Giuseppe Bonghi
Biografia
di
Giovanni Boccaccio
parte prima | parte seconda | parte terza |
adolescenza | giovinezza | maturità |
L'ADOLESCENZA
L'infanzia
Giovanni Boccaccio
nasce a Certaldo (o a Firenze, secondo una ipotesi secondaria) nel mese di giugno o luglio
del 1313, fuori del matrimonio, frutto di una relazione giovanile. Il padre fu Boccaccio
(detto Boccaccino) di Chellino, un mercante facoltoso di Certaldo, agente della potente
compagnia dei Bardi, e la madre una donna che si ipotizza di umili origini tanto che,
Chellino non avrebbe potuto sposare, senza mettere a rischio il suo futuro e l'ingresso
nella ristretta cerchia dei grandi mercatanti fiorentini che in quegli anni stavano
accumulando enormi ricchezze. Una luce leggendaria circonda i natali di Boccaccio: si dice
perfino che sia nato a Parigi dagli amori con una gentildonna e perfino con una figlia di
re, una certa Jeanne, una leggenda riportata da molti biografi e raccolte di biografie
anche dellOttocento; una leggenda, o forse addirittura la realtà; ma questo non si
può provare, stante la mancanza di documenti inequivocabili, anche se viene accreditata
dallo stesso Giovanni in alcuni indizi autobiografici disseminati qua e là nelle sue
opere, insieme al fatto che il padre effettivamente aveva soggiornato a Parigi nel primo
trimestre del 1313 alloggiato presso la chiesa di Saint-Jacques-la-Boucherie, e lo stesso
Giovanni "sembra riferire a ricordi o a impressioni dirette o indirette del padre
quanto narra nel De casibus (IX 21) sul rogo dei Templari (12 maggio 1310) e sul
supplizio di Giacomo di Molay (18 o 19 marzo 1314)" (Branca). Al di là comunque
delle favole o della realtà sul luogo di nascita del Boccaccio, resta il fatto che mai lo
scrittore accenna alla madre, che viene sempre ignorata anche dai documenti ufficiali che
riguardano la sua famiglia.
Della madre, quindi, nulla sappiamo,
smentendo il famoso detto, che vuole certa la madre e incerto il padre; ma del padre
sappiamo che senza esitazione riconosce ufficialmente e porta a casa il piccolo Giovanni,
tenendolo nella sua famiglia dove vivrà assieme agli altri fratelli con pari diritti
forse già prima di unirsi in matrimonio nel 1319 con Margherita dei Mardoli parente della
famiglia Portinari (che ci ricorda la Beatrice di Dante che era andata sposa appunto a
Folco dei Portinari). Questo matrimonio, dal quale nasce ben presto il fratellastro
Francesco (1320), dovette rappresentare davvero una delusione per il piccolo Giovanni, se
è vero che i rapporti col padre non saranno mai privi di un certo atteggiamento
rancoroso, secondo alcuni critici; e questo atteggiamento porta come frutto a una qualche
avversione per il genitore e per ciò che rappresenta, tanto più che cerca di avviarlo
alla professione mercantile per la quale non si sente affatto portato (d'altro canto
bisogna notare anche come in certe opere è presente una sorta di venerato rispetto per il
padre).
Il Nostro trascorre l'infanzia in
uno dei centri della vita mercantile fiorentina (V. Branca), il quartiere fiorentino di
San Pier Maggiore (Gonfalone delle Chiavi), il quartiere in cui si inurbavano tutti coloro
che erano "di Campi, di Certaldo e di Fegghine" e quindi anche la comunità
proveniente dalla Valdelsa, dove fin dal 1313-1314, presumibilmente al ritorno da Parigi e
con le migliorate condizioni economiche, si era trasferito Boccaccino, che ottiene la
cittadinanza fiorentina il 16 maggio 1320 in un periodo di grandi successi economici e
sociali, tanto che lo vediamo Priore nel bimestre dal 15 dicembre 1322 al 14 febbraio 1323
subito dopo console dell'Arte del Cambio, carica che terrà anche nella seconda metà del
1324.
