Giuseppe Bonghi

Biografia
di
Niccolò Machiavelli
(1469-1527)

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il letterato
1513-1527

          Costretto a vivere fuori di Firenze, ma all'interno dei confini della Repubblica, e a non potersi muovere se non con un permesso speciale della magistratura degli Otto di Pratica, che dal 1502 si riunisce nel Palazzo del Bargello, si ritira in uno dei suoi piccoli poderi, quello della Potesteria di San Casciano nel quartiere detto di Sant'Andrea in Percussina, località La Strada, nella villa detta L'Albergaccio (che nel testamento del 27 novembre 1522 lascerà alla moglie Marietta Corsini figlia di Ludovico Corsini), ma spesso è chiamato ad andare in quel Palazzo Vecchio che così solennemente gli era stato proibito di frequentare, per spiegare tutto ciò che era pertinente al lavoro che vi aveva svolto e che aveva ancora conseguenze sul presente.
         Nel febbraio 1513 viene scoperta la congiura di Agostino Capponi e Pietropaolo Boscoli contro il nuovo governo mediceo, coll'intento di ammazzare il Cardinale Giovanni mentre era in viaggio per Roma dove si sarebbe recato per il Conclave: vengono presi i capi e uno di essi smarrisce una lista di venti nomi; fra essi si trova, al settimo posto, quello del Machiavelli, che viene sospettato di avervi preso parte e arrestato il 12 febbraio e torturato "con sei tratti di corda". Il fratello Totto Machiavelli si affretta a scrivere agli amici a Roma, soprattutto a Francesco Vettori, ambasciatore della Repubblica che, conoscendolo bene, era sicuro della sua innocenza, ma non poteva fare niente; l'arresto di Niccolò era il maggior dolore che l'amico aveva provato sino a quel momento: quando intesi voi esser preso, perché subito giudicai che senza errore o causa avessi ad avere tortura, come è riuscito. Duolmi non vi havere potuto aiutare, chome meritava la fede havevi in me, e mi dette dispiacere assai quando Totto vostro mi mandò la staffetta, et io non vi poto' giovare in choxa alchuna. Fecilo chome fu creato il papa, et non li domandai altra gratia che la liberatione vostra, la quale ho molto charo fussi seguita prima.
         E sicuro allo stesso modo doveva essere anche l'ancora Cardinale Giovanni perché partendo da Firenze aveva dato ordine che Machiavelli venisse liberato, soprattutto dopo aver ricevuto e letto il sonetto del recluso, nel quale "dando alle proprie sofferenze e paure nella prigione un tono sguaiatamente faceto, gli parlava dei sei tratti di fune, della sozzura, del puzzo, dell'orrore di udire da presso «ora pro eis»" (Ettore Janni), ed era un tono comunque non privo di risentimento contro coloro che erano stati gli attori del suo male, e che lui conosceva benissimo, perché benissimo aveva imparato a distinguere il comportamento "interessato" degli individui da quello "disinteressato", e benissimo sapeva che chi gli voleva male pensava innanzitutto al proprio interesse, come dimostra la citata breve relazione ai "Palleschi".
         Il tempo trascorso nel carcere del "Bargiello" (il Palazzo del Bargello, ora fra i più grandiosi musei al mondo di scultura, forse il più importante, era diventato solo dal 1502 sede dell'amministrazione della giustizia in Firenze) ha provocato nell'animo di Machiavelli una ferita che invano ha cercato di curare con la sua razionalità e sottomissione a quella Fortuna che governa le azioni umane e che lascia agli uomini quel tanto che questi ne sanno afferrare con la propria "virtù". Per completare il quadro di questo periodo riportiamo i due sonetti che Machiavelli scrisse in carcere indirizzandoli a Giuliano di Lorenzo dei Medici:

                      A Giuliano
           di Lorenzo de' Medici

        Io ho, Giuliano, in gamba un paio di geti
con sei tratti di fune in su le spalle:
l'altre miserie mie non vo' contalle,
poiché così sí trattano e' poeti!
       Menon pidocchi queste parieti
bolsi spaccati, che paion farfalle;
né fu mai tanto puzzo in Roncisvalle,
o in Sardigna fra quegli alboreti,
       quanto nel mio sl delicato ostello;
con un romor, che proprio par che 'n terra
fùlgori Giove e tutto Mongibello.
      L'un si incatena e l'altro si disferra
con batter toppe, chiavi e chiavistelli:
un altro grida è troppo alto da terra!
               Quel che mi fe' più guerra,
fu che, dormendo presso a la aurora,
cantando sentii dire: - Per voi s'òra. -
                    Or vadin in buona ora;
purché vostra pietà ver me si voglia,
buon padre, e questi rei lacciuol ne scioglia.

