Italo Svevo
(Ettore Schmitz)
Senilità
Capitolo XIII
Egli passò quella notte intera al
letto di Amalia in un sogno ininterrotto. Non che avesse pensato continuamente ad
Angiolina, ma fra lui e il suo contorno v'era un velo che gli toglieva di veder chiaro.
Una grande stanchezza gl'impediva tanto le speranze ardite, che di tratto in tratto aveva
pur avute durante il pomeriggio, quanto le disperazioni violente che gli avevano dato il
sollievo del pianto.
A casa gli era parso di trovare tutto
nello stato di prima. Soltanto il Balli aveva abbandonato il suo cantuccio ed era andato a
sedere ai piedi del letto, accanto alla signora Elena. Guardò a lungo Amalia sperando di
poter nuovamente piangere. L'analizzò, la scrutò, per sentire tutto il suo male e
soffrire con lei. Poi guardo altrove vergognandosi; s'era accorto che nella ricerca di
commozione era andato alla ricerca di immagini e di traslati. Gli capitò di nuovo il
desiderio di fare qualche cosa e disse al Balli che lo lasciava libero, ringraziandolo per
l'assistenza che gli aveva prestata.
Ma il Balli, che non s'era neppure pensato
di chiedergli come fosse andato il congedo da Angiolina, lo trasse in disparte per dirgli
ch'egli non voleva andarsene. Pareva imbarazzato e triste. Aveva da dire ancora qualche
cosa, e gli pareva tanto delicata che non osò senza un esordio di preparazione. Essi
erano amici da molti anni e tutto il male che poteva toccare ad Emilio, egli lo sentiva
come proprio. Poi, deciso, disse: - Quella poveretta mi nomina molto spesso; io resto. -
Emilio gli strinse la mano senza provare una grande riconoscenza; già ora - egli ne era
tanto certo da attingervi una grande tranquillità - per Amalia non v'era più alcun
rimedio.
Gli raccontarono che da qualche minuto
Amalia parlava continuamente della sua malattia. Non poteva questo essere un indizio che
la febbre fosse diminuita? Egli stette a udire, ben convinto che s'ingannavano. Infatti
ella delirò: - Mia colpa se sto male? Torni domani, dottore, e starò bene. - Non
sembrava ch'ella soffrisse; aveva la faccia piccola, misera, oramai proprio la faccia
appropriata a quel corpo. Sempre guardandola egli pensò: - Ella morrà! - Se la figurò
morta, quietata, priva d'affanno e di delirio. Ebbe dolore di aver avuta quell'idea poco
affettuosa. S'allontanò un poco dal letto e s'assise al tavolo, ove s'era posto anche il
Balli.
Elena rimase al letto. Alla scarsa luce
della candela Emilio s'avvide ch'ella piangeva. - Mi pare di essere al letto di mio figlio
- disse ella accorgendosi che le sue lagrime erano state viste.
Amalia improvvisamente disse di sentirsi
molto ma molto bene e domandò di mangiare. Il tempo non correva normalmente a quel letto
per chi seguiva, viveva quel delirio. Ella accusava ad ogni istante un altro stato
d'animo, o nuove avventure, e faceva passare con lei i suoi infermieri per delle fasi di
cui lo svolgimento nella vita solita dura giorni e mesi.
La signora Elena - ricordando una
prescrizione del medico - le preparò e offerse del caffè, che fu preso con voluttà.
Subito il delirio la ricondusse al Balli. Soltanto per un osservatore superficiale quel
delirio mancava di nesso. Le idee si mescolavano, una si sommergeva nell'altra, ma quando
riappariva risultava esser proprio quella ch'era stata abbandonata. Ella aveva inventata
quella sua rivale, Vittoria; l'aveva accolta con parole dolci, poi - come il Balli
raccontò - fra le due donne s'era svolto un battibecco che al Balli aveva rivelato essere
lui il pensiero dominante dell'ammalata. Ora Vittoria ritornava, Amalia la vedeva
avvicinarsi e ne aveva orrore. - Io non le dirò nulla! Starò qui zitta, come se ella non
ci fosse. Io non voglio niente, dunque mi lasci in pace. - Poi chiamò Emilio ad alta
voce. - Tu che sei suo amico, digli tu ch'essa inventa tutto. Io non le feci nulla.