Già a sei anni Giovanni conosce i primi
rudimenti del leggere e dello scrivere e ben presto viene affidato alle cure di un buon
maestro, Giovanni di Domenico Mazzuoli da Strada, padre del poeta Zanobi che aveva un solo
anno più di Giovanni, con il quale manterrà rapporti di cordiale amicizia sia a Napoli
che a Firenze, dal quale riceve i primi rudimenti culturali e forse quell'amore per Dante
così importante lungo tutta la sua vita: Dante, pur esule, dominava già la cultura
fiorentina del tempo. Zanobi verrà fatto incoronare poeta dall'Acciauoli, gran Siniscalco
del re di Napoli.
Sono anni sicuramente un po' difficili:
da un lato un non perfetto accordo con la matrigna e il contrastato sentimento che nasce
nell'animo di ciascun bambino di vivere con una donna che non è la propria madre e che
per quanto faccia molto per capire non potrà mai arrivare a sentire dentro il proprio
bambino, come solo una madre può fare; dall'altro lato un padre un po' troppo preso dagli
affari della "mercatanzia". E quando ci si dedica troppo all'accumulazione di
soldi, inevitabilmente si finisce col tralasciare la famiglia e coll'obbligare gli altri a
fare e ad agire, magari contro il proprio carattere e il proprio sentire.
Adolescenza a Napoli.
Mentre il fanciullo
dimostrava una vivissima inclinazione per la poesia e progrediva nello studio dei latino
sotto la guida di Giovanni Mazzuoli da Strada, il padre ne voleva invece fare un mercante;
e forse con l'intenzione di renderlo esperto in tale professione, più che per
allontanarlo dai maltrattamenti della matrigna, lo mandò, appena giovinetto, a Napoli nel
1325 secondo alcuni o più verosimilmente nel 1327, in autunno, quando vi si trasferisce
il padre stesso, forse dopo aver venduto la casa di San Pier Maggiore. Proprio a Napoli i
Fiorentini avevano costituito un importante centro di affari e lì troviamo Boccaccino il
30 novembre di quell'anno come collaboratore e associato dei Bardi che avevano
monopolizzato gli affari economici del Regno insieme ai Peruzzi e agli Acciaiuoli. E
sempre a Napoli Boccaccino era già conosciuto per aver ricoperto incarichi pubblici
nominato da Carlo Duca di Calabria, e figlio di Roberto re di Napoli, chiamato ad assumere
nel 1326 la Signoria di Firenze.
A Napoli ovviamente Boccaccino era in
continue relazioni con la corte, tanto che, per prestazioni di carattere finanziario resi
al re Roberto d'Angiò, fu da questo insignito negli anni 1328 e 1329 degli titoli di consiliarius,
cambellanus, mercator, familiaris et fidelis noster, che pur essendo soltanto
onorifici, dimostrano comunque a quale grado di stima era giunto, e quindi a quale
livello poteva situarsi l'accettabilità della presenza sua e del giovane Giovanni presso
la Corte. Con ciò, facilmente si spiega l'insistenza di Boccaccino nel volersi trarre
dietro, sulle proprie orme, l'intelligente e promettente figliuolo, senza troppo badare
alla particolare vocazione del giovinetto, che comunque per le sue doti e per la sua
inclinazione alla letteratura non mancò occasione di farsi apprezzare a corte dove ha la
possibilità di ampliare notevolmente il campo della propria esperienza intellettuale e
culturale.