                       II

       In questa notte, pregando le Muse,
che con lor dolce cetra e dolci carmi
dovesser visitar, per consolarmi,
Vostra Magnificenzia e far mie scuse,
 una comparse a me, che mi confuse,
dicendo: - Chi se' tu, ch'osi chiamarmi? -
Dissigli il nome; e lei, per straziarmi,
mi batté al volto e la bocca mi chiuse,
      dicendo: - Niccolò non se', ma il Dazzo,
poiché ha' legato le gambe e i talloni,  -
e sta' ci incatenato come un pazzo.
      Io gli volevo dir le mie ragioni;
lei mi rispose, e disse: - Va al barlazzo,
con quella tua commedia in guazzeroni. -
                           Dàtegli testimoni,
Magnifico Giulian, per l'alto Iddio,
come io non sono il Dazzo, ma sono io.

legenda: geti = striscia di cuoio utilizzata per legare le zampe degli uccelli di rapina; pidocchi bolsi spaccati = pidocchi grossi e flosci; delicato ostello = carcere del Bargello; si disferra = gli vengon tolti i ferri; per voi s'ora = preghiere per i condannati a morte; Dazzo = Andrea Dazzi,  discepolo di Marcello Virgilio Adriani, Segretario della Prima Camcelleria; Va al barlazzo = va in malora; in guazzeroni = rozza, grossolana, disadorna (il guazzerone è la veste succinta usata dai contadini).

         Machiavelli viene liberato dopo 22 giorni di prigione (6 marzo), compreso nell'elenco dell'amnistia data in occasione dell'elezione al Papato dello stesso cardinale Giovanni col nome di Leone X. Così esprime il 13 marzo, in maniera dolente e molto riservata, all'uscita dal carcere del Bargello i suoi sentimenti all'amico fiorentino Francesco Vettori che era oratore (cioè ambasciatore straordinario) già dai tempi della Repubblica presso il Papa e che non era stato sollevato dall'incarico:

     Magnifice vir. Come da Pagolo Vettori harete inteso, io sono uscito di prigione con la letitia universale di questa città, non obstante che per l'opera di Pagolo et vostra io sperassi il medesimo; di che vi ringrazio. Né vi replicherò la lunga historia di questa mia disgrazia; ma vi dirò solo che la sorte ha fatto ogni cosa per farmi questa ingiuria: pure, grazia di Iddio, ella è passata. Spero non incorrere più, sì perché sarò più cauto, sì perché i tempi saranno più liberali, et non tanto sospettosi.
     Voi sapete in che grado si truova messer Totto nostro. Io lo raccomando a voi et a Pagolo generalmente. Desidera solo, lui et io, questo particulare: di essere posto in tra i familiari del papa; et scritto nel suo rotolo, et haverne la patente; di che vi preghiamo.
     Tenetemi, se è possibile, in memoria di N. S., che, se possibile fosse, mi cominciasse a adoperare, o lui o suoi, a qualche cosa, perché io crederrei fare honore a voi et utile a me.
Die 13 Marzii 1513.
                                                                                                       Vostro Niccolò Machiavelli, in Firenze

         Provata la sua innocenza, si ritira nella sua villa a San Casciano. Col passare delle settimane e dei mesi, in Machiavelli diminuisce sempre più la speranza di tornare alla vita politica attiva: il passato come segretario sembra definitivamente chiuso; per quanti sforzi facesse in seguito di ritornare a vedersi assegnato un posto di una qualche importanza, sempre le sue aspettative resteranno vane o daranno negli ultimissimi anni  frutti ben poveri e miseri. E qualche volta, in quest'ultimo decennio della sua vita, certo per celia, unirà alla sua firma la scritta "quondam segretario".
         Rimane praticamente fuori dalla vita attiva, e risponde alle lettere dei suoi amici e al suo amico Francesco Vettori, solo "per parere vivo"; ma col passare del tempo il suo animo si chiude anche agli amici più cari, non tanto perché le sue lamentele o le sue richieste non trovavano sbocchi o addirittura potesse riceverne in cambio un danno, quanto perché, come ebbe già a dichiarare, è divenuto più cauto nei suoi atteggiamenti, nell'espressione dei suoi sentimenti e nella descrizione della sua vita. Come a esempio possiamo prendere la lettera n. 204 dell'epistolario, a Francesco Vettori, del 29 aprile di cui possediamo anche la minuta: nella lettera inviata scompare completamente la parte iniziale, che riportiamo, molto personale e gustosa, prima di addentrarsi nell'analisi delle cose di Francia rispondendo a una richiesta dell'amico:

   Io nel mezo di tucte le mia felicità non hebbi mai cosa che mi dilectassi tanto quanto e ragionamenti vostri, perché da quelli sempre imparavo qualche cosa; pensate adunque, trovandomi hora discosto da ogn'altro bene, quanto mi sia suta grata la lectera vostra, alla quale non mancha altro che la vostra presenzia et il suono della viva voce; et mentre la ho lecta, che la ho lecta più volte, ho sempre sdimenticato le infelici conditioni mia, et parmi essere ritornato in quelli maneggi, dove io ho invano tante fatiche durate et speso tanto tempo. Et benché io sia botato non pensare più ad cose di stato né ragionarne, come ne fa fede l'essere io venuto in villa, et havere fuggito la conversazione, nondimanco, per rispondere alle domande vostre, io sono forzato rompere ogni boto, perché io credo essere più obligato alla antica amicitia tengo con voi, che ad alcuno altro obligo io havessi facto ad alcuna persona; maxime faccendomi voi tanto honore, quanto nel fine di questa lettera mi fate, che, ad dirvi la verità, io ne ho preso un poco di vanagloria, sendo vero quod non parum sit laudari a laudato viro. Dubito bene che le cose mie non vi habbino ad parere dello antico sapore, d'il che voglio mi scusi lo havere col pensiero in tucto queste pratiche adbandonate, et appresso non ne intendere delle cose che corrono alcuno particulare. Et voi sapete come le cose si possono bene iudicare al buio, et maxime queste; pure ciò che io vi dirò sarà o fondato sopra 'l fondamento del discorso vostro, o in su' presupposti miei, e quali se fieno falsi voglio me ne scusi la preallegata cagione.

questo inizio, come abbiamo detto, scompare, sostituito da altre considerazioni più formali, messe in fondo alla lettera come per togliere loro importanza: "Io so che questa lettera vi ha ad parere uno pescie pastinaca, né del sapore vi credevi. Scusimi lo essere io alieno con l'animo da tutte queste pratiche, come ne fa fede lo essermi riducto in villa, et discosto da ogni viso humano, et per non sapere le cose che vanno adtorno, in modo che io ho ad discorrere al buio, et ho fondato tutto in su li advisi mi date voi."  Lontano dalla vita politica attiva, è lontano anche dalla conoscenza corrente dei fatti, per cui non gli resta che approfondire lo studio della storia, soprattutto antica, e dei classici.
         Dalla fine del 1512 il suo più grande desiderio è quello di riguadagnare un posto nella politica attiva del tempo, cercando di mantenere vivi  il ricordo e la presenza sua non solo nell'ambiente culturale e politico fiorentino, ma anche nell'ambito letterario. Rimane comunque viva la speranza di poter rientrare nelle grazie dei nuovi padroni, ma le sue domande d'impiego rimarranno inascoltate, come inascoltate saranno le voci che sommessamente si levano in suo favore. Cerca di reagire con una certa forza morale alla nuova situazione che si è venuta a creare, ma intimamente si rende conto che nulla più potrà essere come prima. Come sua abitudine trascorreva alcune ore al giorno seduto allo scrittoio, per scrivere lettere e rapporti e memoriali e anche opere letterarie, di teatro, e di poesia.
          Nel 1513 scrive Il Principe, in pochi mesi; il 10 dicembre così scrive all'amico Francesco Vettori, in cui mette in evidenza il metodo (studio delle azioni degli antichi per ricavarne delle regole generali) e il contenuto (natura del principato e conquista e mantenimento del potere:

         "Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto i panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. E, perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De principatibus; dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistono, come e' si mantengono, perché e' si perdono".

          L'opuscolo (nel senso di piccolo trattato, ma l'uso di questa parola in Machiavelli denota quanto egli intenda farsi piccolo e umile per riavere la fiducia di chi dispone del potere offrendo i propri servigi e tutto quelli che sa, la sua esperienza, una vita trascorsa tra lo studio dei classici e le legazioni politiche), scritto fra i mesi di luglio e dicembre, e più verosimilmente tra ottobre e novembre, è piccolo come mole, ma grandissimo come teorizzazione politica e conseguenze nei secoli futuri. Dedicandolo a Lorenzo II dei Medici (detto Lorenzino), Machiavelli spera d'ingraziarsi le simpatie dei Medici; ma questi l'accoglie con una certa freddezza e un distacco che delude molto il Nostro; ed è un atto che gli fa capire quanto sia ben lontano il momento di poter tornare, se tornerà, alla politica attiva, anche se non immagina nemmeno che anche a Roma c'era chi brigava contro di lui, tanto da riuscire a far porre un preciso veto dallo stesso Papa ad utilizzare Machiavelli in qualsiasi tipo di incarico politico, pur riconoscendo la sua intelligenza, preparazione e soprattutto affidabilità. Questa nuova coscienza gli fa accettare con maggiore serenità l'attività letteraria in alternativa a quella politica; ed anche sulla via della letteratura era in ogni modo portato, per "il suo spirito penetrante e ricco di immaginazione, un senso acuto della lingua e dello stile (Gilbert)", tanto da restare amaramente deluso quando Ariosto non lo inserirà nell'elenco dei poeti e dei personaggi importanti di quegli anni  presenti nelle ottave 11-18 del canto 46° del suo Orlando Furioso.
          Dal 1513 al 1519 lavora ai Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio, trattato sulle Repubbliche, che sotto certi aspetti è più importante del Principe. I Discorsi sono un commento ai primi dieci libri dell'opera Ab urbe condita di Tito Livio e trattano della più grande esperienza che un popolo abbia mai fatto e lasciato come ammaestramento per le generazioni future soprattutto sul piano del Diritto. Le due opere sono legate insieme, e quasi non esiste distinzione tra il Machiavelli repubblicano e il Machiavelli monarchico del Principe, perché molti nessi in comune hanno i concetti fondamentali delle due opere. Sia il contenuto che l'impostazione dei Discorsi risente della frequentazione degli Orti Oricellari, riunioni che avvenivano nei giardini di palazzo Rucellai a Firenze, da quando, diminuita la rigidità del confino, Machiavelli potè cominciare a rimettere piede in Firenze.
          Nel 1514 scrive il Decennale secondo, che si ferma ai fatti del 1509 e del 1517, come testimonia anche una lettera dello stesso Machiavelli scritta in quell'anno a Ludovico Alamanni, è l'Asino (da qualcuno intitolato anche Asino d'oro), un poemetto in terza rima che si ispira un po' ad Apuleio e un po' a Dante e contiene un fondo di amarezza dovuta alla irrimediabile caduta delle illusioni che seguirono i dolorosi eventi del 1512. La donna che guida Machiavelli (una Duchessa come Virgilio per Dante è stato Duca o una nuova Beatrice) è una donna moderna e terrena, legata alle cose quotidiane:

                   "Ma perché via passar la notte sento,
                   vo' che pigliam qualche consolazione…"

lontane da quella spiritualità che caratterizza la Beatrice di Dante. Non solo, ma per converso laddove Dante mira verso il cielo e la beatitudine eterna, Machiavelli scende sempre più sulla terra per capire che:

                   "non dà l'un porco a l'altro porco doglia,
                   l'un cervo a l'altro: solamente l'uomo
                   l'altr'uom amazza, crucifigge e spoglia…"!

          Nel 1515 Francesco I di Francia conquista Milano e sigla la pace con Leone X. L'anno successivo muore, dopo lunga malattia, Giuliano e gli succede Lorenzo II dei Medici detto Lorenzino, che diviene Capitano generale dei fiorentini e, successivamente, nel mese di ottobre, Duca d'Urbino:

      "Acquistato con l'armi quello stato, che insieme con Pesero e Sinigaglia, membri separati dal ducato di Urbino, non era di entrata di piú di venticinquemila ducati, Leone, seguitando il processo cominciato, ne privò per sentenza Francesco Maria, e di poi ne investí nel concistorio Lorenzo suo nipote; aggiugnendo, per maggiore validità, alla bolla espedita sopra questo atto la soscrizione della propria mano di tutti i cardinali. Co' quali non volle concorrere Domenico Grimanno vescovo di Urbino, e molto amico di quel duca: donde temendo lo sdegno del pontefice partí, pochi dí poi, da Roma; né vi ritornò mai se non dopo la sua morte".
                                                                                                        (Guicciardini, cit. lib 12, cap. 21).

