Giuseppe Bonghi

Biografia
di
Niccolò Machiavelli
(1469-1527)

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l'infanzia
1469-1498

        Niccolò Machiavelli nasce a Firenze il 3 maggio 1469 da Bernardo e Bartolomea de' Nelli "ad hore 4", come possiamo leggere nel Libro dei battesimi conservato nell'Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, e viene battezzato il giorno successivo. La famiglia paterna apparteneva all'antica piccola nobiltà fiorentina, che aveva dominato in Val di Pesa e in Val di Greve e per qualche tempo su Montespertoli prima di cadere sotto l'egemonia del comune fiorentino; trasferitasi a Firenze, si allea con la parte Guelfa del Sesto d'Oltrarno, e purtroppo era la parte perdente, tanto che dovette abbandonare Firenze nel 1260 dopo la rotta di Montaperti, come ricorda anche Giovanni Villani nella sua Cronica. I Machiavelli raggiunsero alti gradi dell'ufficio di governo della città (tennero per tredici volte l'ufficio di Gonfalone di Giustizia e in vari tempi per 53 volte il Priorato); ma già dagli ultimi decenni del Trecento cominciò un lento declino. Lo stemma di famiglia aveva quattro chiodi ("mali clavelli", chiodi cattivi per chi li offendesse), agli estremi della croce d'argento in campo azzurro. Anche la madre (di cui si diceva che avesse una buona cultura e sapesse comporre poesie) apparteneva a una famiglia abbastanza distinta, proveniente dagli antichi conti di Borgonuovo di Fucecchio, noti fin dal decimo secolo (ebbe l'onore di ricoprire una volta con Francesco di Nello l'ufficio di Gonfaloniere e per cinque volte la carica del Priorato).
        Correva l'anno in cui Lorenzo il Magnifico divenne signore di Firenze dando vita ad un'epoca di straordinario splendore: in quegli anni Firenze ospitò e dette vita a intellettuali grandissimi, come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, artisti fra i più grandi mai esistiti come Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, e artisti di grandezza assoluta le cui opere sono l'orgoglio dei più importanti musei del mondo come Raffaello e Botticelli; Firenze fu senza paragone "la sede più importante del moderno spirito italiano ed anzi europeo" e "il primo fra gli stati del mondo moderno" (Burckhardt).
        Il padre di Niccolò, Bernardo, era un uomo di legge, giureconsulto e tesoriere della Marca oltre che possessore di poderi che curava personalmente; godeva in Firenze di una buona notorietà e partecipava ai circoli umanistici e culturali della città. Per accrescere i mezzi economici fondamentali per vivere un'esistenza dignitosa, era dovuto andare a servizio di vari comuni della zona. Questa "ristrettezza" economica iniziale peserà non poco sulla vita di Niccolò sia quando entrerà nella vita politica come segretario della Repubblica, che in seguito, con la perdita dell'incarico e il suo allontanamento decretato dai Medici.
