Italo Svevo
(Ettore Schmitz)
Senilità
Capitolo X
Tanto il suo dolore quanto il suo
rimorso divennero miti, miti. Gli elementi di cui si componeva la sua vita erano gli
stessi, ma s'erano attenuati quasi visti attraverso una lente fosca che li privasse di
luce e di violenza. Una grande calma e una grande noia incombevano su lui. Aveva percepito
con piena chiarezza quanto strana fosse stata in lui l'esagerazione sentimentale, e al
Balli che lo studiava con qualche ansietà, disse, credendo d'essere sincero: - Sono
guarito.
Poteva crederlo perché non si poteva
pretendere ch'egli ricordasse esattamente lo stato d'animo in cui s'era trovato prima di
aver conosciuta Angiolina. La differenza era tanto piccola! Aveva sbadigliato meno, e non
aveva conosciuto l'impaccio doloroso che lo coglieva quando si trovava accanto ad Amalia.
Anche la stagione era molto fosca. Da
settimane non s'era visto raggio di sole, e perciò, quando egli pensava ad Angiolina,
associava nel suo pensiero la dolce faccia, il caldo color dei capelli biondi, all'azzurro
del cielo, alla luce del sole, tutte cose ch'erano scomparse insieme dalla sua vita. Egli
era però giunto alla convinzione che l'abbandono di Angiolina fosse stato molto salutare
per lui. - È preferibile d'essere liberi - diceva con convinzione.
Tentò anche di approfittare della
riconquistata libertà. Sentiva e si doleva d'essere inerte, e ricordava che, anni prima,
l'arte gli aveva colorita la vita sottraendolo all'inerzia in cui era caduto dopo la morte
del padre. Aveva scritto il suo romanzo, la storia di un giovane artista il quale da una
donna veniva rovinato nell'intelligenza e nella salute. Nel giovane aveva rappresentato se
stesso, la propria ingenuità e la propria dolcezza. Aveva immaginato la sua eroina
secondo la moda di allora: un misto di donna e di tigre. Del felino aveva le movenze, gli
occhi, il carattere sanguinario. Non aveva mai conosciuta una donna e l'aveva sognata
così, un animale ch'era veramente difficile fosse mai potuto nascere e prosperare. Ma con
quale convinzione l'aveva descritta! Aveva sofferto e goduto con essa sentendo a volte
vivere anche in sé quell'ibrido miscuglio di tigre e di donna.
Riprese ora la penna e scrisse in una sola
sera il primo capitolo di un romanzo. Trovava un nuovo indirizzo d'arte al quale volle
conformarsi, e scrisse la verità. Raccontò il suo incontro con Angiolina, descrisse i
propri sentimenti, - subito però quelli degli ultimi giorni - violenti e irosi, l'aspetto
di Angiolina ch'egli vide al primo incontro guastato dall'animo basso e perverso, e infine
il magnifico paesaggio che aveva contornato agli esordii il loro idillio. Stanco e
annoiato, abbandonò il lavoro, contento di aver steso in una sola sera tutto un capitolo.
La sera appresso si rimise al lavoro
avendo nella mente due o tre idee che dovevano bastare per una sequela di pagine. Prima
però rilesse il lavoro fatto: - Incredibile! - mormorò. L'uomo non somigliava affatto a
lui, la donna poi conservava qualche cosa della donna-tigre del primo romanzo, ma non ne
aveva la vita, il sangue. Pensò che quella verità che aveva voluto raccontare era meno
credibile dei sogni che anni prima aveva saputi gabellare per veri. In quell'istante si
sentì sconsolatamente inerte, e ne provò un'angoscia dolorosa. Depose la penna, richiuse
tutto in un cassetto, e si disse che l'avrebbe ripreso più tardi, forse già il giorno
appresso. Questo proposito bastò a tranquillarlo; ma non ritornò più al lavoro. Voleva
risparmiarsi ogni dolore e non si sentiva forte abbastanza per studiare la propria
inettitudine e vincerla. Non sapeva più pensare con la penna in mano. Quando voleva
scrivere, si sentiva arrugginire il cervello, e rimaneva estatico dinanzi alla carta
bianca, mentre l'inchiostro s'asciugava sulla penna.
Gli venne il desiderio di rivedere
Angiolina. Non prese la decisione di andarla a cercare; s'era detto soltanto che ora
veramente non ci sarebbe stato alcun pericolo a rivederla. Anzi, se si fosse voluto
attenere esattamente alle parole che aveva dette lasciandola, sarebbe dovuto andare subito
da lei. Non era forse calmo abbastanza per stringerle la mano da amico?
Comunicò questo suo proposito al Balli, e
in questa forma: - Vorrei soltanto vedere se, riavvicinandola, saprei contenermi da
persona più accorta.
Il Balli aveva riso troppo spesso
dell'amore di Emilio per non credere ora nella sua perfetta guarigione. Per di più, da
qualche giorno, egli stesso aveva il più vivo desiderio di rivedere Angiolina. Aveva
immaginato una figura su quei tratti e con quei vestiti. Lo raccontò ad Emilio il quale
gli promise che con le prime parole che avrebbe rivolte alla fanciulla, l'avrebbe pregata
di posare per il Balli. Non v'era da dubitare della sua guarigione. Ormai egli non era
neppur geloso del Balli.
Parve poi che il Balli pensasse ad
Angiolina non meno di Emilio stesso. Aveva dovuto distruggere un bozzetto su cui aveva
spesi sei mesi di lavoro. Anch'egli era in un periodo d'esaurimento e non ritrovava in sé
altra idea che quella nata la prima sera in cui Emilio gli aveva fatto conoscere
Angiolina. Una sera, lasciando Emilio, gli chiese: - Tu non ti sei ancora riavvicinato? -
Non voleva essere lui a riunirli, ma voleva sapere se Emilio non si fosse rappattumato con
Angiolina a sua insaputa. Sarebbe stato un tradimento!
La calma d'Emilio era aumentata ancora.
Tutti gli permettevano di fare quello ch'egli voleva ed egli in fondo non voleva niente.
Proprio niente. Avrebbe cercato di rivedere Angiolina perché voleva provarsi a parlare e
pensare con calore. Doveva venirgli dal di fuori il calore ch'egli non aveva trovato in
sé, e sperava di vivere il romanzo che non sapeva scrivere.
La sola inerzia gl'impedì d'andare a
cercare la fanciulla. Gli sarebbe piaciuto che altri si fosse incaricato di riunirli, e
pensò perfino che avrebbe potuto invitare il Balli a farlo. Tutto infatti sarebbe stato
più facile e più semplice se il Balli si fosse procurato da solo la modella, e
gliel'avesse poi consegnata quale amante. Ci avrebbe pensato. Esitava soltanto perché non
voleva concedere al Balli una parte importante nel proprio destino.