Il Balli credette di poterla calmare: -
Senta, Amalia! Io sono qui e non crederei niente se mi fosse detto del male sul conto suo.
Ella lo udì e lo considerò lungamente: -
Tu Stefano? - Non lo riconobbe: - Glielo dica allora! - Spossata lasciò ricadere
la testa sul guanciale e, per l'esperienza fattane, tutti sapevano che, per allora,
l'episodio era chiuso.
La signora Elena, durante quella sosta,
spinse la propria sedia verso il tavolo al quale sedevano i due uomini e pregò Emilio,
ch'ella vedeva affranto, di andare a coricarsi. Egli rifiutò, ma queste parole avviarono
fra i tre infermieri una conversazione che riuscì, per qualche istante, a distrarli.
La signora Chierici, cui il Balli con la
sua indiscreta curiosità aveva fatte delle domande, raccontò che quando Emilio s'era
imbattuto in lei, ella stava andando a messa. Ora - disse - le pareva d'essere in chiesa
dalla mattina e provava il medesimo alleggerimento di coscienza di chi ha pregato con
fervore. Lo disse senz'esitazione col tono del credente che non teme i dubbi altrui.
Poi raccontò una storia strana, la
propria: fino all'età di quarant'anni ella era vissuta senz'affetti avendo perduti,
giovanissima, i genitori; senza affetti le erano trascorsi i giorni solitari e sereni. A
quell'età s'era imbattuta in un vedovo, che la sposò per dare una madre al figlio e alla
figlia che aveva di primo letto. Da bel principio i due fanciulli le fecero cipiglio ma
ella nondimeno sentiva di voler loro tanto bene ch'era sicura di finire col farsene amare.
Si ingannò. Essi la considerarono e l'odiarono sempre quale madrigna. V'erano i parenti
della prima moglie che si frammettevano fra i fanciulli e la loro nuova madre e la
facevano odiare loro con menzogne, e facendo loro credere che l'ombra della prima madre si
sarebbe ingelosita del nuovo affetto. - Io invece m'affezionavo sempre più, tanto da
amare la rivale che me li aveva dati. Forse - aggiunse con un'osservazione d'analista
oggettiva - il disdegno che vestiva tanto bene i loro bei visini rosei me ne faceva
innamorare maggiormente. - La fanciulla le fu tolta, poco dopo la morte del padre, da un
parente che si ostinava a crederla maltrattata.
Il fanciullo restò tutto per lei, ma
anche quando i parenti non ci furono più per suggerirgli l'odio, egli, con un'ostinazione
sorprendente nella mente giovanile, continuò a conservare per lei la stessa sdegnosa
malevolenza che si palesava in dispetti e sgarbatezze. Ammalò di scarlattina maligna, ma
anche nella febbre le resistette finché, estenuato, poche ore prima di morire, le gettò
le braccia al collo, chiamandola mamma e pregandola di salvarlo. Poi la signora Elena si
compiacque a lungo a descrivere quel fanciullo che l'aveva fatta soffrir tanto. Ardito,
vivace, intelligente; tutto comprendeva, meno l'affetto che gli era offerto. Adesso la
vita della signora Elena si compendiava fra la sua casa vuota, la chiesa ove ella pregava
per chi le aveva voluto bene un solo istante, e quella tomba ove c'era sempre molto da
fare. Sì! L'indomani, senza fallo, ella doveva recarvisi per vedere come fosse riuscito
il tentativo fatto di puntellare un alberello che non voleva crescere diritto.
- Allora vado io via, se c'è Vittoria -
gridò Amalia e si rizzò a sedere. Emilio, spaventato, alzò la candela per veder meglio.
Amalia era livida; la sua faccia aveva il colore del guanciale su cui si proiettava. Il
Balli la guardò con evidente ammirazione. La luce gialla della candela si rifletteva
luminosissima sulla faccia umida d'Amalia, tanto che pareva luminosità sua; il nudo così
brillante e sofferente gridava. Pareva la rappresentazione plastica di un grido violento
di dolore. La faccina, su cui per un istante s'era stampata una risoluzione ferma,
minacciava imperiosamente. Fu un lampo: ella ricadde subito, quetata da parole che non
comprese. Riprese poi a borbottare mitemente da sola, accompagnando con qualche parola la
corsa vertiginosa dei suoi sogni.