Proprio a lui Machiavelli dedica Il Principe, ma, come, narrano certi aneddoti del tempo, Lorenzino fu attratto soprattutto dal regalo di una coppia di cani che accompagnava il dono dell'operetta politica.
          In quegli stessi anni comincia a frequentare, nei giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai in via della Vigna Vecchia, i cosiddetti Orti Oricellari, una compagnia di giovani di elevata condizione sociale e culturale, che si stringe intorno al "vecchio segretario".
          Nei mesi di gennaio-febbraio del 1518, secondo studi approfonditi sull'argomento, Machiavelli compone la "Commedia di Callimaco e Lucrezia, cioè La Mandragola, che viene data alle scene per la prima volta durante le rappresentazioni teatrali organizzate per le nozze di Lorenzo de' Medici (detto Lorenzino) con Margherita de La Tour d'Auvergne nel settembre dello stesso anno (le altre commedie rappresentate per quelle nozze furono il Falargho e la Nutrice o Pisana di Filippo Strozzi).
          La fortuna della Mandragola fu rapida e suscitò grande ammirazione e interesse; le rappresentazioni più importanti furono date nel 1520, durante il carnevale di Venezia del 1522 "allorché la prima recita fu sospesa per l'eccessivo affollamento del teatro, e sempre nella stessa città nel 1526". Alla fine del 1525 Machiavelli compose le Canzoni che chiudono i cinque atti della Commedia, per le rappresentazioni del Carnevale di Modena del 1526 patrocinate da Francesco Guicciardini e cantate da "Barbera" Salutati, come abbiamo già ricordato.
          Del 1518 è probabilmente, secondo alcuni, ma la datazione è molto controversa, la novella Il demonio che prese moglie, una favola meglio conosciuta col titolo di Belfagor Arcidiavolo, col quale anche noi l'abbiamo riportata nella nostra Biblioteca elettronica; venne pubblicata col nome del suo autore per la prima volta nel 1549, anche se già quattro anni prima Antonio Blado l'aveva stampata nella raccolta delle Rime e prose volgari di Monsignor Giovanni Brevio, in un testo che conteneva molti errori, "ben lontano dalla finezza e dall'arguzia dell'originale. Il furto del Brevio fu subito avvertito e già nel 1547 Anton Francesco Doni dichiarava di voler denunziarlo, ma fu preceduto nelle sue intenzioni da Battista Giunti, che restituì al Machiavelli la novella" (Gaeta). Belfagor è un diavolo che scende sulla terra per prendere moglie e capire quale è la condizione degli uomini che si sono sposati e che tanto si lamentano delle donne da rappresentare appunto come un inferno la vita matrimoniale; sulla terra, una volta sposato, Belfagor non vedrà l'ora che passino in fretta i dieci anni concessigli da Plutone, il Diavolo supremo degli Inferi, finché scappa. La novella è costruita con quella razionalità che contraddistingue il Machiavelli, che individua un problema e mette in chiaro anche la soluzione. Qualche critico ha creduto di individuare nella moglie di Belfagor la mogli stessa di Machiavelli, ma crediamo che questa idea sia tanto sciocca da non meritare alcun commento: basta leggere l'unica lettera che possediamo di monna Marietta.
         Di questi stessi anni probabilmente è il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, in cui cerca di dimostrare (attraverso il dialogo con Dante) che la lingua usata non ha origini "curiali" ma deriva tutta da quella usata quotidianamente dai fiorentini.
          Nel mese di gennaio del 1519, alla morte dell'imperatore Massimiliano, Carlo di Spagna acquisisce il dominio familiare degli Asburgo e il 28 giugno cinge la corona imperiale. In Italia il 4 maggio muore Lorenzo II de' Medici, cui il Machiavelli aveva dedicato l'edizione definitiva del Principe. Gli subentra nel governo della città il cardinale Giulio dei Medici, che a nome di papa Leone X, chiede allo scrittore un parere sul futuro assetto della città di Firenze e sulla situazione politica generale; Machiavelli gli invia la relazione Discursus florentinarum rerum post mortem iunioris Laurentii Medices, che segna un timido ritorno dello scrittore alla vita politica; se non altro la morte di Lorenzino lo aveva tolto da quell'emarginazione totale che tanto lo affliggeva: la nuova situazione gli dava la speranza di poter ancora fare qualcosa per la sua Firenze, sulla quale si stavano addensando tempi cupi e difficili. Nel Discursus Machiavelli ribadisce il concetto della politica come scienza autonoma, mentre la vita dello stato è vista come lotta fra tre qualità di uomini che sono in tutte le città, cioè primai, mezzani e ultimi.
          Nel mese di giugno comincia a scrivere il trattato Dell'arte della guerra, che verrà portato a compimento l'anno dopo: è il primo testo teorico di arte militare dell'epoca moderna e lo resterà fino a von Clausewitz che tra il 1832 e il 1837 scriverà il trattato Dell'arte della Guerra, in cui afferma che la razionalità del capo e il coraggio della fanteria restano fattori decisivi. L'originalità dell'opera consiste proprio nell'interpretazione dell'arte militare, nel superamento del sistema feudale che privilegiava la cavalleria per arrivare alla nuova concezione della milizia territoriale o popolare teorizzando una riforma delle istituzioni militari. Il grande scrittore francese Montaigne nei suoi Saggi pone il Machiavelli con questa sua opera vicino a Polibio e Cesare come grande autorità in campo militare.
          Nel 1520, in luglio, viene inviato a Lucca per tutelare gli interessi di alcuni mercanti fiorentini coinvolti in un grave fallimento e qui scrive la Vita di Castruccio Castracani, che è la favola esemplare del principe virtuoso o razionale; la visita a Lucca desta un particolare interesse in Machiavelli per la tipologia delle magistrature che la reggono e il modo eleggere il Consiglio generale dei settantadue e e il Consiglio dei Trentasei e ogni singolo funzionario che viene prima eletto e poi destinato a un ufficio: risultato è il Sommario delle cose della città di Lucca. Lentamente ricomincia a prendere una certa posizione all'interno della politica della città.
          Il primo novembre sotto la spinta di Lorenzo Strozzi, uno degli amici della compagnia degli Orti Oricellari, e per interessamento del cardinale Giulio de' Medici, succeduto nella guida della vita politica di Firenze alla morte di Lorenzino, ebbe la nomina a servire nello Studio per due anni e, fra l'altro, l'incarico di redigere annalia et cronacas florentinas, con uno stipendio di 57 fiorini l'anno, la metà di quanti anni prima ne prendeva come cancelliere (che in seguito subirà un aumento fino a 100 fiorini l'anno, e quando le presenterà a papa Clemente a Roma, questi gli darà un sussidio di altri cento ducati perché le continui). Anche se lo stipendio era scarso, l'incarico era comunque prestigioso, perché riceveva l'onore di essere lo storico ufficiale della città, incarico che prima di lui avevano ricoperto altri primi cancellieri, come Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini.