Importante? Oh, Angiolina rimaneva sempre
una persona molto importante per lui. In proporzione al resto se non altro. Tutto era
tanto insignificante, ch'ella tutto dominava. Ci pensava continuamente come un vecchio
alla propria giovinezza Come era stato giovane quella notte in cui avrebbe dovuto uccidere
per tranquillarsi! Se avesse scritto invece di arrovellarsi prima sulla via e poi
altrettanto affannosamente nel letto solitario, avrebbe certo trovata la via all'arte che
più tardi aveva cercata invano. Ma tutto era passato per sempre. Angiolina viveva, ma non
poteva più dargli la giovinezza.
Una sera, accanto al Giardino Pubblico, la
vide camminare dinanzi a sé. La riconobbe al noto passo. Ella teneva sollevate le gonne
per preservarle dalla fanghiglia, e, alla luce di un gramo fanale, egli vide rilucere le
scarpe nere di Angiolina. Ne fu subito turbato. Ricordò che al culmine della sua angoscia
amorosa, egli aveva pensato che il possesso di quella donna gli avrebbe data la
guarigione. Ora invece pensò: - Mi animerebbe!
- Buona sera, signorina - disse con quanta
calma poté trovare nell'affanno del desiderio che lo colse dinanzi a quella faccia da
bambino roseo, con gli occhi grandi dai contorni precisi, che parevano tagliati allora
allora.
Ella si fermò, afferrò la mano che le
era stata offerta e rispose lieta e serena al saluto: - Come sta? E tanto che non ci
vediamo.
Egli rispose, ma era distratto dal proprio
desiderio. Aveva forse fatto male a dimostrare tanta serenità, e, peggio, a non aver
pensato al contegno da seguire per arrivare subito dove voleva, alla verità, al possesso.
Le camminò accanto tenendola per mano, ma, dopo scambiate quelle prime frasi da persone
che sono liete di ritrovarsi, egli tacque esitante. Il tono elegiaco usato altre volte con
piena sincerità, sarebbe stato fuori di posto, ma anche un'indifferenza troppo grande non
l'avrebbe portato allo scopo.
- Mi ha perdonato, signor Emilio? - disse
lei fermandosi e gli porse da stringere anche l'altra mano. L'intenzione era stata ottima
e il gesto sorprendentemente originale per Angiolina.
Egli trovò: - Sa che cosa io non le
perdonerò mai? Di non aver fatto alcun tentativo per riavvicinarsi a me. Tanto poco le
importava di me? - Era sincero e s'accorse ch'egli cercava inutilmente di far la commedia.
Forse la sincerità gli sarebbe servita meglio di qualunque finzione.
Ella si confuse un poco e, balbettando,
assicurò che se egli non si fosse avvicinato, l'indomani ella gli avrebbe scritto. -
Già, in fondo che cosa ho fatto? - e non ricordava d'aver chiesto scusa poco prima.
Emilio credette opportuno mostrarsi
dubbioso. - Debbo crederle? - Disse poi un rimprovero: - Con un ombrellaio!
La parola li fece ridere di gusto
entrambi. - Geloso! - esclamò lei stringendo la mano che continuava a tenere - geloso di
quel sudicio uomo! - Infatti se egli aveva fatto bene a rompere la relazione con
Angiolina, certo aveva avuto torto di cogliere a pretesto quella stupida storia con
l'ombrellaio. L'ombrellaio non era il più temibile dei suoi rivali. E perciò ebbe lo
strano sentimento che doveva imputare a se stesso tutti i mali che lo avevano colpito
dacché aveva abbandonata Angiolina.
Ella tacque lungamente. Non poteva essere
di proposito, perché per Angiolina sarebbe stata un'arte troppo fine. Ella taceva
probabilmente perché non trovava altre parole per scolparsi, e camminarono in silenzio
uno accanto all'altra nella notte strana e fosca, il cielo tutto coperto di nubi sbiancate
in un solo punto dalla luce lunare.
Arrivarono dinanzi alla casa d'Angiolina
ed ella si fermò, forse per prendere congedo. Ma egli la costrinse a procedere:
Camminiamo ancora, ancora, così muti! - Allora, naturalmente, ella lo compiacque e
continuò a camminare tacendo a lui da canto. Ed egli l'amò di nuovo, da quell'istante, o
da quell'istante ne fu consapevole. Gli camminava accanto la donna nobilitata dal suo
sogno ininterrotto, da quell'ultimo grido d'angoscia ch'egli le aveva strappato
lasciandola, e che per lungo tempo l'aveva personificata tutta; persino dall'arte, perché
ormai il desiderio fece sentire ad Emilio d'aver accanto la dea capace di qualunque
nobiltà di suono o di parola.
Oltrepassata la casa d'Angiolina, essi si
trovarono sulla via deserta e oscura chiusa dalla collina da una parte, dall'altra da un
muricciuolo che la separava dai campi. Ella vi sedette ed egli s'appoggiò a lei cercando
la posizione che aveva preferita in passato, durante i primi tempi del loro amore. Gli
mancava il mare. Nel paesaggio umido e grigio imperò la biondezza d'Angiolina, l'unica
nota calda, luminosa.
Era tanto tempo ch'egli non sentiva quelle
labbra sulle sue che n'ebbe una commozione violenta. - Oh, cara e dolce! mormorò
baciandole gli occhi, il collo e poi la mano e le vesti. Ella lo lasciò fare dolcemente,
e tanta dolcezza era talmente inaspettata ch'egli si commosse e pianse prima con sole
lagrime, poi con singhiozzi. Gli pareva che non fosse dipeso che da lui di continuare per
tutta la vita quella felicità. Tutto si scioglieva, tutto si spiegava. La sua vita non
poteva più consistere che di quel solo desiderio.
- Tanto bene mi vuoi? - mormorò essa
commossa e meravigliata. Anche lei aveva delle lagrime agli occhi. Gli raccontò che
l'aveva visto sulla via, pallido e smunto, sul volto i segni evidenti della sua
sofferenza, e le si era stretto il cuore dalla compassione. - Perché non sei venuto
prima? - gli chiese rimproverandolo.
S'appoggiò a lui per discendere dal
muricciuolo. Egli non capiva perché ella troncasse quella dolce spiegazione ch'egli
avrebbe voluto continuare in eterno. - Andiamo a casa mia disse ella, risoluta.
Egli ebbe le vertigini e l'abbracciò e
baciò non sapendo come dimostrarle la propria riconoscenza. Ma la casa d'Angiolina era
lontana e, camminando, Emilio si ritrovò intero con i suoi dubbi e la sua diffidenza. Se
quell'istante l'avesse legato per sempre a quella donna? Fece le scale lentamente e
tutt'ad un tratto le domandò: - E Volpini?