        Fu anche per esplicita volontà di Bernardo che il figlio Niccolò potè avere un'ampia e approfondita formazione culturale umanistica. E per conseguirla, il giovane Machiavelli studiò con più profitto di molti suoi coetanei, mettendo bene a frutto le sua grandi attitudini intellettive: conobbe il latino e un poco di greco e soprattutto i grandi scrittori della lingua del Trecento fiorentino; ma soprattutto lesse i classici e visse attentamente la vita del suo tempo, comprendendo che non si può risalire al passato senza intendere e vivere intensamente il presente, perché l'uomo del presente è l'uomo di sempre pur nella diversità delle circostanze e delle apparenze in cui si manifestano le sue azioni.
        Machiavelli vive in una città di mercanti e di banchieri, nella quale corrono le notizie politiche ed economiche provenienti da tutto il mondo, notizie che vengono variamente commentate per capire i risvolti che certi fatti hanno o potrebbero avere su Firenze. Uno degli "amici" (e si dice anche maestro dal 1494) di quegli anni è senza dubbio Marcello Virgilio Adriani, che sarà segretario della Repubblica, in particolare dei Dieci di Balìa, col quale in qualche modo collaborerà, soprattutto quando viene inviato in legazione: le lettere dei Dieci Magnifici domini sono firmate Marcellus. Della sua giovinezza si sa poco o nulla, come poco si sa dei suoi maestri o dei suoi studi; qualche notizia ce l'offre Bernardo Machiavelli nel suo Libro di ricordi: nel 1476 comincia a studiare aritmetica e latino, e dal 5 marzo ( Ricordo questo dì detto di sopra come insino adì 20 del presente cominciò Nicolò mio andare a imparare da ser Battista di F[i]lippo da Poppi. Insègnali il donatello; per lo insegnamento tiene scuola nella chiesa di San Benedetto dallo Studio.), e ricordiamo per inciso che con la parola donatello, da Elio Donato, un grammatico del IV secolo, viene indicato il testo di grammatica; dal novembre 1481 passa alla scuola del latinista ser Pagolo da Ronciglione, col quale approfondisce la lettura degli autori latini. Possiamo facilmente immaginare che sono questi gli anni in cui studiò approfonditamente la storia romana e quella greca e i grandi scrittori antichi.
        In pochi anni perde entrambi i genitori: nel 1496 gli muore la madre e quattro anni dopo, il 10 maggio 1500, il padre. Nel 1497 patrocina a nome di "tutta la famiglia de' Machiavegli, cives florentini" una causa relativa al possesso del podere di Fagna, e quindi alla rivendicazione di relativi prelievi fiscali, che da qualche tempo erano passati nelle mani della potente famiglia fiorentina dei Pazzi. Fagna era una Pieve molto rispettabile e ricca e si trovava nella zona del Mugello, a pochi chilometri a nord di Firenze e passerà in seguito tra le proprietà dei marchesi Rangoni di Modena. Della lite conserviamo una lettera al cardinale Giovanni Lopez, che avrebbe dovuto dirimere la questione, in cui troviamo già riflessi i caratteri della prosa del grande Machiavelli del PrincipeTucte le cose che dagli huomini in questo mondo si posseggono, el più delle volte, anzi sempre, quelle da duoi donatori dependere se è per experientia conosciuto; da Dio prima, iusto di tucto retribuitore; secondo, o per iure hereditario, come da' parenti nostri, o per donatione come dagli amici, o per commodità di guadagno prestataci, come da' mercatanti ne' loro fedeli minixtri. Et tanto più merita d'essere stimata la cosa che si possiede, quanto da più degno donatore depende.