          "Ma c'era un inghippo: era pacifico che le sue storie fossero scritte alla maniera di Livio, cioè con un fine etico, quello di fornire un modello del buon cittadino. Sceso ormai in basso e per poco risalito, Machiavelli fu preso da crisi di coscienza (come risulta dalla testimonianza del Giannotti e dalla sua corrispondenza col Guicciardini. - Vedi ad es. la lettera del 30 agosto del 1524: 'ingegnerommi di fare in modo che, dicendo il vero, nessuno si possa dolere', ndr -). Come poteva il repubblicano Machiavelli elogiare i Medici? Cominciò con lo strutturare in maniera complicata gli otto libri delle Istorie fiorentine, riducendo agli ultimi quattro la storia medicea; parlò di politica estera piuttosto che di politica interna; evitò accuratamente i giudizi sul governo dei Medici; ed infine elogiò Cosimo e Lorenzo, ma come uomini, non come capi di una dinastia. Come ne I Discorsi, così anche nelle Istorie ricalca lo schema della introduzione de Il Principe, con la stessa rivendicazione di dignità e di autonomia di giudizio. E già nel I libro fa il contrario di quel che doveva essere fatto: non si pèrita di sostenere la tesi che il papato è causa delle invasioni straniere e abbonda in uno spirito di laicità. Ma troppi fatti sono qui riassunti insieme… Così con molta noia cronachistica le storie vanno avanti". (Tommaso Albarani).
          Nel 1521, per desiderio del cardinale Giulio, viene inviato dagli "Otto di Pratica" al capitolo dei Frati Minori riunito a Carpi, per ottenere la separazione dei conventi dell'Ordine del territorio di Firenze, creandone una provincia autonoma che si sarebbe potuta governare meglio, da quelli del resto della Toscana, mentre Francesco Guicciardini era governatore di Modena: le avversità della fortuna prendono indubbiamente un aspetto molto ironico, se pensiamo a quanto egli amasse e apprezzasse i frati così ben rappresentati da fra' Timoteo nella Mandragola. Per giunta, i consoli dell'Arte della Lana, approfittando di quella legazione, mentre si trova già a Carpi, gli affidano anche la commissione di scegliere un buon frate predicatore; la notizia gli viene portata da un certo frate Ilarione, confidente del cardinal de' Medici: il compito effettivo di Machiavelli è solo quello di consegnare una lettera al ministro generale, frate Francesco da Potenza e dirgli che la formazione della provincia fiorentina è desiderata dal cardinale, anche perché il cardinale e la Signoria "desiderano de' frati sentire buon odore, e non malo, come insino a ora hanno fatto". E nulla è più comico di questo ambasciatore che si presenta al Capitolo generale dei francescani dopo aver creato la figura di fra Timoteo.
          Era un incarico indubbiamente ridicolo e meschino per un uomo della levatura intellettiva e politica come Machiavelli; eppure era un incarico importante, perché non solo segnava il ritorno dell'ex segretario alla vita politica attiva, pur se minimale, ma segnava un suo ritornare a sentirsi vivo e utile in qualche modo per Firenze.
          Il primo dicembre 1521, pochi giorni dopo aver elevato Carlo V al ruolo di Difensore della Fede Cattolica contro le nuove idee religiose che in quegli anni stavano dilagando ad opera di Martin Lutero, attiva già dal 1517 con l'affissione delle sue 95 tesi sulla parta della cattedrale di Wittenberg, muore a soli 46 anni Leone X, tanto improvvisamente che circolò la voce che fosse stato avvelenato, tanto che fu arrestato il suo coppiere Bernabò Malaspina e il maestro delle cerimonie di corte, Paride Malaspina, invano insistette presso i medici per l'autopsia. Il 27 dicembre viene eletto il vescovo di Tortosa, Adriaan Florensz che prende il nome di Adriano VI e viene incoronato il 31 agosto 1522 sulla scalinata di San Pietro, senza alcuna pompa, mentre in Roma si diffonde la peste; ma il suo pontificato ha vita troppo breve, per poter lasciare un segno tangibile nella caotica vita politica europea del tempo, mentre sempre più si diffondeva l'eresia luterana. Dopo aver cercato di imporre ai prelati una vita più dedita alle cose spirituali che a quelle terrene, non supera una breve malattia e muore improvvisamente il 14 settembre 1523. Il 19 novembre viene eletto Giulio de' Medici, già candidato contro Adriano VI, che viene incoronato il successivo giorno 26 prendendo il nome di Clemente VII, salutato con entusiasmo dalla folla, ma dimostrandosi incapace di risolvere con decisione i difficili problemi che affliggevano il papato. Intanto nel 1524 Signore di Firenze diventa Ippolito de' Medici, figlio naturale di Giuliano di Nemours
          Tra la fine del 1524 e i primi giorni del 1525 compone la Clizia, una commedia, forse commissionata, sul modello della Casina di Plauto, e probabilmente viene corretta in occasione del matrimonio di Maria di Filippo Strozzi con Lorenzo Ridolfi ed ha quasi un sapore autobiografico, perché in essa Machiavelli rappresenta il suo amore per Barbara Raffacani Salutati (che verrà condannata dalla Chiesa ad essere sepolta fuori del sagrato). La prima rappresentazione della commedia avviene il 13 gennaio 1525 nella villa suburbana di Jacopo di Filippo Falconetti, con le scene e le prospettive di Bastiano da Sangallo.
          Intanto gli eventi politici assumono una piega negativa per le forze francesi in Italia. Il 24 febbraio Francesco I viene sconfitto dalle truppe imperiali a Pavia, fatto prigioniero e portato in Spagna: verrà liberato nel gennaio 1526 accettando le dure condizioni della pace di Madrid colla rinuncia a tutti i diritti sull'Italia; ma, non rispettando gli accordi, ritorna in Italia arrabbiato per lo smacco subito e riapre le ostilità organizzando nel mese di maggio la Lega di Cognac insieme a Firenze, Milano, Venezia e al papa Clemente VII che invano con una infruttuosa ambasceria Carlo V aveva cercato di attirare nella sua orbita.
          Alla fine del mese di maggio Machiavelli si reca a Roma per offrire a Clemente VII le Istorie fiorentine; il Vettori lo aveva sconsigliato di venire a Roma a presentarle di persona, forse divenuto sospettoso di quella corte di preti, anche se lo stesso papa ne aveva espresso il desiderio; ma l'opera era ben degna di quella solennità che il papa dava alla presentazione. E dell'incontro Machiavelli approfitta bene, esponendo al papa un suo progetto di truppe nazionali, mostrando la necessità di contrapporre una forte milizia italiana agli eserciti stranieri accampati nella pianura padana. Il papa si mostra interessato al progetto machiavelliano e chiede un parere tecnico al Guicciardini che svolge le funzioni di presidente pontificio della Romagna.
          A Firenze si pensa alla difesa: nel giugno '26 viene istituita una nuova magistratura, quella dei Cinque Procuratori delle mura e Machiavelli viene nominato segretario con l'incarico di sovrintendere alle fortificazioni della città. Si getta nel lavoro con la solita passione e con l'abilità delle sue conoscenze, anche se più teoriche che pratiche.
          Intanto nell'estate del 1526 le truppe della Lega assediano il castello di Milano (in quel mentre gli armati dello Stato pontificio hanno come luogotenente generale Francesco Guicciardini) e Machiavelli segue le operazioni di guerra delle truppe della lega di Cognac. In questo momento di relativa calma viene inviato dal Guicciardini a sollecitare dai capi della lega una più decisa condotta di guerra contro Carlo V. Ma nel frattempo le truppe della Lega devono abbandonare l'assedio del castello di Milano, proprio per gli errori politici del papa, che nel mese di maggio si deve umiliare col cardinale Pompeo Colonna che aveva sguinzagliato per Roma le sue soldataglie facendosi interprete del risentimento della Curia contro l'operato del papa, che a questo punto non può più tirarsi fuori dalla politica filofrancese. Ma all'inizio del '27 si trova solo, senza aiuti militari quando il duca di Ferrara si schiera al fianco di Carlo V, con i Lanzichenecchi in marcia verso Roma, che neanche il comandante Carlo di Borbone riusciva a tenere a freno. Il 6 maggio 1527 15.000 uomini assatanati saccheggiano Roma; così racconta Guicciardini (cit., lib. 18, cap. 8:

      "Entrati dentro, cominciò ciascuno a discorrere tumultuosamente alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né all'autorità e degnità de' prelati, ma eziandio a' templi a' monasteri alle reliquie onorate dal concorso di tutto il mondo, e alle cose sagre. Però sarebbe impossibile non solo narrare ma quasi immaginarsi le calamità di quella città, destinata per ordine de' cieli a somma grandezza ma eziandio a spesse direzioni; … Impossibile a narrare la grandezza della preda, essendovi accumulate tante ricchezze e tante cose preziose e rare, di cortigiani e di mercatanti; ma la fece ancora maggiore la qualità e numero grande de' prigioni che si ebbeno a ricomperare con grossissime taglie: accumulando ancora la miseria e la infamia, che molti prelati presi da' soldati, massime da' fanti tedeschi, che per odio del nome della Chiesa romana erano crudeli e insolenti, erano in su bestie vili, con gli abiti e con le insegne delle loro dignità, menati a torno con grandissimo vilipendio per tutta Roma; molti, tormentati crudelissimamente, o morirono ne' tormenti o trattati di sorte che, pagata che ebbono la taglia, finirono fra pochi dí la vita. Morirono, tra nella battaglia e nello impeto del sacco, circa quattromila uomini. Furono saccheggiati i palazzi di tutti i cardinali (eziandio del cardinale Colonna che non era con l'esercito), eccetto quegli palazzi che, per salvare i mercatanti che vi erano rifuggiti con le robe loro e cosí le persone e le robe di molti altri, feciono grossissima imposizione in denari: e alcuni di quegli che composeno con gli spagnuoli furono poi o saccheggiati dai tedeschi o si ebbeno a ricomporre con loro. … Sentivansi i gridi e urla miserabili delle donne romane e delle monache, condotte a torme da' soldati per saziare la loro libidine: non potendo se non dirsi essere oscuri a' mortali i giudizi di Dio, che comportasse che la castità famosa delle donne romane cadesse per forza in tanta bruttezza e miseria. Udivansi per tutto infiniti lamenti di quegli che erano miserabilmente tormentati, parte per astrignergli a fare la taglia parte per manifestare le robe ascoste. Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de' santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de' loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de' soldati (che furno le cose piú vili) tolseno poi i villani de' Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie, fusse asceso il sacco a piú di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore. "