Ella esitò e si fermò: - Volpini? - Poi,
risoluta, superò i pochi scalini che la dividevano da Emilio. Si appoggiò a lui, nascose
la faccia sulla sua spalla con un'affettazione di pudore che gli ricordò l'antica
Angiolina e la sua serietà da melodramma, e gli disse: - Nessuno lo sa, neppure mia
madre. - Un po' alla volta ricompariva tutto il vecchio bagaglio, anche la dolce madre.
Ella s'era data al Volpini; costui l'aveva voluto, l'aveva anzi posto a condizione per
continuare i loro rapporti. - Sentiva che non era amato - bisbigliava Angiolina - e volle
una prova d'amore. - Essa non aveva ottenuto in compenso altra garanzia all'infuori di una
promessa di matrimonio. Fece, con la solita sconsideratezza, il nome di un giovane
avvocato il quale le aveva dato il consiglio d'accontentarsi di quella promessa perché la
legge puniva la seduzione in quelle forme.
Così allacciati, quelle scale non
terminavano più. Ogni scalino rendeva Angiolina più simile alla donna ch'egli aveva
fuggita. Perché ora ciarlava, incominciando già ad abbandonarsi. Ora poteva essere
finalmente sua perché - questo era detto e ridetto - era per lui ch'ella s'era data al
sarto. A quella responsabilità non si sfuggiva più neppure rinunziando a lei.
Ella aperse la porta e, per il corridoio
oscuro, lo diresse alla propria stanza. Da un'altra s'udì la voce nasale della madre: -
Angiolina! sei tu?
- Sì - rispose Angiolina trattenendo una
risata. - Mi corico subito. Addio, mamma.
Accese una candela e si levò il mantello
e il cappello. Poi gli si abbandonò o, meglio, lo prese.
Emilio poté esperimentare quanto
importante sia il possesso di una donna lungamente desiderata. In quella memorabile sera
egli poteva credere d'essersi mutato ben due volte nell'intima sua natura. Era sparita la
sconsolata inerzia che l'aveva spinto a ricercare Angiolina, ma erasi anche annullato
l'entusiasmo che lo aveva fatto singhiozzare di felicità e di tristezza. Il maschio era
oramai soddisfatto ma, all'infuori di quella soddisfazione, egli veramente non ne aveva
sentita altra. Aveva posseduto la donna che odiava, non quella ch'egli amava. Oh,
ingannatrice! Non era né la prima, né - come voleva dargli ad intendere - la seconda
volta ch'ella passava per un letto d'amore. Non valeva la pena di adirarsene perché
l'aveva saputo da lungo tempo. Ma il possesso gli aveva data una grande libertà di
giudizio sulla donna che gli si era sottomessa. - Non sognerò mai più - pensò uscendo
da quella casa. E poco dopo, guardandola, illuminata da pallidi riflessi lunari: - Forse
non ci ritornerò mai più. - Non era una decisione. Perché l'avrebbe dovuta prendere? Il
tutto mancava d'importanza.
Ella l'aveva accompagnato sino alla porta
di casa. Non s'era accorta di alcuna sua freddezza perché egli si sarebbe vergognato di
mostrarne. Anzi, premurosamente egli aveva chiesto per la sera appresso un altro
appuntamento ch'ella aveva dovuto rifiutargli essendo occupata tutta la giornata fino a
tarda notte dalla signora Deluigi, che le aveva commesso un vestito da ballo.
S'accordarono di vedersi due giorni dopo: - Ma non in questa casa - disse Angiolina subito
arrossata dall'ira. - Come puoi immaginare una cosa simile? Non voglio mica espormi al
pericolo di farmi ammazzare da mio padre. - Emilio assicurò che avrebbe provveduto lui
alla stanza pel prossimo ritrovo. Gliel'avrebbe indicata domani con un biglietto.
Il possesso, la verità? La bugia
continuava spudorata come prima, ed egli non scorgeva alcun modo per liberarsene.
Nell'ultimo bacio, dolcemente, ella gli raccomandò discrezione, col Balli specialmente.
Ella ci teneva alla propria fama.
Col Balli Emilio fu indiscreto subito, la
stessa sera. Parlò di proposito, con l'intenzione di reagire alle menzogne d'Angiolina,
senza tener conto delle raccomandazioni di lei, intese certamente a ingannare lui e non a
tener all'oscuro gli altri. Ma poi sentì una grande soddisfazione di poter raccontare al
Balli d'aver posseduto quella donna. Fu una soddisfazione intensa, importante, che gli
levò qualunque nube dalla fronte.
Il Balli lo stette a sentire da medico che
vuol fare una diagnosi: - Mi pare proprio di poter essere sicuro che sei guarito.
Allora però Emilio sentì il bisogno di
confidarsi, e raccontò dell'indignazione che provocava in lui il contegno di Angiolina,
la quale ancora sempre voleva fargli credere di essersi data al Volpini per poter
appartenere a lui. Subito la sua parola fu troppo vivace: - Ancora adesso vuole truffarmi.
Il dolore che mi fa di vederla sempre uguale a se stessa è tale che mi toglie persino il
desiderio di rivederla.
Il Balli lo indovinò tutto e gli disse: -
Anche tu resti uguale a te stesso. Non una tua parola denota indifferenza. - Emilio
protestò con calore, ma il Balli non si lasciò convincere. - Hai fatto male, male assai
di riavvicinarti a lei.
Durante la notte Emilio poté convincersi
che il Balli aveva ragione. L'indignazione, un'ira inquieta che avrebbe domandato un
pronto sfogo, lo teneva desto. Non poteva più illudersi che quella fosse l'indignazione
dell'uomo onesto ferito da un'oscenità. Egli conosceva troppo bene quello stato d'animo.
Ci era ricaduto ed era molto simile a quello provato prima dell'incidente dell'ombrellaio
e prima del possesso. La gioventù ritornava! Egli non anelava più di uccidere ma si
sarebbe voluto annientare dalla vergogna e dal dolore.
All'antico dolore s'era aggiunto un peso
sulla coscienza, il rimorso d'essersi legato di più a quella donna, e la paura di vederne
compromessa vieppiù la propria vita. Infatti, come avrebbe potuto spiegare la tenacità
con cui ella addossava a lui la colpa della relazione col Volpini, se non col proposito
d'attaccarglisi, comprometterlo, succhiargli lo scarso sangue che aveva nelle vene? Egli
era legato per sempre ad Angiolina da una strana anomalia del proprio cuore, dai sensi -
nel letto solitario il desiderio era rinato - e dalla stessa indignazione ch'egli
attribuiva all'odio.
