Dante Alighieri
LA DIVINA COMMEDIA
INFERNO
sabato 9 aprile, verso le sei del mattino, al sorgere del sole. | cerchio VIII, bolgia IV: Dante non fornisce particolari dettagli sul luogo | Anfiarao, Tiresia, Aronte, Manto, Euripile, Michele Scotto, Guido Bonatti, Asdente, maghi e indovine | maghi e indovini: si muovono lentamente in cerchio, con un pianto ininterrotto senza parola, mentre il corpo è deformato: la testa girata all'indietro e ognuno era costretto a camminare a ritroso, perché era loro vietato guardare davanti. |
Comincia il canto vigesimo dello 'Nferno. Nel quale l'autore discende nella quarta bolgia, nella qual truova coloro li quali vollero antivedere, fatturieri e maliosi, tutti travolti; e alcuna cosa parla della origine di Mantova. |
Di nova pena mi conven
far versi e dar matera al ventesimo canto de la prima canzon chè di sommersi. Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava dangoscioso pianto; e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo. Come l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra l mento e l principio del casso; ché da le reni era tornato l volto, e in dietro venir li convenia, perché l veder dinanzi era lor tolto. Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto; ma io nol vidi, né credo che sia. Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto di tua lezione, or pensa per te stesso comio potea tener lo viso asciutto, quando la nostra imagine di presso vidi sì torta, che l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso. Certo io piangea, poggiato a un de rocchi del duro scoglio, sì che la mia scorta mi disse: «Ancor se tu de li altri sciocchi? Qui vive la pietà quandè ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta? Drizza la testa, drizza, e vedi a cui saperse a li occhi di Teban la terra; per chei gridavan tutti: "Dove rui, Anfiarao? perché lasci la guerra?". E non restò di ruinare a valle fino a Minòs che ciascheduno afferra. Mira cha fatto petto de le spalle: perché volle veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle. Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne cangiandosi le membra tutte quante; e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne. Aronta è quel chal ventre li satterga, che ne monti di Luni, dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga, ebbe tra bianchi marmi la spelonca per sua dimora; onde a guardar le stelle e l mar no li era la veduta tronca. E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle, Manto fu, che cerc per terre molte; poscia si puose là dove nacquio; onde un poco mi piace che mascolte. Poscia che l padre suo di vita uscìo, e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gìo. Suso in Italia bella giace un laco, a piè de lAlpe che serra Lamagna sovra Tiralli, cha nome Benaco. Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica e Pennino de lacqua che nel detto laco stagna. Loco è nel mezzo là dove l trentino pastore e quel di Brescia e l veronese segnar poria, se fesse quel cammino. Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva ntorno più discese. Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi. Tosto che lacqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po. Non molto ha corso, chel trova una lama, ne la qual si distende e la mpaluda; e suol di state talor essere grama. Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e dabitanti nuda. Lì, per fuggire ogne consorzio umano, ristette con suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. Li uomini poi che ntorno erano sparti saccolsero a quel loco, chera forte per lo pantan chavea da tutte parti. Fer la città sovra quellossa morte; e per colei che l loco prima elesse, Mantua lappellar sanzaltra sorte. Già fuor le genti sue dentro più spesse, prima che la mattia da Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse. Però tassenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi». E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti mi son sì certi e prendon sì mia fede, che li altri mi sarien carboni spenti. Ma dimmi, de la gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota; ché solo a ciò la mia mente rifiede». Allor mi disse: «Quel che da la gota porge la barba in su le spalle brune, fu - quando Grecia fu di maschi vòta, sì cha pena rimaser per le cune - augure, e diede l punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune. Euripilo ebbe nome, e così l canta lalta mia tragedìa in alcun loco: ben lo sai tu che la sai tutta quanta. Quellaltro che ne fianchi è così poco, Michele Scotto fu, che veramente de le magiche frode seppe l gioco. Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, chavere inteso al cuoio e a lo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente. Vedi le triste che lasciaron lago, la spuola e l fuso, e fecersi ndivine; fecer malie con erbe e con imago. Ma vienne omai, ché già tiene l confine damendue li emisperi e tocca londa sotto Sobilia Caino e le spine; e già iernotte fu la luna tonda: ben ten de ricordar, ché non ti nocque alcuna volta per la selva fonda». Sì mi parlava, e andavamo introcque. |
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sabato 9 aprile, le sette antimeridiane. | cerchio VIII, bolgia V: molto buia, mentre sul fondo bolle una nera pece. | Malebranche: Malacoda, Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello, Rubicante; l'anzian di Santa Zita. | barattieri: truffatori vissuti di inganni e raggiri, approfittato della posizione politica e delle cariche pubbliche, privi di ogni morale, tesi al proprio tornaconto dimentichi del bene collettivo: sono attuffati nella pece bollente, mentre i diavoli che li sorvegliano dalle rocce impediscono loro di uscirne, pronti ad afferrarli coi loro uncini. |