Comunque il giovane Boccaccio trascorre
sei inutili anni nel commercio e nel frattempo, a diciotto anni (1331) viene avviato agli
studi di diritto canonico, intrapresi di mala voglia e solo per obbedire alla volontà
paterna, col rammarico, che gli durerà tutta la vita, di aver perduto l'occasione di
divenire un buon poeta, senza riuscire per di più né commerciante né canonista (De
genealogiis, XV, 10). Tra i suoi maestri presso lo Studio napoletano ha avuto
probabilmente Cino da Pistoia, (1330-31) giurista e poeta toscano, l'ultimo degli
stilnovisti che esercita su di lui un influsso notevole sicuramente più nel campo della
letteratura che in quello degli studi giuridici. È a questo punto che si dedica
completamente allo studio delle "lettere", sotto la guida e col consiglio dei
più autorevoli eruditi della corte napoletana come l'esperto di mitologia Paolo da
Perugia, bibliotecario del re e molto versato nella mitologia, come ricorderà più tardi
con riconoscenza lo stesso Boccaccio nel De genealogiis, l'astronomo Andalò del
Negro (morto nel 1354), lo storico Paolo Minorita e di amici come Dionigi da San Sepolcro,
Barbato da Sulmona, Giovanni Barrili ed altri, nella vita gioiosa e signorile della Corte
angioina della città di Napoli che era diventata un punto d'incontro obbligato della
civiltà italo-francese con quella arabo-bizantina e che tanto influsso avrà sulla sua
formazione culturale e artistica.
A Napoli conosce pure, in vari tempi, il giureconsulto Giovanni Barrili, Dionigi da Borgo
S. Sepolcro e il notaio regio Barbato da Sulmona, tutti amici fedeli e ammiratori del
Petrarca: inoltre, sotto la guida dei monaco calabrese Barlaam, comincia lo studio della
lingua greca, da lui sfoggiata nei titoli delle proprie opere e nella creazione dei nomi
dei suoi personaggi, e lo continua a Firenze, sotto la direzione di un altro calabrese,
Leonzio Pilato, lettore in quello Studio e primo traduttore dei poemi omerici, quando
qualche anno, come vedremo, dopo sarà ospite a Firenze dello stesso Boccaccio. Con queste
fruttuose relazioni, naturalmente si accrescevano in lui l'innata tendenza alla poesia e
l'ardore per l'antica sapienza, quando un avvenimento straordinario sopraggiunse a fargli
troncare senz'altro gli odiati studi legali. Invece che dagli studi giuridici e canonici,
maggior profitto e diletto egli trae certamente, oltre che dalla lettura degli antichi
poeti, tra i quali Virgilio, Ovidio e Stazio erano i prediletti.
Nella città partenopea Boccaccio trovò
un ambiente per molti versi adatto al suo temperamento e favorevole ale sue inclinazioni,
e potè giovarsi di un'esperienza umana e sociale, oltre che culturale (importante fu
l'approccio con la cultura greco-antica), che influì in modo fondamentale sulla sua
formazione come uomo e come artista. Lo stesso incantevole paesaggio della baia di Napoli,
con la costiera amalfitana, riempiva gli occhi e l'animo del giovane assetato di bellezza
e di vitalità e che nel cuore aveva pur sempre un'altra bellezza paesaggistica, diversa
ma altrettanto importante come quella di Firenze.
La natura di una gente accesa ed
esuberante, una corte reale in cui alla vita gaia e spensierata si univa una aristocratica
raffinatezza e gentilezza, accompagnate da un vivo amore per l'arte e la cultura, un re
Roberto d'Angiò che conservava in sè una lunga tradizione partenopea di mecenatismo:
tutto apriva nel cuore del giovane Boccaccio un mondo lungamente sognato, in cui avrebbe
potuto espandersi quella sua gioia di vivere, quel suo bisogno di vita in cui occupavano
un posto importante il sentimento dell'amore, la visione della bellezza, la concezione
della gentilezza del comportamento umano e la luce che promana dagli studi e dall'arte.