Quell'indignazione era la madre dei più
dolci sogni. Verso mattina il suo profondo turbamento s'era mitigato nella commozione per
il proprio destino. Non s'addormentò, ma cadde in uno stato singolare d'abbattimento che
gli tolse la nozione del tempo e del luogo. Gli parve d'essere ammalato, gravemente, senza
rimedio, e che Angiolina fosse accorsa a curarlo. Le vedeva la compostezza e la serietà
della buona infermiera dolce e disinteressata. La sentiva muoversi nella camera, ed ogni
qualvolta ella gli si avvicinava, gli apportava refrigerio, toccandogli con la mano fresca
la fronte scottante, oppure baciandolo, con lievi baci che non volevano essere percepiti,
sugli occhi o sulla fronte. Angiolina sapeva baciare così? Egli si rivoltò pesantemente
nel letto e tornò in sé. L'effettuazione di quel sogno sarebbe stato il vero possesso. E
dire che poche ore prima egli aveva pensato di aver perduto la capacità di sognare. Oh,
la gioventù era ritornata. Correva le sue vene prepotente come mai prima, e annullava
qualunque risoluzione la mente senile avesse fatta.
Di buon'ora s'alzò e uscì. Non poteva
attendere; voleva rivedere Angiolina subito. Correva nell'impazienza di riabbracciarla ma
si proponeva di non ciarlare troppo. Non voleva abbassarsi con dichiarazioni che avrebbero
falsato i loro rapporti. Il possesso non dava la verità, ma esso stesso, non abbellito da
sogni e neppure da parole, era la verità propria e pura e bestiale.
Invece, con un'ostinazione ammirabile,
Angiolina non ne volle sapere. Era già vestita per uscire e poi l'aveva già avvisato che
ella non intendeva disonorare la propria casa.
Egli, nel frattempo, aveva fatta
un'osservazione per la quale credette di dover deviare dai suoi proponimenti. S'accorse
ch'ella lo esaminava con curiosità per capire se in lui l'amore fosse diminuito o
aumentato dal possesso. Ella si tradiva con un'ingenuità commovente; doveva aver
conosciuti degli uomini che provavano ripugnanza per la donna avuta. A lui fu molto facile
di provarle ch'egli non era di quelli. Rassegnatosi al digiuno ch'ella gli imponeva, si
accontentò di quei baci di cui era vissuto per tanto tempo. Ma presto i baci soli non
bastarono più, ed egli si ritrovò a mormorarle nelle orecchie tutte le dolci parole
apprese nel lungo amore: - Ange! Ange! Il Balli gli aveva fornito
l'indirizzo di una casa ove davano a fitto delle stanze. Egli gliela indicò. A lungo, per
non sbagliare, ella si fece descrivere quella casa e la posizione della stanza, ciò che
imbarazzò non poco Emilio il quale non l'aveva vista. Aveva baciato troppo per saper
osservare, ma quando fu solo sulla via s'accorse, con sua grande meraviglia, che soltanto
allora sapeva esattamente dove bisognava andare a cercare quella stanza. Non v'era dubbio!
Era stato diretto da Angiolina.
Vi andò subito. La proprietaria della
camera si chiamava Paracci, ed era una vecchierella nauseante dalle vesti sucide sotto
alle quali s'indovinavano le forme del petto abbondante, un resto di giovinezza in mezzo
ad una vizza vecchiaia, la testa con pochi capelli ricci sotto ai quali luceva la pelle
porosa e rossa. Lo accolse con grande gentilezza e, subito d'accordo, gli disse ch'ella
non affittava che a chi conosceva molto bene dunque a lui sì.
Egli volle vedere la stanza e vi entrò,
seguito dalla vecchia, per la porta sulle scale. Un'altra porta - sempre chiusa - disse la
Paracci con l'accento di chi giura, la congiungeva al resto del quartiere. Più che
ammobiliata, era ingombrata da un enorme letto dall'apparenza pulita e da due grandi
armadi; c'era un tavolo nel mezzo, un sofà e quattro sedie. Non ci sarebbe stato posto
neppure per un solo altro mobile.
La vedova Paracci stava a guardarlo, le
mani sui grossi fianchi sporgenti, con l'aspetto sorridente - una brutta smorfia che
metteva in mostra la bocca sdentata - di chi si attende una parola di soddisfazione.
Infatti nella stanza c'era anche qualche tentativo d'abbellimento. In capo al letto stava
piantato un ombrello chinese e sulla parete, anche qui, erano appese varie fotografie.
Gli sfuggì un grido di sorpresa vedendo
accanto alla fotografia di una donna seminuda, quella di una giovanetta ch'egli aveva
conosciuta, un'amica di Amalia, morta qualche anno prima. Chiese alla vecchia donde le
fossero venute quelle fotografie, ed ella rispose che le aveva comperate per adornare
quella parete. Egli guardò lungamente la faccia buona di quella povera ragazza che aveva
posato tutta impettita dinanzi alla macchina del fotografo, forse l'unica volta in sua
vita, per servire da ornamento a quella stanzaccia.
Eppure in quella stanzaccia, in presenza
della sozza vecchia che stava a guardarlo lieta d'aver conquistato un nuovo cliente, egli
sognò d'amore. Precisamente in quelle condizioni era eccitantissimo figurarsi Angiolina
che veniva a portargli l'amore desiato. Con un fremito di febbre, egli pensò: domani
avrò la donna amata!
La ebbe quantunque mai l'avesse amata meno
di quel giorno. L'attesa l'aveva reso infelice; gli pareva d'essere nell'impossibilità di
godere. Circa un'ora prima di andare all'appuntamento pensò che se non vi avesse trovata
la gioia attesa, avrebbe dichiarato ad Angiolina di non volerla vedere più, e
precisamente con le parole: - Sei tanto disonesta che mi ripugni. - Aveva pensate queste
parole accanto ad Amalia, invidiandola perché la vedeva disfatta ma tranquilla. E aveva
pensato che l'amore, per Amalia, restava il puro grande desiderio divino: era
nell'effettuazione che la piccola natura umana si trovava bruttata, avvilita.
Ma quella sera godette. Angiolina lo fece
attendere oltre mezz'ora, un secolo. Gli parve di sentire sola ira, un'ira impotente che
aumentava l'odio ch'egli diceva di sentire per lei. Pensava di picchiarla quando sarebbe
venuta. Non v'erano scuse possibili perché ella stessa aveva detto che quel giorno non
andava a lavorare e che perciò poteva essere puntuale. Non era anzi per la certezza di
non dover ritardare, ch'ella non aveva voluto accettare l'impegno per la sera prima? Ed
ora lo aveva fatto aspettare prima un giorno intero e poi tanto, tanto tempo.