        Il Machiavelli fu testimone oculare di molti fatti salienti della sua città: arresti, condanne, esilii, esecuzioni capitali come quelle dell'arcivescovo Salviati e Iacopo Poggio Bracciolini, che vide pendere dalle finestre di Palazzo Vecchio:

      L'Arcivescovo intanto, entrato dal Gonfaloniere, sotto colore di volergli alcune cose per parte del Papa riferire, gli cominciò a parlare con parole spezzate e dubie; in modo che l'alterazione che dal viso e dalle parole mostrava generorono nel Gonfaloniere tanto sospetto che a un tratto, gridando, si pinse fuora di camera, e trovato Iacopo di messer Poggio, lo prese per i capegli e nelle mani de' suoi sergenti lo misse. E levato il romore tra i Signori, con quelle armi che il caso sumministrava loro, tutti quegli che con l'Arcivescovo erano saliti da alto, sendone parte rinchiusi e parte inviliti, o subito furono morti, o così vivi, fuori delle finestre del Palagio gittati; intra i quali l'Arcivescovo, i duoi Iacopi Salviati e Iacopo di messer Poggio appiccati furono. (Machiavelli, Istorie fiorentine)

o la morte di Lorenzo il Magnifico:

che di aprile, nel 1492, morì, l'anno quarantaquattro della sua età. Né morì mai alcuno, non solamente in Firenze, ma in Italia, con tanta fama di prudenza, né che tanto alla sua patria dolesse. E come dalla sua morte ne dovesse nascere grandissime rovine ne mostrò il cielo molti evidentissimi segni: intra i quali, l'altissima sommità del tempio di Santa Reparata fu da uno fulmine con tanta furia percossa, che gran parte di quel pinnacolo rovinò, con stupore e maraviglia di ciascuno. Dolfonsi adunque della sua morte tutti i suoi cittadini e tutti i principi di Italia: di che ne feciono manifesti segni, perché non ne rimase alcuno che a Firenze, per suoi oratori, il dolore preso di tanto caso non significasse. Ma se quelli avessero cagione giusta di dolersi, lo dimostrò poco di poi lo effetto; perché, restata Italia priva del consiglio suo, non si trovò modo, per quegli che rimasono, né di empiere né di frenare l'ambizione di Lodovico Sforza, governatore del duca di Milano. Per la quale, subito morto Lorenzo cominciorono a nascere quegli cattivi semi i quali, non dopo molto tempo, non sendo vivo chi gli sapesse spegnere, rovinorono, e ancora rovinano, la Italia. (Machiavelli, Istorie fiorentine)

o l'entrata in Firenze di Carlo VIII nel 1494 e l'ascesa di fra Girolamo Savonarola, priore del convento di San Marco, avversario dei Medici e ostile al Papa Alessandro VI, che nelle sue infuocate prediche denunziò i corrotti costumi del Clero e della Curia papale annunciando sulla Chiesa che sarebbero arrivati i castighi di Dio; Firenze si divise in due, da un lato i piagnoni seguaci del frate, e dall'altra i Palleschi, amici dei Medici insieme agli arrabbiati (fautori delle famiglie aristocratiche) e ai compagnacci (giovani gaudenti che rifiutavano l'austerità dei costumi imposti dal frate). Quando le prediche del Savonarole divennero troppo violente, il Papa lo scomunicò minacciando contro Firenze l'interdetto, che avrebbe avuto tragiche conseguenze economiche, in quanto scioglieva tutti i debitori italiani e stranieri da ogni impegno. Allora una grande folla  assaltò il convento di San Marco e costrinse il frate a consegnarsi nelle mani della Signoria, che lo sottopose a un primo processo inquisitorio e a un secondo alla presenza di commissari pontifici, accusato di impostura ed eresia, condannato ad essere impiccato insieme a due confratelli e arso nella piazza della Signoria, dinanzi a tutto il popolo: l'esecuzione avvenne il 23 maggio 1498, e una scritta commemorativa sulla Piazza della Signoria segna ancor oggi il punto esatto dove fu eretto il patibolo.
        Machiavelli rimase estraneo all'ammirazione popolare per il frate domenicano, che anche Francesco Guicciardini ammirò:

      Ma la quistione e differenzia resta circa la bontà della vita in che è da notare che se in lui fu vizio, non vi fu altro che el simulare causato da superbia ed ambizione; perché chi osservò lungamente la vita ed e' costumi sua, non vi trovò uno minimo vestigio di avarizia, non di lussuria, non di altre cupidità o fragilità, ed in contrario una dimostrazione di vita religiosissima, piena di carità, piena di orazioni, piena di osservanzia, non nelle corteccie ma nella medolla del culto divino: e però nelle esamine sua, benché e' calunniatori con ogni industria lo cercassino, non vi si trovò in queste parte da notare uno minimo difettuzzo. Le opere fatte da lui circa l'osservanzia de' buoni costumi furono santissime e mirabile, né mai in Firenze fu tanta bontà e religione, quanta a tempo suo; la quale doppo la morte sua scorse in modo, che manifestò ciò che si faceva di bene essere stato introdotto e sustemato da lui. Non si giucava piú in publico, e nelle casa ancora con timore; stavano serrate le taverne che sogliono essere ricettaculo di tutta la gioventú scorretta e di ogni vizio, la soddomia era spenta e mortificata assai; le donne, in gran parte lasciati gli abiti disonesti e lascivi; e' fanciulli, quasi tutti levati da molte disonestà e ridutti a uno vivere santo e costumato; ed essendo per opera sue sotto la cura di fra Domenico ridutti in compagnie, frequentavano le chiese, portavano e' capelli corti, perseguitavano con sassi e villani gli uomini disonesti e giucatori e le donne di abiti troppo lascivi; andavano per carnasciale congregando dadi carte, lisci, pitture e libri disonesti, e gli ardevano publicamente in sulla piazza de' Signori faccendo prima in quello dí, che soleva essere dí di mille iniquità, una processione con molta santità e divozione; gli uomini di età tutti vòlti alla religione, alle messe, a' vespri, alle prediche, confessavansi e communicavansi spesso; ed el dí di carnasciale si confessava uno numero grandissimo di persone; facevasi molte elemosine, molte carità. Confortava tutto dí gli uomini che, lasciate le pompe e vanità, si riducessino a una simplicità di vivere religioso e da cristiani, ... (Guicciardini, Storie fiorentine).

