IL SETTECENTO
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Commediografo italiano (Venezia 1707 - Parigi 1793). Nacque il 25 febbraio 1707 in Ca’ Zantani a San Tomà, da Giulio e da Margherita Savioni. La famiglia paterna, di agiata borghesia, era modenese: da Modena il nonno, Carlo, si era trasferito a Venezia per esercitarvi l’ufficio di notaio presso il magistrato dei Cinque savi alla Mercanzia. La madre invece era veneziana. Goldoni ebbe infanzia serena e rivelò presto, in un gusto precoce per gli spettacoli e la vita sociale, carattere espansivo, curioso, alieno da turbamenti o da travagli interiori. Meno felici, perché dispersi e spesso interrotti, i suoi studi, iniziati a Perugia, ove il padre esercitava la professione di medico (1719-1720), e a Rimini (1721), presso i domenicani (ai cui "tediosi" sillogismi si sottrasse fuggendo su una barca di comici); ripresi poi al collegio Ghislieri di Pavia, da cui fu espulso per una satira (Il colosso) contro le donne della città (1723-1725), e conclusi infine frettolosamente con la laurea in legge a Padova (1731). Del pari svagati i suoi primi impegni di lavoro, come apprendista in studio legale (1721), coadiutore di cancelleria a Chioggia (1728) e a Feltre (1729) e infine avvocato (1732), in margine ai quali egli andava componendo, non senza estro, brevi tirate comiche e intermezzi per musica; scrisse perfino un’infelice tragedia lirica, Amalasunta, poi gettata alle fiamme (1733). Di contro alle trivialità pesanti della commedia dell’arte, ormai scaduta a livelli grossolani, egli mirava a un ideale di comicità discreta e decorosa, attinta al comune della vita di ogni giorno, che riaffiatasse il teatro con le tendenze più moderne del gusto, educato a naturalezza e verità. Si spense il 6 o 7 febbraio 1793. In un clima di rinnovamento artistico e sociale dei cui motivi più lati fu testimone e interprete senza divenirne mai polemico banditore, il Goldoni seppe fare della commedia ciò che i tempi suoi richiedevano e quelli futuri avrebbero apprezzato: un prodotto letterario insieme e popolare. Celebrato da Voltaire per la sua fedeltà alla "natura", ammirato da P. Verri e dal Goethe, subì invece critiche da parte del Bettinelli e del Baretti, che lo giudicò più mestierante che artista. Anche i romantici, contro la loro stessa poetica ispirata a un ideale di realismo, espressero scarso consenso per il Goldoni, sottolineandone la superficialità e la mediocre moralità. Un riflesso di tale limitazione si trova nel giudizio piuttosto rigido del De Sanctis e del Croce. Grande invece la fortuna del commediografo nel Novecento, sia presso la critica, che ne ha definito e illustrato il valore artistico, umano e sociale, sia nel teatro. |