Comincia il canto vigesimoprimoo dello 'Nferno. Nel quale l'autore, venuto nella quinta bolgia, mostra come in una bogliente pegola si puniscano i barattieri, e come in quella è gittato un lucchese; e come, volendo andare avanti, son dati loro dieci diavoli in compagnia. |
Così di ponte in ponte,
altro parlando che la mia comedìa cantar non cura, venimmo; e tenavamo il colmo, quando restammo per veder laltra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; e vidila mirabilmente oscura. Quale ne larzanà de Viniziani bolle linverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani, ché navicar non ponno - in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece; chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa -; tal, non per foco, ma per divinarte, bollia là giuso una pegola spessa, che nviscava la ripa dogne parte. I vedea lei, ma non vedea in essa mai che le bolle che l bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa. Mentrio là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», mi trasse a sé del loco dovio stava. Allor mi volsi come luom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, che, per veder, non indugia l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per lo scoglio venire. Ahi quantelli era ne laspetto fero! e quanto mi parea ne latto acerbo, con lali aperte e sovra i piè leggero! Lomero suo, chera aguto e superbo, carcava un peccator con ambo lanche, e quei tenea de piè ghermito l nerbo. Del nostro ponte disse: «O Malebranche, ecco un de li anzian di Santa Zita! Mettetel sotto, chi torno per anche a quella terra che nè ben fornita: ognuom vè barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar vi si fa ita». Là giù l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo. Quel sattuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto: qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuo di nostri graffi, non far sopra la pegola soverchio». Poi laddentar con più di cento raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascosamente accaffi». Non altrimenti i cuoci a lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli. Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù tacquatta dopo uno scheggio, chalcun schermo taia; e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, chi ho le cose conte, perchaltra volta fui a tal baratta». Poscia passò di là dal co del ponte; e comel giunse in su la ripa sesta, mestier li fu daver sicura fronte. Con quel furore e con quella tempesta chescono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove sarresta, usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutti runcigli; ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! Innanzi che luncin vostro mi pigli, traggasi avante lun di voi che moda, e poi darruncigliarmi si consigli». Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per chun si mosse - e li altri stetter fermi -, e venne a lui dicendo: «Che li approda?». «Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto», disse l mio maestro, «sicuro già da tutti vostri schermi, sanza voler divino e fato destro? Lascianandar, ché nel cielo è voluto chi mostri altrui questo cammin silvestro». Allor li fu lorgoglio sì caduto, che si lasciò cascar luncino a piedi, e disse a li altri: «Omai non sia feruto». E l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi». Per chio mi mossi, e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì chio temetti chei tenesser patto; così vidio già temer li fanti chuscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti. I maccostai con tutta la persona lungo l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor chera non buona. Ei chinavan li raffi e «Vuo che l tocchi», diceva lun con laltro, «in sul groppone?». E rispondien: «Sì, fa che glielaccocchi!». Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto, e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo larco sesto. E se landare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face. Ier, più oltre cinquore che questotta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta. Io mando verso là di questi miei a riguardar salcun se ne sciorina; gite con lor, che non saranno rei». «Trati avante, Alichino, e Calcabrina», cominci elli a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegnoltre e Draghignazzo, Ciriatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo. Cercate ntorno le boglienti pane; costor sian salvi infino a laltro scheggio che tutto intero va sovra le tane». «Omè, maestro, che è quel chi veggio?», dissio, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa ir; chi per me non la cheggio. Se tu se sì accorto come suoli, non vedi tu che digrignan li denti, e con le ciglia ne minaccian duoli?». Ed elli a me: «Non vo che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, che fanno ciò per li lessi dolenti». Per largine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta. |
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sabato 9 aprile, le sette antimeridiane. | cerchio VIII, bolgia V: molto buia, mentre sul fondo bolle una nera pece. | Ciampolo, i dieci diavoli del canto XXI, frate Gomita, Michele Zanche | barattieri: sono attuffati nella pece bollente, mentre i diavoli che li sorvegliano dalle rocce impediscono loro di uscirne, pronti ad afferrarli coi loro uncini. |