Il Balli disse: - Pareva una buona dolce
furia. Non ho mai visto qualche cosa di simile. - S'era seduto e guardava in aria con
quell'occhio da sognatore con cui cercava le idee. Era evidente, ed Emilio ne provò
soddisfazione: Amalia moriva amata dell'amore più nobile che il Balli potesse offrire.
La signora Elena riprese la conversazione
al punto ove l'aveva lasciata. Forse quetando Amalia ella non s'era staccata neppure per
un istante dal pensiero suo più caro. Anche il rancore verso i parenti del marito era un
elemento della sua vita. Raccontò che essi l'avevano disprezzata, perché era figlia di
un commerciante di ferrareccia. - Ad ogni modo - aggiunse - il nome dei Deluigi è un nome
onorato.
Emilio si meravigliò della sorte che
faceva capitare in casa un membro di quella famiglia nominata tanto spesso da Angiolina.
Interrogò subito Elena se avesse altri parenti. Ella disse di no e negò anche che in
città vi potesse essere un'altra famiglia di quel nome. Lo negò tanto risolutamente,
ch'egli dovette crederle.
Perciò anche durante quella notte il suo
pensiero fu attratto da Angiolina. Come nell'epoca che gli pareva tanto lontana in cui
Amalia sana non era per lui altro che una persona inquietante, di cui si doveva evitare la
vicinanza, egli fu invaso da un desiderio cocente di correre da Angiolina per
rimproverarla di tanto tradimento, il maggiore ch'ella avesse ordito. Quei Deluigi erano
saltati fuori al principio della loro relazione ed erano stati creati i singoli membri
della famiglia a seconda del bisogno. Prima era stata la vecchia signora Deluigi, che
amava Angiolina come una madre, poi la figlia che la teneva per amica, e infine il vecchio
che aveva tentato d'ubbriacarla. Una menzogna ch'era stata ripetuta ad ogni loro
colloquio, e per essa scompariva ogni dolcezza dal ricordo di Angiolina. Anche quei rari
tratti d'amore ch'ella aveva saputo simulare si rivelavano con limpida evidenza per quello
che erano, delle menzogne. Eppure anche quel nuovo tradimento egli lo sentì ben presto
quale un nuovo legame. Amalia si moveva invano, affannosamente, nel suo letto di dolore;
per lungo tempo egli non la vide. Quando riconquistò un po' di calma, ebbe il dolore di
dover riconoscere che quando fosse scomparsa la malattia di Amalia o Amalia stessa, egli
sarebbe corso di nuovo da Angiolina. Lungamente, per esercitare su se stesso una pressione
si irrigidì al suo posto e giurò di non ricadere mai più in quei lacci: - Mai più, mai
più
Anche quell'interminabile notte, la più
penosa che egli mai avesse vegliata e che pure poteva divenire oggetto di rimpianto,
fuggiva. Un orologio batté le due.
La signora Elena pregò Emilio di
procurarle una pezzuola per asciugare la faccia di Amalia. Per non dover lasciare quella
stanza, egli - trovate le chiavi - aperse l'armadio della sorella. Fu subito colpito da
uno strano odore di medicinali profumati. La poca biancheria era distribuita nei grandi
cassetti ch'erano poi riempiti di boccette di varia grandezza. Egli non comprese subito e
per vedere meglio prese la candela. Qualche cassetto era pieno fino all'orlo di boccette
brillanti lietamente con dei bagliori gialli misteriosi di tesoro rinchiuso; in altri
cassetti c'era ancora posto, e la distribuzione era fatta in modo che s'indovinava i
proposito di completare ordinatamente la strana collezione. Una sola boccetta era fuori di
posto, e in quella c'era ancora un resto di liquido trasparente. L'odore del liquido non
lascio luogo a dubbi; doveva essere dell'etere profumato. Il dottor Carini aveva avuto
ragione: Amalia aveva cercato l'oblio nell'ebrietà. Non ebbe del rancore verso la sorella
neppure per un attimo perché la conclusione a cui corse subito la sua mente fu una sola:
Amalia era perduta. Quella scoperta valse perciò a ricondurlo finalmente a lei.
