Bonghi

Biografia
di
Niccolò Machiavelli
(1469-1527)

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il Segretario fiorentino
1498-1512

         Così Niccolò diviene il "Segretario fiorentino" per antonomasia, pur rimanendo una certa confusione sul suo ruolo effettivo perché di fatto una divisione netta tra prima e seconda cancelleria non esisteva, anche se gli stipendi erano notevolmente diversi: 330 fiorini annuali per la prima e 192 per la seconda. Comincia così la carriera diplomatica del Machiavelli (compirà ben 23 missioni diplomatiche) proprio nel momento in cui la politica italiana era cambiata dal momento in cui Carlo VIII era sceso in Italia: con la discesa del re francese e successivamente di Luigi XII i governi della penisola cessarono di formare un sistema indipendente, divenendo quasi semplici satelliti dei regni di Francia e Spagna, mentre tutti i problemi interni venivano discussi e decisi sotto l'influsso della politica straniera; i contrasti tra i vari governi non venivano più trattati nei senati e nelle piazze italiane, ma nelle anticamere di Luigi di Francia e Ferdinando di Spagna. La prosperità degli stati della penisola dipendeva più dall'abilità degli ambasciatori che dall'azione politica di coloro cui era affidata l'amministrazione della cosa pubblica e gli interessi delle grandi e potenti famiglie locali.
        L'ambasciatore doveva compiere uffici molto delicati; "era un avvocato alla cura del quale erano affidati i più cari interessi dei clienti, una spia investita di carattere inviolabile. Invece di consultare, con modo riservato ed ambiguo, la dignità di coloro che rappresentava, doveva cacciarsi in tutti gli intrighi della corte in cui risiedeva, riscoprire e lusingare ogni debolezza del principe e dei favoriti che governavano il principe, e degli staffieri che governavano i preferiti. Doveva far complimenti ed essere di giovamento alla bella e corrompere con doni il confessore, lusingare o supplicare, ridere o piangere, assecondare ogni capriccio e sopire ogni sospetto, far tesoro di ogni indizio, osservare tutto e tutto sopportare". (Macaulay, 1868)
        Nel marzo 1499 Machiavelli compie la sua prima missione: viene inviato presso Jacopo d'Appiano, signore di Piombino per sorvegliare l'arruolamento delle truppe mercenarie; nel successivo mese di luglio viene inviato presso Caterina Riario Sforza, contessa di Forlì, e madre del futuro Granduca Cosimo I, per indurla a partecipare alla guerra contro Pisa; dal 1° settembre 1499 fino al luglio dell'anno seguente, ha una legazione presso il campo militare che opera contro Pisa segue le truppe fiorentine e manda un breve rapporto al Consiglio dei Dieci: Discorso fatto al magistrato dei Dieci sopra le cose di Pisa. Proprio durante questo periodo, all'inizio del 1500, al soldo di Firenze, i francesi avevano mandato un corpo di 8000 mercenari guasconi, sotto il comando di Beaumont, per l'espugnazione di Pisa; i guasconi, visti vani i tentativi disordinati di espugnazione della città, all'improvviso di ammutinarono e se ne andarono; si ribellò anche il corpo degli Svizzeri, che con insulti e minacce estorse al commissario fiorentino Luca degli Albizi 1300 ducati.
         Anche per il comportamento del corpo dei guasconi, Machiavelli nel mese di luglio, insieme a Francesco della Casa, viene inviato presso Luigi XII per esprimere il risentimento della Repubblica fiorentina generato dall'ammutinamento delle truppe francesi. Pur fallendo nello scopo principale (ottenere validi aiuti contro Pisa) intesse un'abile trama diplomatica col fine di ridare prestigio e importanza strategica alla Repubblica fiorentina attraverso un'azione volta a "diminuire e' potenti, vezegiare li sudditi, mantenere li amici e guardarsi da' compagni, cioè da coloro che vogliono avere equale autorità", come scrive in una delle lettere che quotidianamente inviava a Firenze al Consiglio di Balia, anticipando concetti che esprimerà nel III capitolo del Principe in cui analizza proprio gli errori della condotta di Luigi XII in Italia.
        Nel corso di questo 1500 muore il padre Bernardo
        Nel febbraio 1502 viene inviato a Pistoia, lacerata da lotte intestine. Un'esperienza su cui scrive due promemoria: Ragguaglio delle cose fatte dalla Repubblica Fiorentina per quietare le parti di Pistoia e il De rebus pistoriensibus, che propongono i principali temi del pensiero politico machiavelliano: impedire il frazionamento municipalistico del territorio dominato da Firenze e ostacolare qualsiasi tentativo unificatore delle regioni centro-settentrionali dell'Italia, nel pieno rispetto del sentimento che mirava esclusivamente alla sicurezza della Repubblica fiorentina che perseguiva quale segretario della seconda cancelleria, mantenere l'ordine pubblico.
        Nello stesso anno, in giugno, Cesare Borgia, nominato duca di Valentinois da Luigi XII, e perciò chiamato Duca Valentino, dopo aver conquistato Faenza il 25 aprile e compiuto così la conquista della Romagna, si impadronisce del Ducato di Urbino, scatenando  una campagna militare contro i piccoli signori marchigiano-romagnoli, con l'azione politica del padre Papa Alessandro VI (che nomina il figlio duca di Romagna) e l'appoggio delle milizie francesi, attraversando da padrone i territori della Repubblica fiorentina, timorosa delle armi di re Luigi. I piccoli signorotti locali si coalizzano nella Lega della Magione, località presso Perugia, dove fu tenuta la riunione il 9 ottobre 1502, alla quale parteciparono anche alcuni nobili della campagna romana:

      "Congregornosi adunque alla Magione, in quel di Perugia, il cardinale Orsino (il quale dopo la partita del re, temendo di ritornare a Roma, si era stato a Monteritondo), Pagolo Orsino, Vitellozzo, Giampagolo Baglione e Liverotto da Fermo, e per Giovanni Bentivogli Ermes suo figliuolo, e in nome de' sanesi Antonio da Venafro ministro confidentissimo di Pandolfo Petrucci; dove, discorsi i pericoli loro sí evidenti, e l'opportunità che avevano per la ribellione dello stato d'Urbino e perché al Valentino abbandonato da loro restavano pochissime genti, feciono confederazione a difesa comune e a offesa di Valentino e a soccorso del duca d'Urbino, obligandosi a mettere tra tutti in campo settecento uomini d'arme e novemila fanti… Nella quale confederazione, avendo grandissimo rispetto a non irritare l'animo del re di Francia … Ricercorono oltre a questo il favore de' viniziani e de' fiorentini, offerendo a questi la restituzione di Pisa, la quale dicevano essere in arbitrio di Pandolfo Petrucci per la autorità che avea co' pisani; ma i viniziani stetteno sospesi aspettando di vedere prima la inclinazione del re di Francia, e i fiorentini ancora, per la medesima cagione e perché avendo l'una parte e l'altra per inimici temevano della vittoria di ciascuno…". (Guicciardini, Storie fiorentine)

         La coalizione contro il Duca fallisce sia per l'indecisione e l'ingenuità dei vari partecipanti, sia perché viene a mancare l'aiuto sperato di Venezia (quasi timorosa del re francese e soprattuto del Papa e quindi della loro alleanza che si sarebbe potuta ritorcerle contro) e di Firenze per motivi puramente politici. Poiché il Valentino stava già istigando Arezzo e la Val di Chiana a ribellarsi a Firenze, questa si vide costretta a contattarlo in modo da rallentarne l'ascesa e cercare di rimandare a tempi più propizi la soluzione del problema. Dopo essersi riconciliato con i condottieri ribelli (che avevano partecipato alla Dieta della Magione), dando dimostrazione di grane disponibilità umana ed economica, il Valentino, dopo averli  rassicurati tanto ampiamente da arrivare quasi ad ingraziarseli, facendo loro dimenticare in gran parte i contrasti del recente passato, invita a Senigallia i partecipanti alla Dieta per celebrarvi la ratifica dei nuovi accordi, il 31 dicembre 1302, dove li fa invece catturare e strangolare.