Fiammetta
Su questo sfondo, nell'ambito di una quotidianità dominata da un lato da avidi entusiasmi culturali e dall'altro da esperienze di vita felici proprio perché giovanili, quando toccava i ventitré anni ed era a Napoli già da circa otto anni, la mattina del sabato santo 30 marzo 1331, nella chiesa di S. Lorenzo incontra una gentildonna; così nel Filocolo descrive l'incontro:
Quegli che dopo lui rimase successore nel reale trono, lasciò appresso di sé molti figliuoli: tra' quali uno, nominato Ruberto, nella reale dignità constituto, rimase integramente con l'aiuto di Pallade reggendo ciò che da' suoi predecessori gli fu lasciato. E avanti che alla reale eccellenza pervenisse, costui, preso del piacere d'una gentilissima giovane dimorante nelle reali case, generò di lei una bellissima figliuola; ben che volendo di sé e della giovane donna servare l'onore, con tacito stile, sotto nome appositivo d'altro padre teneramente la nutricò, e lei nomò del nome di colei che in sé contenne la redenzione del misero perdimento che avvenne per l'ardito gusto della prima madre. Questa giovane, come in tempo crescendo procedea, così di mirabile virtù e bellezza s'adornava, patrizzando così eziandio ne' costumi, come nell'altre cose facea; e per le sue notabili bellezze e opere virtuose più volte facea pensare a molti che non d'uomo ma di Dio figliuola stata fosse.
Avvenne che un giorno, la cui prima ora Saturno avea signoreggiata, essendo già Febo co' suoi cavalli al sedecimo grado del celestiale Montone pervenuto, e nel quale il glorioso partimento del figliuolo di Giove dagli spogliati regni di Plutone si celebrava, io, della presente opera componitore, mi ritrovai in un grazioso e bel tempio in Partenope, nominato da colui che per deificare sostenne che fosse fatto di lui sacrificio sopra la grata; e quivi con canto pieno di dolce melodia ascoltava l'uficio che in tale giorno si canta, celebrato da' sacerdoti successori di colui che prima la corda cinse umilemente essaltando la povertade e quella seguendo. Ove io dimorando, e già essendo, secondo che 'l mio intelletto estimava, la quarta ora del giorno sopra l'orientale orizonte passata, apparve agli occhi miei la mirabile bellezza della prescritta giovane, venuta in quel luogo a udire quello ch'io attentamente udiva: la quale sì tosto com'io ebbi veduta, il cuore cominciò sì forte a tremare, che quasi quel tremore mi rispondeva per li menomi polsi del corpo smisuratamente; e non sappiendo per che, né ancora sentendo quello che egli già s'imaginava che avvenire gli dovea per la nuova vista, incominciai a dire: "Ohimè! o che è questo?"; e forte dubitava non altro accidente noioso fosse. Ma dopo alquanto spazio rassicurato, un poco presi ardire, e intentivamente cominciai a rimirare ne' begli occhi dell'adorna giovane; ne' quali io vidi dopo lungo guardare, Amore in abito tanto pietoso, che me, cui lungamente a mia instanza aveva risparmiato, fece tornare disideroso d'essergli per così bella donna suggetto. E non potendomi saziare di rimirare quella, così cominciai a dire: - Valoroso signore, alle cui forze non poterono resistere gl'iddi, io ti ringrazio, però che tu hai dinanzi agli occhi miei posta la mia beatitudine: e già il freddo cuore, sentendo la dolcezza del tuo raggio, si comincia a riscaldare. Adunque io, il quale ho la tua signoria lungamente temendo fuggita, ora ti priego che tu, mediante la virtù de' begli occhi ove sì pietoso dimori, entri in me con la tua deitade. Io non ti posso più fuggire, né di fuggirti disidero, ma umile e divoto mi sottometto a' tuoi piaceri. Io non avea dette queste parole, che i lucenti occhi della bella donna sintillando guardarono ne' miei con aguta luce, per la quale luce una focosa saetta, d'oro al mio parere, vidi venire, e quella, per li miei occhi passando, percosse sì forte il cuore del piacere della bella donna, che ritornando egli nel primo tremore ancora trema; e in esso entrata, v'accese una fiamma, secondo il mio avviso, inestinguibile, e di tanto valore, che ogni intendimento dell'anima ha rivolto a pensare delle maravigliose bellezze della vaga donna.