Richiuse accuratamente l'armadio. Non
aveva saputo tutelare la vita della sorella; avrebbe ora tentato di conservarne intatta la
riputazione.
L'aurora s'avanzava fosca, esitante,
triste. Sbiancava la finestra ma lasciava intatta la notte nell'interno della stanza.
Parve che un raggio solo vi penetrasse, perché sui cristalli sul tavolo, la luce del
giorno si franse colorandovisi, azzurrina e verde, fine e mite. Sulla via soffiava ancora
il vento, cogli stessi suoni regolari, trionfali, che aveva avuti quando Emilio aveva
abbandonato Angiolina.
Nella stanza invece v'era una grande
quiete. Da parecchie ore il delirio di Amalia non si traduceva che in parole mozze. S'era
quietata sul fianco destro, la faccia vicinissima alla parete, gli occhi sempre aperti.
Il Balli andò a riposare nella stanza di
Emilio. Aveva pregato di non lasciarlo dormire più di un'ora.
Emilio s'assise di nuovo al tavolo. Si
scosse terrorizzato: Amalia non respirava più. Anche la signora Elena se n'era accorta e
si era rizzata. L'ammalata guardava sempre con gli occhi spalancati la parete, e qualche
istante appresso riprese a respirare. I primi quattro o cinque respiri parvero di persona
sana, e Emilio ed Elena si guardarono sorridendo e pieni di speranza. Ma ben presto quel
sorriso morì sulle labbra, perché il respiro di Amalia andò accelerandosi, per
appesantirsi poi e quindi cessare di nuovo. La sosta questa volta durò tanto ch'Emilio
dallo spavento gridò. Il respiro riprese come prima, calmo per breve tempo, e poi subito
affannoso vertiginosamente. Fu uno stadio dolorosissimo per Emilio. Per quanto, dopo
un'ora d'intensa attenzione, egli si fosse potuto accertare che quella momentanea
cessazione di respiro non era la morte e che la respirazione regolare che seguiva non
preludiava alla salute, egli, dall'ansia, tratteneva anche lui il respiro quando cessava
quello di Amalia, si abbandonava a sperare pazzamente quando sentiva riprendere quel
respiro calmo e ritmico, e soffriva fino alle lagrime al disinganno di vederla ritornare
all'affanno.
L'alba illuminava oramai anche il letto.
La nuca grigia della signora Elena che, accontentandosi di un riposo superficiale da buona
infermiera, teneva reclinata la testa sul petto, appariva tutta d'argento. Per Amalia la
notte non sarebbe cessata più. La testa spiccava ora coi contorni precisi sul guanciale.
I capelli neri non avevano mai avuta tanta importanza su quella testa come durante la
malattia. Pareva un profilo di persona energica, con gli zigomi sporgenti e il mento
aguzzo.
Emilio puntellò le braccia sul tavolo e
poggiò la fronte sulle mani. L'ora in cui egli aveva maltrattata Angiolina gli pareva
lontana lontana, perché di nuovo egli non si riteneva capace di un'azione simile; non
trovava in sé l'energia né la brutalità che c'erano volute a compierla. Chiuse gli
occhi e s'addormentò. Gli parve poi d'aver sempre percepito anche nel sonno il respiro di
Amalia e di aver continuato a risentirne come prima spavento, speranza e disinganno.
Quando si destò era giorno fatto. Amalia
con gli occhi spalancati guardava la finestra. Egli s'alzò e, sentendolo muoversi, ella
lo guardò. Quale sguardo! Non più di febbre, ma di persona stanca a morte, che
dell'occhio proprio non interamente disponga e le occorra sforzo e ricerca per guidarlo. -
Ma che cosa ho, Emilio? Io muoio!
L'intelligenza era ritornata ed egli,
dimenticata l'osservazione fatta su quell'occhio, riebbe intera la speranza. Le disse
ch'ella era stata molto male, ma che adesso - si capiva - risanava. L'affetto che si
sentiva in cuore traboccò e si mise a piangere dalla consolazione. Baciandola gridò che
da allora sarebbero vissuti insieme uniti, uno per l'altro. Gli pareva che tutta quella
notte tormentosa non ci fosse stata che per prepararlo a tale inaspettata felice
soluzione. Poi ricordò tale scena con vergogna. Pareva a lui stesso di aver voluto
approfittare di quel solo lampo di intelligenza in Amalia per quetare la propria
coscienza.