      Venne il dí ordinato Valentino a Sinigaglia, al quale si feciono incontro Pagolo Orsino e il duca di Gravina, Vitellozzo e Liverotto da Fermo, e da lui raccolti con grandissime carezze l'accompagnorono insino alla porta della città, innanzi alla quale si erano fermate tutte le genti del Valentino in ordinanza. Nel qual luogo volendo essi licenziarsi da lui, per ridursi agli alloggiamenti loro che erano di fuora, insospettiti già per vedere che avea maggiore gente di quella che credevano avesse, gli ricercò venissino dentro perché aveva di bisogno di ragionare con loro; il che non potendo ricusare, benché con l'animo già quasi indovino del futuro male, lo seguitorno nel suo alloggiamento, e con lui ritirati in una camera, dopo poche parole, perché, sotto scusa di volere pigliare altre vesti, si partí presto da loro, furono da genti che sopravenneno nella camera fatti tutti a quattro prigioni; e in uno tempo medesimo mandati a svaligiare i loro soldati. E il dí seguente, che fu l'ultimo dí di dicembre, acciò che l'anno mille cinquecento due terminasse in questa tragedia, riservando gli altri in prigione, fece strangolare in una camera Vitellozzo e Liverotto

         Machiavelli è   presente ai fatti e al suo ritorno a Firenze scriverà l'operetta Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, riprendendo, con qualche piccolo mutamento, una lettera inviata ai dieci di Balìa.

         In questo quadro politico, nell'ottobre 1502 il vescovo Soderini, fratello di Pier Soderini Gonfaloniere di Firenze dal 1498, si reca ad Urbino per incontrare Cesare Borgia; con deliberazione del 5 ottobre Machiavelli viene inviato a Imola (che affianca il Soderini nella sua azione politica) per incontrare il duca Valentino con finalità sia politiche:

fare ogni officio di buoni amici; e che per tale cagione ti abbiamo mandato in posta a sua Eccellenzia, parendoci che la importanzia della cosa ricerchi così; e per significarli di nuovo, come in questi movimenti de' vicini nostri, noi siamo per avere ogni rispetto a le cose sua, e averle nel medesimo grado che le abbiamo sempre aùte, respetto al reputare tutti li amici di Francia, nostri amici, e dove si tratti dello interesse loro, trattarsi ancora del nostro

che economiche:

   E dopo questo primo parlare o in questa prima audienzia o da poi, ringrazierai con ogni efficacia la sua Eccellenzia del beneficio conferito a' nostri mercanti, el quale noi reputiamo conferito in noi e come cosa pubblica, della liberazione di quelli panni ritenuti a' mesi passati ad Urbino; de' quali ci è oggi nuova in questi mercanti, che sono stati consegnati a' mandati loro con amorevole dimostrazione, mostrando avere ancora di tal cosa commissione particulare; descendendo da poi, quando tu ne arai buona occasione, ad ricercare in nome nostro dalla sua Eccellenza sicurtà e salvacondutto, per li paesi e stati suoi, per le robe dei nostri mercanti che andassino e venissino di Levante...

         È durante questi incontri che il Nostro ha quelle impressioni che caratterizzeranno il protagonista del Principe, che appare un audace e spietato statista, dotato di eccezionali capacità politiche prima ancora che militari, freddamente determinato a crearsi uno stato e genialmente incamminato sulla strada della creazione di una milizia personale e cittadina, scartando le milizie ausiliarie e mercenarie, infide e spesso traditrici, comunque più legate al soldo che a rischiare la vita per chi le ha ingaggiate. Machiavelli resta molto colpito dal personaggio, tanto che chiede al suo coadiutore di cancelleria, Biagio Buonaccorsi, una copia delle Vite di Plutarco per cercarvi evidentemente un termine di paragone col Valentino che si impone come personaggio quasi mitizzato, una figura che incarna bene il "principe" dotato di quella virtù che permette di prendere le decisioni opportune al momento opportuno, tenendo presente il fine principale che ogni principe deve sempre tenere bene a mente: mantenere il principato. Machiavelli ravvisa nel Valentino il principe che poteva incarnare la vera capacità politica di comando e dominio delle situazioni che man mano si venivano creando in modo fluido e quasi inafferrabile. Ma un'estrema malignità di fortuna toglierà di mezzo un personaggio che non aveva avuto il tempo di mettere radici nella situazione politica italiana, pur avendo capito che uno dei mezzi per poter trionfare su coloro che ti vogliono togliere il potere è quello di avere truppe personali e non mercenarie o ausiliarie o miste.