Ma quando ella arrivò, egli, che già
aveva disperato di vederla, fu sorpreso della propria fortuna. Le mormorò sulle labbra e
nel collo delle parole di rimprovero a cui ella neppure rispose perché avevano il suono
di una preghiera, di una adorazione. Nella penombra la stanza della vedova Paracci divenne
un tempio. Per lungo tempo nessuna parola turbò il sogno. Angiolina dava certo più di
quanto aveva promesso. Ella aveva disciolti gli abbondanti capelli, ed egli si ritrovò
con la testa appoggiata su un guanciale d'oro. Come un bambino egli vi appoggiò il volto
per fiutarne il colore. Ella era un'amante compiacente e - in quel letto egli non sapeva
lagnarsene - indovinava con un'intelligenza affinatissima i suoi desider. Là tutto
diveniva soddisfazione e godimento.
Appena più tardi il ricordo di quella
scena gli fece digrignare i denti dall'ira. La passione l'aveva liberato per un istante
dal doloroso abito dell'osservatore, ma non gli aveva impedito d'imprimersi nella memoria
ogni singolo particolare di quella scena. Ora appena poteva dire di conoscere Angiolina.
La passione gli aveva dati dei ricordi indelebili, e su questi riusciva a ricostruire dei
sentimenti che Angiolina non aveva espressi, che aveva anzi accuratamente celati. A mente
fredda egli non sarebbe riuscito a tanto. Così, invece, egli sapeva, sapeva con certezza
apodittica come se ella glielo avesse dichiarato a chiare note, ch'ella aveva conosciuto
dei maschi che l'avevano soddisfatta meglio. Aveva detto più volte: - Ma adesso basterà
Non ne posso più. - Aveva cercato un accento di ammirazione che non aveva trovato. Egli
avrebbe potuto dividere la serata in due parti. Nella prima ella lo aveva amato; nella
seconda s'era fatta forza per non respingerlo. Quando abbandonò il letto, tradì d'essere
stanca di starvi. Allora, naturalmente, per indovinarla tutta, non occorse grande forza
d'osservazione, perché, vedendolo esitante, ella lo spinse fuori dal letto dicendogli
scherzosamente: - Andiamo, bell'uomo. - Bell'uomo! La parola ironica doveva essere stata
pensata da una mezz'ora circa Egli l'aveva letta sulla sua faccia.
Come sempre, egli avrebbe avuto bisogno di
restare solo per avere il tempo d'ordinare le proprie osservazioni. Per il momento
percepì confusamente ch'ella non gli apparteneva più, la medesima sensazione che aveva
avuta quella sera, in cui s'era trovato con Angiolina al Giardino Pubblico per aspettarvi
il Balli e Margherita. Era un dolore atroce di amor proprio ferito e d'amarissima gelosia.
Volle liberarsene, e non poté lasciarla senza aver tentato di riconquistarla.
L'accompagnò sulla via, poi, quantunque
ella dichiarasse di aver fretta, l'indusse a rincasare per la via ch'egli aveva percorsa
quella sera in cui ella era stata vista con l'ombrellaio. La via di Romagna era proprio
quella della serata memoranda, con i suoi alberi nudi, che si proiettavano sul cielo
chiaro, e il suolo ineguale coperto di fanghiglia densa. Una grande differenza era quella
d'aver accanto Angiolina. Ma tanto lontana! Per la seconda volta, su quella stessa via,
egli la cercò.
Le descrisse la corsa fatta allora. Le
raccontò come il desiderio di vederla gliel'avesse fatta scorgere più volte dinanzi a
sé, poi come una leggera ferita prodotta da una caduta l'avesse fatto piangere, perché
era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ella lo stette ad ascoltare
lusingata di avere ispirato un tale amore e quand'egli si commosse lagnandosi che tanto
soffrire non gli avesse conquistato tutto l'amore cui credeva di aver diritto, ella
protestò con energia: - Come puoi dire una cosa simile? - Lo baciò per protestare con
efficacia. Poi però commise l'errore, come al solito dopo averci ben pensato: - Non mi
sono data al Volpini per essere tua? - Ed Emilio piegò la testa convinto.
Quel Volpini, senza saperlo, gli
avvelenava le gioie che, secondo Angiolina, gli aveva procurate. Invece di soffrire per
l'indifferenza di Angiolina, dopo di aver udito menzionare il Volpini, Emilio temette di
lei e dei piani che in lei sospettava. Nel convegno seguente, con le prime parole egli
chiese quali garanzie avesse avute dal Volpini per abbandonarglisi. - Oh, Volpini non può
più fare a meno di me - disse ella sorridendo. Per il momento anche Emilio si tranquillò
e gli parve che quella garanzia fosse sufficiente. Egli stesso, tanto più giovane del
Volpini, non poteva fare a meno di Angiolina.
Durante il secondo appuntamento
l'osservatore non s'assopì in lui un solo instante. N'ebbe il premio in una scoperta
dolorosissima: nel tempo in cui egli con tanto sforzo s'era tenuto lontano da Angiolina,
qualcuno doveva aver occupato il suo posto. Un altro, che non doveva somigliare ad alcuno
degli uomini che egli conosceva e temeva. Non Leardi, non Giustini, non Datti. Doveva
essere stato costui a prestarle degli accenti nuovi, bruschi, non manchevoli di spirito, e
dei giuochi di parola grossolani. Doveva essere uno studente, perché ella maneggiava con
grande disinvoltura alcune parole latine volte a senso turpe. Rispuntò quel disgraziato
Merighi, il quale certamente non poteva sospettare che si continuasse ad abusare di lui;
era stato lui ad insegnarle anche quelle parole latine. Come se ella fosse stata capace di
sapere di latino senza farne pompa per tanto tempo! Invece chi le aveva insegnato il
latino doveva essere il medesimo che le aveva apprese anche delle canzonette veneziane
liberissime. Cantandole ella stonava, ma anche per saperle così doveva averle udite
parecchie volte, tant'è vero che non avrebbe saputo rifare una sola nota delle canzonette
udite più volte dal Balli. Doveva essere un veneziano perché ella si compiaceva spesso
d'imitare la pronunzia veneziana che prima, probabilmente, aveva ignorata. Emilio lo
sentiva accanto a sé, beffardo gaudente; arrivava a ricostruirlo fino a un certo punto,
ma poi gli sfuggiva e non arrivò mai a conoscerne il nome. Nella raccolta di fotografie
d'Angiolina non v'era alcuna faccia nuova. Il nuovo rivale non doveva avere il vezzo di
regalare la propria fotografia, o forse ad Angiolina sembrava miglior politica di non
esporre più le fotografie, alla cui raccolta ella aveva dedicata la propria vita. Tant'è
vero che sulla parete mancava anche quella di Emilio.