         Gerolamo Savonarola, dopo la cacciata dei Medici da Firenze (grazie anche a Carlo VIII) e la restaurazione della Repubblica, aveva cercato di realizzare dal '94 al '98 un governo insieme democratico e teocratico; ma il suo tentativo non raggiunse lo scopo  ed egli pagò il fallimento con la morte. Una lettera di Machiavelli indirizzata al Ricci contiene l'analisi del comportamento del Savonarola e alla fine una valutazione critica sprezzante del suo operato che tendeva solo a "secondare i tempi colorendo le sue bugie" in modo da spaventare i nemici e tenere stretti a sé i seguaci: gli appare in embrione la figura del "profeta disarmato", di colui che non può servirsi della forza per far credere i suoi seguaci, ma solo delle parole, che presto si disperdono nell'aria.  

         A cinque giorni dall'esecuzione del Savonarola, probabilmente grazie anche all'appoggio di Marcello Virgilio Adriani, professore nello Studio fiorentino, suo maestro di latino e forse anche di greco, che nel frattempo era divenuto capo della prima cancelleria, Machiavelli viene candidato all'ufficio di secondo cancelliere (o segretario) della Repubblica di Firenze, in sostituzione di Alessandro Braccesi, seguace del frate domenicano. Per avere l'ufficio occorreva avere capacità diplomatiche e competenze nelle materie umanistiche (conoscenza perfetta del latino, della storia antica e della filosofia morale dei classici, capacità stilistica e retorica).
      Il 19 giugno viene eletto a quella carica (die 15 mensis junii 1498 in Consilio Octuaginta Virorum pro secunda Cancellaria loco ser Alexandri Braccesi, privati a dicto Officio, ex plurimis nominatis et scrutinatis, iuxta formam legis de materia disponentis, remanserunt electi infrascripti quatuor [] Missis singulariter ad partitum in Consilio Majori suprascriptis … qui sub die 15 ejusdem remanserunt electi in Consilio Octuaginta, prefatus Nicolao de Machiavellis, obtento legitime partito, habuit majorem numero fabarum nigrarum. Et sic juxta formam legis remansit electus pro dicta secunda cancellaria loco dicti ser Alexandri Braccesi et pro residuo temporis electionis ipsius ser Alexandri cum eodem salario…), un'elezione che sarebbe dovuta durare solo un mese per un salario di 192 fiorini annui) e, poiché la seconda cancelleria s'occupava soprattutto della corrispondenza relativa all'amministrazione dello Stato, Machiavelli come capo di questa sezione era anche considerato uno dei sei segretari del primo cancelliere e come tale viene ben presto assegnato, il 14 luglio, al Consiglio dei Dieci della guerra (o di libertà e di pace): il comitato responsabile per le relazioni estere e diplomatiche della Repubblica (Die 14 julii 1498. Item dicti Domini simul adunati [] deliberaverunt quod Nicolaus Domini Bernardi de Machiavellis eorum Cancellarium inserviat usque ad per totum mensem augusti prox. Fut. Officio Decem Libertatis Civitatis Florentiae.). Questi uffici gli daranno modo di radunare un vastissimo materiale storico e politico che costituirà l'ossatura di tutte le sue opere". Manterrà entrambe le cariche sino al 7 novembre 1512, anche se la seconda avrebbe dovuto avere la durata di un solo mese, per quattordici anni e cinque mesi. (liberamente tratto da Galarico; in corsivo i due decreti di nomina da "Deliberazioni de' Signori e Collegi dal 1494 al 1502", provenienti dal Protocollo esistente nelle Riformagioni).

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© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 01 aprile, 2001