        Nell'autunno 1501 Machiavelli si sposa con Marietta Corsini, figlia di Lodovico, di origini popolane, e l'anno dopo,  mentre è in procinto di partire per la legazione presso il Duca Valentino, in appoggio a Francesco Soderini, ha il primo figlio, una femmina, cui viene imposto il nome di Primavera (o Primerana, come riportano altri). Le notizie su Monna Marietta sono abbastanza scarse e le abbiamo soprattutto attraverso le lettere che i suoi amici gli scrivono: il 14 ottobre 1502 Agostino Vespucci scrive: uxor tua duos illos aureos accepit, opera Leonardi affinis et amantis tui. E subito dopo gli scrive Biagio Buonaccorso, in una lettera che accompagna l'invio di panni puliti (i legati della Repubblica dovevano farseli mandare da casa) che la moglie, un po' adirata per la lontananza del marito e operché questi le scrive troppo poco, gli prepara: "Monna Marietta mi ha mandato per il suo fratello ad domandare quando tornerete; et dice che la non vuole scrivere, et fa mille panie, et duolsi che voi li promettesti di stare 8 dì et non più; sì che tornate in nome del diavolo, ché la matrice non si risentissi, ché saremo impacciati insieme con frate Lanciolino.
         E i primi tempi sono un po' difficili, vuoi perché Machiavelli comincia ad essere inviato troppo spesso fuori Firenze, vuoi per il carattere dei due sposi, vuoi per la salute cagionevole di Primavera, che comunque il Nostro cerca di proteggere preparandole un futuro non minaccioso di difficoltà e stenti. D'altronde lo stipendio che guadagna come cancelliere è abbastanza misero e non permette spese  qualche volta pazze, e questo lo sappiamo bene  attraverso una lettera scrittagli il 21 ottobre dal collega e amico Biagio Bonaccorsi quando Machiavelli si compra una sorta di soprabito col cappuccio (tipico dell'epoca, comune sia alle donne che agli uomini, e chiamato popolarmente uchettone): E' mi duole non vi havere servito in tutto, perché mona Marietta vostra ha saputo di questo uchettone, et fa mille pazie. Et se voi non havessi allogato la putta sua sì bene, come havete starebbe di mala vogla; ma desiderrebbe intendere le circumstantie della dota: il donamento et altre cose è ad ordine, et tutte le cornachie di Sardigna verranno ad honorarla et accompagnarla honorevolmente. Sono tutti problemi concreti, che una volta risolti metteranno il matrimonio sulla giusta via.
         Il matrimonio fu felice? certamente non le sarà molto fedele: nelle sue lettere parla spesso di amori fugaci (alla sfuggiasca) o anche tenaci e persistenti nel tempo, come quello per la Riccia o per la cantante Barbara Salutati, che porterà con il suo coro a cantare alla rappresentazione della Mandragola che il Guicciardini voleva far rappresentare a Faenza (o a Bologna), per la quale lo stesso lui stesso avrebbe preparato le canzonette; la relazione con la "Bàrbera" durerà in pratica fino alla sua morte. Rispondere alla domanda non è facile, perché non ho in mano una documentazione sufficiente; certo qualche dubbio viene leggendo certe lettere inviate a Niccolò, soprattutto nel primi tempi della loro unione; ma risulta anche che Machiavelli non si lamentò mai apertamente della moglie, una donna schiva e modesta, dotata di una grande ragionevolezza, che ha i piedi ben piantati per terra e bada bene alla realtà delle cose e della vita quotidiana, che è capace di restare nell'ombra sia quando le cose vanno bene che quando vanno male. Donna Marietta fa molte difficoltà, ma imparerà presto a stare sola in Firenze, mentre il marito è impegnato lontan in Italia e spesso oltre le Alpi.
         Nel 1503, mentre si trova a Roma in legazione per la elezione del nuovo Papa, Marietta partorisce il secondo figlio, e questa volta è un maschio, il 10 novembre, e gli viene imposto, come da tradizione, il nome di Bernardo, quello del padre di Niccolò, morto come abbiamo detto nel 1500. A Roma Niccolò vive in grande ambascia non solo perché sta diventando padre per la seconda volta e si spera di un figlio maschio per cui vorrebbe trovarsi a Firenze, ma soprattutto perché in città infuria il colera e molti ne muoiono: egli stesso non sta bene e rivela nelle sue lettere a Firenze i suoi timori, tanto che gli amici Francesco del Nero prima (Verèbemi voglia di dire che voi non fusse Nicholò, essendovi in tanto prosternato et invilito per una chosa che aviene a ogn'omo 100 volte in vita. In e chasi simili, chi è più diligiente fa uno pocho di purghagione achomodate, et poi vi pensa tanto quanto basta. Non vorrei, in vostro servigio, Totto m'avessi mostrata la vostra, né anchor voi aresti voluto; ma lui à facto l'uficio in questo di savio, a fine che io possa amonirvi chome si conviene, ché avete aùto uno figliuolo, che a me in questo anno possa avenire non credo chosa, non sendo di molto peso, m'abi a turbare, ché non fu mai il più bello naccherino, né il più vivo. ) e il fratello Totto (non dicho che non sia bene riguardarsi, ma non si disperare però d'un chaso che avenga chome è avenuto a voi, ma stare di buono animo, e fare pensiero di non avere per nessuno modo avere male: e chi fa a questo modo e riguardasi, per nessuno modo è da pensare che gli abia male veruno. E però state di buono animo, ché lo invilire è chosa da fanculli o da donne.) gli scrivono per confortarlo.
         La notizia della nascita del figlio l'abbiamo, oltre che dalla solita lettera di Biagio Buonaccorsi, anche da Monna Marietta, in una tenerissima e breve lettera affronta tutti i temi della loro vita quotidiana, dalla lontananza di Niccolò al suo orgoglio di essere sua moglia, dal morbo che sta infestando Roma alla richiesta di avere da lui più lettere e alla letizia della nascita del bambino, che "visto che somigla a voi parmi bello", che è una profonda dichiarazione del suo amore per Niccolò:

           Firenze, 24 novembre 1503
Spettabili viro Nicholò di Messer Bernardo Machiavelli. In Roma.

           Al nome di Dio a dì 24.
Carissimo Nicholò mio. Voi mi dilegiate ma non n'avete ragione, ché più rigollio arei se voi fussi qui: voi che sapete bene chome io sto lieta quando voi non siete qua giù; e tanto più ora che m'è stato detto chostassù è si gran morbo, pensate chome io sto chontenta, che e' non trovo riposo né dì né note. Questa è la letizia ch'i' ò del bambino. Però vi prego mi mandiate letere un poco più speso che voi non fate, ché non ò ante se non tre. Non vi maravigliate se io non v'ò scripto, perché e' non ò potuto, ch'ò auto la febre insino a ora: non sono adirata. Per ora el bambino sta bene, somiglia voi: è bianco chome la neve, ma gl'à el capo che pare veluto nero, et è peloso chome voi; e da che somiglia voi, parmi bello; et è visto che pare che sia stato un ano al mondo; et aperse li ochi che non era nato, e mese a tumore tuta la casa. Ma la bambina si sente male. Ricordovi el tornare. Non altro. Iddio sia co' voi, e guardevi.
Mandovi farseto e dua camice e dua fazoleti e uno sciugatoio, che vi ci cucio.
Vostra Marieta in Firenze

         Da Mona Marietta Machiavelli avrà altri cinque figli, oltre i citati Primavera e Bernardo:
         - Guido (n. 1511)
         - Lodovico 1504, che morirà nel 1530 in battaglia a difesa di Firenze contro le soldatesche del Principe d'Orange
         - Piero (1514-1564), scrittore mediocre
         - Totto (n. 1525) ultimo figlio
         - e un'altra femmina , Baccina, (diminutivo familiare di Bernarda), che si sposerà con Giovanni de' Ricci;
nel primo testamento, del 1511, la nomina usufruttuaria di tutti i suoi beni (pagae hujusmodi creditorum Montis, seu fructus, redditus, et proventus hujusmodi bonorum immobilium pleno jure pertineant, et spectent, et pertinere et spectare debeant, ultra dotes suas praedictas, dictae, et ad dictam Dominam Mariettam ejus tantum vita durante, et ea stante vidua, et vitam vidualem, et honestam servante) dopo averla ricordata in modo affettuoso (uxori suae dilectae). 