Egli non ebbe alcun dubbio che se si fosse
imbattuto in quell'individuo, l'avrebbe riconosciuto a certi gesti ch'ella doveva aver
imitati da lui. Il peggio era che dalla sola ripetuta domanda da chi ella avesse appreso
quel gesto o quella parola, ella indovinò la sua gelosia: - Geloso! - disse con
un'intuizione sorprendente vedendolo serio e mesto. Sì; egli era geloso. Soffriva quando
per un'esitazione ella si cacciava con gesto maschile le mani nei capelli, o per sorpresa
gridava; - Oh, la balena! - o, quando scorgendolo triste, gli chiedeva: - Sei invelenà
oggi? - Soffriva come se si fosse trovato a faccia a faccia col suo inafferrabile rivale.
Per di più, con la fantasia eccitata dell'innamorato, egli credette di scoprire nei suoni
della voce d'Angiolina delle copie di quelli serii e un po' imperiosi del Leardi. Anche il
Sorniani le doveva aver insegnato qualche cosa, e persino il Balli aveva lasciato traccia
di sé, essendo stato copiato accuratamente in una certa sua affettazione d'intontita
sorpresa o ammirazione. Emilio stesso non si riconosceva in alcuna parola o gesto di lei.
Con amara ironia una volta pensò: Forse per me non c'è più posto.
Il più odiato rivale restava per lui
quell'ignoto. Era strano com'ella avesse saputo non nominare quell'uomo che doveva essere
passato di recente nella sua vita, mentre le piaceva tanto di vantarsi dei suoi trionfi,
persino dell'ammirazione spiata negli occhi degli uomini nei quali s'imbattesse una sola
volta sulla via. Tutti erano pazzamente innamorati di lei. - Tanto più merito ho avuto-
ella asseriva - di essere rimasta sempre a casa durante la tua assenza, e ciò dopo essere
stata trattata a quel modo da te. - Sì! Ella voleva fargli credere che durante la sua
lontananza ella non avesse fatto altro che pensare a lui. Ogni sera, in famiglia, avevano
ventilata la questione se ella dovesse scrivergli o no. Suo padre cui stava molto a cuore
la dignità della famiglia non aveva voluto saperne. Visto che all'idea di quel consiglio
di famiglia Emilio s'era messo a ridere, ella gridò: - Domandalo a mamma se non è vero.
Era una mentitrice ostinata benché, in
verità, non conoscesse l'arte di mentire. Era facile farla cadere in contraddizione. Ma
quando tale contraddizione le era stata provata, ella tornava con fronte serena ai suoi
primi asserti, perché, in fondo, ella alla logica non ci credeva. E forse bastava tale
sua semplicità a salvarla agli occhi d'Emilio.
Non si poteva dire ch'ella fosse molto
raffinata nel male, e poi a lui sembrava che ogni qualvolta lo ingannava, avesse cura di
avvisarnelo.
Non v'era però la possibilità di
rintracciare i motivi per cui egli era tanto indissolubilmente legato ad Angiolina.
Qualunque altro piccolo dolore che gli fosse toccato nella sua vita insignificante, divisa
fra casa e ufficio, s'annullava facilmente accanto a lei. Di tutti i dolori ch'ella gli
dava, il maggiore era quello di non farsi trovare, quando egli aveva bisogno di starle
accanto. Spesso, cacciato fuori della propria casa dalla triste faccia della sorella,
correva dagli Zarri quantunque sapesse che Angiolina non amava di vederlo tanto spesso in
quella casa ch'ella tanto energicamente difendeva dal disonore. Ben di rado ve la trovava,
e la madre con grande gentilezza lo invitava ad attenderla perché Angiolina doveva venir
subito. Era stata chiamata cinque minuti prima da certe signore che abitavano lì accanto
- un gesto vago accennava a levante o a ponente - per provare un vestito.
L'attesa gli era indicibilmente dolorosa,
ma rimaneva incantato per delle ore a scrutare la dura faccia della vecchia, perché
sapeva che rincasando senza aver vista l'amante, non si sarebbe quietato più. Una sera,
spazientito, sebbene la madre, cortese come sempre, volesse trattenerlo, finì
coll'andarsene. Sulle scale gli passò accanto una donna, apparentemente una fantesca, la
testa coperta da una pezzuola con la quale si celava anche parte della faccia. Egli le
diede il passo, ma, quando ella volle sgattaiolare oltre, la riconobbe, insospettito prima
dall'intenzione ch'ella manifestava di sfuggirgli, poi dalle movenze e alla statura. Era
Angiolina. Al ritrovarla egli si sentì subito meglio e non badò al fatto ch'ella
parlando di quelle vicine che l'avevano chiamata, segnasse tutt'altra direzione di quella
indicata dalla madre, e neppure a quello, sorprendente, ch'ella non gli tenesse rancore
perché una volta di più egli fosse venuto in casa sua a comprometterla. Quella sera fu
dolce, buona, come se avesse avuto da farsi perdonare qualche colpa, ma lui, in quella
dolcezza di cui si beava, non seppe sospettare una colpa.
La sospettò soltanto allorché ella venne
vestita a quel modo anche agli appuntamenti con lui. Ella dichiarò che rincasando sul
tardi dopo essere stata con lui, era stata vista da conoscenti e aveva paura d'essere
colta proprio nell'istante in cui usciva da quella casa, che non godeva della migliore
fama; perciò si mascherava a quel modo. Oh, ingenuità! Ella non s'accorgeva di
confessargli con quella chiacchierata che anche quella sera in cui egli l'aveva trovata
sulle scale di casa sua, aveva avuti dei buoni motivi per travestirsi.
Una sera ella arrivò al loro ritrovo con
più di un'ora di ritardo. Acciocché ella non avesse bisogno di bussare rischiando
l'attenzione degli altri inquilini, egli soleva attenderla sulle scale, tortuose e sucide,
poggiato alla ringhiera e persino piegato per scorgere il punto più lontano ove ella
doveva apparire. Quando vedeva venire qualche estraneo, si rifugiava nella stanza e per
tale moto continuo la sua agitazione aumentava enormemente. Del resto gli sarebbe stato
impossibile di rimaner fermo. Quella sera, quando doveva tenersi chiuso nella stanza per
lasciar passare la gente sulle scale, si gettò più volte sul letto per rialzarsi subito
e perdere del tempo nel movimento ch'egli complicava ad arte. Più tardi, ripensando allo
stato in cui s'era trovato in quell'attesa, gli parve incredibile. Doveva persino aver
gridato dall'ambascia.
Quando ella alfine venne, non bastò la
sua vista per calmarlo, e le fece dei violenti rimproveri. Ella non ci abbadò e credette
di poterlo calmare con qualche carezza. Gettò via la pezzola e gli pose le braccia al
collo; le maniche larghe le lasciavano del tutto nude ed egli le sentì scottanti di
febbre. La guardò meglio. Ella aveva gli occhi lucenti e le guance arrossate. Un sospetto
orribile gli passò per la mente: -Tu sei stata or ora con un altro - urlò. Ella lo
lasciò con una protesta relativamente debole: - Sei matto! - disse, e non molto offesa,
si mise a spiegargli le ragioni del suo ritardo. La signora Deluigi non l'aveva lasciata
andar via, ella aveva dovuto correre a casa per vestirsi a quel modo, e là le era stato
imposto dalla madre di fare un lavoro prima di uscire. Erano ragioni sufficienti a
spiegare dieci ore di ritardo.