È la donna ch'egli
immortalerà sotto il finto nome di Fiammetta, per la quale scrive un grande
romanzo d'amore, il Filocolo, che contiene appunto le varie e inebrianti
avventure d'amore della sua prima gioventù. Se ne innamora appassionatamente, la
corteggia senza posa, la incensa e loda le sue bellezze con una grande abbondanza di
sonetti e di canzoni, e lei, a differenza di Monna Beatrice e di Madonna Laura, gli
concede poco dopo i suoi favori. L'umile ma attraente (non tanto fisicamente quanto
intellettivamente e culturalmente) figliuolo del mercante certaldese poteva dirsi
orgoglioso di tanta conquista, giacché l'amata era, come abbiamo accennato, con qualche
probabilità di verità, la nobildonna Maria dei conti di Aquino, figlia naturale, si
diceva, del re Roberto, press'a poco della stessa età del Boccaccio, ma ahimè già
sposata a un gentiluomo napoletano. Ma il vero nome di questa donna resta, comunque,
avvolto in un alone di mistero, non esistendo nei documenti ufficiali riguardanti la
famiglia d'Aquino, cercati ed esaminati attentamente dai critici, nessuna donna col nome
di Maria. L'amore, in un primo momento corrisposto, finirà per volontà di lei e il
finale sarà angoscioso per il Boccaccio, che ne resterà segnato per sempre.
Fiammetta, dunque, rende beato per
alcuni anni il suo appassionato adoratore, sia a Napoli che a Baia, luogo di villeggiatura
del patriziato partenopeo. La donna, non solo gli facilita l'accesso alla corte del re
Roberto, ma, quel che più conta, eccita in lui la nobile ambizione di distinguersi dalla
schiera di ammiratori e cortigiani per imporsi all'attenzione colla sola e vera arma che
possiede e per la quale aveva già riscosso qualche ammirazione: la poesia: la sua
vicinanza, dobbiamo presumere con una certa concretezza, lo esorta a dedicarsi tutto alle
lettere e lo ispira a comporre la serie dei suoi romanzi e poemi giovanili, dal Filocolo
al Filostrato, dal Teseida all'Ameto, dalla Fiammetta all'Amorosa
Visione.
Ma la corrispondenza d'affetto, così
facilmente conseguita, non sarà esente da gelosie, da preoccupazioni, da sospetti, da
problemi (lei sposata, lui "straniero" a Napoli) di cui si sente l'eco dolorosa
e vibrante nel sonetto LXXII, in cui esprime il dolore per un amore ormai finito e
l'impotente rabbia contro Baia, la stazione marina che accoglie la nobiltà di Napoli che
coi suoi licenziosi costumi ha pervertito la mente casta e pura della sua donna, facendola
volare verso altri amori e ha dato a lui una condizione dolorosa di vita che durerà per
sempre, ingannato dalla folle credenza che mai sarebbero venute meno le virtù della sua
donna e dalla follia di pensare che un amore possa durare per sempre: è da questo
disinganno che nasce un accorato sospiro: quanto sarebbe stato meglio essere ciechi di
fronte a lei e non vedere la sua abbagliante bellezza:
Perir possa il tuo nome,
Baia, e il loco, boschi selvaggi le tua piagge sieno, e le tua fonti diventin veneno, né vi si bagni alcun molto né poco: in pianto si converta ogni tuo gioco, e suspetto diventi el tuo bel seno a' naviganti: il nuvolo e 'l sereno in te riversin fumo, solfo e fuoco; ché hai corrotto la piú casta mente che fosse 'n donna, con la tua licenza, se 'l ver mi disser gli occhi non è guari; laond'io sempre viverò dolente, come ingannato da folle credenza: or foss'io stato cieco non ha guari! |