        Nella primavera del 1503, con deliberazione del 26 aprile, con lo scopo di ottenerne l'assenso a partecipare a una lega contro Pisa, viene mandato a Siena presso Pandolfo Petrucci che sempre era stato incline a fare il doppio gioco, parteggiando sia per la Repubblica fiorentina che per i Pisani; il Petrucci alla fine di gennaio si era allontanato da Siena con salvacondotti e lettere speciali del Duca Valentino che si voleva impadronire anche di quella città, rifugiandosi a Lucca, dove pochi giorni dopo il Valentino inviò cinquanta uomini armati per ucciderlo, senza riuscirvi, perché questi furono trattenuti a Cascina dal Commissario fiorentino; scampato il pericolo, rientrò nella sua Siena il 29 marzo con l'aiuto del re di Francia e della Repubblica fiorentina alla quale si era obbligato a restituire il comune di Montepulciano.
        Nel mese di giugno viene incaricato da Pier Soderini di organizzare le forze militari per mettere fine proprio alla lotta contro Pisa e per domare la situazione esplosiva delle ribellioni della Valdichiana e di Arezzo.
        Il 18 agosto muore improvvisamente Alessandro VI, sembra avvelenato per errore in un ennesimo complotto da lui stesso organizzato insieme al figlio Cesare ai danni del Cardinale Adriano Castellesi di Corneto di cui avrebbe voluto incamerare i cospicui beni da utilizzare per la continuazione e il completamento dell'impresa del Valentino nella conquista della Toscana e forse anche della secolarizzazione dello stato della Chiesa. Invitato dal Cardinal Castellesi nella sua villa, per errore gli viene data dal servitore quella stessa coppa di vino avvelenata che era stata destinata al padrone di casa. Il collegio dei cardinali venne a patti col Duca Valentino, temendone un colpo di mano, pur sapendo che giaceva a letto gravemente ammalato di malaria ma con molti uomini pronti alle armi: gli venne promesso il mentenimento dello Stato di Romagna e il titolo di Gonfaloniere della Chiesa in cambio del suo allontanamento da Roma. Il 22 settembre viene eletto Papa, coi voti dei cardinali spagnoli amici del Duca, Francesco Todeshini Piccolomini, già malato gravemente di gotta, che prenderà il nome di Pio III, che per paura sarebbe rimasto neutrale fra il Valentino e i suoi rivali. Ma per colmo di sfortuna, e di sventura, del Valentino, che si era recato a Nepi, a una cinquantina di chilometri a nord di Roma, vicino Civita Castellana per guarire,  anche il suo successore avrà vita breve e morirà il 18 ottobre, dopo soli ventisei giorni di pontificato.
        Due giorni dopo la scomparsa del Papa, il cardinale Giuliano della Rovere, persona di grande prestigio, aveva riunito in una specie di preconclave in Vaticano i prelati spagnoli e Cesare Borgia garantendogli le stesse promesse fattegli due mesi prima dal collegio cardinalizio con l'aggiunta della nomina a Capitano generale della Chiesa. Dietro lauti compensi il cardinale si assicurò anche l'appoggio della restante parte del collegio. Il 31 ottobre si apre il Conclave e Giuliano vi entra "già Papa", come scrisse il Castiglioni, venendo eletto già al primo scrutinio. Prende il nome di Giulio II. È l'elezione che segna la fine del Valentino, che non è ancora guarito dalla grave malattia che lo aveva colpito e reso quasi in fin di vita e quindi impossibilitato a influire in maniera decisiva nell'elezione del nuovo papa. Giulio II, che non aveva dimenticato i passati torti, usa gli stessi mezzi del Borgia, si rimangia il patto stretto da poche settimane, e si vendica degli affronti subiti sotto Alessandro VI e dell'esilio decennale cui era stato costretto, facendololo ricercare per tenerlo sotto controllo fino alla soluzione finale. Abbandonato a se stesso, senza più appoggi, Cesare Borgia è costretto a fuggire e verrà arrestato dopo qualche mese da Consalvo di Cordoba gran capitano delle truppe spagnole a Napoli. Prigioniero prima a Napoli, poi in Spagna, riesce a fuggire e a trovare rifugio presso il cognato re di Navarra, ma trova la morte nella sua ultima impresa sotto il castello di Viana.
        Ad assistere all'elezione del nuovo pontefice nell'autunno di quel 1503 il governo fiorentino decide di mandare Machiavelli (Magnifici Decemviri dederunt infrascripta mandata Niccolao de Machiavellis electo ab eis in mandatarium Reipublicae Florentinae pro stando in civitate Romana, ut patet de eius electione in libro Deliberationum dictorum Decem, sub die 21 dicti mensis. ). Partito il 23 ottobre, ritorna in Firenze il 21 dicembre; e nelle lettere che quotidianamente invia a Firenze, ci offre uno spaccato della vita presso la Curia romana nei primi anni del Cinquecento, gli intrallazzi, i raggiri, le piccole congiure, le promesse fatte e non mantenute; è in questa occasione che muta parere sulla "virtù" del duca Valentino e sulle sue capacità politiche, condanna le ragioni che lo avevano portato all'accordo col futuro Papa di cui gli è noto el naturale odio che sua Santità li ha sempre portato, e non può sì presto avere smenticato lo esilio, nel quale è stato dieci anni; infine giudica con parole sferzanti il suo atteggiamento fiducioso:

el Duca si lascia trasportare da quella sua animosa confidenza; e crede che le parole d'altri sieno per essere più ferme che non sono sute le sue, e che la fede data de' parentadi debba tenere, perché dicono essere confermato el parentado tra Fabio Orsino e la sirocchia di Borgia, e così la figliuola del Duca essersi maritata al Prefettino. Io non vi posso dire altro delle cose sue, né determinarmi ad un fine certo: bisogna aspettare el tempo, che è padre della verità;