Ma Emilio non aveva più alcun dubbio:
ella usciva dalle braccia di un altro e a lui balenò alla mente - unica via per salvarsi
da tanta immondizia - un atto d'energia sovrumana. Non doveva entrare in quel letto;
doveva respingerla subito e non rivederla mai più. Ma egli ora sapeva che cosa
significasse mai più: un dolore, un rimpianto continuo, delle ore interminabili
d'agitazione, altre di sogni dolorosi e poi d'inerzia, il vuoto, la morte della fantasia e
del desiderio, uno stato più doloroso di qualunque altro. Ne ebbe paura. L'attirò a sé
e, per unica vendetta, le disse: - Io non valgo mica molto più di te.
Fu lei allora a ribellarsi e,
svincolandosi, disse decisa: - Non ho mai permesso a nessuno di trattarmi così. Io me ne
vado. Volle riprendere la pezzuola ma egli glielo impedì. La baciò e l'abbracciò
pregandola di restare; non ebbe la vigliaccheria di rinnegare le sue parole con una
dichiarazione, ma vedendola tanto decisa, egli, ch'era ancora sconvolto solo per aver
pensata quella risoluzione, l'ammirò. Sentendosi perfettamente riabilitata ella cedette.
Per gradi però. Restò dichiarando che sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero
visti e, soltanto al momento di dividersi, acconsentì a stabilire come al solito il
giorno e l'ora del prossimo appuntamento. Sentendosi appieno vittoriosa ella non aveva
ricordato più l'origine della disputa e non aveva tentato di farlo ricredere.
Egli sperava ancora sempre che il possesso
così pieno avrebbe finito col togliere violenza al suo sentimento. Invece egli andava ai
ritrovi sempre con la medesima violenza di desiderio e nella sua mente non s'acquietava la
tendenza a ricostruire l'Ange che veniva distrutto ogni giorno. Il malcontento lo
spingeva a rifugiarsi nei sogni più dolci. Angiolina quindi gli dava tutto: il possesso
della sua carne e - essendone essa l'origine - anche il sogno del poeta.
Tanto di frequente la sognò infermiera
che tentò di continuare il sogno anche accanto a lei. Stringendosela fra le braccia col
violento desiderio del sognatore, le disse, - Vorrei ammalarmi per essere curato da te. -
Oh, sarebbe bellissimo! - disse ella che in certe ore si sarebbe prestata a tutti i suoi
desider. Naturalmente bastò quella frase per annullare qualunque sogno.
Una sera, trovandosi con Angiolina, egli
ebbe un'idea che per quella sera alleviò potentemente il suo stato d'animo. Fu un sogno
ch'egli ebbe e sviluppò accanto ad Angiolina e ad onta di questa vicinanza. Essi erano
tanto infelici causa il turpe stato sociale vigente. Egli ne era tanto convinto che poté
pensare di essere persino capace di un'azione eroica pel trionfo del socialismo. Tutta la
loro sventura era originata dalla loro povertà. Il suo discorso presupponeva ch'ella si
vendesse e ch'era spinta a farlo dalla povertà della sua famiglia Ma essa non se ne
accorse e le sue parole le sembravano una carezza eppoi pareva egli volesse biasimare solo
se stesso.
In una società differente egli avrebbe
potuto farla sua, pubblicamente, subito, senza imporle prima di darsi al sarto. Faceva
proprie anche le menzogne di Angiolina, pur di renderla dolce e indurla a entrare in
quelle idee, per sognare in due. Ella volle delle spiegazioni ed egli gliele diede beato
di poter dar voce al sogno. Le raccontò quale lotta immane fosse scoppiata fra poveri e
ricchi, i più e i meno. Non v'era da dubitare dell'esito della lotta il quale avrebbe
apportato la libertà a tutti, anche a loro. Le parlò dell'annientamento del capitale e
del mite breve lavoro che sarebbe stato l'obbligo d'ognuno. La donna uguale all'uomo e
l'amore un dono reciproco.
Ella chiese delle altre spiegazioni che
già turbarono il sogno, e poi concluse: - Se tutto venisse diviso, non ci sarebbe niente
per nessuno. Gli operai sono degl'invidiosi, dei fannulloni, e non riusciranno a niente. -
Egli tentò di discutere ma poi vi rinunziò. La figlia del popolo teneva dalla parte dei
ricchi.
A lui parve ch'ella non gli avesse mai
chiesto del denaro. Quello ch'egli non poté negare neppure a se stesso era che, quando,
consapevole dei suoi bisogni, egli l'abituò a ricevere del denaro in luogo di oggetti o
di dolciumi, ella se ne dimostrò riconoscentissima, pur affettando sempre una grande
vergogna. E questa riconoscenza si rinnovava egualmente vivace ad ogni dono ch'egli le
faceva; perciò, quando egli sentiva il bisogno di trovarla dolce e amorosa, sapeva molto
bene come avesse da comportarsi. Tale bisogno era sentito da lui tanto spesso che la sua
borsa ne fu presto esausta. Accettando, ella non dimenticò mai di protestare e visto che
l'accettazione non importava mai più di un semplice atto, quello di stendere la mano,
mentre la protesta era fatta con molte parole, a lui rimasero impresse più queste che
quello, e continuò a ritenere che anche senza di quei doni la loro relazione sarebbe
rimasta la stessa.
La penuria nella famiglia d'Angiolina
doveva essere grande. Ella aveva fatto ogni sforzo per impedirgli di venire a sorprenderla
nella sua casa. Quelle visite inaspettate non le garbavano punto. Ma le minacce di non
farsi trovare, di farlo gettare giù dalle scale dalla madre, dai fratelli o dal padre,
non approdarono a nulla. Era certo che quando egli aveva tempo, di sera, sul tardi,
capitava a trovarla, e ciò sebbene molto spesso venisse a tenere compagnia alla vecchia
Zarri. Erano i sogni che lo trascinavano lassù. Egli sperava sempre di trovare Angiolina
mutata e veniva frettoloso a cancellare l'impressione - sempre triste - dell'ultimo
ritrovo
Allora fece un ultimo tentativo. Gli
raccontò che il padre non le dava pace e che le era riuscito con grande fatica di
trattenerlo dal fargli una scenataccia Tutto quello che aveva potuto ottenere era la
promessa che si sarebbe astenuto dall'usare violenze, ma le sue ragioni il vecchio voleva
dirgliele. Cinque minuti dopo entrò il vecchio Zarri. Ad Emilio parve che il vecchio, un
uomo lungo, magro, tentennante, che appena entrato provò il bisogno di sedere, sapesse
che il suo ingresso era stato annunziato Le sue prime parole parvero preparate per
imporre. Parlava lento e impacciato, ma imperioso. Disse che credeva di poter dirigere e
proteggere quella sua figliuola che ne aveva bisogno, perché se non avesse avuto lui non
avrebbe avuto nessuno, visto che i fratelli - egli non voleva dirne male - degli affari di
famiglia non si occupavano. Angiolina parve si compiacesse grandemente del lungo esordio;
tutt'ad un tratto disse che andava a vestirsi nella stanza accanto e uscì.