La bella e forse disinvolta gentildonna napoletana, nel generale decadimento dei costumi e dei princìpi morali in quell'epoca, determinato da una crisi abbastanza profonda dei valori tradizionali, visibile soprattutto negli ozi di Baia, era passata forse ad altri amori, o, più verosimilmente, era stata costretta a tenere un atteggiamento più decoroso e meno libertino e a troncare lo scandaloso rapporto col giovane fiorentino. Ed è nel sonetto LXXIII che esprime tutto il suo disinganno augurandosi che i suoi occhi, che lo hanno portato a innamorarsi di Fiammetta legando il suo cuore all'amorosa prigione di un amore che ha cancellato ogni sua libertà, possano col piano respingere la vista di lei tanto che non possano essere più traditi da un altro amore:
O miseri occhi miei
piú ch'altra cosa, piangete omai, piangete, e non restate: voi di colei le luci dispietate menasti pria nell'anima angosciosa, ch'ora disprezza; voi nell'amorosa pregion legaste la mia libertate; voi col mirarla piú raccendavate il cor dolente, ch'or non truova posa. Dunque piangete, e la nemica vista di voi spingete col pianger piú forte, sí ch'altro amor non possa piú tradirvi. Questo desia e vuol l'anima trista, perciò che cose grave piú che morte l'ordisti già incontro nel seguirvi? |
Quanto tempo dura
l'idillio amoroso fra Maria e Giovanni? Tutto è avvolto nel segreto, e i numerosi
indizi lasciati nelle sue opere dal nostro autore, non aiutano certo a sollevare il velo
di mistero che si stende su tutto, per cui anche avanzare un'ipotesi diventa praticamente
impossibile: perfino la data del primo incontro e dell'inizio dell'amore varia, dal 1331
(i critici più accreditati) al 1336 (enc. Treccani): aveva 18 o ventitrè anni il
Boccaccio al momento del fatidico incontro? Seguendo alcuni critici che hanno ipotizzato
in tre anni circa la durata della relazione amorosa: è finito tutto nel 1334 o nel 1339?
L'unica cosa certa è che la presenza di Fiammetta
nelle opere e nello spirito di Boccaccio durerà per tutta la vita, anche per una
sottomessa e letteraria imitazione dei suoi due grandi maestri, Dante e Petrarca.
Riteniamo comunque che Fiammetta non sia la "sublimazione di diverse e appassionate
esperienze d'amore giovanile" (V. Branca), una sublimazione che ha creato "una
delle figure più affascinanti della nostra letteratura (id.), ma l'espressione di un
amore così potente e coinvolgente che resterà vivo per tutta la vita fra illusioni e
delusioni, tanto che il Boccaccio non amerà mai nessun'altra donna come lei, per cui i
suoi rapporti con le altre saranno solo fugaci, anche se non privi di una certa importanza
come quello del 1349 che gli darà una figlia, Violante, che morirà in tenera età e
lascerà un dolore struggente e incolmabile nel suo animo.
Certo gli anni fra il
1331 e il 1340 sono stati per la formazione culturale, sociale e spirituale del Nostro
anni cruciali, che possiamo sintetizzare in questi fondamentali elementi:
- inizio e fine dell'amore per Fiammetta,
- scrittura delle prime opere letterarie (Caccia di Diana, Filocolo, Filostrato,
Rime),
- nascita e rafforzamento di grandi amicizie, o ritenute tali (come quelle per Nelli,
Acciaiuoli ed altri),
- difficoltà finanziarie delle compagnie economiche, tra cui quella dei Bardi,
- richiamo a Firenze da parte del padre.
© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: bonghi@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 12 luglio 2000