sottolineandone gli errori sul piano della condotta politica, che gli faranno perdere quel poco di credito e di "respecto" che ancora possedeva e che dieci anni dopo verranno ripresi nel capitolo VII del Principe: Per tanto el duca, innanzi ad ogni cosa, doveva creare papa uno spagnolo, e, non potendo, doveva consentire che fussi Roano e non San Piero ad Vincula. E chi crede che ne' personaggi grandi e' benefizii nuovi faccino dimenticare le iniurie vecchie, s'inganna. Errò, adunque, el duca in questa elezione; e fu cagione dell'ultima ruina sua.
        A seguito della sconfitta francese sul Garigliano (28 dicembre 1503) all'inizio del 1504 Machiavelli viene di nuovo inviato in Francia, come accompagnatore del regolare ambasciatore Niccolò Valori, in qualità di emissario particolare del Gonfaloniere Pier Soderini, che il 22 settembre 1502 era stato eletto "Gonfaloniere Perpetuo della Repubblica Fiorentina", e che tanto si fidava dei suoi giudizi politici. La legazione del Machiavelli era originata dal il timore che i Fiorentini nutrivano a proposito di Consalvo di Cordoba, che, dopo aver sconfitto i Francesi sul Garigliano ed espugnata Gaeta assicurando il regno di Napoli al re di Spagna, non intervenisse a mutare la situazione di Firenze rimettendo sul trono di Milano gli Sforza eliminando la potenza francese in Italia
        Al 1504 deve farsi risalire la composizione dei Capitoli per una compagnia di piacere, nei quali si fa menzione del David di Michelangelo come già collocato in piazza della Signoria vicino al Palazzo Vecchio.
        Machiavelli ha ormai acquistato una posizione di prestigio all'interno delle istituzioni cittadine, anche per l'appoggio del Gonfaloniere; dopo aver costatato il fallimento delle milizie mercenarie nella guerra contro Pisa, fa alla Signoria, e quindi a Pier Soderini, una proposta rivoluzionaria: costituire una milizia popolare. Il Consiglio Maggiore lo autorizza alla fine del 1505 a cominciare il reclutamento nel vicariato del Mugello e nel Casentino, evitando l'arruolamento cittadino per impedire che uomini armati potessero far da soli e conquistare il potere nella città. I ceti borghesi non avevano intenzione di arruolarsi per non lasciare i propri affari o per evitare di lasciarli in mano ad altri; per questo le truppe erano costituite prevalentemente da contadini e da salariati, che con le armi avrebbero potuto guadagnare di che vivere. Questa situazione destava molte preoccupazioni nelle poche famiglie che gestivano il potere della città: dare le armi in mano al popolo, infatti, significava andare controcorrente e poneva  importanti interrogativi, come, in primo luogo, quello della disponibilità a combattere di persone che non vi erano abituate e venivano oltretutto ritenute prive di motivazioni ed interessi sufficienti e, in secondo luogo, quello di una possibile destabilizzazione politica di Firenze.
        Nel dicembre 1505 viene istituita la magistratura dei Nove Ufficiali dell'ordinanza e della milizia fiorentina, della quale Machiavelli viene nominato Segretario: "cominciò el gonfaloniere, sanza fare consulta, colla autorità della signoria a fare scrivere pel contado, come in Romagna, in Casentino, in Mugello e ne' luoghi piú armigeri, quegli che parevano atti a questo esercizio, e messigli sotto capi, cominciò el dí delle feste a fare esercitare e ridursi in ordinanza al modo svizzero" (Guicciardini). Tra gennaio e marzo 1506 Machiavelli viene dunque impegnato dal Soderini al reclutamento in Mugello e nel Casentino. Durante il Carnevale avviene per le vie cittadine la prima sfilata delle nuove truppe; i fanti erano vestiti di "un farsetto bianco, un paio di calze alla divisa bianche e rosse, e una berretta bianca, e le scarpette, e un petto di ferro e le lance" (Guetta).
        La Milizia nel 1509 si comporterà bene durante l'assedio di Pisa, mentre il 10 marzo di quello stesso anno Machiavelli incontra i Pisani a Piombino per trattare una onorevole resa, firmata da Virgilio Adriani e appunto Machiavelli che può entrare alla testa dei suoi battaglioni in Pisa dopo una guerra durata 15 anni. La Milizia, più che un ritorno al Medioevo, come ha affermato qualche critico, deve essere vista come una necessità dello stato moderno che si deve avvalere delle sue forze interne per provvedere alla sua esistenza piuttosto che servirsi delle forze mercenarie.
        Nel 1506 segue come osservatore la spedizione di Giulio II per riconquistare Perugia contro Giampaolo Baglioni e Bologna contro Giovanni Bentivoglio (nascono da questa missione i Ghiribizzi scripti in Perugia al Soderino, in cui troviamo il principio che bisogna guardare il fine e non il mezzo e che la politica non è buona o cattiva ma utile o dannosa); in dicembre è a Roma in legazione presso papa Giulio II che si è già ripreso molti territori facenti parte un tempo dello Stato pontificio e che ora ha intenzione di cacciare i francesi dall'Italia: cosa che comincerà a fare a partire dal 1510. Firenze da un lato vuole mantenere la propria neutralità e dall'altro non può dimenticare i benefici avuti dai francesi; comunque non crede che il papato sia in grado di realizzare il progetto. Nello stesso anno il Nostro pubblica il suo primo scritto: il Decennale primo, una composizione in terzine, scritta in 15 giorni, che abbraccia gli ultimi dieci anni della storia fiorentina (1494-1504). Nella dedica si legge: "Leggete, Alamanno (Alamanno Salviati, ndr), poi che voi lo desiderate, le fatiche d'Italia di dieci anni, e la mia di quindici dì".
        Nel 1508 scrive il Rapporto delle cose della Magna che porta la data del 17 giugno, al rientro dalla legazione, che lo aveva impegnato sin dal 17 dicembre dell'anno precedente, come osservatore in appoggio a Francesco Vettori, presso Massimiliano d'Asburgo che si proponeva di scendere in Italia, confidando nell'appoggio del papa, che nel frattempo era impegnato a creare una coalizione contro Venezia che rifiutava di ridare alla Chiesa alcuni territori dello Stato Pontificio. Machiavelli fu inviato nonostante molte e decise opposizioni, come afferma lo stesso Guicciardini nelle Storie Fiorentine: "E fu eletto per opera del gonfaloniere, che vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale mettendosi in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da bene, chi e' si mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene atti a andarvi ed e' quali era bene che si esercitassino. E però mutata la elezione, fu deputato Francesco di Piero Vettori con commessione generale e da intendere e scrivere, non da praticare e conchiudere". Il Rapporto verrà condensato nel Discorso sopra le cose dell'Alemagna e sopra l'imperatore e infine ripreso nel 1512 col titolo di Ritratto delle cose della Magna.
        Intanto Giulio II, asceso al pontificato anche col fermo proposito di recuperare alla Chiesa tutte le sue terre, non si limita a lanciare l'interdetto contro Venezia, il rivale più agguerrito, ma aderisce alla Lega firmata a Cambrai il 10 dicembre 1508, alla quale partecipano, insieme agli stati italiani timorosi dell'espansionismo veneziano, anche i re di Francia Luigi XII e di Spagna Ferdinando il Cattolico insieme all'imperatore Massimiliano d'Austria, senz'altro il più pericoloso non solo per la sua vicinanza ma soprattutto per la sua volontà di avere uno sbocco sul mare Adriatico (Massimiliano pensa di sottrarre a Venezia i porti di Trieste e Fiume). La Lega infligge ai Veneziani la rovinosa disfatta di Agnadello (14 maggio 1509), durante la quale muore anche il comandante delle truppe veneziane Roberto da Sanseverino. Con la perdita di molta parte del territorio della Terraferma (nella quale era penetrato colle sue forze l'imperatore, mettendo a ferro e fuoco le terre di Verona Vicenza Padova Bassano Feltre), Venezia è ad un passo dalla perdita della sua indipendenza, ma viene salvata sia dalla eroica fedeltà delle popolazioni contadine e cittadine, sia dall'abile azione diplomatica messa in atto dai suoi governanti che riescono, mediante accordi separati, a dividere il fronte dei coalizzati. Venezia comunque dopo questa sconfitta, pur riuscendo a recuperare gran parte dei territori perduti, dovrà dire addio al sogno di diventare una grande potenza di terraferma.
        Machiavelli, subito dopo la descritta entrata in Pisa alla testa della sua Milizia, il 10 novembre 1509 viene inviato al campo dell'Imperatore: le tappe di questa legazione sono prima Mantova e poi Verona, e a Verona si deve recare con due o tre cavallari colla somma del pagamento che si ha a fare in quel luogo all'Imperatore o a suo legittimo mandato, per il secondo termine o seconda paga di quanto se gli è promesso, per i capitoli fatti ultimamente, accordi presi in Verona con l'Imperatore che in cambio di soldi assicurava alla Repubblica tutti i suoi possessi e si impegnava a non recare offesa o assalti militari al territorio attuale e alla libertà e indipendenza dello stato. I Fiorentini si erano impegnati a pagare 40.000 ducati in quattro rate da pagarsi nei mesi di ottobre, novembre (il 25 scadeva la rata di 10.000 ducati o fiorini d'oro, oggetto di questa legazione, che verrà consegnata al tesoriere dell'Imperatore), gennaio e febbraio.
         Durante questa legazione nella lettera (che riportiamo per intero) inviata ai Dieci di Balìa a Firenze, Machiavelli fa un rapporto sulle condizioni della gente nel territorio di Verona in cui mette in risalto l'eroismo dei contadini veneti contro i Tedeschi e il loro attaccamento alla patria "marchesca" (marchesco da Marco):

      Magnifici Domini, etc. Poi che io arrivai qui ho scritto due volte alle signorie vostre a' ventidue e ventiquattro, le quali avrà presentate a quelle il Zerino. Nè è occorso altro di momento, se non che si vede tuttavia ingrossare questo luogo di gente. E ieri vennero mille guasconi da Peschiera, e oggi sono arrivati dugento uomini d'arme, pure Francesi; e a Peschiera si dice è assai gente a piè e a cavallo, le quali devono venir qua infra due dì con il Gran Mastro, al qual tempo ci si aspetta anche l'Imperatore; dopo la venuta de' quali si dice che passeranno avanti a purgare i peccati di Vicenza. Ed è questa gita aspettata con desiderio dai soldati, per la speranza della preda e per la debolezza del luogo, dove sperano con poca fatica e meno pericolo fare grandissimo guadagno. Nè s'intende che i Viniziani la fortifichino, nè che facciano alcuno straordinario provvedimento: ma stannosi con le loro genti all'intorno di quella città in certe castelletta: e costoro attendono a rubare il paese, e saccheggiarlo, e vedesi e sentesi cose miserabili senza esempio, di modo che negli animi di questi contadini è entrato un desiderio di morire, e vendicarsi, che sono diventati più ostinati e arrabbiati contro a' nemici de' Viniziani che non erano i Giudei contro a Romani: e tutto dì occorre che uno di loro preso si lascia ammazzare per non negare il nome viniziano. E pure iersera ne fu uno innanzi a questo vescovo, che disse che era marchesco e marchesco voleva morire, e non voleva vivere altrimenti; in modo che il vescovo lo fece appiccare, nè promesse di camparlo, nè d'altro bene lo possè trarre di questa opinione; dimodochè, considerato tutto, è impossibile che questi re tenghino questi paesi con questi paesani vivi. Se persa Vicenza costoro sono per fare altro o con che convenzioni, e il re di Francia venga sì gagliardo a questa impresa, io non lo so. Rimettomene a quello che ne avrà scritto Francesco Pandolfini il quale, per esser più antico qua, e appresso ad uomini più liberali, ne deve aver ritratto qualche particolare. Il vescovo di Gursa, come io intendo, non è con l'Imperatore, ma è ito più addentro nella Magna a procacciare danari. Raccomandomi a vostre signorie. Quae bene valeant.
                                                                                     Ex Verona, die 26 novembris, 1509.