Il vecchio perdette subito ogni imponenza.
Guardò dietro alla figliuola portando al naso una presa di tabacco; fece una lunga pausa
durante la quale Emilio pensava le parole con cui avrebbe risposto alle accuse che gli
sarebbero mosse. Il padre di Angiolina guardò poi dinanzi a sé, e, lungamente, le
proprie scarpe. Fu proprio per caso che alzò gli occhi e rivide Emilio. Ah, sì- fece
come persona sorpresa di ritrovare un oggetto smarrito. Ripeté l'esordio ma con meno
forza; era molto distratto. Poi si concentrò, con uno sforzo evidente, per continuare.
Guardò Emilio a più riprese sempre evitando d'incontrarne lo sguardo e non parlò che
quando si risolse a guardare la tabacchiera consunta che teneva fra le mani.
C'era della gente cattiva che perseguitava
la famiglia Zarri. Angiolina non glielo aveva detto? Aveva fatto male. C'era dunque della
gente che stava sempre sull'attenti per cogliere in fallo la famiglia Zarri. Bisognava
guardarsi! Il signor Brentani non conosceva Tic? Se lo avesse conosciuto non
sarebbe venuto tanto spesso in quella casa.
Qui la predica degenerò in un'ammonizione
ad Emilio, a non esporsi - così giovine - a tanti pericoli. Quando il vecchio alzò gli
occhi per guardare di nuovo Emilio, questi indovinò. In quegli occhi stranamente azzurri
sotto a una canizie argentea, brillava la follia.
Questa volta il pazzo seppe sostenere lo
sguardo d'Emilio. Sta bene che Tic abita lassù ad Opicina ma di lassù manda le
percosse alle gambe e alle schiene dei suoi nemici. Foscamente aggiunse: - Qui in casa
bastona persino la piccola. - La famiglia aveva un altro nemico: Toc. Quello
abitava in mezzo alla città. Non bastonava, ma faceva di peggio. Aveva portato via alla
famiglia tutti i mestieri, tutto il denaro, tutto il pane.
Al colmo del furore, il vecchio gridava.
Venne Angiolina la quale indovinò subito di che cosa si trattasse. - Vattene - disse al
padre con grande malumore e lo spinse fuori.
Il vecchio Zarri si fermò sulla soglia,
esitante: - Egli - disse accennando ad Emilio - non sapeva nulla né di Tic né di Toc.
- Glielo racconterò io - disse Angiolina,
ridendo ora di cuore. Poi gridò: - Mamma vieni a prendere papà. - Chiuse la porta.
Emilio, terrorizzato dagli occhi pazzi che
lo avevano guardato sì a lungo: - E ammalato? - domandò.
- Oh - fece Angiolina con disdegno - è un
poltrone che non vuole lavorare. Da una parte c'è Tic, dall'altra Toc e
così egli non esce di casa e fa sgobbare noialtre donne. - Tutt'ad un tratto rise
sgangheratamente, e gli raccontò che tutta la famiglia per compiacere al vecchio, fingeva
di sentire le legnate che pervenivano alla casa da parte di Tic. Anni prima, quando
la fissazione del vecchio era appena nata, essi stavano in un quinto piano al Lazzaretto
Vecchio, e Tic stava al Campo Marzio e Toc in Corso. Cambiarono di casa
sperando che in tutt'altra regione della città il vecchio avrebbe di nuovo osato di
andare sulla via, ma ecco che subito Tic va a stare a Opicina e Toc in via
Stadion.
Lasciandosi baciare ella disse: - L'hai
scampata bella. Guai a te se egli, giusto in quel momento, non si fosse ricordato dei suoi
nemici.
Così divenivano sempre più intimi. Egli
aveva oramai scoperto tutti i misteri di quella casa. Anch'ella sentiva che nulla in lei
poteva più ripugnare ad Emilio ed una volta ebbe una bellissima espressione: - A te
racconto tutto come a un fratello. - Lo sentiva ben suo, e se anche non ne abusava,
perché non era del suo carattere di gioire della forza, di usarne per provarla, ma bensì
di goderne per vivere meglio e più lieta, abbandonò ogni riguardo. Giungeva in ritardo
agli appuntamenti quantunque lo trovasse ogni volta con gli occhi fuori dalla testa,
febbricitante, violento. Divenne sempre più rozza. Quando era stanca delle sue carezze lo
respingeva con violenza tanto ch'egli, ridendo, le disse di temere che prima o poi ella
l'avrebbe bastonato.
Non poté accertarsene, ma gli parve che
Angiolina e la Paracci, la donna che gli dava a fitto quella stanza, si conoscessero. La
vecchia guardava Angiolina con una certa aria materna, ne ammirava i capelli biondi e i
begli occhi. Angiolina poi diceva bensì che l'aveva conosciuta in quei giorni, ma tradì
di conoscerne la casa, ogni più recondito suo angolo. Una sera, in cui ella arrivò più
tardi del solito, la Paracci li sentì litigare e intervenne risolutamente a favore di
Angiolina. - Come si fa a rimbrottare a quel modo quest'angelo? - Angiolina che non
rifiutava omaggi da qualunque parte venissero, stette a udirla, subito sorridente: -
Senti? Dovresti imparare. Egli stava a udire infatti, stupefatto dalla volgarità della
donna amata.
Convinto oramai di non poterla elevare in
alcun modo, sentiva talvolta, violentissimo, il bisogno di scendere a lei, al di sotto di
lei. Una sera ella lo respingeva. S'era confessata e per quel giorno non voleva peccare.
Egli ebbe meno vivo il desiderio di possederla che di essere, almeno una volta, più rozzo
di lei. La costrinse violentemente, lottando fino all'ultimo. Quando, senza fiato,
cominciava a pentirsi di tanta brutalità, ebbe il conforto di un'occhiata d'ammirazione
d'Angiolina. Per tutta quella sera ella fu ben sua, la femmina conquistata che ama il
padrone. Egli si propose di procurarsi, nel modo stesso, delle altre serate simili, ma non
seppe farlo. Era difficile trovare una seconda volta l'occasione d'apparire brutale e
violento ad Angiolina.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi -
bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 1998