Comincia il canto vigesimosecondo dello 'Nferno. Nel quale l'autor discrive come i demòni presero con gli uncini un navarrese, il quale, alcune cose raccontate, subito si gittò nella pegola; per la qual ripigliare i demòni, volando sopra la pece, s'impegolarono. |
Io vidi già cavalier
muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra; quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; né già con sì diversa cennamella cavalier vidi muover né pedoni, né nave a segno di terra o di stella. Noi andavam con li diece demoni. Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni. Pur a la pegola era la mia ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno e de la gente chentro vera incesa. Come i dalfini, quando fanno segno a marinar con larco de la schiena, che sargomentin di campar lor legno, alor così, ad alleggiar la pena, mostravalcun de peccatori il dosso e nascondea in men che non balena. E come a lorlo de lacqua dun fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, sì che celano i piedi e laltro grosso, sì stavan dogne parte i peccatori; ma come sappressava Barbariccia, così si ritraén sotto i bollori. I vidi, e anco il cor me naccapriccia, uno aspettar così, comelli ncontra chuna rana rimane e laltra spiccia; e Graffiacan, che li era più di contra, li arruncigliò le mpegolate chiome e trassel sù, che mi parve una lontra. I sapea già di tutti quanti l nome, sì li notai quando fuorono eletti, e poi che si chiamaro, attesi come. «O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!», gridavan tutti insieme i maladetti. E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi». Lo duca mio li saccostò allato; domandollo ondei fosse, e quei rispuose: «I fui del regno di Navarra nato. Mia madre a servo dun segnor mi puose, che mavea generato dun ribaldo, distruggitor di sé e di sue cose. Poi fui famiglia del buon re Tebaldo: quivi mi misi a far baratteria; di chio rendo ragione in questo caldo». E Ciriatto, a cui di bocca uscia dogne parte una sanna come a porco, li fé sentir come luna sdruscia. Tra male gatte era venuto l sorco; ma Barbariccia il chiuse con le braccia, e disse: «State in là, mentrio lo nforco». E al maestro mio volse la faccia: «Domanda», disse, «ancor, se più disii saper da lui, prima chaltri l disfaccia». Lo duca dunque: «Or dì : de li altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece?». E quelli: «I mi partii, poco è, da un che fu di là vicino. Così fossio ancor con lui coperto, chi non temerei unghia né uncino!». E Libicocco «Troppo avem sofferto», disse; e preseli l braccio col runciglio, sì che, stracciando, ne portò un lacerto. Draghignazzo anco i volle dar di piglio giuso a le gambe; onde l decurio loro si volse intorno intorno con mal piglio. Quandelli un poco rappaciati fuoro, a lui, chancor mirava sua ferita, domandò l duca mio sanza dimoro: «Chi fu colui da cui mala partita di che facesti per venire a proda?». Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita, quel di Gallura, vasel dogne froda, chebbe i nemici di suo donno in mano, e fé sì lor, che ciascun se ne loda. Danar si tolse, e lasciolli di piano, sì come dice; e ne li altri offici anche barattier fu non picciol, ma sovrano. Usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro; e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche. Omè, vedete laltro che digrigna: i direi anche, ma i temo chello non sapparecchi a grattarmi la tigna». E l gran proposto, vòlto a Farfarello che stralunava li occhi per fedire, disse: «Fatti n costà, malvagio uccello!». «Se voi volete vedere o udire», ricominciò lo spaurato appresso «Toschi o Lombardi, io ne farò venire; ma stieno i Malebranche un poco in cesso, sì chei non teman de le lor vendette; e io, seggendo in questo loco stesso, per un chio son, ne farò venir sette quandio suffolerò, comè nostro uso di fare allor che fori alcun si mette». Cagnazzo a cotal motto levò l muso, crollando l capo, e disse: «Odi malizia chelli ha pensata per gittarsi giuso!». Ondei, chavea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo, quandio procuro a mia maggior trestizia». Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo, ma batterò sovra la pece lali. Lascisi l collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali». O tu che leggi, udirai nuovo ludo: ciascun da laltra costa li occhi volse; quel prima, cha ciò fare era più crudo. Lo Navarrese ben suo tempo colse; ferm le piante a terra, e in un punto salt e dal proposto lor si sciolse. Di che ciascun di colpa fu compunto, ma quei più che cagion fu del difetto; per si mosse e gridò: «Tu se giunto!». Ma poco i valse: ché lali al sospetto non potero avanzar: quelli andò sotto, e quei drizzò volando suso il petto: non altrimenti lanitra di botto, quando l falcon sappressa, giù sattuffa, ed ei ritorna sù crucciato e rotto. Irato Calcabrina de la buffa, volando dietro li tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa; e come l barattier fu disparito, così volse li artigli al suo compagno, e fu con lui sopra l fosso ghermito. Ma laltro fu bene sparvier grifagno ad artigliar ben lui, e amendue cadder nel mezzo del bogliente stagno. Lo caldo sghermitor sùbito fue; ma però di levarsi era neente, sì avieno inviscate lali sue. Barbariccia, con li altri suoi dolente, quattro ne fé volar da laltra costa con tutti raffi, e assai prestamente di qua, di là discesero a la posta; porser li uncini verso li mpaniati, cheran già cotti dentro da la crosta; e noi lasciammo lor così mpacciati. |
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© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 07 febbraio, 1998