        Machiavelli torna a Firenze il 2 gennaio 1510 e subito si trova nel mezzo di uno spregiudicato cambiamento di fronte. Giulio II, che aveva ottenuto le terre della Romagna che facevano parte dello stato pontificio, prima che se ne appropriasse il Duca Valentino, si riappacifica con i Veneziani e promuove una Lega, da lui stesso detta "Santa", alla quale invita Svizzeri, Inglesi e Spagnoli: Venezia si viene così a trovare tra due fuochi, da un lato Giulio II con la sua politica spregiudicata, e dall'altro i Francesi e l'imperatore, senza la possibilità di poter attuare una politica equidistante e senza il coraggio, dimostrato più volte nel corso della loro storia, e anche in quegli anni proprio rendendoli così invidiati dal Machiavelli perché avevano la fortuna di perdere nelle battaglie e di vincere nei negoziati, riacquistando diplomaticamente più di quanto avevano perso militarmente: "Fu un tempo cosa quasi che fatale alla repubblica veneziana perdere nella guerra, e negli accordi vincere, e quelle cose che nella guerra perdevano, la pace dipoi molte volte duplicatamente loro rendeva".
         Lo stesso avviene con l'Imperatore Massimiliano: "secondo l'ordine della fortuna loro fecero un accordo con i Tedeschi, non come perdenti, ma come vincitori; tanto fu per loro la repubblica onorevole". La fortuna dei veneziani era l'effetto del loro coraggio e della loro tenacia, di quel non temere il peso e i pericoli della guerra; per questo i nemici venivano a patti con Venezia temendo la sua potenza e la forza del suo radicamento nel territorio. Il Machiavelli fiorentino, innamorato della sua "patria" non poteva ammettere l'intrinseca forza di Venezia che derivava anche dalla solidità di un Governo garantito nella sua esistenza e continuazione da una serie di norme tanto rigide quanto difficili da manomettere.
        Firenze, avendo un governo politicamente debole e mutevole, soprattutto nella prima metà del Cinquecento, per effetto delle lotte intestine tra le varie fazioni, è costretta a barcamenarsi fra i vari potenti in modo da subire il meno possibile, disposta anche a pagare 40000 ducati all'Imperatore perché questi riconosca l'integrità dello stato fiorentino come nel caso dell'accordo di Verona. Così nel giugno 1510 Machiavelli si mette in viaggio per la Francia, inviato dai Dieci di Balìa con l'incarica di farsi mediatore tra le ambizioni di Papa Giulio II e la potenza della Francia; si reca a Blois per incontrare Luigi XII e invia a Firenze una serie di lettere che sono un chiaro esempio della sua fredda lucidità di giudizio e della sua considerazione sempre più frequente di inserire i fatti in una concezione politica più generale. In esse il Machiavelli invita la repubblica a prendere una chiara decisione in favore o del Papa o della Francia per evitare di restare vittima e comunque preda del vincitore, chiunque fosse stato. Ma il suo consiglio resterà inascoltato e Soderini persisterà in una politica di equidistanza tra papato e Francia. Tornato a Firenze, nel mese di ottobre a Firenze scrive il Ritratto delle cose di Francia.
        Nel mese di Agosto 1511 si diffonde la notizia che Giulio II è gravemente malato; allora Pier Soderini, quasi raccogliendo il vecchio consiglio di Machiavelli, decide di appoggiare i cardinali filofrancesi, confidando in una loro vittoria; ma il papa guarisce inaspettatamente, e Machiavelli viene subito chiamato per parare l'ira del papa e il 10 settembre è inviato a Milano e quindi in Francia per cercare di impedire o almeno di rimandare l'effettuazione del concilio che si sarebbe dovuto tenere a Pisa. Ma la situazione precipita: sentendosi attaccato Giulio II agisce tempestivamente con la solita irruenza e lancia il 23 settembre l'interdetto contro Pisa e Firenze;

      "Sopravenne in questo mezzo il primo dí di settembre, dí determinato a dare principio al concilio pisano; nel quale dí i procuratori de' cardinali venuti a Pisa celebrorono in nome loro gli atti appartenenti ad aprirlo. Per il che il pontefice, sdegnato maravigliosamente co' fiorentini che avessino consentito che nel dominio loro si cominciasse il conciliabolo (il quale con questo nome sempre chiamava), dichiarò essere sottoposte allo interdetto ecclesiastico le città di Firenze e di Pisa, per vigore della bolla del concilio intimato da lui; nella quale si conteneva che qualunque favorisse il conciliabolo pisano fusse scomunicato e interdetto, e sottoposto a tutte le pene ordinate severamente dalle leggi contro agli scismatici ed eretici". (Guicciardini, Storia d'Italia, Lib. 10, cap. 5)

         Il concilio, voluto dal re di Francia, con l'intento di far deporre il papa con l'accusa di simonia, comincia a Pisa, tra l'ostilità generale sia dei pisani che della stessa signoria di Firenze che non consentì il passaggio e lo stazionamento non solo delle truppe francesi ma anche dei soldati al seguito dei vari cardinali, all'interno del territorio della repubblica. Ma dopo appena due sedute, anche a seguito di un fortuito tumulto scoppiato a causa di un francese che aveva fatto insolenti apprezzamenti su una meretrice, si decide nella seconda seduta di trasferire il concilio, chiamato sprezzantemente dal papa conciliabolo, a Milano, dove avrà vita non meno difficile:

"fatta il dí seguente la [seconda] sessione, nella quale statuirno che il concilio si trasferisse a Milano, si partirno con grandissima celerità, innanzi al quintodecimo dí della venuta loro: con somma letizia de' fiorentini e de' pisani, ma non meno essendone lieti i prelati che seguitavano il concilio;". Affrettano i preparativi per la partenza, lamentandosi "per la mala qualità degli edifici e per molte altre incomodità procedute dalla lunga guerra, non era atto alla vita dilicata e copiosa de' sacerdoti e de' franzesi, e molto piú perché, essendo venuti per comandamento del re contro alla propria volontà, desideravano mutazione di luogo e qualunque accidente per difficultare, allungare o dissolvere il concilio. Ma a Milano i cardinali, seguitando per tutto il dispregio e l'odio de' popoli, arebbono avute le medesime o maggiori difficoltà." (Guicciardini, cit., lib. 10, cap. 7).