Una guarnigione imperiale penetra in Castel Sant'Angelo e tiene prigioniero papa Clemente per sette mesi fino al 6 dicembre, quando comincia , dopo lunghi negoziati, l'evacuazione della fortezza; il giorno dopo , colla compiacenza di alcuni ufficiali, potrà fuggire travestito da venditore ambulante, rifugiandosi prima a Orvieto e poi a Viterbo, da cui farà ritorno a Roma solo nell'ottobre dell'anno dopo.
          La caduta di Clemente VII provoca a Firenze la caduta dei Medici. Il 18 maggio una sollevazione popolare rovescia il governo mediceo e ristabilisce la costituzione repubblicana. Machiavelli, che si era recato a Civitavecchia per ispezionare la flotta di Andrea Doria, torna precipitosamente a Firenze, ma si trova di fronte a una generale ostilità, determinata non solo dalla sua collaborazione coi Medici, anche se di scarsa rilevanza, ma anche dalle interpretazioni faziose che si cominciano a dare del Principe, raccogliendo quasi una generale avversione, perché, come scrive Giovan Battista Busini in una sua lettera a Benedetto Varchi, "pareva che quel suo Principe fosse stato un documento da insegnare al Duca di tor loro tutta la roba e a' poveri tutta la libertà; ai piagnoni pareva che e' fosse eretico, ai buoni disonesto, ai tristi più tristo o più valente di loro; talché ognuno lo odiava".
          Machiavelli viene escluso da tutte le cariche della nuova repubblica il 21 giugno, quando ormai nulla più poteva interessargli delle cose di questo mondo e la sua opera veniva affidata alla storia.
          La missione presso Francesco Guicciardini fu l'ultima azione importante della sua vita. Tornato, come abbiamo detto, a Firenze tra la fine di maggio e i primi giorni di giugno del 1527, pochi giorni dopo per un medicamento semplicissimo di cui soleva far uso per i suoi frequenti mali allo stomaco, morì tra feroci dolori il 22 giugno, munito dei soccorsi spirituali della Chiesa ed assistito dai sacerdoti fino agli ultimi momenti della sua esistenza. Le sue ultime ore ci sono raccontate dal figlio Pietro in una lettera inviata a Francesco Nelli professore nello Studio di Pisa: "Carissimo Francescho. Non posso far di meno di piangere in dovervi dire chome è morto il dì 22 di questo mese Nicholò nostro padre di dolori di ventre, cagionati da uno medicamento preso il dì 20. Lasciossi confessare le sue peccata da frate Mateo, che gl'a' tenuto compagnia fino alla morte. Il padre nostro ci a' lasciato in somma povertà, come sapete. Quando farete ritorno qua su vi dirò molto a bocha. O' fretta e non vi dirò altro, salvo che a voi mi raccomando. MDXXVII. Vostro parente. Pietro Machiavelli." (Firenze 22 giugno 1527).
          Così muore quasi all'improvviso il Machiavelli, repubblicano cacciato dai Medici e mediceo cacciato dalla repubblica, ma di per sé fiorentino attaccato alla libertà della sua città, per la quale aveva vissuto e sofferto. Muore lasciando i cinque figli in una povertà maggiore di quella che aveva ereditato da suo padre.
          Ma certamente Machiavelli lascia di sé un ricordo abbastanza buono, tanto da superare ben presto quelle avversioni che lo avevano afflitto in vita. "Si racconta, scrive Ettore Janni, che nella cappella ove egli fu sepolto in Santa Croce, più tardi si seppellissero persone d'una certa compagnia che ne aveva curati i restauri, e si continuasse questa promiscuità anche dopo il seppellimento di messer Bernardo, il primogenito. Questa parve sconvenienza a un frate guardiano, che andò a farne parola al canonico Niccolò Machiavelli figlio di Bernardo. Ma il canonico, tranquillo, gli rispose: - Deh! Lasciateli fare. Mio padre era amico della conversazione, e quanti più morti andranno a trattenerlo tanto maggior piacere ne avrà. - Erano bene il nipote e il figlio di messer Niccolò

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Machiavelli

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Ultimo aggiornamento: 14 marzo, 2001