tersi, 
o ver per acque nitide e tranquille, 
non sì profonde che i fondi sien persi, 
       tornan d'i nostri visi le postille 
debili sì, che perla in bianca fronte 
non vien men forte a le nostre pupille; 
       tali vid'io più facce a parlar pronte; 
per ch'io dentro a l'error contrario corsi 
a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte. 
       Sùbito sì com'io di lor m'accorsi, 
quelle stimando specchiati sembianti, 
per veder di cui fosser, li occhi torsi; 
       e nulla vidi, e ritorsili avanti 
dritti nel lume de la dolce guida, 
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. 
       «Non ti maravigliar perch'io sorrida», 
mi disse, «appresso il tuo pueril coto, 
poi sopra 'l vero ancor lo piè non fida, 
       ma te rivolve, come suole, a vòto: 
vere sustanze son ciò che tu vedi, 
qui rilegate per manco di voto. 
       Però parla con esse e odi e credi; 
ché la verace luce che li appaga 
da sé non lascia lor torcer li piedi». 
       E io a l'ombra che parea più vaga 
di ragionar, drizza'mi, e cominciai, 
quasi com'uom cui troppa voglia smaga: 
       «O ben creato spirito, che a' rai 
di vita etterna la dolcezza senti 
che, non gustata, non s'intende mai, 
       grazioso mi fia se mi contenti 
del nome tuo e de la vostra sorte». 
Ond'ella, pronta e con occhi ridenti: 
       «La nostra carità non serra porte 
a giusta voglia, se non come quella 
che vuol simile a sé tutta sua corte. 
       I' fui nel mondo vergine sorella; 
e se la mente tua ben sé riguarda, 
non mi ti celerà l'esser più bella, 
       ma riconoscerai ch'i' son Piccarda, 
che, posta qui con questi altri beati, 
beata sono in la spera più tarda. 
       Li nostri affetti, che solo infiammati 
son nel piacer de lo Spirito Santo, 
letizian del suo ordine formati. 
       E questa sorte che par giù cotanto, 
però n'è data, perché fuor negletti 
li nostri voti, e vòti in alcun canto». 
       Ond'io a lei: «Ne' mirabili aspetti 
vostri risplende non so che divino 
che vi trasmuta da' primi concetti: 
       però non fui a rimembrar festino; 
ma or m'aiuta ciò che tu mi dici, 
sì che raffigurar m'è più latino. 
       Ma dimmi: voi che siete qui felici, 
disiderate voi più alto loco 
per più vedere e per più farvi amici?». 
       Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco; 
da indi mi rispuose tanto lieta, 
ch'arder parea d'amor nel primo foco: 
       «Frate, la nostra volontà quieta 
virtù di carità, che fa volerne 
sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta. 
       Se disiassimo esser più superne, 
foran discordi li nostri disiri 
dal voler di colui che qui ne cerne; 
       che vedrai non capere in questi giri, 
s'essere in carità è qui necesse
e se la sua natura ben rimiri. 
       Anzi è formale ad esto beato esse 
tenersi dentro a la divina voglia, 
per ch'una fansi nostre voglie stesse; 
       sì che, come noi sem di soglia in soglia 
per questo regno, a tutto il regno piace 
com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia. 
       E 'n la sua volontade è nostra pace: 
ell'è quel mare al qual tutto si move 
ciò ch'ella cria o che natura face». 
       Chiaro mi fu allor come ogne dove 
in cielo è paradiso, etsi la grazia 
del sommo ben d'un modo non vi piove. 
       Ma sì com'elli avvien, s'un cibo sazia 
e d'un altro rimane ancor la gola, 
che quel si chere e di quel si ringrazia, 
       così fec'io con atto e con parola, 
per apprender da lei qual fu la tela 
onde non trasse infino a co la spuola. 
       «Perfetta vita e alto merto inciela 
donna più sù», mi disse, «a la cui norma 
nel vostro mondo giù si veste e vela, 
       perché fino al morir si vegghi e dorma 
con quello sposo ch'ogne voto accetta 
che caritate a suo piacer conforma. 
       Dal mondo, per seguirla, giovinetta 
fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi 
e promisi la via de la sua setta. 
       Uomini poi, a mal più ch'a bene usi, 
fuor mi rapiron de la dolce chiostra: 
Iddio si sa qual poi mia vita fusi. 
       E quest'altro splendor che ti si mostra 
da la mia destra parte e che s'accende 
di tutto il lume de la spera nostra, 
       ciò ch'io dico di me, di sé intende; 
sorella fu, e così le fu tolta 
di capo l'ombra de le sacre bende. 
       Ma poi che pur al mondo fu rivolta 
contra suo grado e contra buona usanza, 
non fu dal vel del cor già mai disciolta. 
       Quest'è la luce de la gran Costanza 
che del secondo vento di Soave 
generò 'l terzo e l'ultima possanza». 
       Così parlommi, e poi cominciò 'Ave
Maria' cantando, e cantando vanio 
come per acqua cupa cosa grave. 
       La vista mia, che tanto lei seguio 
quanto possibil fu, poi che la perse, 
volsesi al segno di maggior disio, 
       e a Beatrice tutta si converse; 
ma quella folgorò nel mio sguardo 
sì che da prima il viso non sofferse; 
       e ciò mi fece a dimandar più tardo.
 
 

 
 

 
 
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998