        Non resta che lo scontro armato. L'11 aprile 1512 a Ravenna, in una grandissima battaglia, e senza dubbio delle maggiori che per molti anni avesse veduto Italia, i Francesi sconfiggono le truppe della Lega Santa, ma il comandante delle truppe francesi, Gastone di Fois, vi trova la morte. La morte di Fois e le gravi perdite subite, insieme al timore di un intervento dell'imperatore al fianco del papa, neutralizza gli effetti della vittoria; successivamente sia la tregua con l'imperatore che la paura di un intervento sul territorio francese degli inglesi che con le navi cominciavano a infestare le coste della Normandia e della Bretagna, spinge Luigi XII a richiamare in Francia un forte contingente di truppe, lasciando indebolito lla parte rimanente dell'esercito di stanza in Italia. Nel Concilio Lateranense, che proprio in quei giorni aveva aperto con la sua solenne presenza per contrastare il concilio pisano, il papa ammonisce il re francese a lasciare libero il cardinale dei Medici, tenuto prigioniero a Milano.
        A nulla valgono le ambascerie e le legazioni, i tentativi di rabbonire il Papa e di fermare i francesi che tornano in patria presi anche dai loro problemi e dalla paura di un attacco inglese: Firenze resta in balia del papa e il 29 agosto le raccogliticce milizie comunali radunate dal Machiavelli, vili ed inesperte, nulla possono contro le truppe spagnole comandate dal vicerè che, superata Prato dopo averla conquistata e saccheggiata, entrano facilmente in città, dopo aver abbattuto la "porta detta del serraglio" con l'uso di due soli cannoni, dei quali uno si rompe subito e l'altro dopo pochi colpi non spara più con la forza necessaria: duemila, secondo Guicciardini, sono i morti senza combattere, mentre gli spagnoli cominciano a mettere a sacco la città, per fortuna subito frenati dalle truppe pontificie al seguito di Giovanni de' Medici. Il 31 agosto il Gonfaloniere Pier Soderini è costretto a dimettersi, in cambio della vita e di un un salvacondotto, col quale col quale raggiunge prima le case di Paolo Valori, aiutato dal Machiavelli e da Francesco Vettori che lo stesso Machiavelli aveva trattenuto prima che scappasse per i campi per non farsi trovare presente in quel momento cruciale, e poi il territorio di Siena per dirigersi poi su Ancona e quindi verso Ragusa in Dalmazia e addirittura in Turchia, fuggendo in pratica dall'Italia avvertito dal fratello cardinale che il Papa stava tramando di ucciderlo per impossessarsi dei suoi beni, e dei suoi denari che, si diceva, non erano pochi.
         È la fine della Repubblica e quindi il ritorno dei Medici, cheGuicciardini così racconta:

      "Paolo Vettori e Antonio Francesco degli Albizi, giovani nobili, sediziosi e cupidi di cose nuove… la mattina del secondo dí dalla perdita di Prato, che fu l'ultimo dí di agosto, entrati con pochi compagni in palazzo, dove, per il gonfaloniere che si era rimesso ad arbitrio del caso e della fortuna, non era provisione né resistenza alcuna, e andati alla camera sua, lo minacciorono di torgli la vita se non si partiva del palazzo, dandogli in tale caso la fede di salvarlo. Alla qual cosa cedendo egli, ed essendo a questo tumulto sollevata la città, scoprendosi già molti contrari a lui e nessuno in suo favore, fatti per ordine loro congregare subito i magistrati che secondo le leggi avevano sopra i gonfalonieri amplissima autorità, dimandorno che lo privassino legittimamente del magistrato, minacciando che altrimenti lo priverebbeno della vita: per il quale timore avendolo contro alla propria volontà privato, lo menorno salvo alle case di Paolo, donde la notte seguente bene accompagnato fu condotto nel territorio de' sanesi; e di quivi, simulando di andare a Roma con salvocondotto ottenuto dal pontefice, preso occultamente il cammino d'Ancona, passò per mare a Raugia… Levato il gonfaloniere del magistrato, la città mandò subito imbasciadori al viceré, col quale per opera del cardinale de' Medici facilmente si compose: perché il cardinale si contentò che degli interessi propri non si esprimesse altro che la restituzione de' suoi… (e)… venne subito in Firenze alle case sue; ove, parte con lui parte separatamente, entrorno molti condottieri e soldati italiani, non avendo i magistrati, per la vicinità degli spagnuoli, ardire di proibire che non vi entrassino. Dipoi il dí seguente, essendo congregato nel palagio publico per le cose occorrenti un consiglio di molti cittadini, al quale era presente Giuliano de' Medici, i soldati, assaltata all'improviso la porta e poi salite le scale, occuporono il palagio." (Guicciardini, Storia d'Italia, Libro 11, capitolo 4)

         Rovesciato il governo repubblicano, con quello che avevano sempre avversato la Repubblica per propri interessi, i Medici il 16 settembre, rientrati con tutti gli onori in Firenze, dopo 18 anni di esilio, essendo stati cacciati nel 1494, riprendono il potere in un momento di confusione politica e sociale, nel quale Machiavelli si dà da fare svolgendo un'opera di pacificazione e cercando di chiarificare ai partigiani della Casa medicea quali erano in effetti gli obiettivi di coloro che volevano mettere in cattiva luce la Repubblica e trovare qualcosa con cui accusare Pier Soderini, una analisi rimasta nota col titolo Ai Palleschi, scritta verso la fine di ottobre. Ma per Machiavelli le cose precipitano: i nemici della Repubblica hanno vinto e lui rimane sul campo l'unico capro espiatorio. L'8 novembre 1512 il Consiglio dei Magnifici Domini avalla una decisione della signoria medicea che decide di sollevarlo dall'incarico, privandolo nel contempo di ogni beneficio:

      "Die 8 novembris 1512. Praefati Magnifici et excelsi Domini et Vexillifer simul adunati, etc., absente magnifice Domino Paulo de Vectoris, uno ex dictis Magnificis Dominis collegii domi aegrotante, vigore cuiuscumque auctoritatis, potestatis, eiusdem per quaecumque statuta ad ordinamente Populi et Comunis Florentiae concessae et attributae et omni meliori modo etc., servatis servandis etc., et obtento partito inter eos per omnes fabas nigras, cassaverunt, privaverunt et totaliter amoverunt Nicolaum domini Bernardi de Machiavellis ab et de officio Cancellarii secundae Cancellariae prefatorum Magnificorum et excelsorum Dominorum Florentiae, et ab et de officio sive exercitio, quod ipse Nicolaus hactenus habuit et exercuit sive habere et exercere consuevit in Cancellaria, sive pro computo Cancellariae Magistratus Decem Libertatis et Pacis Excelsae Reipublicae Florentinae; ipsumque Nicolaum pro casso, privato, et totaliter amoto ab et de hujusmodi Officiis, sive exercitiis, et quolibet eorum habendum esse, et habere de caetero voluerunt, decreverunt, et mandaverunt. Mandantes etc.

         Il 10 viene condannato a un anno di confino (che trascorrerà presso San Casciano) all'interno del dominio e territorio fiorentino con l'obbligo di non oltrepassarne il confine  e al pagamento di una cauzione ingentissima: mille fiorini d'oro, che gli saranno forniti da tre amici rimasti sconosciuti:

      "Die 10 mensis novembris 1512. Item dicti DD. Et Vexillifer simul adunati etc., juxtis de causis moti, ut dixerunt, et servatis servandis etc. deliberaverunt, et deliberando relegaverunt amoverunt Nicolaum domini Bernardi de Machiavellis, civem Florentinum, olim unum ex cancellariis dictorum Dominorum, in territorio et dominio Florentino per unum annum continuum prox. Fut. Ab hodie; quae confinia servare teneatur et debeat, nec de dicto dominio et territorio Florentino exeat nec exire debeat sub poena eorum indignationis; et quod pro observantia supradictorum, et dictae relegationis debeat dare et det dictis Magnificis et Excelsis DD. Eosdem fidejussores, sive expromissores, quos hodie ob similem causam dederat, ut apparet manu ser Antonii de Bagnone, qui se sub dicta eadem poena flor. 1000 largorum, et eodem modo videlicet flor. 333 ½ largorum pro quolibet, in forma valida se obligent, quod praedictos fines in totum servabit; alias de eorum solvere, ut supra, Communi Florentiae quantitatem praedictam, cui dicta poena applicari debeat, et sic eam tali casu applicuerunt. Mandantes etc.".