La signora Elena accorse per calmarlo e
ammonirlo di non agitare l'ammalata. Disgraziatamente Amalia non capiva. Pareva tanto
fissa in un'idea unica da averne occupati tutti i sensi: - Dimmi - pregò - che cosa è
accaduto? Ho tanta paura! Ho visto te e Vittoria e... - Il sogno s'era mescolato alla
realtà; e la sua povera mente fiaccata non sapeva sciogliere la complicata matassa.
- Cerca di capire! - pregò Emilio con
calore. - Hai sognato ininterrottamente da ieri. Riposa adesso, e poi penserai. - L'ultima
frase era stata detta in seguito a un nuovo gesto della signora Elena la quale perciò
attirò a sé l'attenzione di Amalia - Non è Vittoria - disse la poverina evidentemente
tranquillata. Oh, quella non era l'intelligenza che poteva essere considerata quale il
nunzio della salute; si manifestava con soli lampi che minacciavano d'illuminare e rendere
sensibile il dolore. Emilio ne ebbe altrettanta paura come prima del delirio.
Entrò il Balli. Aveva udita la voce
d'Amalia e veniva anche lui, sorpreso dell'insperato miglioramento. - Come sta, Amalia? -
le domandò affettuosamente.
Ella lo guardò con un'espressione di
sorpresa incredula: - Ma dunque non era un sogno? - Considerò lungamente Stefano; guardò
poi il fratello e di nuovo il Balli come se avesse voluto confrontare i due corpi e
cercare se a uno dei due fosse mancato l'aspetto della realtà. - Ma Emilio - esclamò, -
io non capisco!
- Sapendoti ammalata - spiegò Emilio - ha
voluto farmi compagnia questa notte. E sempre il vecchio amico di casa nostra.
Ella non udiva bene: - E Vittoria? -
domandò.
- Non è mai stata qui questa donna -
disse Emilio.
- Egli ha diritto di far così. E tu resta
pure con loro - borbottò ella ed ebbe negli occhi un lampo di rancore. Poi dimenticò
tutto e tutti guardando la luce alla finestra.
Stefano le disse: - Mi ascolti, Amalia! Io
non ho mai conosciuta quella Vittoria di cui ella parla. Sono il suo devoto amico e sono
rimasto qui per assisterla.
Ella non ascoltava. Guardava la luce alla
finestra con un evidente sforzo per acuire l'occhio semispento. Guardava estatica,
ammirando. Ebbe una brutta smorfia che pure rassomigliò a un sorriso.
- Oh - disse - quanti bei fanciulli. -
Ammirò lungamente. Il delirio era ritornato. Ci fu però una sosta fra i sogni della
notte e le immagini luminose ch'erano vestite del colore dell'aurora. Vedeva bimbi rosei
ballare al sole. Un delirio di poche parole. Designava l'oggetto che vedeva e null'altro.
La propria vita era dimenticata. Non nominò il Balli, né Vittoria, né Emilio. - Quanta
luce - disse affascinata. Anch'ella s'illuminò. Sotto alla pelle diafana si vide salire
il sangue rosso e colorarle le gote e la fronte. Ella mutava ma non sentiva se stessa.
Guardava le cose che sempre più s'allontanavano da lei.
Il Balli propose di chiamare il medico. -
È inutile - disse la signora Elena che da quel rossore aveva capito a qual punto si
fosse.
- Inutile? - domandò Emilio spaventato di
sentir ripetuto da altri il proprio pensiero.
Infatti, poco dopo, la bocca d'Amalia si
contrasse in quello strano sforzo in cui pare che da ultimo anche i muscoli, inetti a
ciò, vengano costretti a lavorare per la respirazione. L'occhio guardava ancora. Ella non
disse più alcuna parola. Ben presto al respiro s'unì il rantolo, un suono che pareva un
lamento, proprio il lamento di quella persona dolce che moriva. Pareva risultato da una
desolazione mite; pareva voluto, un'umile protesta. Era infatti il lamento della materia
che, già abbandonata disorganizzandosi, emette i suoni appresi nel lungo dolore
cosciente.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi -
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Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998