E infine il 17 gli viene ingiunto di non mettere più piede in Palazzo Vecchio:

      "Die 17 mensis Novembris 1512. Item dicti Magnifici et Excelsi DD. Et Vexillifer simul radunati etc. deliberaverunt fieri praeceptum et praecipi Nicolao dom. Bernardi de Machiavellis, olim cancellario secundae Cancellariae dictorum Magnificorum et Excelsorum DD., et. Blasio Bonaccursi olim Coadjutori Domini Marcelli, quatenus per unum annum proximum futurum a die notificationis hujus deliberationis, et praecepti non intrent, nec ingredi possint palatium praefatorum Magnificorum, et Excelsorum Dominorum, sub poena eorum indignationis etc. Mandantes etc.".

        Non si conoscono i motivi per cui viene allontanato dai Medici dalle sue mansioni, tanto più che la sua onestà è comprovata proprio dal non essersi arricchito col suo incarico, come avrebbero fatto molti; quante volte si era lamentato durante le frequenti legazioni e commissioni, alcune molto importanti (ben 25 fino al 1513) della scarsità di denaro che la Repubblica gli dava e che spesso non gli permetteva di vivere nemmeno con il decoro che gli spettava. Riportiamo come esempio della scarsità di remunerazione per le spese correnti, il finale di una lettera inviata ai Magnifici Domini, i Dieci di Balìa, durante la sua Legazione a Mantova, durante la guerra contro Venezia, in un momento, quindi, anche di grave pericolo:

   Pertanto di nuovo le prego mi dieno licenza, e mai non mancherà, quando l'Imperatore torni in qua, o per altra cagione, farmi ricavalcare di nuovo. Pure, quando vostre signorie deliberassero altrimenti mi mandino con Marcone tavolaccino, apportatore presente, Ardingo cavallaro, perchè mi bisogna uno che sappia il paese, e acciocchè io abbia uno da potere spedire, fatta che fosse la risoluzione di della Dieta, che prima non potrete aspettare, nè avere mie lettere, se già vostre signorie non volessero spendere in mandare in su e in giù cavallari, come facevano a tempo di Francesco Vettori. E così mi mandino tanti danari che io possa dare le spese, almeno due o tre mesi, a tre cavalli che noi saremo, e anche da poter barattare cavallo, quando mi mancasse, perchè in que' luoghi non si trova chi serva altrui d'un soldo. Di nuovo mi raccomando a vostre signorie, e le pregio mi rispondino, e rimandino Marcone subito. Erami scordato dire, come de' cinquanta ducati, che io ebbi costì, mi resta solo otto ducati, che sono tanti quanti danari io ho.

        Il Machiavelli non è un eroe politico e neanche un partigiano e non si è mai schierato decisamente a favore di nessuna parte politica, legandovi le proprie sorti. Gli nocque certamente la grande amicizia dimostratagli da Pier Soderini che per dieci anni dha mantenuto il suo incarico di Gonfaloniere perpetuo dimostrando un carattere pieno di tentennamenti , dubbi e incertezze, timoroso certamente in modo eccessivo dell'eventuale male che decisioni non ben ponderate avrebbero potuto arrecare alla Repubblica: ma forse ponderava un po' troppo; su questo piano forse gli nocquero i suoi consigli allo stesso Soderini perché assumesse più energici provvedimenti atti a consolidare lo stato della città e il governo; o forse il suo impiego presso la Seconda Cancelleria, pur non essendo molto ben remunerato, faceva gola a uno dei tanti servi che seguono il carro del padrone vincitore.
         L'allontanamento dall'incarico gettò il Machiavelli in una condizione quasi insostenibile: l'alta aristocrazia, che aveva il vero potere politico nelle mani, creando signori e papi e appoggiando re e imperatori, aveva eliminato l'anello debole e insignificante nella sua "povertà" di mezzi economici e di forza politica oltre che di appoggi, ma comunque l'unico in grado di capire veramente nel profondo l'atteggiamento mentale e morale (o amorale, che è lo stesso) dei potenti, l'unico che pensava da "grande" fra tanti piccoli e che in qualche modo bisognava eliminare prima che divenisse troppo scaltro e potente e potesse diventare un reale pericolo per i loro eterni maneggi. Anche amici come Francesco Vettori, potenti e riveriti, fecero orecchi da mercante, e quella col Vettori era un'amicizia nata e diventata profonda durante l'ambasceria che i due tennero presso l'Imperatore nel 1507-8 e mantenuta viva anche col ritorno a Firenze. Machiavelli si sentì di essere suo malgrado dalla parte perdente, lui che non era mai stato favorevole a nessuna nessuna parte.
         Firenze era una Repubblica fondata sul denaro, e il denaro doveva restare nei forzieri di chi lo possedeva, mentre gli altri avrebbero dovuto adoperarsi, senza lamentele, affinché questi forzieri restassero sacri ed inviolabili. Ogni Legazione di Machiavelli, o Commissione che dir si voglia, era legata al mantenimento della condizione di privilegi acquisiti dai propri mercanti e banchieri presso i vari stati, era volta all'equilibrio e all'equidistanza, perché solo l'equilibrio non avrebbe mutato nulla. Firenze ha accettato perfino di pagare 36000 ducati all'Imperatore e 4000 per ordine di questi a un illustre sconosciuto di Verona, pur di mantenere quell'equidistanza che avrebbe potuto andare a vantaggio della propria economia. Ma già in questo,  insieme agli effetti della scoperta del nuovo mondo e dell'aver reso l'Italia teatro delle guerre e dei saccheggi e delle devastazioni di eserciti stranieri fino all'asservimento a nazioni straniere, ci sono i sintomi di una crisi economica che esploderà di lì a pochi decenni.
         Proprio contro il regime aristocratico, e a favore di un regime più popolare, si era schierato, pur tra tante cautele, il Machiavelli segretario usando un influsso politico che indubbiamente era cresciuto con la nomina di Pier Soderini a Gonfaloniere. Il suo favore per il popolo era determinato soprattutto dalla consapevolezza che l'appartenenza a una classe sociale trovava la sua origine solamente nella ricchezza, e la ricchezza in quanto tale era il gran male dei popoli, causa della sua ascesa ma soprattutto della sua rovina, come avvenne in Roma dalla legge dei Gracchi in poi, e mai della sua stabilità.
      E se qualcuno svillaneggiava Machiavelli definendolo il "mannerino" di Soderini (come riferisce lo storico contemporaneo Cerretani; col termine mannerino veniva indicato un individuo di bassa estrazione sociale che fa lavori servili per un altro che si trova in una condizione sociale migliore e in senso infamante e spregiativo è indicato il montone castrato, incapace quindi di agire da sè e di produrre qualcosa di valido e duraturo), lo faceva comunque con un senso di malcelata invidia, sapendo che l'incorrotto Machiavelli poteva essere attaccato solo con la maldicenza.

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Ultimo aggiornamento:  13 marzo, 2001